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Autore: Isara_94    27/03/2018    1 recensioni
"Quello è stato il vero problema, ho supposto che stavolta fosse come le altre. Quando si dice un errore… imperdonabile."
La vita di Sirius, sedicenne e ribelle erede della famiglia Black, al numero 12 di Grimmauld Place non è tutta rose e fiori. Dopo l'ennesima divergenza con i genitori prende una decisione drastica: se non ti piace la famiglia che hai, cambiala.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Famiglia Black, Famiglia Potter, James Potter, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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La casa dei Potter è silenziosa, le tende alle finestre sono tirate e la penombra rende difficile distinguere bene i mobili.
Resto sconcertato, al punto che mi domando se non abbia sbagliato casa. Qui non c’è mai silenzio. C’è il signor Fleamont che legge il giornale e borbotta quando gli articoli non sono di suo gusto, la signora Euphemia ama ascoltare la radio mentre cucina. Per James poi far casino deve essere una specie di vocazione, altrimenti non si spiega come ci riesca sempre e comunque anche quando dorme…
Inciampo nell’uscire dal camino, nonostante sia già stato qua mi dimentico sempre che è uno di quelli antiquati e ha quei centimetri di gradino a cui fare attenzione. Ma non c’è James a far finta di avere l’improvviso attacco di tosse con cui nasconde la risata per la mia poca memoria. Come non ci sono i suoi.
Con una premura che a casa mia probabilmente non mi sarebbe neanche passata per l’anticamera del cervello, mi assicuro di non lasciare impronte di fuliggine sul pavimento. Niente elfi contenti di fare i lavori domestici da queste parti, e anche se la signora Euphemia ce le perdona tutte dallo star svegli fino a tardi al far rumore non credo che la stessa regola valga per averle sporcato il tappeto buono essendo arrivato senza preavviso.
-C’è nessuno?-
Mi aggiro nel salotto deserto, quasi finendo sul tavolino da tè accanto alla poltrona preferita del signor Fleamont e il tintinnare di ceramica che traballa mi paralizza sul posto. Risistemo il vaso di fiori che per poco non ho mandato in pezzi e mi sporgo appena oltre lo scaffale coi libri, dove la porta che conduce in cucina è spalancata come sempre. Come pensavo: nessuno neanche lì.
-James?!-
Mi prende il panico, realizzando che probabilmente sono partiti. È estate, tutti vanno in vacanza.
Che cazzo mi è saltato in mente?!
Ho appena avuto la grande idea di andarmene di casa così, senza provviste, senza soldi e senza un posto dove stare. Perché la verità è che non ci ho riflettuto sul serio. Oggi mi sono raccontato la balla di star pensando a qualcosa di intelligente per darmi il coraggio di andarmene una volta per tutte, e mi sto rendendo conto che se fossi stato furbo per davvero mi sarei preparato meglio. Magari me ne sarei andato di notte quando sarebbero stati tutti addormentati, per avere il tempo di prepararmi uno zaino e sarei andato a bussare alla porta di Andromeda…
Improvvisamente però si accendono le luci e con un certo sollievo scopro di essermi preoccupato troppo.
Perché dalle scale sembra stia ruzzolando giù una mandria di bufali. Beh, se di suo non ci vede bene e non mette gli occhiali per tempo, questo tipo di cose possono anche succedere. Evidentemente non ha imparato la lezione quando a scuola è andato a spalmarsi contro una delle colonne del letto, la mattina appena sveglio.
-Pads!-
James Potter in tutto il suo disordinato splendore, mentre si inforca gli occhiali che deve aver recuperato di fretta dal comodino. Ora mi spiego perché ci ha messo cinque minuti prima di venire a dare un’occhiata, al collo ha ancora le cuffie e se lo conosco, teneva il volume alto.
