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Autore: crimsonthestral    26/03/2018    1 recensioni
Non si tratta tanto di una storia ma una sorta di articolo divulgativo su due monumenti di Parma da cui sono rimasta molto colpita oggi! Si tratta di due luoghi misteriosi abbandonati: un ex carcere napoleonico e una chiesa gotica. Leggetelo se volete farvi un po' di cultura e anche se non conoscete i luoghi, chiudete gli occhi e provate a immaginarli seguendo quanto ho scritto, sentite lo stesso brivido di meraviglia che ho provato. Poi esistendo Internet, se vi siete incuriositi cercate anche qualche foto. Buona lettura, fatemi sapere!
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Medioevo
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Impressioni di una giornata FAI primaverile
Giornate FAI , 24-25/03/18, Parma, apertura Chiesa San Francesco,l’ex-carcere e il teatro del Convitto Maria Luigia


Ex - Carcere Napoleonico di San Francesco

Il carcere napoleonico era in precedenza un grande convento francescano, tuttavia per editto napoleonico  i frati sono stati scacciati in modo traumatico e al loro posto l’edificio è diventato un carcere in uso dal 1810 fino al 1994, anno in cui i detenuti e il mobilio sono stati trasferiti nell’attuale carcere in Via Burla. Leggenda metropolitana narra che due detenuti non furono mai più ritrovati e che siano rimasti all’interno del carcere, ovviamente i due saranno riusciti a darsi alla fuga da quel carcere da cui altrimenti l’evasione era molto difficile dato che il perimetro ha un alto e liscio muro di cinta percorso da camminamento e guardiole. L’intero complesso francescano divenne carcere: l’edificio maschile a tre piani (quello visitabile oggi), la parte di convento attorno al chiostro,la torre campanaria esterna (quella era per i detenuti più pericolosi) e la chiesa di San Francesco. La parte femminile era separata, meno protetta( il rischio che le donne evadessero era inferiore), e si trovava nell’attuale ala novecentesca, costruita a seguito del bombardamento degli edifici originali. All’interno del complesso è presente anche una scala barocca (non visitabile).
Questo ex-carcere che presto verrà riconvertito in residenze universitarie e non solo, dunque snaturato rispetto a come si presenta attualmente (infatti oggi era l’ultimissima data per visitarlo in questo suo fascino decadente e abbandonato), è stato uno dei simboli della città di Parma. Molti sono stati infatti i detenuti famosi: l’anarchico e regicida di Umberto I di Savoia Gaetano Bresci, Guido Picelli e altri prigionieri politici, Giovannino Guareschi (lo  scrittore che inventò Don Camillo e Peppone, fu incarcerato nel 1954 per più di un anno a causa di diffamazione contro Alcide De Gasperi, allora presidente del Consiglio, scontando interamente la sua pena, senza mai richiedere la grazia né recedere dalle proprie convinzioni), Renato Vallanzasca ( famoso  criminale,rapinatore e autore di sequestri, rifiutava il cibo del carcere e si faceva portare i pasti da un ristorante esterno, e nel weekend ordinava Champagne, diciamo che si trattava bene). Inoltre il carcere è stato luogo della carità di due importanti religiosi parmigiani: Padre Lino e Beata Maria Adorni. Padre Lino assisteva le famiglie dei carcerati distribuendo loro pane e pasta che riusciva ad ottenere dalla Barilla, all’epoca solo un semplice forno.  Invece grazie a Beata Maria Adorni, Parma fu il primo carcere a consentire alle detenute madri di poter allattare i figli:  la suora infatti portava i lattanti e accompagnava i bambini dalle proprie mamme in carcere.
Dunque il carcere napoleonico oggi visitabile era la parte maschile, entrando ci si accorge subito di un cambio repentino di temperatura e umidità: vale il detto che i carcerati stanno al fresco perché le celle erano del tutto prive di riscaldamento! Si accede da un corridoio stretto e alto con volta a botte, si arriva in un altro corridoio più ampio da cui si dipartono a destra e sinistra diversi file di celle. La struttura dell’edificio  rispecchia quella del  vecchio convento, infatti da alcuni finestroni con inferiate si possono osservare dei piccoli cortili interni ora pieni di piante selvatiche ed edera che sta inghiottendo le pareti in muratura, dando un’impressione di incuria e restituzione del luogo alla natura. Quando era ancora un convento, l’edificio ospitava circa 450 frati ma in quanto carcere riusciva a contenere fino a 2000 detenuti, in celle dalle 3-4 alle 8-10 persone. Le celle racchiudono la memoria di chi vi ha vissuto e sembrano essere intrappolate in un tempo sospeso, immutate,  e oggi destinate a scomparire. Le pareti spesso sono coperte di scritte, ritagli di giornale e poster di ogni genere dai calciatori alle attrici,a foto erotiche, a modelli di automobili. Una delle celle più caratteristiche è la prima sul corridoio di destra: alcune auto prese da una rivista e sagomate, donne con pochi abiti, una statua della libertà, e un volto in bianco e nero molto famigliare, personalmente mi ricordava la defunta cantante dei Cranberries anche se probabilmente non si tratta di lei. File di celle tutte uguali con una porta pesante  e una grata, anguste se si immagina il loro affollamento, una piccola finestra con inferriate, un muretto divisorio che delimita un bagno con wc e lavandino e alcuni mensole con su ancora oggetti personali quali saponette e un astuccio con  dentro una forchetta, e poi gli immancabili poster di donne. Com’era vivere lì?
l’esterno è un’inquietante giungla deserta:  edera rampicante e alberi contorti ovunque nel prato che separa l’edificio dal muro perimetrale, e in mezzo a tutto questo abbandono e tristezza cresce ancora qualche fiore, violette e azzurrini “non ti scordar di me”.  Sul lato nord, dal cui siamo usciti, si trovano celle singole aperte come a formare tanti cortili protetti per garantire l’ora d’aria anche ai detenuti in isolamento. Spazi quadrati in muratura ormai divorati dalla vegetazione, chiusi da grate che sembrano gabbie da zoo ora lasciate vuote.



