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Autore: ChiaFreebatch    27/03/2018    12 recensioni
Sfida del week-end , scritta in 48 ore su prompt di Daniela: JOHNLOCK AU. Sherlock lavora come barman nel locale in cui John si reca spesso a rimorchiare. Ma una sera non trova nessuno di interessante, a parte il nostro barman riccioluto.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scritto per il Drabble event del gruppo Facebook ♦ WhoLindtLock Drabble

Scritta in 48 ore

Prompt di Daniela:

Johnlock AU. Sherlock lavora come barman nel locale in cui John si reca spesso a rimorchiare. Ma una sera non trova nessuno di interessante, a parte il nostro barman riccioluto.

Ci terrei a precisare che il mio Victor Trevor ha le fattezze di Eddie Redmayne :)

 

“BLOODY QUEEN”

 

Le stelle brillavano nel cielo terso di quella fresca estate londinese.

John Watson accelerò con decisione su  Harleyford Road a cavallo della propria Triumph Bonevill.

Gli occhi blu saettarono lungo la strada , il Community Garden scivolò via lesto. Gli alberi, una macchia scura nella notte.

Rallentò in prossimità di  Vauxall Groove svoltando con disinvoltura a sinistra.

La moto sfrecciò lesta accanto al civico undici.

Un sorrisetto di rammarico si dipinse sulla labbra di John.

Le vetrine illuminate di un ristorantino vegetariano lo colpirono come ogni volta al cuore.

Quelle stanze raffinate, un tempo erano state dimora del  Bonnigton centre cafè.

Il cafè…

Dio quanto gli piaceva lavorare lì.

Lui e gli altri squatters lo gestivano con orgoglio, c’era vita tra quelle mura, musica punk, colori, facce felici, ragazzi sbandati ma col sorriso sulle labbra.

La Triumph rallentò la propria andatura.

Ricordi riaffiorarono nella mente di John Watson.

Gli anni 80, i suoi anni migliori.

Il suo quartiere, Brixton era stato al centro di parecchie guerriglie urbane, proteste razziali e politiche, un gran casino nel quale lui sguazzava con piacere.

Parcheggiò con un gesto elegante la propria moto fuori dal Bloody Queen

Quel pub nel quale da ragazzo si dilettava a suonare con il proprio gruppo punk era rimasto lo stesso nonostante il trascorrere degli anni.

John non avrebbe saputo di dire se ciò fosse un bene oppure no.

Si tolse il casco nero ravvivandosi la folta chioma bionda screziata di grigio.

La mano corse lesta al proprio ciuffo scostandolo con un gesto deciso.

A passo deciso scese i tre gradini che lo condussero all’entrata del locale.

Alcuni ragazzi lo salutarono con un cenno del capo ed un sorriso, altri con il bicchiere di birra levato verso l’alto.

L’atmosfera calda e fumosa del Bloody lo accolse.

Arricciò il naso infastidito da una boccata di fumo troppo vicina al suo viso.

Una mano corse nuovamente alla fronte, troppo caldo laggiù.

Si tolse con un gesto deciso il giubbetto in pelle nera cercando di farsi largo tra la moltitudine di gente del sabato sera nel tentativo di raggiungere la propria postazione al bancone del bar.

Il primo sgabello sulla sinistra era ufficialmente targato John Watson.

Lo era sempre stato, da vent’anni a quella parte e per un tacito accordo tutti gli avventori del locale lo lasciavano libero ogni giorno del week-end in attesa dell’arrivo del suo proprietario.

Clientela abitudinaria quella del Bloody, forse fin troppo.

Già.

Non vi era una singola ragazza sotto quelle dannate luci stroboscopiche di cui John non conoscesse l’identità.

Né la taglia di reggiseno.

Né le più o meno gradevoli caratteristiche fisiche.

Né le capacità sessuali, di quelle poi, il buon Watson era un’enciclopedia aperta.

Più vicino ai quaranta che ai trenta, si considerava un amatore di livello e la moltitudine di donne e di uomini che regolarmente gli girava attorno ne era la conferma.

Spinse con forza un paio di ragazzi particolarmente brilli.

Un gomito conficcato nell’anca lo fece imprecare con decisione.

Gli occhi blu puntati verso il bancone sempre più vicino.

La pista da ballo era un inferno di grida , musica odori e profumi.

John battè le palpebre e si chiese per la miliardesima volta nel corso degli anni il perché non avessero messo la zona bar prima di quella fottuta pista.

Scansò Sally, una tipetta particolarmente vivace con cui aveva avuto il piacere ( nemmeno troppo in effetti) di intrattenersi una mezza dozzina di volte e finalmente raggiunse uno spazio un poco più ampio.

Aria.

Inspirò profondamente.

Il bancone a pochi metri.

“Johnny bello…” Un sussurro lascivo al proprio orecchio.

L’uomo stoppò il proprio incedere e levò gli occhi al cielo.

La figura longilinea aggrappata alla propria schiena.

Avvertì le labbra soffici contro il proprio lobo.

Un alito di Jack Daniels gli rammentò perché non si fosse mai deciso ad invitarla ad un’uscita seria.

“Mary…”

Le mani di lei apparvero sul proprio torace fasciato da una t-shirt nera.

“Mi hai riconosciuta “ Sghignazzò stringendosi con maggior forza.

Il seno premuto contro la colonna vertebrale ebbe l’unico effetto di irritarlo.

“Dai lasciami…” Borbottò cercando di sciogliere quella stretta convulsa.

“Non mi richiami mai…” Non mollò la presa, tutt’altro.

“Io non richiamo mai nessuno dovresti saperlo” Si voltò un poco, il naso di lei sfiorò il suo.

“Ma è parecchio che io e te non ci divertiamo un po’” Si sporse con decisione.

La lingua sottile sfiorò le labbra pallide dell’uomo.

Un’altra zaffata di alcool gli solleticò le narici.

“Hai bevuto troppo. Come sempre “ La ammonì sciogliendo quell’abbraccio unilaterale.

Mary sbuffò picchiando un piede a terra.

“Eri più divertente una volta Johnny, ti piaceva venire a letto con me e non eri così dannatamente noioso!”

“Forse non mi piace più quello che vedo” Si infilò le mani nelle tasche dei jeans scuri.

Mary lo gelò con un’occhiata, le iridi verdi rese scure dalla scarsa luce “Stronzo”

Watson sorrise per metà.

Quel sorrisetto divertito che tirava schiaffi o che piaceva da morire.

“Non fare quel sorriso, stronzo” Rincarò la dose.

L’uomo scosse il capo e le dette le spalle.

Finalmente raggiunse il proprio sgabello e vi si appollaiò.

Gettò uno sguardo alla figura della biondina.

Lei lo fissava con stizza nell’esatto punto in cui l’aveva lasciata.

Decise di ignorarla e con un gesto fluido si voltò posando entrambi i gomiti sul bancone in marmo nero.

“Ehì Vic!” Richiamò il barista.

“Ehi John” Il rossino si avvicinò all’uomo con un ampio sorriso. “ Sei in ritardo” Si asciugò le mani in un canovaccio scuro.

“Ero tentato di non venire proprio “ Arricciò il naso.

Il barman lo fissò con cipiglio preoccupato “ Che cosa? In dieci anni che lavoro qui non ti sei fatto scappare un singolo week-end!” Si Mise la mani sui fianchi sottili.

“Appunto, sono annoiato, terribilmente…” Scosse il capo biondo.

Il rossino assottigliò lo sguardo verde giada “ Tu annoiato?”

“Sì, faccio un lavoro che mi annoia, le stesse facce ogni giorno, avanti ed indietro per Londra con quella cazzo di valigetta da rappresentate tra le mani e nel week-end vengo qui, le stesse facce anche qui da una vita…” Si lagnò sfiorando con le dita pallide il bancone non più lucido come un tempo.

“Bè, non oggi” Incrociò le braccia al petto.

Watson gli lanciò un’occhiata incuriosita, il sopracciglio biondo inarcato.

“Cioè?”

“Abbiamo un nuovo acquisto” Sorrise con la belle labbra piene “ E’ sceso  in magazzino a recuperare un paio di bottiglie ma arriverà a breve”

“Un nuovo barman? Che ne è stato di Sebastian??”

Trevor sussultò sfiorandosi il collo spruzzato di efelidi “ Seba se ne è andato” Distolse lo sguardo.

“Si è licenziato? Vuoi scherzare??”

“Una specie…” Tossicchiò riempiendo i contenitori delle patatine.

“Cosa diavolo vuol dire un specie?” Allungò una mano afferrando una chips.

Prima che Victor potesse rispondergli una voce profonda fece sussultare l’uomo.

“Vic, scusa il ritardo ma non riuscivo a trovare il whisky …”

John scorse la lunga figura del nuovo arrivato scivolare lesta oltre il bancone.

Si voltò chinandosi a posare gli alcolici.

Folti ricci corvini scendevano sfiorando un collo lungo e pallido, la nuca appena visibile oltre il colletto.

Le spalle ampie tendevano la camicia viola, che maliziosa scendeva aderente sino alla vita sottile.

Watson si sporse un poco indagatore ed i propri occhi smaliziati colsero un fondoschiena perfetto nascosto da dei pantaloni scuri dal taglio classico.

Si passò la lingua sulle labbra in un gesto meccanico ed involontario.

Trevor sorrise al nuovo barman ed allungò la propria mano elegante verso una delle bottiglie ancora tra le braccia del ragazzo.