Appena rientra in possesso della vista però gli passa il buonumore. Mi squadra meglio –Che ti è successo alla faccia?-
Perché fa sempre le maledette domande giuste. Non ci gira intorno, mi sono presentato con l’aspetto di uno che se n’è appena buscate un bel po’ e lui arriva subito al punto. E se da una parte mi piace questo lato del suo carattere, dall’altra vorrei che ogni tanto non fosse così diretto.
È che non sono bravo in queste situazioni. Mai stato troppo a mio agio quando si tratta di raccontare quello che mi capita a Grimmauld Place, finora ho adottato la politica del “quel che succede a Londra resta là”. E anche se per prendermi in giro gli altri mi accusano spesso di essere quello più melodrammatico del gruppo, la verità è che quando mi succede qualcosa di veramente brutto preferisco fare qualcosa di stupido e scherzarci su.
Remus e Peter non sono al corrente di tutto, solo che non vado d’accordo coi miei e poche altre cose ancora accettabili. Ma quando torno a scuola e magari ho un occhio nero o un graffio sospetto, piuttosto m’invento di esser finito a fare a pugni dopo un concerto o di aver conosciuto una ragazza un po’ troppo entusiasta. Perché non ho bisogno di essere il dannato caso speciale, di essere guardato pietosamente e cose simili. E nemmeno di sentirmi dire che non è una situazione normale e mille altre cose che so già.
James però ha del talento per riuscire a farsi raccontare la verità. Ci prova con la delicatezza di cui dispone, oppure ti tartassa prendendoti per sfinimento. Ma riesce ad avere quello che vuole. Per cui è perfettamente a conoscenza del fatto che da me c’è chi ha spesso le mani che prudono quando ci sono io nei dintorni.
Lo sa da un bel po’, secondo anno circa, e gli ho fatto giurare di starsene zitto con gli altri o l’avrei affatturato fino alla fine dei tempi. Non gli è mai andata giù, non gli piace tenere dei segreti, ma siamo amici. Anche se di malavoglia, rispetta le mie decisioni limitandosi a non perdere occasione di ripetermi quanto stupida sia questa in particolare.
-Loro?- domanda quando intuisce che non riesco a rispondere.
Non “i tuoi genitori”, solo “loro”. Come se finora avesse avuto davanti la sfera di cristallo per vedere che quei due non hanno più diritto a questo titolo.
Annuisco in silenzio. Un labbro spaccato e le mani che a tratti tremano ancora… si spiegano praticamente da sè. Si passa le mani fra i capelli, che se già erano spettinati ora sono così arruffati che un corvo potrebbe mettercisi comodo e costruire il nido lì in mezzo.
-Hey…-
Impreca sottovoce quando sobbalzo, preso alla sprovvista dalla mano che mi ha posato sulla spalla, e si scusa sottovoce lasciando che al divano ci arrivi da solo. Lo capisco: io sono quello con cui si azzuffa ovunque per ogni cretinata. È Remus che va preso con le molle, anche dopo anni di amicizia.
Mi raggomitolo in un angolo di cuscini accoglienti con le ginocchia strette al petto, gli occhi fissi sulle scarpe rimaste sul pavimento. Neanche riesco a spiccicare parola. Che poi cosa dovrei dire, che nemmeno so da che parte cominciare?
È… è una cosa da pazzi. Punto. È una di quelle questioni che da qualunque parte la giri, il senso continua a non averlo.
James si siede accanto a me, ma girato in modo da potermi vedere bene in faccia. Mi passa uno straccio dove ha avvolto del ghiaccio. Lo accetto senza fare storie, il freddo è un toccasana per la testa e il labbro gonfio. Nonostante il tappeto persiano dello studio fosse di quelli spessi due dita, quando ci sono caduto sopra ho scoperto che non è affatto morbido.
Mi lascia pazientemente il tempo di riprendermi, prima di provare di nuovo a toccare l’argomento –Ti hanno solo…?-
La frase resta in sospeso, non riesce a concepire che qualcuno possa alzare le mani su un figlio per punizione. Anzi, a lui già il concetto di punizione era piuttosto estraneo all’inizio, viziato e coccolato com’è.