Chiesa di San Francesco

Il convento francescano di Parma nasce già nel 1200, quando ancora San Francesco era in vita e la sua regola stava divenendo popolare in quanto contrastante con l’ordine benedettino, già visto come vecchio e tradizionalista, con i suoi monaci chiusi a pregare e copiare manoscritti. I francescani erano amati perché stavano tra la gente, erano vivini al popolo con cui condividevano la stessa povertà non potendo possedere beni. E allora come costruire questa chiesa imponente, la più grande della città , lunga ben 7 m  e larga 1 m in più rispetto al nostro duomo? Finanziamenti per la costruzione e il mantenimento della chiesa  ricevuti dalle famiglie nobiliari che pagavano per ottenere la proprietà delle cappelle gentilizie a loro dedicate (Arcimboldi, Terzi, Meli Lupi,Sanvitale, Rossi, Aldighieri). Il convento di Parma divenne in breve tempo rilevante poiché il quinto Ministro Generale dell’Ordine dopo S. Francesco stesso, proveniva proprio da Parma. Uno dei più significativi personaggi avviatisi alla vita religiosa qui fu Fra Salimbene de Adam, uno dei maggiori cronisti del Medioevo autore della Cronica: egli visse sempre in aperta lotta con il proprio padre Guido già ostile alla vocazione e ancor di più dopo l’ingresso in convento dell’altro figlio. Per una famiglia nobile e rispettabile come quella da cui Salimbene proveniva, era un disonore non avere eredi del patrimonio dunque il padre per dissuadere il figlio maggiore e primo erede dai suoi propositi ascetici, ricorse non solo al Ministro Generale dell’Ordine dei Francescani, Frate Elia, ma addirittura all’imperatore Federico II.
La chiesa, ultimata nel 1462 e lunga oltre 38 metri,  ha le caratteristiche slanciate delle chiese gotiche di vaste dimensioni. Il rosone con cornice in cotto è opera del maestro Alberto da Verona ed è composto da 16 raggi, numero che per gli occultisti medievali rappresentava la casa di Dio. La luce proiettata all’interno del monumento crea effetti meravigliosi sulle pareti. Sulla facciata inoltre sono presenti dei contrafforti che servono a controbilanciare la spinta verso l’esterno esercitata dagli ambi archi ogivali ben visibili all’interno. Entrando la vista è mozzafiato:l’ambiente sembra dilatarsi grazie alla leggerezza degli archi e delle colonne che dividono la navata centrale da quelle laterali su cui si aprono  le cappelle sopracitate. Sono stati avviati scavi archeologici dato che si pensa che la chiesa sia stata edificata su una esistente precedentemente, inoltre sono stati rinvenuti pozzetti e fornaci necessarie per preparare i mattoni (in questo modo si producevano direttamente in cantiere, la costruzione procedeva a partire dall’abside) e le basi piastrelli che servivano a sostenere gli archi finché non fossero stati completati e stabilizzati dalla chiave di volta.  
La sconsacrazione in epoca napoleonica e la trasformazione in carcere segnano un profondo cambiamento che influirà sulla struttura dell’edificio. Le pareti vennero verniciate di grigio e questo in parte conservò gli affreschi sottostanti oggi riportati alla luce: alcuni sulle colonne come una crocifissione con le tre donne piangenti (ma di queste solo una è visibile) e nel soffitto dell’abside centrale poligonale un Cristo Pantocratore in una mandorla di angeli serafini.  Antonio Cocconcelli, Ingegnere presso la corte di Maria Luigia, progettò la divisione in settori e in piani della chiesa per ricavare le celle del carcere. Le arcate della navata furono chiuse da muri per ottenere tre piani di celle che, piuttosto buie, ricevevano solo luce dal rosone, da numerose finestre rettangolari aperte sulla facciata, dall’abside e da finestre sui muri divisori. Nella navata centrale invece si svolgevano lavori forzati di falegnameria destinati alla produzione di mobili per una ditta che fino agli anni ‘50 del secolo scorso aveva sede proprio in Piazzale San Francesco.
La Chiesa, riportata ad una aspetto il più possibile vicino all’originale, presenta ancora i segni di questa deturpazione: non solo gli orribili finestroni a bucare la facciata, ma si vedono ancora tracce di dove sorgevano i muri divisori e i piani, sulla sinistra in una cappella ci sono mattonelle bianche che testimoniano   dove si trovava il lavandino di una cella, inoltre sulle pareti degli absidi laterali (soprattutto su quello di destra) sono evidenti i profili delle scale che conducevano  ai piani superiori, a sinistra c’era l’accesso alla sagrestia e quindi al chiostro sul lato nord della chiesa. Il chiostro oggi non era visitabile in quanto non ritenuto sicuro per visite di gruppi numerosi, alla luce anche dell’incidente avvenuto pochi giorni prima ai danni di un operaio addetto alla manutenzione, inoltre la vegetazione all’interno è molto rigogliosa (troppa) e disordinata, con alcuni glicini che stanno soffocando delle conifere.  La porta che collegava alla sagrestia così come quella che collegava all’adiacente Oratorio dell’Immacolata Concezione, sono murate.
L’Oratorio è una cappella collegata alla chiesa con  struttura a pianta centrale e fu progettato dall'architetto Zaccagni e realizzato in dieci anni (1521-31). La decorazione dei pennacchi della cupola venne affidata a Michelangelo Anselmi e a Francesco Maria Rondani, entrambi collaboratori del Correggio. In una lunetta troviamo un affresco, steccato dalla chiesa maggiore,raffigurante la  Madonna con bambino insieme a San Giovanni e San Francesco, sempre di Michelangelo Anselmi.  Sull'altare maggiore campeggiava la concezione di Gerolamo Bedoli (ora in Galleria Nazionale) poi sostituita con una copia. Nel 1800 fu trasformata in deposito per foraggi, poi in cappella del carcere e nel Novecento ancora in segheria e deposito di mobili, per poi venir finalmente restituita al culto nel 1970 grazie al ritorno dei Frati Minori Conventuali. Dalla porta d'ingresso al piccolo cortile dell'oratorio, oppure da quella ancora più angusta del campanile, passavano i condannati a morte. Le esecuzioni capitali venivano infatti eseguite sul poco distante bastione di San Francesco.