“Ti aiuto William”

“Grazie Vic…”

Il biondino aguzzò le orecchie e si ritrovò ansioso di poter scorgere il viso  del proprietario di quella voce profonda.

“Ecco fatto” Il rossino si allungò verso lo scaffale riempiendo lo spazio mancante con i liquori appositi.

William annuì  e Watson potè scorgere il bel profilo ed il ciuffo corvino oscillare con decisione.

Si schiarì la voce stanco di quell’attesa seppur misera.

L’effetto fu quello desiderato, nonostante la musica di sottofondo i due baristi colsero distintamente il richiamo discreto del cliente.

William si voltò con un gesto deciso e John si ritrovò a trattenere il fiato.

Due occhi acquamarina dal taglio allungato lo inchiodarono allo sgabello in mezzo secondo.

Deglutì sonoramente concedendo al proprio sguardo di analizzare globalmente il viso pallido del ragazzo.

Era bello, di una bellezza totalizzante.

Bello come quei modelli visti in tv o sulle riviste patinate.

Gli zigomi alti sfuggivano appena dietro la montatura nera degli occhiali.

Il pallore etereo che emanava contrastava drasticamente con il carminio delle belle labbra piene.

Watson inspirò con forza e si ritrovò per la prima volta senza parole , colpito dal sorrisetto divertito di quella creatura intrigante.

Quel gioco di sguardi venne interrotto da Trevor.

“Uh ma certo, William, ti presento John Watson, lui è un veterano del locale!” Rise posando una mano sull’avambraccio del ragazzo.

Quella risata aperta che aveva sempre attratto il biondino ma che in quel momento trovò un poco irritante.

“John” Inclinò il capo studiandolo con attenzione.

L’uomo annuì rabbrividendo appena al suono del proprio nome pronunciato da quella voce scura.

Si impettì un poco e tese la mano.

“William “ Replicò con un mezzo sorriso.

Gli occhi acquamarina ebbero un guizzo mentre serrò nella propria mano quella più piccola ma dalla presa salda.

Trevor sussultò al richiamo di un paio di ragazzi poco distanti.

“Will, ho due cocktail da preparare, o i gemelli Phelps mi lanceranno il portatovaglioli! Ti lascio John” Si posò nuovamente all’avambraccio prima di allontanarsi.

Gli occhi blu corsero alle maniche risvoltate di William. Là, dove le dita sottili di Vic si erano posate.

Catalogò la pelle liscia e tonica, i tendini ben visibili.

Battè le palpebre riportando le iridi in quelle limpide.

“Veterano eh?” La voce profonda vibrò nell’aria e nel suo stomaco.

“Non è una parola che apprezzo particolarmente” Ghignò “ Mi fa sentire più vecchio di quanto io non sia… Comunque sì, frequento questo locale da vent’anni quindi direi che è un termine azzeccato”

William sorrise appena ritraendosi un poco, il fondoschiena cozzò contro il lavandino.

“E cosa posso preparare ad un assiduo frequentatore di questo locale?” Afferrò lo shaker rigirandoselo tra le mani.

John fece spallucce incrociando le braccia al petto “Sorprendimi”

Il ragazzo inarcò un sopracciglio e si sporse un poco verso il biondino. Lo fissò indagatore per diversi istanti.

Watson mantenne una postura rigida ed un’espressione impassibile tuttavia fremette sotto quello sguardo affascinante.

Dopo quell’attenta analisi William inspirò posando lo shaker sul ripiano sotto lo sguardo perplesso dell’altro.

Con un movimento fluido raggiunse lo scaffale su cui svariate tipologie di bicchieri facevano bella mostra di sé.

Le dita lunghe scivolarono con movimenti quasi maliziosi da un flute ad un balloon , tumbler basso, tumbler alto…. Ritornarono al flute per poi saltellare su uno shot.

Volse il viso verso John indugiando con un mezzo sorriso.

Il palmo si aprì, grande e deciso per afferrare saldamente un boccale da birra.

Raggiunse lo spillatore, tentennò, un ultimo sguardo pensieroso al cliente per poi decidersi a spillare una birra scura e corposa.

Con un sorrisetto trionfante la posò davanti allo sguardo divertito John.

“Questo lo chiami sorprendere un cliente?” Sfiorò il bordo con l’indice.

William sussultò battendo le palpebre.

Le ciglia corvine sfarfallarono sotto uno dei pochi faretti presenti nel locale.

“E’ la tua preferita” Replicò convinto.

“Hai tirato ad indovinare, sono un uomo inglese di più di trent’anni, semplice e senza pretese, sono una persona comune, e per il calcolo delle probabilità era prevedibile che mi piacesse la birra”

“Io non tiro mai ad indovinare” Sibilò l’altro.

“Ah no?” Sorrise sporgendosi un poco verso il barista.

“No”

John inspirò e ne bevve un lungo sorso senza distogliere lo sguardo da quello limpido ed un poco irritato.

“Hai quasi indovinato” Si passò il dorso della mano sulle labbra levandosi dei residui di schiuma.

William rabbrividì appena e con un gesto meccanico si riallacciò in vita il corto grembiule nero.

“Impossibile! Ho mentalmente analizzato tutti i cocktail a base di birra e li ho esclusi uno dopo l’altro! Il Black Velvet è troppo snob, birra scura e champagne con te non c’entrano assolutamente… Il Tirini One? Oh no, birra chiara, tequila e red bull, troppo dozzinale! Shandy gaff? Dubito tu sia un tipo da birra chiara e ginger” Attaccò veloce senza mai prendere fiato.

Watson scoppiò a ridere, una risata piena, di quelle con il capo gettato all’indietro che ebbe il potere di offendere ed affascinare al contempo il barman.

“Frena un attimo e prendi fiato William, non ho detto che il mio drink preferito sia un cocktail a base di birra…”

“Ma se mi hai detto che con il boccale di birra ho quasi indovinato!” Si risentì.

“Sì infatti”

“E se non è un boccale di scura e nemmeno un cocktail a base di birra… Oh andiamo, non mi dire che preferisci la bionda?!” Scosse il capo.

John si passò la lingua sulle labbra, scostò il boccale e posò i gomiti sul bancone fissando con un sorriso malizioso il viso spigoloso dell’altro.

“Non disdegno le bionde anche se non sono le mie preferite… E nemmeno i biondini” Ghignò.

William retrocedette di un passo, il viso una maschera gelida.

“Detesto questi giochetti allusivi, li trovo maledettamente stupidi” Serrò con forza il canovaccio nero.

 Watson inclinò un poco il capo e bevve un altro sorso di scura.

Si prese tempo per replicare ed il barman meditò seriamente di allontanarsi verso i tavolini senza chiudere il discorso.

“I miei giochetti tendenzialmente piacciono” Sussurrò con fare cospiratorio “ Anche ai ragazzi corvini…”

“Ci stai provando con me? Sul serio? Mi conosci da quanto? Dieci anzi, undici minuti e ci provi con me?” Si sfiorò lo swatch nero.

Watson fece spallucce e replicò sicuro di sé “ Non esiste un tempo minimo o massimo per flirtare con qualcuno”

“E’ bene che tu sappia caro il mio rappresentate di articoli sportivi che non sono interessato , né lo sarò mai”  Gli volse le spalle in un movimento fluido e con un vassoio tra le mani si avviò verso i tavolini con l’intento di ritirare i bicchieri vuoti.

John lo fissò con la bocca un poco spalancata, non era abituato ai rifiuti, non in maniera così diretta soprattutto.

“Vic!” Richiamò il rossino intento ad affettare del limone.

“Sì Johnny?”

“Hai detto a William che lavoro faccio?”

“Ummm no, direi proprio di no, non ci ho ancora parlato da quando vi ho lasciato soli” Lasciò cadere una fettina aspra in un alto tumbler.

“E come diavolo fa a sapere che faccio il rappresentate di articoli sportivi??”

Trevor sorrise sbirciando nella direzione del collega, con gesti veloci posava i bicchieri ormai vuoti sul vassoio metallico.

“William fa il gioco delle deduzioni e gli riesce divinamente” Sospirò.

“Il gioco di che?” Si mosse nervoso sullo sgabello.

“Lui ti analizza e con semplicità deduce la tua vita, non so come ci riesce, sembra una magia” Prese ad agitare con forza uno shaker “ Lavora qui da lunedì e credimi se ti dico che in cinque giorni non ha mai sbagliato mezza deduzione!”

“E’ un tipo strano” Watson si massaggiò il mento, la barba bionda incolta grattò fastidiosa sui polpastrelli.

“Azzarderei originale” Lo corresse Trevor.

“Mi ha liquidato in tre secondi” Rivelò.

“Deve pur capitare anche a te ogni tanto tesoro” Gli fece l’occhiolino.

John inarcò un sopracciglio e spingendo il boccale un poco distante scese dalla propria postazione e senza aggiungere altro raggiunse la pista da ballo.

Hightway to hell degli AC/DC riempiva l’aria, l’assolo perfetto di Angus fece sorridere John.

Ecco una delle cose che amava di quel locale, la musica.

Anni 70 ed 80 la facevano da padrone dando la sensazione a John che gli anni non fossero mai passati.

Che su quel piccolo palco sopraelevato potesse fare ancora il proprio ingresso con il suo storico gruppo musicale e lasciarsi andare ad assoli di chitarra senza tempo.

Alleggerì la mente seguendo il ritmo.

Non amava molto ballare ma era una buona tattica per rimorchiare ed in quel momento, dopo il rifiuto spocchioso di William era ciò di cui aveva bisogno.