-Volevo dire- tenta ancora –Te le hanno date e basta o… hanno fatto anche dell’altro?-
Annuisco, lentamente. Inutile negare, una ripassata non ti lascia in questo stato se per te è l’abitudine.
Mi posa una mano sul braccio, come fa con Moony quando la mattina dopo il plenilunio è in infermeria ed è ancora un po’ lupo. Gesti attenti, niente movimenti bruschi, pronto a fermarsi se capisce che non è il caso. Fortunatamente sono addomesticato, io, non mi dispiace il contatto fisico.
-Non dobbiamo parlarne per forza- aggiunge.
Decido per cominciare col motivo per cui mio padre di ha colpito, e stare a vedere come la prende James. In qualche modo funziona, una volta cominciato non ho smesso più. Resta ad ascoltare senza dir niente, ma lo conosco troppo bene per non notare certi particolari, il mio tono sempre più distaccato lo preoccupa.
Lo so, pare quasi che stia parlando di qualcun altro. Ma questo è il meglio che mi riesce per provare ad elaborare. Perché ci sono cose che i tuoi amici non dovrebbero mai venire a sapere. Questa è una di quelle per cui meglio così, è più facile farmi coraggio.
-… Regulus era lì che spiava mentre loro…-
Ecco, mi trema la voce e nemmeno l’ho detto. James mi posa una mano sul ginocchio, ribadendo che posso anche finirla qui.
Oh, al diavolo, non esiste una maniera decente di dirlo quindi vada pure per il come viene viene.
-Mia madre mi ha scagliato addosso un Cruciatus-
Posso sentire distintamente il suo respiro fermarsi, come quando si riceve un pugno ben piazzato nello stomaco. Resto con lo sguardo fisso sui miei piedi, con l’assoluta sicurezza che mi sta fissando a occhi sgranati, che sembreranno larghi come un piatto da portata dietro le sue lenti spesse.
Soltanto… l’ossigeno temo gli serva ancora per cui meglio che si ricordi alla svelta come si fa a respirare, non voglio il mio migliore amico sulla coscienza.
Mi abbraccia di slancio e anche se mi prende alla sprovvista non lo respingo, ne ho davvero bisogno. Prongs è fatto così: non è un genio con le parole, spesso risulta scortese senza averne l’intenzione per cui quando crede di poter far casino lascia parlare i gesti.
Quando mi molla però mi dimostra di non aver capito un bel niente.
-Sirius… devi dirlo a qualcuno-
-L’ho appena fatto-
-No, sul serio…-
Di norma a questo punto farei una battuta per cui un esasperatissimo Remus tende a premiarmi tirandomi dietro la prima cosa che ha sottomano con l’unica eccezione dei suoi amati libri, perché come ama ripetere “ci tengo troppo per ammaccarli sulla tua testa dura”, giocando sull’assonanza fra la parola e il mio nome poco usuale pure per gli standard del mondo magico. Oggi però non ho voglia di fare scherzi. Voglio soltanto tirare una bella croce sopra questa storia e non pensarci più.
-Devi parlarne coi miei genitori- insiste.
-Non esiste!- affondo fra i cuscini, sperando segretamente di poterci sparire qui in mezzo –Senti Jamie per me finisce qui-
Perché primo: ammetto tranquillamente che non ho il fegato necessario per andare davanti a quella santa donna che è Euphemia Potter e andarle a raccontare che mia madre mi ama così tanto da usare una delle Maledizioni senza Perdono solo perché ho osato dissentire una volta di troppo.
Secondo: nel caso fossi comunque in grado di farlo, potrebbe prenderle un colpo e a quel punto avrei la madre del mio migliore amico sulla coscienza. E lì sì che preferirei evitare, almeno lei al contrario della McGranitt quando mi sorride lo fa senza poi annunciarmi che posso considerarmi in punizione per il resto della settimana.
