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Autore: the angel among demons    26/03/2018    1 recensioni
"Io sono Evangelina, e voglio farvi una domanda:
Se la vostra vita, la vostra bella e abitudinaria vita venisse spezzata; se doveste lasciare la vostra città per trasferirvi in una nazione lontana chilometri e chilometri; se doveste fare conoscenze che non avreste mai creduto di poter fare; se doveste rimanere coinvolti in una associazione/organizzazione segreta pericolosa che potrebbe coinvolgere il mondo; e soprattutto, se doveste scoprire che la persona che avete avuto al vostro fianco fino ad ora non è chi dice di essere...come reagireste?
Io non molto bene."
In questa storia non c'è mai stato un caso Kira, nessuno shinigami goloso di mele, e nessun quaderno della morte. Ma semplicemente Eva, una ragazza che dovrà affrontare una grossa sfida nella sua vita, e qui incontrerà Near, Mello, Watary e molti altri.
Ma non avrebbe mai pensato, in una situazione come la sua, di (r)innamorarsi di una persona.
Soprattutto se esso è l'investigatore più bravo che ci sia, conosciuto al mondo con una sola lettera dell'alfabeto.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! grazie per essere qui a leggere questa fan fiction. Essendo un prologo è più corto dei capitoli che scriverò in futuro, è giusto per introdurre l’inizio di questa storia, dal prossimo capitolo le cose cominceranno a movimentarsi. Se vi va, lasciate una recensione su cosa ne pensate, in questo modo potreste aiutare anche me su cosa potrei migliorare. Buona lettura (:

 

 

 

 

                    “Il segreto per una vita ricca è di avere più inizi che fini.”

                                                                                                           

                                                                                                             -David Weinbaum

 

 

                 “Non arrenderti mai, perché quando pensi che sia tutto finito,

                 è il momento in cui tutto ha inizio.”     

                                                                                                  -Jim Morrison                

 

 

 

 

 

Il rumore di sottofondo dell’aereo, guardare fuori dal finestrino e le carezze sulla mano da parte del mio fidanzato Daniele, stavano iniziando a rilassarmi. Finalmente, aggiungerei.

Erano passate due ore, da quando l’aereo era decollato. Ne mancavano dieci. Dieci noiose ore che permettevano alla mia mente di far uscire tutte le mie ansie.

Chiusi i miei grandi occhi color ambra e cominciai a inspirare e espirare lentamente, come mi disse di fare Daniele quando...quando mi diedero la notizia che mia madre era deceduta, un mese prima. Eppure il dolore continuava a persistere senza darmi tregua, arrivando al punto di pensare di avere una ferita che non si sarebbe mai chiusa. A dire la verità, dopo la tristezza immediata alla notizia, arrivò subito la rabbia. Aveva solo quarantacinque anni, e la sua vita si spense così, senza che i medici mi diedero una motivazione precisa al perchè fosse successo.

- A volte capita - disse il medico in tono consolatorio e mettendomi una mano sulla spalla. Di tutta risposta, non gli dissi nulla, e scostando la spalla uscii da quell’ospedale senza neanche guardarlo in faccia.

Forse ero stata troppo cattiva, infondo non era colpa sua se non erano riusciti a trovare la causa, avevano fatto il loro lavoro. Ma in quel momento non me ne fregava nulla di niente e di nessuno. 

Be...proprio nessuno no. Daniele era stato con me fin dall’inizio, mi ha sopportato più di quanto un fidanzato può fare. In effetti, questa idea di andare in Giappone da mio padre è stata sua: Carlo, mio padre, un po più di due anni prima ha perso il lavoro. Era scienziato in una industria farmaceutica dove vivevamo noi, a Venezia. Eravamo messi davvero male, specialmente in quel periodo che c’era la crisi. Ma un suo vecchio amico, capo di un’industria farmaceutica vicino Tokyo, la “Gelzin”, gli propose di andare a lavorare da lui, siccome erano a corto di scienziati. E così accadde. Si trasferì lì e ci spedì i soldi da allora. Prendeva il doppio dei soldi di quanto ne guadagnava in Italia. Quando c’erano le vacanze, ci veniva a trovare. Poi, accadde il fatto di mia madre, e vedendo quanto stavo male Daniele mi propose di trasferirci per un tempo non definito da lui a Tokyo. Stare con papà mi avrebbe aiutato tanto. Per meglio dire, avrebbe aiutato sia me che mio padre, ora più che mai dovevamo stare vicini. Per Daniele non ci sarebbe stato problema, lavorando anch’esso nello stesso settore di Carlo, ed essendo anche un conoscente, lo avrebbero preso di sicuro. Anzi, avevano già organizzato tutto per assumerlo. Invece, io avrei fatto la cameriera come in Italia. I miei genitori ambivano che andassi in un liceo classico o robe simili, ma niente da fare, sono appassionata alla ristorazione e amo stare al contatto con i clienti. Alla fine si rassegnarono, anche se increduli che una persona possa essere interessata a quel settore.