Si sentì spingere ma non vi fece caso.

Due braccia sottili ma dalla presa salda lo afferrarono per le spalle.

Si voltò curioso.

Gli occhi grandi e scuri di Jim Moriarty lo fissavano divertiti.

Watson lasciò scivolare le proprie mani sulla vita dell’altro.

La pelle calda dei fianchi sotto la stoffa bianca della t-shirt.

Il ragazzo gli si strinse addosso, il naso affondato nel collo.

“Ciao John” Sussurrò leccandogli il lobo dell’orecchio.

“Ciao Jim” Le mani scivolarono sui glutei , ondeggiò.

Il ragazzo prese a parlare ma Watson non riuscì a distinguere le parole di quello che saltuariamente si rivelava un ottimo amante.

La musica troppo forte e la sua testa altrove.

Gli occhi blu corsero ai tavolini.

William serviva impassibile dei cocktail ad un gruppo di ragazze fin troppo su di giri.

Lui sembrò non far caso al loro modo lascivo di porsi nei suoi confronti.

Jim spinse i fianchi contro i suoi e lo assecondò senza troppa voglia.

Le iridi fisse sul barman.

In quel mentre il ragazzo abbandonò il gruppetto e volse lo sguardo in direzione della pista.

Gli occhi acquamarina si legarono a quelli di John.

Il biondino rabbrividì e rafforzò con decisione la presa sul sedere del suo compagno di ballo.

Avvertì le labbra dell’altro sul proprio collo.

William gli dette le spalle e tornò da Vic.

John abbassò le palpebre e con forza prese possesso della bocca di Moriarty.

Quella sera, quando si ritrovò solo nel proprio letto, Watson si rese conto che quei dannati occhi acquamarina non lo avevano mai abbandonato durante il rapporto sessuale avuto con Moriarty.

Mai, nemmeno un secondo.

Non seppe spiegarsi il perché, trovò la situazione ai limite dell’assurdo e non volle approfondire il proprio pensiero a riguardo.

Prese sonno a fatica e decise di non dar troppa rilevanza all’accaduto.

Prese quella decisione a mente lucida, o quasi.

Nel sonno tuttavia il suo inconscio parve non dagli retta.

….

Quando la sera seguente raggiunse nuovamente il Bloody Queen si impose di non concentrarsi su quei pensieri poco casti di cui il nuovo barman era inconsapevole attore.

Si infilò lesto nella folla puntando il proprio sgabello.

William sollevò il viso spigoloso dallo sciroppo alla fragola che appiccicoso scivolava in una caipiroska.

Gli occhi blu di John catturarono i propri.

Il liquido rossastro scivolò sul pianale in acciaio , gli occhiali gli scesero un poco sulla punta del naso.

Imprecò a denti stretti.

Watson trattenne il fiato e si rese conto che quelle dannate iridi trasparenti sarebbero diventate il suo peggior incubo.

Il sole di metà luglio colpì John al volto non appena uscì da un negozio di articoli sportivi su  Victoria Embankment.

Arricciò il naso infastidito e con un gesto deciso si infilò i ray-ban scuri.

Valigetta alla mano proseguì a piedi diretto alla fermata della metropolitana.

Colse il proprio riflesso in una vetrina.

La giacca scura gli portava caldo così come la camicia bianca di rappresentanza.

Detestava il proprio abbigliamento lavorativo.

Un rappresentate di articoli sportivi obbligato ad indossare giacca e camicia.

Sbuffò ravvivandosi il ciuffo biondo.

Bizzarra idea del suo capo quella del rigore nel vestire.

Gettò un’occhiata al proprio orologio ringraziando il cielo che fosse pomeriggio inoltrato. Fine dei giochi per quella settimana.

Sorrise all’idea del week-end.

Accelerò il passo scorgendo New Scotland Yard poco lontano.

Acuì la vista notando due figura all’ingresso della centrale.

Un uomo brizzolato che passò in secondo piano e di fronte a questi un ragazzo.

Alto, slanciato.

Impeccabile in un completo scuro.

John deglutì con forza riconoscendo William.

Lo conosceva da poco più di un mese e nonostante gli screzi iniziali aveva imparato ad apprezzare il suo carattere insolito.

Spocchioso, tagliente ma anche divertente. Lo studiava con minuzia e si era reso conto di quanto l’altro cercasse di smussare i propri difetti a favore della clientela tuttavia sembrava che i suoi sforzi dessero poco i loro frutti.

Victor lo supportava e sopportava al contempo cercando di mettere quante più pezze possibili alle uscite fuori controllo dell’altro. John non avrebbe potuto dire con sicurezza che se non ci fosse stato Trevor il buon William avesse conservato il posto al locale.

Dopo il suo primo tentativo di abbordaggio ed il conseguente palese rifiuto si era guardato ben dal proporgli alcunché. Tuttavia il proprio corpo e la propria mente non avevano mai smesso di trovare incredibilmente attraente quel ragazzo pallido e dagli occhi più splendidi che avesse mai visto.

Tossicchiò studiandolo incuriosito defilandosi nella rientranza di un negozio.

Non portava gli occhiali ed il ciuffo corvino si muoveva dispettoso e scomposto stuzzicato dal venticello tiepido.

L’uomo brizzolato gesticolò vistosamente ed il barman sbuffò con forza gonfiando le guance e picchiando un piede a terra come fosse un bambino piccolo ed irritato.

Watson sorrise divertito appoggiandosi con una spalla alla rientranza di fortuna.

I due ad una ventina di metri discutevano animatamente e lui si chiese se fossero davanti a Scotland Yard per puro caso o con un intento ben preciso.

William alzò la voce portando avanti delle rimostranze circa un lavoro poco pulito.

John tese le orecchie attendendo la replica dell’uomo abbronzato.

“Sherlock falla finita e seguimi!”

Lo vide afferrare il barman per la manica della giacca scura e trascinarlo oltre le porte della centrale.

Watson con più calma di quanta fosse necessaria rimise piede sulla strada.

Si grattò una tempia sfiorando al contempo l’astina sottile ed inarcò un sopracciglio.

Sherlock??

Chi cazzo è Sherlock??

Con cautela passò accanto alle porte scorrevoli sbirciando all’interno.

Nessuna traccia del ragazzo né dell’uomo brizzolato.

Tergiversò un poco prima di riprendere con una camminata lenta e lasciarsi Scotland Yard alle spalle.

Si morse un labbro sbirciando indietro.

Con disinvoltura passò nuovamente sull’uscio un paio di volte nella speranza di scorgere qualcosa e perché no, scontrarsi con William.

William, se poi si chiamasse effettivamente così restava un mistero.

All’ennesimo transitare l’agente sulla porta inarcò un sopracciglio e gli si avvicinò con il preciso intento di capire cosa volesse quell’uomo dall’aria furtiva e con una valigetta tra le mani.

Non ne ebbe il tempo.

John impattò con forza contro un uomo alto e dall’aspetto autoritario che quasi lo fece rovinare a terra.

“M…Mi scusi!!” Sobbalzò retrocedendo di un passo.

“Dovrebbe avere l’accortezza di osservare la strada mentre cammina” Lo apostrofò l’uomo.

“Sì, le ho detto che mi dispiace” Irrigidì le proprie spalle , il naso all’insù.

L’uomo stretto in un elegante completo inarcò un sopracciglio scuotendo appena il capo.

Non replicò, evidentemente non lo ritenne degno di ulteriore attenzione.

Lo superò con un movimento elegante, la punta dell’ombrello piantata a terra.

 Watson gli riserbò un’occhiataccia e decise di allontanarsi, tuttavia alle sue orecchie non poté sfuggire la richiesta che l’uomo rivolse all’agente all’ingresso.

Mio fratello Sherlock è già arrivato?”

Il biondino non seppe se stupirsi o ridere della rivelazione.

Quel tizio elegante e terribilmente irritante era il fratello di William-Sherlock?

La simpatia non la faceva da padrone in casa loro. Sorrise.

Scosse il capo finalmente deciso nel raggiungere la metropolitana.

La faccenda era quantomeno insolita.

Che bisogno aveva il ragazzo di inventarsi uno pseudonimo? E soprattutto che diavolo ci faceva a Scotland Yard?

Quella sera, al Bloody, avrebbe avuto modo di fare chiarezza con il bel barman.

Sherlock si slacciò un paio di bottoni della camicia bianca , il caldo era opprimente in quel dannato locale! Quella maledetta missione sotto copertura si stava rivelando nella sua semplicità più fastidiosa di altre ben più pericolose missioni a cui aveva preso parte.

Sbuffò con forza allacciandosi quello stupido grembiulino nero sui fianchi e gettò uno sguardo a Victor.

Il rossino intercettò quell’occhiata ed abbandonò un paio di clienti per raggiungerlo.

Era relativamente presto ed il Bloody risultava poco affollato a quell’ora.

“Che succede bellezza?” Il ragazzo gli si accostò oltre il bancone.

“Come fai a lavorare qui dentro da dieci anni Vic? Dio sono qui da poco più di un mese e non sopporto più nessuno… Stupidi idioti dediti solo allo strusciarsi e bere alcool” Arricciò le labbra con disprezzo.

“Oh Sherly non essere così antipatico dai” Lo sgomitò.

“Will!” Ringhiò  “Vuoi farmi saltare la copertura??”

“Scusa…” Battè le ciglia fulve. Gli occhi di giada brillarono sotto le luci della zona bar.