Terzo: che potrebbero fare? Legalmente sono ancora minorenne, non possono tenermi qua. Dovrebbero avvertire i miei e a quel punto dovrei tornare a Londra. Stesso discorso se andassero a riferire tutto alle autorità. Non aprirebbero un caso perché il Ministro non ha interessi ad inimicarsi una delle famiglie più ricche e antiche del Paese. Potrebbe non avere stima dei metodi dei miei genitori, ma rispetta il patrimonio di chi lo sostiene. Per cui se si arrivasse davanti al Wizengamot sarebbe solo la mia parola di sedicenne, contro la loro. E non cambierebbe nulla, sarei di nuovo in quel posto infernale e se non mi ammazzano per davvero stavolta di sicuro potrò considerarmi agli arresti domiciliari tipo… per sempre.
-Potremmo evitare? Andrà bene, lasciamo calmare le acque e stiamo a vedere che succede-
-Non va affatto bene, Sirius! Ti rendi conto della gravità di…?-
-La gravità di cosa, James?-
Ci voltiamo entrambi di scatto, scoprendo la signora Euphemia appena rientrata a casa con le borse della spesa. Comincio a sudar freddo, non so quanto abbia effettivamente potuto ascoltare.
-Ti si sentiva distintamente dal cancello, tesoro, spero ci sia un buon motivo per fare tanto chiasso- sbircia un po’ meglio e finalmente vede anche me. E lì si dimentica qualunque rimprovero avesse in mente.
-Sirius, caro, cosa ti è capitato?-
Ecco perché volevo lasciare gli adulti fuori da questa storia: la signora Euphemia è un angelo, e non ho problemi ad ammetterlo, ma come una vera madre dovrebbe fare si preoccupa all’istante. Quindi ecco che a lei scatta l’istinto materno e a me l’imbarazzo bestiale perché davvero non ho l’allenamento a questo genere di attenzioni.
-Che vuoi che sia capitato, ma’, sappiamo che casa sua è una gabbia di matti- sbuffa James, spazientito, infischiandosene dell’occhiataccia che vorrebbe gentilmente invitarlo a calare di un paio di tacche sui complimenti.
Di mio non faccio nessun tentativo per dargli torto, Orion e Walburga se li meritano tutti e moltiplicati per dieci.
Provo ad abbozzare un sorriso, più falso dell’oro di un Lepricano con mio sommo disappunto. Improvvisamente mi sento molto consapevole del mio aspetto. Mi ha già visto bardato di tutto punto di ritorno da un concerto, col collare, la matita nera sugli occhi, i pantaloni pieni di strappi, toppe e tutto il resto. Ma questa è la prima volta in assoluto che mi presento in questo stato, e credetemi ci passa una gran bella differenza tra l’essere scarmigliati dopo una nottata fuori a divertirsi e l’esserlo dopo quello che ho appena passato. Non è piacevole, affatto.
-Mi spiace signora Euphemia…-
Mi sorride cordiale –Non dirlo nemmeno, caro, gli amici di James sono sempre i benvenuti qui- poi si rivolge al figlio, invitandolo ad andare di sopra a preparare la camera degli ospiti. Il suo modo gentile per levarselo di torno, spedirlo a fare qualcosa di cui non c’è tutto questo urgente bisogno, quando le serve parlare in privato con qualcuno.
-Vieni Sirius, voglio dare un’occhiata a quel labbro-
Intanto che Prongs se ne va al piano superiore brontolando di come gli tocchino i lavori domestici, e non so come riuscendo nell’impresa di sembrare ancor meno credibile di me, lei mi accompagna in cucina con quella cortese fermezza che la contraddistingue. In pratica, ti sorride tutta zucchero e miele, ma la sua mano sulla schiena è abbastanza salda da farti mettere in dubbio che sia una buona idea puntare i piedi per terra e fare di testa tua.
-Davvero è solo un graffio…-
Niente da fare, ignora le mie proteste, mi piazza sulla prima sedia vicina e comincia a frugare nell’armadietto delle pozioni finchè non trova quella per i tagli mentre con uno svolazzo della bacchetta mette il bollitore sul fuoco.