Le Giornate FAI sono un’iniziativa che permette all’associazione di raccogliere fondi per la sua attività ma è soprattutto interessante per far conoscere al grande pubblico gioielli nascosti e solitamente inaccessibili, spesso sconosciuti anche ai cittadini stessi. Inoltre viene data la possibilità a giovani studenti di fare i ciceroni, mettersi in gioco nei panni di piccole guide turistiche per i gruppi di visitatori. Gli studenti provengono dalle scuole superiori della città (Liceo Artistico Toschi, Liceo Classico Gian Domenico Romagnosi, Istituto Macedonio Melloni …), io stessa alcuni anni fa avevo avuto l’occasione di provare questa esperienza stimolante accompagnando gruppi di coetanei alla scoperta della Chiesa di Sant’Antonio Abate in Via Repubblica. Queste due giornate FAI di primavera, 24 e 25 marzo, hanno riscosso un successo record: 10 mila visitatori (solo 4 mila nella mattinata di domenica), probabilmente molti di più di quelli previsti dalle aspettative dei volontari che hanno dovuto gestire questa “emergenza” prorogando le visite guidate nella chiesa di San Francesco fino praticamente all’orario di chiusura, e aumentando il numero di partecipanti dei gruppi da 40 a 100 persone (questi ultimi purtroppo senza guida). Nonostante il freddo polare, mascherato in apparenza da giornate soleggiate, non ha fatto desistere  turisti dal partecipare con entusiasmo all’iniziativa. Si sono formate lunghissime cose che partivano da Piazzale San Francesco e si allungavano nelle vie vicine, code del genere sono rare per una città come Parma mentre assomigliavano di più a quelle che si verificano davanti ai grandi musei di importanti città italiane (sto pensando alle mostre di Palazzo Reale a Milano e ai Musei Vaticani a Roma); fortunatamente scorrevano bene e quasi tutti sono rimasti soddisfati delle visite. Purtroppo dato che la visita alle carceri terminava circa un’ora prima di quella alla chiesa, molti sono rimasti esclusi dall’ingresso, ad esempio due mie compagne di corso dell'Università. Il dispiacere maggiore è che non ci sarà più un’altra occasione per vedere le ex-carceri in questo stato di edificio diroccato circondato da un’aura di mistero e religioso silenzio oggi spezzato dalle voci di migliaia di curiosi turisti. L’edificio verrà trasformato in qualcos’altro, verrà cancellata la memoria dei carcerati, strappati i poster colorati che gli tenevano compagnia in quei cubicoli opachi. In attesa di questa ricostruzione e reimpiego dell’edificio, calerà di nuovo il silenzio e torneranno i miagolii dei gatti randagi che normalmente popolano questo triste monumento, accuditi e nutriti da un anziano custode e da qualche amorevole impiegato universitario che lavora lì.

 
   
 
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