“Umm… Oggi sono stato dove tu sai a parlare con chi tu sai” Incrociò le braccia al petto , gli occhi a scandagliare la pista da ballo.

“Hai parlato con Seba??!” Battè le mani spalancando le labbra piene.

Sherlock levò gli occhi al cielo esasperato passandosi poi nervosamente le mani sul viso.

“Vic!!” Ruggì.

“Scusa scusa!!” Pigolò gettando occhiate apprensive attorno a sé.

“Il fatto che lui stia dentro e ci abbia fatto dei nomi non ci garantisce degli arresti. Dobbiamo beccarli con le mani nel sacco lo sai!” Sussurrò “ E se mi fai scoprire prima del prossimo scambio, salterà tutto”

“Mi dispiace tesoro” Gli afferrò con forza un avambraccio “ E’ che mi manca tanto sai?”

“Lo so, ma non fare il melenso con me ti prego, sai quanto io mal sopporti queste romanticherie” Arricciò il naso infastidito.

Trevor annuì mordendosi il labbro inferiore.

Il silenzio calò per diversi istanti.

Sherlock ripose dei bicchieri ormai asciutti sullo scaffale  e sbirciò in direzione di un gruppetto nell’angolo più prossimo al bancone.

James Moriarty, uno dei nomi fatti da Sebastian Moran, se ne stava seduto accanto a due ragazzi ridendo con forza, il capo gettato all’indietro ed un braccio sulle spalle del biondino alla sua sinistra.

Gli occhi acquamarina si assottigliarono ed un moto di disprezzo lo colse.

Rammentò la figura esile avvinghiata a quella di John più di una volta nel corso di quel mese e mezzo.

Rabbrividì di odio ed invidia e si detestò per quel sentimento così malsano e fuorviante.

Il tocco delicato di Vic lo riportò alla realtà.

“Lo hai trovato cambiato?”

“Chi?” Domandò stupidamente.

“Ma tu sai chi!! Quello che tu sai, che noi sappiamo ma che non possiamo nominare!” Sbottò con voce acuta.

“Buon Dio Vic sei una piaga!” Lo scansò per aprire il basso frigorifero e recuperare dell’acqua.

“Sei cattivo…” Si lagnò.

“E tu sei noioso. Lo hai visto una settimana fa! Cosa pensi che abbia fatto di così eclatante in sette giorni per cambiare??!” Riempì un bicchiere.

Trevor gli riserbò un’occhiataccia con il risultato di farlo sorridere.

“Non sai fare la faccia truce Vic, non ne sei mai stato capace, nemmeno da bambino” Lo sgomitò sorseggiando.

“A te invece è sempre riuscita benissimo” Stoccata acida.

Sherlock fece spallucce sbirciando nuovamente in direzione di Moriarty.

Una gomitata dell’amico lo distrasse di nuovo e fu seriamente tentato dall’imprecare. Si trattenne solo per non infierire nuovamente sul ragazzo fin troppo sensibile.

“Cosa?!” Sibilò.

“Arriva il tuo biondino” Sussurrò ridacchiando.

Gli occhi limpidi corsero alla pista da ballo.

Lo vide farsi strada con uno sbuffo irritato. Il suo solito sbuffo irritato riconobbe.

Indossava i sempiterni jeans neri e la t-shirt del medesimo colore.

Sherlock indugiò sulla  muscolatura definita del torace e sui bicipiti torniti.

Si morse la lingua intercettando i grandi occhi blu.

Un fremito lo attraversò ed insultò sé stesso per la milionesima volta irritato dalle proprie sciocche pulsioni.

“Non è il mio biondino” Sussurrò pestando il piede all’amico in maniera infantile.

Trevor gridò.

Un grido acuto e poco virile che fece voltare il tavolo di Jim e sorridere Watson.

“Buonasera ragazzi, che combinate?” Si sedette con un movimento fluido sul proprio sgabello.

“Niente” Avvampò Victor vergognandosi della propria reazione isterica.

“Cos’era quell’urlo?” Sorrise, un sorriso ampio che fece distogliere lo sguardo di Sherlock.

“Niente, il nostro William ha accidentalmente deciso di massacrarmi un piede” Scansò l’amico con stizza.

John colse gli occhi dell’altro levati al cielo in un’espressione teatrale e ridacchiò.

“Vic, finiscila di lagnarti e vai a prendere l’ordine del due, stanno smanacciando da cinque minuti”

Il rossino spalancò la bocca e con le mani sui fianchi piantò gli occhi di giada sul viso del cliente.

“No dico lo senti John?? Lavoro qui da dieci anni, dieci! Lui sta qui da un mesetto e si mette a darmi ordini…Buon Dio non posso crederci” Afferrò penna e blocchetto.

“Smettila di fare la prima donna e vai” Lo spinse senza forza per le spalle magre.

Trevor si allontanò seguitando a borbottare e John scosse il capo divertito prima di concentrare la propria attenzione sul presunto William.

Lo fissò con insistenza.

Troppa.

L’altro se ne accorse e per un minuto abbondante finse di ignorare la cosa seguitando a  pulire il bancone e controllando la scorta di bevande in frigorifero.

Avvertiva una sorta di agitazione sotto pelle, generata da quelle insistenti iridi blu piantate su di sé.

Non resse oltre il minuto.

Anzi, 58 secondi avrebbe stimato.

“Si può sapere perché mi stai fissando?!” Chiuse con un gesto secco lo sportello in alluminio.

Watson si passò la lingua sulle labbra e con la mano sinistra si grattò il bicipite destro.

Attese qualche secondo prima di rispondere.

“Sto cercando delle conferme” La voce uscì più bassa di quanto pensasse.

“A che proposito?” Inarcò un sopracciglio serrando tra le mani il canovaccio.

“Hai un gemello?”Chiese di getto.

“N..No” Tentennò.

“Un sosia?”

“Che domanda idiota John! Anche se fosse  come potrei saperlo?!”

L’altro arricciò le labbra insoddisfatto prima di proseguire.

“Vedi… Oggi mi è successa una cosa strana” Posò i gomiti e si sporse quanto più potè oltre il bancone.

“Vale a dire?” Irrigidì la schiena retrocedendo impercettibilmente.

“Mi trovavo per lavoro nei pressi di Scotland Yard” Lasciò cadere le parole con lentezza.

Le iridi acquamarina vibrarono, il volto impassibile.

Watson sfiorò con l’indice il contenitore delle patatine.

Lo sguardo si perse tra le chips.

“Ed è successa una cosa curiosa…” Si zittì di nuovo.

Il barman si innervosì e batté con forza il canovaccio sul bancone.

“Per Dio John vuoi venire al punto?! Detesto perdere tempo ed in caso non lo avessi notato sono qui a lavorare io!”

Watson sorrise, un sorriso che a Sherlock ricordò quello di un felino.

Rabbrividì mentre l’uomo con l’indice gli fece segno d’avvicinarsi.

Si mosse titubante.

John si allungò oltre il bancone e con un movimento lesto tese il braccio verso il ragazzo.

La mano fece presa sulla camicia bianca.

Con uno strattone lo avvicinò a sé.

Il barista si irrigidì spalancando gli occhi limpidi.

Il viso dell’altro terribilmente vicino al proprio.

“Che ci facevi alla polizia? Sherlock?” Sussurrò.

“Non so di cosa tu stia parlando” Ringhiò. Le mani serrate attorno ai polsi dell’altro.

“Non prendermi per il culo occhi belli, quello che ho visto oggi eri tu” Sorrise allentando un poco la presa.

“E anche se fosse?” Inarcò un sopracciglio assumendo un atteggiamento strafottente.

“Perché ti fai chiamare William?”

“Lasciami immediatamente John, questi non sono affari tuoi” Si divincolò.

“Bene, allora non avrai niente in contrario se adesso inizio a chiamarti Sherlock?”

“Non osare!” Si scostò con un gesto brusco, gli occhi corsero involontari a James Moriarty.

Watson assottigliò occhi e labbra in una linea dura e pensierosa.

Non si perse l’occhiata fugace che il barman gettò alle proprie spalle.

Si volse con un gesto lento e calcolato individuando Jim.

Victor sussultò poco distante scorgendo quella scena da spettatore esterno.

Si morse nervoso il labbro inferiore.

Gli occhi di giada carichi di preoccupazione.

Inspirò profondamente avvicinandosi al bancone con finta aria sicura.

“Tutto bene ragazzi?” Si accostò a John sfiorandogli una spalla.

Il biondino sussultò abbandonando con lo sguardo il tavolo incriminato per portare la propria attenzione sul rossino apparso al suo fianco.

“Sì Vic, John stava solo…Farneticando” Allungò una mano verso l’amico afferrando il blocchetto con gli ordini.

“Io non stavo farneticando!” Alzò il tono di voce diretto al ragazzo corvino.

Sherlock gli riserbò un’occhiataccia disponendo i bicchieri per preparare tre mojito.

“Mi devo preoccupare?” Sussurrò Trevor sfiorando l’avambraccio di John.

La pelle calda sotto le dita gelide.

Watson per qualche istante si perse in quegli occhi così verdi e sinceramente turbati.

“No Vic, avrei solo da chiarire un paio di cose con…William” Storse le labbra calcando sul nome proprio.

“E’ lecito sapere a che proposito?” Il rossino si sfiorò nervoso il colletto della camicia .

Sherlock si trattenne dall’imprecare versando il ghiaccio nei bicchieri.