Brucia, eccome se brucia, perlomeno è più delicata di Madama Pomfrey. Quella ha le mani di fata solo con Rem, con noialtri ormai credo lo faccia apposta per sottintendere che è più felice se non ci presentiamo in infermeria più o meno ogni settimana per via degli allenamenti o degli altri guai che combiniamo.
Mi passa una tazza di tè, ricordandomi di fare attenzione a non scottarmi. Neanche avessi cinque anni… ma non è spiacevole, e mi ritrovo comunque a sorridere.
A volte proprio non li capisco gli altri, quando si lamentano di quanto siano apprensive le loro madri. Ok, Remus un po’ sì, lui ogni tanto ha bisogno dei suoi spazi e avere intorno gente che si sente in colpa per via di quello che è non gli fa bene. Ma James e Peter non hanno la minima idea della loro fortuna. A King’s Cross, ogni primo settembre, li ho sempre invidiati per le raccomandazioni dell’ultimo minuto che ricevono, sempre le stesse fin dal primo anno e che ovviamente si scordano appena saliti sul treno: “non mangiare troppi dolci”, “studia”, “non pensare solo al Quidditch”, “fai attenzione”, “mi raccomando ricordati di scrivere”, “ascolta gli insegnanti”, “non azzuffarti coi tuoi compagni”… praticamente tutto l’opposto del nostro tipico anno scolastico e lo sanno benissimo, ma è il loro dovere ripeterlo fino alla noia.
Mia madre quella briga non se l’è mai presa. Neanche con Regulus, che è il suo preferito.
Per cui è una bella sensazione sentirsi dire anche una cosa ovvia come questa, ti fa sentire desiderato, benvoluto. E il fatto che ci riesca una donna che è perfettamente consapevole di non avere niente da spartire con me significa che davvero Walburga non ha scusanti nè per oggi nè gli ultimi sedici anni.
-Mi spiace essere arrivato senza avvertire, veramente. Non sapevo dove altro andare…- mi scuso ancora, prendendo un sorso di infuso. Nonostante non mi veda così di frequente, sa che il tè mi piace berlo nero e bollente, senza latte e non troppo dolce. Altra cosa che a casa nessuno si è mai preso il disturbo di notare.
Mi interrompe di nuovo –Va tutto bene, Sirius, se sono arrabbiata con qualcuno quello certamente non sei tu. Puoi restare quanto vuoi e non farti problemi-
Ma magari, per qualche strano motivo o proprio non penso a quello che faccio o i problemi me li faccio tutti in una volta sola. La via di mezza ancora non l’ho trovata e questa è la conferma.
Mi posa una mano sulla guancia, distraendomi dal filo dei miei pensieri. È seria, come non l’ho mai vista prima. Calma e posata come prima, ma non ha più quella sfumatura di dolcezza che le addolcisce lo sguardo.
-Va tutto bene, qui sei al sicuro. Nessuno ti costringerà a tornare in quel posto se non sei tu a volerlo, capito?-
Mi concedo di crederci e non mi allontano dalla sua mano, una bugia a fin di bene ogni tanto può anche servire, penso mentre mi cade l’occhio sull’anello con l’onice che ancora porto al dito. Tutti ne abbiamo uno, all’interno è inciso il motto della famiglia. Finchè lo porto nessun posto sarà mai abbastanza sicuro da Walburga.
Il colpetto di tosse di James mi informa che forse il mio lato canino si sta mostrando più di quanto sia consono. Non posso farci granchè, Padfoot è affettuoso tanto quanto e forse anche più di quanto è ingombrante.
-Mi sono preso la libertà di lasciarti in camera un pigiama per stanotte- si sforza di sorridere –Sarà interessante vedertene finalmente uno addosso-
Scemo, di tutto quel che poteva dire davanti a sua madre doveva proprio decidere per questo? Sì, a scuola metto solo i pantaloni neri di una vecchia tuta, e allora? Da che ricordo nessuno dei miei compagni di stanza si è mai lamentato, anzi… evidentemente qualcuno apprezza parecchio essendo che ogni volta che mi aggiro qui o là si affretta a nascondersi dietro la copertina del libro aperto in quel momento.