Il pollice di Daniele mi sfiorò la guancia, e solo con quel gesto mi accorsi che avevo iniziato a piangere. In quei giorni ero così abituata a farlo, che non ci facevo più caso.

Aprii gli occhi e mi volsi verso di lui. Mi osservava con i suoi occhi azzurri, l’espressione preoccupata in volto. Gli feci un sorriso triste, ma pur sempre un sorriso. Lui scosse la testa.

- Ti conosco Eva, non devi fingere - mi diede un leggero bacio. - Non serve con me-.

Le lacrime iniziarono a farsi più feroci. - Sono ancora triste Daniele... - sussurrai, portandomi una mano alla bocca per soffocare i singhiozzi.

Questa volta, mi diede un bacio sulla fronte - Lo so amore... serve ancora del tempo. Ma poi passerà tutto -.

Sprofondai la mia faccia tra il suo collo e la sua spalla, sentendo poi la sua mano accarezzarmi la nuca. “Facile a dirsi...” pensai. 

- Stiamo andando in Giappone per un nuovo inizio - disse in tono fermo a pochi centimetri dal mio orecchio.

Si. Stavo cambiando completamente vita. Avevo lasciato in Italia il mio passato e con esso dovevo riporre la malinconia. Nonostante stavo andando da mio padre, non era comunque facile. La routine giornaliera che si ha nella propria città è difficile eliminarla completamente. Stavo abbandonando i miei pochi amici, o per meglio dire conoscenti. Ora che ci pensavo meglio non avevo dei veri e propri amici, ero rimasta sola fino all’arrivo di Daniele. Il perchè non li avessi non lo saprei dire, fino ad allora sembrava che nessuno si fosse affezionato a me, o forse non mi hanno mai trovato simpatica.

“Chissà...”

Nonostante questo, sembravano quasi dispiaciuti che io me ne andassi. Come io ero dispiaciuta di lasciare il lavoro, a quanto pareva era la cosa a cui tenevo di più. Facevo la cameriera, vestita in giacca e cravatta, in uno dei ristoranti veneziani più di lusso. Aveva due piani, atmosfera cupa illuminata da dei lunghi lampadari che creavano quella luce soffusa dolce e tranquilla. Non c’era mai troppo rumore e mi inebriavo ogni volta del profumo dei vini proveniente dalla cantina. Amavo lavorare in quel ristorante. E amavo Venezia. Il gondoliere che cantava una serenata a due innamorati...piazza San Marco, considerata un po come il salotto della città e dove avvenivano gli avvenimenti più importanti...il maestoso e antico ponte di Rialto...gli originali ed eleganti costumi di carnevale che rendevano Venezia ancora più stupenda... 

“Sto lasciando tutto questo per migliorare la mia vita” continuavo a ripetermi mentre trainavo la mia ingombrante valigia per l’aereoporto. 

Daniele mi tirò su il mento. Facendo incrociare i nostri sguardi mi dimenticai quello che stavo pensando. Ci osservammo per un po intensamente, non capendo cosa volesse fare,  iniziai a pensare che si fosse arrabbiato perchè stavo piangendo, di nuovo. Ma poi, mi baciò tenendomi ancora per il mento. Sentivo il gusto della sua mentina mangiata prima, il che mi diede come una ventata d’aria fresca.

- Vai a darti una risciacquata sul viso - mi disse dopo essersi staccato dalle mie labbra.

Io annui solamente, e a passi lenti e testa bassa attraversai il piccolo corridoio dell’aereo, arrivando alla porta del W.C. Bussai, e non avendo sentito nessuna risposta entrai. Quel bagno era veramente piccolo, beh per lo meno era pulito, mi chiesi come facevano nei film a intrufolarsi lì dentro per fare le loro cosacce visto che ci stava giusto una persona.

Aprii il rubinetto e misi le mani a coppa per prendere un po di acqua, me la buttai sul viso e appena venne a contatto con l’acqua fredda togliendo di torno le lacrime calde mi sentì subito meglio. Mi asciugai con la carta, e poi mi soffermai a guardarmi allo specchio, anche se essendo alta (o per meglio dire bassa) solo un metro e cinquantacinque mi vedevo solo dalla vita in su.

I miei capelli lunghi rosso fuoco (tinti, ovviamente) erano sciupati e secchi, nell’ultimo periodo non me ne ero presa molta cura. Le mie forme erano diminuite un po, perchè non mangiavo piu come prima, per non dire che non mangiavo affatto. Non ero mai stata una ragazza molto magra, non ero neanche grassa ma possiamo dire che ero ben messa soprattutto nel seno e fianchi, rendendo il mio corpo sinuoso. Conoscevo molte ragazze che ci tenevano a essere magre come un chiodo, mentre io me ne fregavo, mi trovavo bella anche con quella ciccetta in più. Il viso pallido, con gli occhi struccati ancora arrossati e le labbra carnose screpolate mi facevano sembrare un piccolo mostriciattolo. 

Sbattei la schiena e la testa sul piccolo muro dietro di me, lasciandomi crollare a terra. Sospirai. “Nuovo inizio...”

 
   
 
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