Levò gli occhi al cielo e rispose in un ringhio basso e scuro.

“John mi ha visto dove tu sai , con la volpe grigia che mi chiamava a squarciagola come solo lui sa fare!”

Le belle labbra piene di Trevor si spalancarono in una O perfetta.

“Oh Gesù!” Retrocedette di un passo.

“Già…” Grugni l’altro iniziando a shakerare.

“Quindi anche tu lo sai!” Lo additò John.

Sherlock con un paio di falcate pesanti lo raggiunse senza interrompere il proprio lavoro.

“Taci idiota! Questo non è né il momento né il posto per parlare di certe cose!”

“Ehì signorino datti una calmata!” Lo fissò risentito da quel tono sfacciato.

Trevor si guardò attorno apprensivo. “E’ vero Johnny, non è proprio il posto giusto” Sussurrò passandogli la ciotola delle patatine simulando la normalità.

Watson si passò una mano sulla nuca gettando l’ennesima occhiata a Sherlock.

Il ragazzo lo stava momentaneamente ignorando mentre le mani veloci terminavano i cocktail.

Gli occhi blu indugiarono sulla figura aggraziata.

Catturarono quel ciuffo dispettoso che ondeggiava sfiorando la montatura degli occhiali per poi scivolare verso la nuca. I ricci ribelli giocavano col colletto immacolato della camicia.

John avrebbe tanto voluto infilarvi una mano con forza e saggiarne la consistenza tra le dita.

Li immaginò morbidi.

Si passò la lingua sulle labbra lasciando poi che la propria analisi proseguisse sul profilo perfetto di Sherlock.

Il ragazzo posò con decisione i tre bicchieri sul vassoio per poi allungarli ad un silenzioso Victor.

Restarono nuovamente soli.

Le iridi acquamarina si piantarono nuovamente sul volto serio del biondino.

“Non voglio parlarne John, non posso, non ora” Affermò calmo ma deciso.

L’uomo annuì sospirando.

Si stiracchiò sorridendo appena.

“Ok William… Vuoi almeno servirmi da bere o mi lasci a bocca asciutta?” Ghignò.

Sherlock si irrigidì appena prima di schiarirsi a voce in un moto di imbarazzo a cui non seppe o forse non volle dare un senso.

“Cosa posso servirti?” Sorrise ironico.

“Dopo un mese e mezzo non hai ancora capito quale sia la mia bevanda preferita” Lo punzecchiò.

“Sì che l’ho capito, solo mi diverto a non darti questa soddisfazione”

“Io non credo…Dici così solo perché detesti dover ammettere che anche le tue amate deduzioni non sono sempre affidabili” Lo provocò con un sorriso storto.

Sherlock si impettì alzando il naso all’insù.

“Molto bene!” Gli dette le spalle e si chinò ad aprire il frigorifero.

John sbirciò curioso.

Il ragazzo riapparve con una bottiglietta di birra scura Fuller’s ESB.

La stappò e con un gesto deciso  la pose davanti al biondino.

Il fondo spesso impattò sul ripiano in marmo producendo un suono secco e deciso.

L’uomo la prese  tra le mani rigirandola con un sorriso.

“Ho dedotto bene caro Watson? Extra special bitter. Ovvero,birra scura molto forte, non spillata, prodotta da un birrificio londinese e sorseggiata direttamente dalla bottiglia.” Incrociò le braccia al petto con un ghignò dipinto sul bel volto affilato.

“Mi arrendo” Sollevò le mani in segno di resa “Hai vinto tu. Quando lo hai capito?” Inclinò il capo.

“La prima sera direi, ma tu te ne sei uscito con quel mezzo tentativo fallimentare di flirtare e così ho deciso di non darti sta soddisfazione” Ridacchiò.

Watson suo malgrado si ritrovò a ridere di riflesso prima di bere un sorso generoso del freddo liquido ambrato.

“Touchè” Sollevò la bottiglietta.

Il sorriso sul volto di Sherlock svanì con una rapidità a cui John non seppe attribuire giustificazione.

Non fino a che avvertì due mani delicate posarsi sulle proprie spalle ed una voce suadente al proprio orecchio.

“Ciao Johnny…”

Si volse appena in quell’abbraccio non richiesto incrociando gli occhi grandi e scuri di James Moriarty.

“Ciao Jim” Replicò asciutto.

“Non mi offri da bere?” Mugugnò spingendo il proprio torace contro la schiena dell’altro.

Sherlock inarcò un sopracciglio e si mise a sciacquare i bicchieri vuoti appena ritirati da Victor.

 Watson si sentì a disagio.

Sbuffò gonfiando le guance e si insultò mentalmente per quella sensazione.

“Dai cosa vuoi?” Indicò lo scaffale carico di bottiglie agitandosi un poco sullo sgabello.

“Ehi Johnny bello non così entusiasta mi raccomando” Replicò un po’ piccato scostandosi appena.

Sherlock con la coda dell’occhio lo vide prendere posto sullo sgabello accanto al biondino.

“Non è una buona serata Jim” Borbottò in risposta.

“Bè, fino a un minuto fa sembrava che lo fosse, ti ho visto mentre stavi ridendo con il nostro Will” Si appoggiò con i gomiti al bancone .

Watson scrollò le spalle e gli propinò un’espressione irritata “Dai ordina qualcosa va…”

James gli fece la linguaccia e l’altro levò gli occhi blu al cielo affogando i propri pensieri nell’ennesimo sorso di birra.

“Ehi Willy…Mi fai un cubalibre?”

Sherlock gli riserbò un’occhiata in tralice , le mani impegnate nel lavaggio di un flute.

“Sarebbe William, ed in ogni caso chiedi a Victor, io sono impegnato”

“Abbiamo pasteggiato a limone questa sera?!” Indicò prima il barman e poi John.

Trevor captò la brutta aria e con un sorriso scivolò alle spalle del collega per catturare lo sguardo scuro di Moriarty.

“Jimmy… Dimmi tutto tesoro”

L’altro arricciò le labbra ancora indispettito prima di rivolgere un ampio sorriso al rossino.

Sherlock sbirciò oltre le spalle dell’amico.

I suoi occhi limpidi intercettarono quelli blu di John.

Un brivido attraversò entrambi.

Watson si passò la lingua sulle labbra, Sherlock perse il contatto visivo volontariamente.

..

Alle 2.30 Sherlock uscì dal locale, con un gesto fluido si allacciò il trench scuro e salutò i colleghi.

Era stata una serata decisamente impegnativa e le rivelazioni fatte da Watson lo avevano turbato.

Non sapeva come porsi a riguardo né se fidarsi di lui.

Il volto del biondino gli apparve nella mente mentre prese ad incamminarsi verso la stazione della metropolitana.

Sbuffò con forza avvertendo una chiaro brivido di interesse ed eccitazione.

Non ebbe il tempo di insultare sé stesso che il rombo di una moto lo irritò facendolo voltare.

Sherlock rallentò il passo, una grossa Triuph nera accostò.

Il centauro sollevò la visiera mostrando due grandi occhi blu illuminati dalla luce del lampione .

“John” Un affermazione.

“Sherlock” Replicò l’altro.

Il barista sussultò guardandosi istintivamente intorno.

“Non agitarti, non ti sta seguendo nessuno. Chi diavolo vuoi che ci senta a quest’ora in mezzo alla strada?”

“Io non mi sono agitato, sono semplicemente cauto e ne ho le mie ragioni.”

“Suppongo di sì” Annuì.

“In ogni caso, che ci fai qui? Hai lasciato il locale mezz’ora fa” Si mise le mani in tasca.

“Ti aspettavo”

Sherlock si irrigidì, retrocedette di un piccolo passo.

“Non mi va di parlare di quella cosa, è tardi e sono stanco” Lo gelò.

“Non ti stavo aspettando per quello. Vorrei accompagnarti a casa”

Il ragazzo sorrise scuotendo il capo “ Stai scherzando Watson?”

“No” Si volse levando dal bauletto un casco.

“Non sono interessato, ma se vuoi Jim è ancora vicino al locale e riaccompagnando lui accorceresti anche la strada” Tirò le labbra in un sorriso gelido.

John inarcò un sopracciglio e sorrise storto.

Quel sorrisetto che faceva tremare le gambe a uomini e donne indistintamente.

“Sei geloso Sherlock?”

“Smettila di chiamarmi così” Sibilò “E non dire assurdità!” Gli dette le spalle.

“ Vorrei tanto chiederti il perché tu conosca il suo indirizzo di casa, dubito che possa essere riuscito a portarti a letto” Ridacchiò.

Il barista si voltò nuovamente, con lentezza.

Una scintilla negli occhi.

“Dammi questo dannato casco e smetti di fare domande!” Lo afferrò di malagrazia.

Watson rise afferrando il manubrio e spingendosi un poco in avanti.

“Persuasivo , sono molto persuasivo”

“No, sei insopportabile, è diverso!” Si calcò il casco in testa.

Con un movimento agile prese posto dietro il biondino sfiorandogli la vita con le lunghe mani pallide.

“Vuoi darmi il tuo indirizzo? Sai com’è, io non deduco tutto come fai tu” Sbirciò nello specchietto.

“221 b di Baker Street “ Borbottò aggrappandosi con maggior forza.

“Ah però… Quartieri alti”

“Alti… Esagerato!” Sminuì.

Watson accelerò, il torace del ragazzo impattò contro la propria schiena , sussultarono entrambi.

Le cosce eleganti si strinsero a quelle toniche.