Difatti la signora Euphemia si alza per mettersi ai fornelli alzando gli occhi al cielo fingendosi scandalizzata.
-Vuoi venire su?- propone James –Alla fine l’ho trovato quell’album bootleg dei Rolling Stones di cui mi avevi parlato, pensavo di ascoltarlo con voi la prima sera a scuola ma viste le circostanze…-
Anche la signora Potter mi fa un cenno di seguirlo. A quanto pare per stasera non serve che ripaghi l’ospitalità.
-C’è anche una versione live di “Gimme Shelter”-
E che devo fare a questo punto, se c’è anche quella chiaro che devo salire ad ascoltarla…
La cena è stata tutto sommato indolore. Insomma, ho sempre quella mezza impressione che al signor Fleamont stesse per prendere un colpo a un certo punto e gli ci è voluto un momento per assimilare meglio la notizia… ma alla fine si è ripreso piuttosto bene e ha poi finito con l’addormentarsi in salotto dimenticandosi del suo proposito di spedire due paroline a Londra.
Per cui, dopo un necessario sospiro di sollievo perché davvero non ho la minima intenzione di risentire i miei, siamo in quella che è ufficialmente camera mia per il resto dell’estate. È una bella serata, stento a crederci dopo una giornata da dimenticare.
Stiamo rischiando una sonora tirata d’orecchie, non solo ci stiamo portati su di nascosto un paio di birre ma ce le stiamo bevendo sul tetto, da dove si possono veder meglio le stelle. James lo fa spesso, camera sua è proprio qui accanto. La finestra ha il davanzale basso e non c’è troppa pendenza. Basta fare un po’ di attenzione a scavalcare e a mettere i piedi nel posto giusto per non scivolare giù. Poi hai la notte tutta per te, le tegole ancora calde di sole sotto e la campagna assopita intorno. Peccato che questa sia una di quelle cose che i suoi non tollerano.
-Non male quest’album- convengo quando il disco continua a girare restando muto. Nel finire quel che è rimasto nella bottiglia mi ritrovo a fissare la falce di luna sospesa in cielo.
Ormai sono diventato bravo a distinguere le varie fasi a colpo d’occhio, ci metto poco a ricordare che domani è luna nuova. Nonostante non abbia effetto in sé per sé, mi calma. Sarà qualcosa che ha effetto anche sui cani, vai a sapere… o forse mi calma il pensiero di quel secchione di un licantropo che invece di approfittare delle poche notti mensili in cui riesce a dormire bene, di sicuro sarà in camera a leggere fino a tardi mentre ascolta qualcosa dei Beatles per farsi venire un bel paio d’occhiaie.
Rientriamo, e mentre mi cambio James si siede a gambe incrociate sul letto.
-Sicuro di voler dormire da solo? Il letto è grande, ci si sta comodi in due-
Lo fisso un po’ confuso, non mi ha mai fatto domande del genere.
-Sai, per gli incubi. Visto che Remus non c’è ho pensato…-
Bene bene, quindi il mio migliore amico è pure impiccione. Può anche starci che la privacy sia specie più estinta dei dinosauri quando dividi la stanza con altri tre ragazzi, ma ho imparato a non far rumore la notte perché non mi va di far sapere a tutti cosa faccio. Del tipo che mi faccio ospitare quando non riesco a dormire. Non accendo una candela neanche se è buio pesto e mi sveglio prima pur di non far sapere dove ho passato la notte. Quindi i casi son due: o l’altro mio migliore amico improvvisamente spettegola come una comare, oppure è più plausibile che James abbia il sonno più leggero di quanto ho sempre creduto e si sia deciso ad indagare.
-Non è nulla, sono solo stanco-
È ancora poco convinto, ma non insiste oltre. Recupera il disco e va alla porta intanto che m’infilo sotto le coperte. Indugia sulla soglia, dandomi il tempo di ripensarci.