John si morse la lingua e dette gas.

Quando scese dalla moto Sherlock avvertì le proprie gambe tremare, volle attribuirlo alla tensione dei muscoli accumulata nel tragitto in moto sebbene sapesse che non fosse possibile data la scarsa durata del viaggio.

Si tolse il casco e lo pose a John.

Watson lo osservò con sguardo rapito passarsi le mani nei ricci corvini per ravvivarli .

“Grazie del passaggio” Annuì mordendosi un labbro.

“Quando vuoi” Chiuse il bauletto.

“Buona notte John” Si avvicinò al portoncino verde.

L’altro lo osservò con il capo inclinato. Una muta domanda dipinta sul volto.

“Che c’è?” Sbuffò infilando la chiave nella toppa “ Non pretenderai di salire voglio sperare”

“Dimmelo tu” Fu la replica.

Sherlock tolse le chiavi e quasi gli caddero a terra nel sussulto che ne seguì.

“Non sono uno dei tuoi ragazzi da rimorchio John, dovresti averlo capito”

“Non ho mai detto che lo fossi, volevo solo capire cosa nascondi, lo sai”

“Alle tre di notte??”

“Cos’è? Un invito ad un appuntamento in un orario di tuo gradimento?” Ghignò.

Sherlock aprì e chiuse la bocca temendo d’aver dipinto sul volto un’espressione incredibilmente stupida.

“Buona notte John!” Aprì la porta con un gesto maldestro.

“Mi lasci così?  Sul serio?” Aprì e chiuse le braccia regalandogli un sorriso.

Il barman intercetto quel sorriso incredulo e bellissimo.

Fu sicuro di non avergliene mai visto uno uguale dipinto sul volto sino a quel momento.

Serrò con forza la mano sul pomello ed annuì.

“Buona notte John” Replicò sorridendo a sua volta.

Watson scosse il capo e girò la chiave.

“Come vuoi Sherlock… Come vuoi”

Dette gas e sparì lungo Baker Street.

Il ragazzo lo fissò sino a che le luci della Triumph divennero un puntino lontano.

Inspirò profondamente richiudendo il portone, vi si appoggiò con la schiena e chiuse gli occhi.

La situazione gli stava sfuggendo di mano.

Non era avvezzo al farsi coinvolgere in relazioni sessuali né tantomeno sentimentali.

Tuttavia quel dannatissimo rappresentate gli stimolava fisico ed intelletto e la cosa lo irritava ed affascinava al tempo stesso.

Imprecò risalendo i diciassette gradini che lo separavano dal proprio appartamento.

Il suo salottino lo accolse silenzioso.

Il pendolo battè le tre di sabato notte.

La settimana seguente ci sarebbe stato l’ennesimo scambio di cocaina per mano di Moriarty e dei suoi scagnozzi.

Moran era stato chiaro sulle tempistiche e Sherlock confidò seriamente che le cose nella banda non fossero cambiate dopo il suo arresto.

Sebastian aveva simulato un licenziamento ed un trasferimento all’estero ma nessuno aveva la certezza che James Moriarty ci avesse creduto.

Si lasciò scivolare sul divano nel buio più totale.

Quel dannato trafficante dal sorriso aperto e dallo sguardo furbo andava sbattuto dietro le sbarre.

Serrò con forza le mani alle ginocchia.

John.

John intratteneva rapporti sessuali con quel viscido spacciatore di lusso.

Ringhiò convinto che il biondino non sapesse con chi diavolo avesse a che fare.

Era combattuto. Combattuto se rivelare o meno i propri piani a Watson.

Sbuffò con forza rigirandosi il cellulare tra le mani.

Fu tentato dal confidare la cosa a Lestrade, l’ispettore capo che dirigeva l’operazione.

Si morse un labbro.

Le tre e quindici.

Se avesse chiamato a quell’ora forse Gavin lo avrebbe mandato a quel paese… O era George??!

Poco male, meglio rimandare quelle riflessioni al giorno seguente.

Non era un amante delle lunghe dormite ma quella sera avvertì distintamente i propri occhi chiudersi per la stanchezza.

Scivolò su un fianco raggomitolandosi scomposto.

Il sonno lo colse improvviso.

Due iridi blu impresse nella mente.

Sherlock passò i cinque giorni seguenti a rimuginare in continuazione su tutta la faccenda. Se fosse necessario  parlarne con Lestrade o se fosse più opportuno rivelare il tutto a John lasciando Scotland Yard fuori da quella faccenda che riteneva ormai più personale che lavorativa.

Fu preda ancora di mille dubbi e quella sera, approfittando del proprio giorno libero al Bloody raggiunse Milton Road al civico 15.

Il quartiere di Brixton era il medesimo in cui sorgeva il pub nel quale lavorava e quelle strade gli furono familiari , tanto quanto le brutte facce che bazzicavano in quelle vie.

Si passò nervosamente le mani sul viso superando il cancelletto della palazzina in cui risiedeva John Watson.

Non gli piaceva quel senso di ansia che lo pervadeva. Non gli piaceva per niente.

Quella sensazione strana, come se una mano provvista di artigli gli stesse torcendo lo stomaco.

Buon Dio Sherlock rilassati! Devi solo parlare con John Watson!

Ringhiò contro sé stesso.

Appunto.

Replicò al proprio riflesso nello specchio dell’ascensore.

Uscì nel piccolo pianerottolo e si accinse a suonare il campanello.

Sfiorò la targhetta consumata e si morse un labbro.

Lo stipite scheggiato gli balzò all’occhio.

L’indice sfiorò il legno pungente.

Chiuse gli occhi e poi pigiò.

..

John Watson , steso sul divano,inarcò un sopracciglio gettando un’occhiata all’orologio .

Le dieci della sera.

Con un lamento si mise a sedere abbassando il volume della tv.

“Chi diavolo è ?” Grugnì posando i piedi nudi a terra.

Il secondo trillo lo indispettì più di quanto non avesse fatto il primo.

Aprì la porta con un gesto deciso, il sopracciglio profondamente inarcato.

Sherlock sussultò alla vista del biondino.

Indossava una t-shirt bianca e dei pantaloni di felpa neri.

I piedi scalzi, i capelli spettinati.

Si ritrovò a deglutire e serrare i pugni nelle tasche del trench.

“Sherlock?” Sussultò il biondino.

“Esatto”

“Sherlock” Ripetè l’altro senza accezione interrogativa.

“Sì lo hai già detto!” Replicò stizzito “ Mi fai entrare?” Distolse lo sguardo.

L’altro sorrise “ Tu a casa tua non mi hai fatto salire” Si mise a braccia conserte.

“Buon Dio vuoi rinfacciarmelo in eterno?”

“Forse” Si scostò dalla porta lasciandolo passare.

La chiuse dietro di sé a doppia mandata ed inspirò profondamente.

Sherlock si fermò rigido al centro del salone dall’arredamento moderno.

Le mai dietro la schiena, gli occhi saettanti da un punto all’altro del locale.

Watson lo fissò divertito per svariati istanti prima di prendere parola.

“Quando hai finito di scandagliare il mio appartamento pensi di poterti sedere e levare quel trench? Mi metti l’ansia onestamente”

“Ma certo” Si schiarì la voce levandosi il capospalla.

John lo afferrò con un gesto deciso e lo appese all’attaccapanni.

“Dai siediti lì… Vuoi un caffè?” Indicò il divano.

“Magari un tè” Prese posto in maniera docile.

Watson annuì sparendo in cucina.

Sherlock ne approfitto per riprendere l’analisi maniacale del salotto.

Lo sguardo si fece distratto intercettando le numerose riviste sportive posate sul basso tavolino.

Il mormorio di una telecronaca in tv catturò la sua attenzione.

“Champions league” La voce di John lo fece sussultare “ Ti piace il calcio?” Chiese morbido posando il vassoio.

“No, non è esattamente il mio campo”

“Ah no? E quale sarebbe Sherlock?” Gli si sedette accanto.

“Non lo sport sicuramente, la musica semmai, quella classica in particolar modo” Afferrò il cucchiaino dosando poi lo zucchero.

John scosse il capo afferrando la propria tazza di tè amaro. “ Ecco, quello non è il mio di campo”

“Supponevo” Sorrise aggiungendo il latte.

“Supponevi o deducevi?” Lo stuzzicò.

“Non prendere in giro il mio lavoro” Lo ammonì bonario.

“Lavoro? Buon Dio, siamo finalmente arrivati alla fatidica domanda -Che lavoro fai?- Così? Dopo solo due mesi?” Scherzò.

“Ci siamo conosciuti in un’occasione che mi ha impedito di rivelartelo, tendenzialmente non sono così restio a riguardo” Soffiò sulla tazza.

Watson si grattò la fronte inclinando un poco la testa “ Potresti essere leggermente più preciso?”

Sherlock si spinse contro lo schienale del divano. L’altro si volse verso di lui piegando il ginocchio.

“Sono un consulente investigativo ed il mio nome è William Sherlock Scott Holmes” Attaccò.

“Ehi ma allora ti chiami William sul serio!”

“Sì, o meglio, all’anagrafe, ma tutti mi chiamano Sherlock.”

“Sherlock Holmes” Mormorò “ Perché questo nome non mi è nuovo?”

“Perché collaboro spesso con Scotland Yard e saltuariamente il mio nome è apparso sui giornali” Gesticolò con la mano come a voler sminuire il fatto.

“Oh, capisco” Bevve un sorso di tè.

“Lavoro al Bloody sotto copertura, c’è un grosso giro di coca in città, bande più o meno piccole sono state surclassate da quella con sede a Brixton. Il capo di questo giro di spaccio è un frequentatore assiduo del Bloody, la polizia lo sa da secoli ma nessuno è mai riuscito ad incastrarlo con le mani nel sacco. Un paio di mesi fa siamo riusciti ad arrestare Sebastian Moran, uno degli schiavetti di quel…tossico.”

“Sebastian?? Oh Dio è uno spacciatore??!!”

“Non fare quella faccia, i più insospettabili spesso sono i peggiori, abbiamo simulato un suo licenziamento ed un trasferimento estero per non insospettire la banda ma in realtà il tuo caro barman è un pentito che ci ha permesso di avere nomi alla mano, orari e metodi di scambio della merce…”

“Ed  il capo? Chi diavolo è? Lo conosco?” La tazza tintinnò sul piattino.

Holmes terminò il proprio tè e prima di rispondere si morse il labbro inferiore annuendo.

“E’ uno dei motivi per cui ho deciso di rivelarti tutto, non mi farebbe piacere se tu finissi nei guai a causa sua” Ammise senza reggere il suo sguardo.

“Io? Nei guai?” Spalancò gli occhi.

Holmes  perse la propria compostezza voltandosi in direzione dell’altro.

La gamba sottile piegata sul divano.

Le dita pallide strinsero un poco la stoffa scura dei propri pantaloni.

“Hai la brutta abitudine di rimorchiare senza criterio John”

“Cos…?!”

“Dovresti smetterla di scoparti gente senza sapere da che parte del mondo venga o casa faccia… Sei famoso in tutto il quartiere per le tue conquiste dozzinali” Storse le labbra infastidito.

“Semmai per le mie dozzine di conquiste” Replicò indispettito.

“No, dozzinali era proprio il termine che cercavo” Sibilò.

John incassò il colpo passandosi la lingua sulle labbra.

“Comunque sia vorresti dirmi questo benedetto nome? O pensi di tenermi sulle spine fino a domani mattina?!” Sbottò.

Holmes si sporse un poco verso l’altro.

“James Moriarty” Scandì.

La tazza ormai vuota sfuggì dalle mani di Watson.

Impattò sul tappetto scuro per poi rotolare accanto al piede di Sherlock.

Il consulente sorrise lentamente chinandosi a raccoglierla.

“Che cazzo dici?” Sussurrò “Conosco Jim da dieci anni, me ne sarei accorto se fosse il capo di una banda di trafficati!” Gesticolò scattando in piedi.

“No, quello è furbo e soprattutto sa quello che gli piace e se lo prende con tutte le precauzioni del caso. Non ti avrebbe mai messo in pericolo, è evidente il suo interesse nei tuoi confronti” Si morse la lingua, un lampo di gelosia lo attraversò.

“Ma che dici? Io e Jim scopiamo punto e basta! Non tiene a me più di quanto non tenga a tutti gli altri suoi amichetti” Fece un passo verso Sherlock “ E soprattutto ci tengo a precisare che IO, IO non tengo a lui nella maniera più assoluta! Ci divertiamo, stop, chiuso, finito!” Puntò l’indice terribilmente vicino al viso del consulente.

“Perché me lo stai dicendo con tanta veemenza, John?” Inarcò un sopracciglio

Watson deglutì un paio di volte prima di rispondere “E’ bene essere precisi in queste circostanze”

Holmes sprofondò nell’equivoco. Non ne uscì nonostante il lavorio della propria mente.

Watson voleva rafforzare il concetto per palesare la propria estraneità alla banda di Moriarty o lo faceva per apparire allusivo nei suoi confronti?

Scosse il capo con decisione cercando una risposta brillante senza risultato.

“In ogni caso non è affare mio il tuo rapporto con Moriarty” Si alzò in piedi scansandolo.

“Sì invece”

La voce di Watson cadde come un macigno nel salotto.

Sherlock fissò la strada sottostante oltre la tendina. Si morse il labbro inferiore con forza.

“No” Si schermò aiutato dalla propria voce scura.

Avvertì la presenza del biondino alle proprie spalle.

“Sherlock, io voglio essere molto chiaro a riguardo. Non me ne frega niente di Jim, è l’ennesima tacca sulla cintura” Si mise le mani sui fianchi fissando la schiena dell’altro.

Le ampie spalle tese sotto la camicia blu.

“L’ennesima hai detto bene” Si voltò con sguardo gelido.

Watson inspirò con forza prendendosi la radice nasale tra pollice ed indice “ Sherlock…”

“No” Sibilò “Sono venuto qui per rivelarti la mia reale identità, sono venuto qui per metterti in guardia da quel cretino, sono venuto qui per dirti che sabato sera ci sarà una retata e che sarebbe meglio se stessi al sicuro, a casa”

Parlò veloce, così tanto che John fece fatica a seguirlo.

“Solo per questo” Concluse ansimando un poco “Solo per questo… Il resto non è affare mio”

Lo superò puntando con gli occhi l’uscita.

La mano piccola ma dalla forte presa di Watson lo afferrò per un polso.

“Ti calmi trenta secondi?” La voce pacata vibrò nelle orecchie del consulente.

Non si voltò.

Restò con il braccio teso all’indietro, il calore delle dita di John sulla proprie pelle.

“Devo andare a casa” Sussurrò.

“Stai scappando” Ne uscì un tono sarcastico.

Con un gesto secco si divincolò voltandosi rabbioso.

Le iridi acquamarina piantate severe in quelle blu.

“Io non scappo mai John Watson, non osare!” Sibilò puntandogli l’indice sul torace.

“Balle” Ghignò.

“Non dare del codardo a me, non lo fare” Sibilò.

“Balle”

Watson gli piantò i palmi sul torace spingendolo con forza.

Sherlock retrocedette a ritmo delle spinte.

Il suo fondoschiena cozzò contro il tavolo.

Trappola.

“Perché scappi da me Holmes?” Posò le mani sul tavolo imprigionando Sherlock .

“Io non sto scappando” Ringhiò .

Le sue mani scivolarono anch’esse al tavolo per reggersi, si posarono su quelle del biondino.

Nessuno dei due si scostò.

Il viso di John puntato verso l’alto in un’espressione di sfida.

Quello del consulente chino, chiazze rosse sul collo , chiaro segni di imbarazzo nonostante il volto fiero.

“Io ti piaccio, ammettilo” Ghignò consapevole.

“Cosa te lo fa pensare? Sei troppo sicuro di te, dannato ometto pomposo” Ringhiò.

 “Sono sicuro di me perché ne ho il diritto, capisco la natura umana più di quanto lo faccia tu caro consulente, so riconoscere i sintomi dell’attrazione quando li vedo” Si spinse ulteriormente in avanti.

Holmes scivolò a sedere sul tavolo.

“Spostati” Sibilò.

“No”

“Ammesso e non concesso che tu abbia ragione, non voglio essere l’ennesima tacca sulla tua dannata cintura! Perdonami la citazione di te stesso” Sorrise gelido.

“E’ questo allora?” Il volto si ammorbidì, il sorriso si distese.

Sherlock non resse quello sguardo felice, perché fu felicità quella che vi lesse.

Si imbarazzò, vergognandosene, le gote rosse.

Fissò la propria attenzione in un punto imprecisato sulla parete scarlatta.

“Guardami” Ordinò sfiorandogli il mento con la punta delle dita.

Holmes inconsapevole ubbidì.

“Mi piaci Sherlock, e non è solo un discorso fisico. Sei uno stronzetto petulante ma Dio mi fulmini se dico una stronzata mi piaci! Sei dannatamente stimolate con le tue deduzioni e le tue battute pungenti.  Hai ridato un senso alle mie serate in quel cazzo di locale. Sapevi che non avevo mai frequentato il pub in settimana prima del tuo arrivo? In vent’anni Sherlock, mai stato una volta in settimana, solo week-end! Eppure da quando ci sei tu io ogni fottuta sera sono lì. Secondo te perché? Per quella cazzo di birra? Per gli AC/DC? No cazzo, perché c’è questo viso perfetto che Dio…Mi si è piantato nella testa dalla prima volta che l’ho visto!” Pose entrambi i palmi sulle guance pallide.

“Non mi conosci John, non potrei piacerti se mi conoscessi davvero” Chinò lo sguardo vergognoso della propria ammissione.

“No è vero, non ti conosco, non quanto vorrei ma sono sicuro che se tu me ne dessi la possibilità, se me ne dessi solo una io…Cazzo Sherlock io voglio frequentarti, frequentarti come si deve. Faremmo il botto io e te se solo ci provassimo, me lo sento, l’ho sentito dal primo momento in cui ho incrociato questi maledetti occhi magnetici”

Sherlock serrò le palpebre inspirando profondamente.

L’indice di John salì delicato sfiorandolo piano.

Scivolò poi sugli zigomi ed infine sulle labbra.

Ne percorse il profilo.

Entrambi trattennero il fiato.

“John, non ti piacerei, credimi” Sussultò.

“Perché non lasci decidere a me?” La mano scivolò lenta alla nuca.

Stuzzicò i ricci corvini ed accarezzò languida il lungo collo pallido.

Holmes chinò il capo posando la fronte su quella dell’altro.

“Te ne pentirai”

“Potresti pentirtene tu” John sorrise sfiorando con la punta del naso quello dell’altro.

Un sorriso si disegnò sulle labbra perfette di Sherlock.

La bocca di Watson lo nascose, lo assorbì.

Le sue labbra sottili indugiarono senza muoversi. Sherlock inspirò con forza dal naso e si lasciò baciare in maniera casta ripetutamente.

Le mani corsero ai fianchi di John. Li sfiorarono appena prima di serrarsi alla t-shirt bianca.

Watson si spinse con forza contro si lui, una mano risalì alla nuca serrandola con decisione. Lo tirò a sé lasciando che la propria lingua scivolasse maliziosa su quelle labbra soffici.

Ne percorse il contorno con insistenza per poi intrufolarsi nella bocca calda.

Holmes gemette sonoramente, suono che colpì John come una frusta.

Con un ringhio roco lo afferrò per la camicia strattonandolo giù dal tavolo.

Lo spinse, senza abbandonare quella bocca tentatrice, perdendosi nel retrogusto di tè al latte.

La schiena di Sherlock impattò contro il muro, gli occhi acquamarina di spalancarono, si staccò dall’altro spalancando la bocca ed  incamerò aria gettando il collo indietro.

Il biondino ne approfittò per avventarsi sue quella pelle pallida, tesa, pulsante.

La morse piano lambendola poi con la lingua procurando all’altro brividi di eccitazione in tutto il corpo.

“John” Mugugnò stringendogli con forza l’elastico dei pantaloni.

Watson sghignazzò slacciandogli la camicia senza tuttavia abbandonare quella pelle serica.

Disegnò con la punta delle lingua volute immaginarie nell’incavo della clavicola per poi raggiungere il torace glabro e tonico.

Soffiò sulla scia umida lasciata procurando svariati brividi al consulente.

Si scostò un istante, i capelli scomposti dalla foga delle mani di Holmes.

Osservò Sherlock,  la camicia sbottonata , i ricci impossibili, le gote rosse e gli occhi lucidi.

“Cristo sei uno spettacolo” Gli posò la fronte sul petto inspirando profondamente.

Holmes non riuscì a replicare, proprio non potè.

La coscia di John premuta sulla propria eccitazione rubò un gemito ad entrambi e regalò ulteriore rossore agli zigomi affilati.

Le mani grandi ed eleganti arraffarono stoffa a caso tirando scompostamente.

John lo agevolò lanciando la propria t-shirt lontano.

Lo abbracciò con forza, inspirando profondamente l’odore naturale della pelle candida sul collo.

Odiò sé stesso per non possedere qualche centimetro in più e non poterlo abbracciare come avrebbe voluto.

Sherlock rispose a quell’abbraccio serrando gli occhi e  premendo con forza i polpastrelli sulla schiena di John.

Spinse con forza il bacino verso quello dell’altro stimolando entrambi in maniera insostenibile.

“John” Sussurrò all’orecchio, la lingua soffice lambì il lobo.

La voce scura vibrò dritta sino all’erezione del biondino.

“Cazzo” Ringhiò l’altro pressandolo contro la parete.

Holmes gli morse ripetutamente la spalla, piccoli pizzichi ricamati con sapienti tocchi di lingua.

Il bacino seguitò ad ondeggiare con movimenti lascivi incitato dalla mani di Watson sui fianchi sottili.

Sherlock affondò il capo nel collo sottile.

La pelle leggermente sudata.

Leccò con lascivia il punto in cui la giugulare pulsava cattiva.

Morse, morse ed imprecò spingendo quanto più potè contro quel corpo dannatamente caldo.

“Dio John” Pigolò.

Acuto, insolito.

Watson lo afferrò con decisione per la nuca tornando a prender possesso di quella bocca splendida.

La lingua affondò decisa .

Un gemito lungo e prolungato abbandonò la gola di Sherlock.

Le ginocchia gli cedettero e di riflesso si aggrappò con forza John.

Il biondo imprecò gettando con forza il capo indietro.

Cedette a sua volta scivolando a terra con lentezza.

Per diversi istanti solo ansiti riempirono la stanza.

La schiena di Holmes contro la parete, le gambe tese a terra, John accovacciato in mezzo.

La fronte del biondino sulla spalla ossuta.

“Cristo erano anni che non venivo nelle mutande come un ragazzino” Sghignazzò posando un bacio casto sul collo pallido.

Sherlock ridacchiò a sua volta allungando una mano sul viso di John.

Sfiorò il mento incitandolo a sollevarlo verso il proprio.

Gli occhi blu si legarono a quelli limpidi indissolubilmente.

“Hai ragione Watson, mi piaci, mi piaci un sacco” Gli poso un piccolo bacio sulle labbra.

John sorrise, un sorriso ampio e luminoso che irradiò la stanza.

“Arresta quel coglione il prima possibile, voglio poterti vedere in libertà senza rischiare di farti saltare la copertura” Sussurrò replicando il bacio.

Holmes annuì accarezzandogli il volto con lenta curiosità.

“Però devi promettermi una cosa” Si incupì.

“Cosa?” Domandò curioso.

“Raditi, punge tremendamente questa barba!”

John scoppiò a ridere e lo abbracciò con forza “Dio se mi piaci!”

“Anche tu John, anche tu”

Watson a fatica si alzò in piedi tendendo la mano al ragazzo.

La strinse con forza e lo tirò a sé.

“Doccia?” Gli sussurrò all’orecchio.

“Doccia” Annuì deciso.

Il sabato sera seguente le porte del Bloody Queen si chiusero.

James Moriarty ed una mezza dozzina di persone se ne stavano ancora sedute al tavolo.

Facce brutte, facce presenti al Bloody una sola volta al mese.

“Posso andare Vic? “  Domandò Sherlock asciugandosi le mani nel grembiule.

“ Certo Will, vai pure, oggi chiudo io ci vediamo domani.” Sorrise teso.

Il detective annuì, uno sguardo di intesa prima di allontanarsi verso lo spogliatoio.

Estrasse il cellulare ed avvisò con un sms Lestrade e la sua squadra che lo attendevano fuori dalla porta che dava sul retro del locale.

Il solito scambio di soldi e “materiale” era già cominciato. Ma questa volta non ebbe il tempo di concludersi.

Un colpo secco proveniente dall’entrata fece voltare  James Moriarty  e gli altri uomini.

Victor istintivamente alzò le mani dichiarando la sua totale arrendevolezza.

Uno degli acquirenti fece per estrarre una pistola da sotto il giubbetto ma un colpo d’arma da fuoco sparato in aria al centro del locale lo mise in guardia dal fare gesti avventati.

“Mani sopra la testa, inginocchiatevi molto lentamente!”

Fu l’ordine imperativo dettato da una voce profonda già nota a Trevor.

Victor obbedì e con due occhi enormi si voltò in direzione di quella voce.

Gregory Lestrade , l’ispettore capo che aveva arrestato il suo Sebastian se ne stava sulla pista da ballo con una pistola tra le mani.

Gli occhi scuri corsero a quelli di giada già conosciuti.

La collaborazione del compagno di Moran era stata parte fondamentale di quel nugolo di arresti e l’ispettore capo  gliene fu infinitamente grato.

Gli sorrise invitandolo a seguirlo lasciando ai suoi agenti il compito di caricare in macchina ed allontanare James Moriarty e la sua cricca.

Fuori dal locale Victor si avvicinò con un gesto fulmineo a Sherlock abbracciandolo con forza.

John, testardo come mai si era recato al locale nonostante le proteste del suo neo ragazzo ed in quel momento se ne stava ritto come un fuso a controllare la situazione.

“E’ finita Sherly” Lo baciò su una guancia.

Holmes sorrise e gli stropicciò la folta chioma fulva.

“Anche grazie a te”

“Oh il signor Moore sarà felicissimo di sapere che questa brutta storia è giunta alla fine” Sospirò il rossino.

“Il signor Moore ha duecento anni, buon Dio non sarebbe ora che cedesse questo locale a qualcuno con delle facoltà mentali decenti?” Si intromise John.

“Non essere cattivo Johnny” Lo spintonò leggermente Trevor.

“E’ la verità Vic, se questo posto fosse gestito da te sarebbe tutta un’altra storia, io ci sono affezionato lo sai, ma ha bisogno di una ventata di freschezza” Gettò uno sguardo all’insegna.

“In effetti” Il rossino arricciò le labbra notando con disappunto un paio di lettere luminose spente.

“Pensaci” Watson gli fece l’occhiolino “ Una tua proposta la accetterebbe, lo conosco “ Rise

“E tu potresti darmi una mano” Gli fece l’occhiolino.

“Io? Gestire il Bloody?” Sollevò le sopracciglia.

“Bè, non è che il tuo lavoro ti piaccia particolarmente” Si intromise Sherlock “ E da quanto mi hai raccontato hai un passato consistente dietro il bancone del bar”

John si grattò la nuca riflettendo.

“E nessuno conosce questo posto e questo quartiere come te…” Seguitò il rossino “ Ci penserai? Dimmi di sì!”

Watson sorrise gettando un’occhiata ad Holmes.

L’uomo fece spallucce annuendo “ Pensaci John”

“Potrei…”

“Potresti…Ma poi dovrei venire qui ogni sera a controllarti e non so quanto la cosa potrebbe piacermi , ne ho abbastanza di questo posto” Ghignò.

“Ehi non sarebbe necessaria la tua presenza! Devi solo fidarti di me!”

Holmes sorrise.

Un sorriso ampio.

Si allacciò il trench con un gesto elegante ed annuì.

“Mi fido di te John”.

 

Fine.

 

 

 

   
 
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