-‘Notte Pads-
Una volta al buio però la sicurezza va a farsi un giro e non da segni di voler tornare alla svelta. Sono riuscito a trattenermi finora, ma adesso che non c’è più nulla per distrarmi le lacrime non sono altrettanto facili da ricacciare indietro. Odio piangere, detesto profondamente dare questo tipo di soddisfazione a gente come quei due anche se so che non possono vedermi.
-Ah, al diavolo…- brontolo, asciugando le lacrime con la manica e girando il cuscino dal lato rimasto asciutto. Resto sveglio ancora per qualche minuto, a godermi la pace notturna, prima di decidermi a chiudere gli occhi.

 
Sono a Grimmauld Place. Di nuovo.
È tutto nero qui, dalla tappezzeria sui muri ai mobili, un incubo quando è tutto immerso nell’oscurità quasi completa. Solo un’immensa scala di ogni possibile sfumatura di nero. Mi aggiro per la stanza, provando ad aprire le finestre. Chiuse. Anche la porta non vuole saperne di aprirsi.
Infilo le mani in tasca e provo una sgradevole sensazione di vuoto. Quella che si avverte quando si cerca qualcosa che non è nel posto dove dovrebbe essere. Ecco, quell’esatta sensazione. Perché le tasche sono vuote e non c’è traccia della mia bacchetta da nessuna parte.
Qualcuno sta sghignazzando alle mie spalle.
-Cerchi questa?-
Regulus è lì, appena emerso dall’ombra, che ci giocherella roteandola fra le dita –Particolarmente scomoda se vuoi la mia opinione… troppi spigoli, rigida… è soltanto bella da vedere- osserva soprapensiero –Magari è per questo che ce l’hai tu. Proprio non sei capace di assecondare le persone, non è così?-
Non mi piace la sua espressione –Quella è mia e la rivoglio, Reg-
Smette le sue considerazioni, come se si rendesse conto solo adesso della mia presenza –Questa? Non ne avrai più bisogno-
La spezza in due con un gesto secco prima che riesca a fare un passo nella sua direzione, gettando via i pezzi ormai inutili. Atterrano fra di noi, legno su legno che fa rabbrividire nel silenzio totale.
-Perché l’hai fatto?!-
-Potrei farti la stessa domanda- è freddo, lo sguardo affilato e la voce bassa e rancorosa –Te ne sei andato-
-Fratellino, parliamone…- comincio, tentando per quel tono conciliante con cui riuscivo a farlo ragionare quand’era piccolo.
Per tutta risposta sfodera la sua bacchetta e mi ritrovo scagliato contro il muro da uno Schiantesimo.
-Non sono tuo fratello!- grida –Mi hai lasciato solo!-
Mi colpisce ancora, ancora e ancora, fino a farmi cadere a terra frastornato.
Il suo sorriso ha troppi denti per essere rassicurante, felino come la stella della costellazione da cui ha preso il nome, e il suo peso sullo stomaco mi impedisce di respirare. Impossibile scrollarmelo di dosso, per quanto ci stia provando. Regulus ha in sé quell’istinto felino di tirar per le lunghe qualcosa per il puro divertimento di poterlo fare. Che sia una partita che ha già deciso di vincere, o qualcosa di molto peggio.
-Cosa credevi di fare, eh? Trovarti un altro fratello, un’altra madre e un altro padre?- scuota la testa con disappunto –Vedi, non funziona così. Sei un Black. Il tuo posto è qui, a Grimmauld Place, con la tua vera famiglia-
Avverto le sue mani gelide intorno al collo e smetto di divincolarmi, un movimento sbagliato e sappiamo entrambi come andrà a finire –Che vuoi fare…-
-Il mio dovere…- stringe la presa, togliendomi il respiro con una forza che non credevo possedesse -… assicurarmi che tu non lasci mai più questo posto!-

 

Mi sveglio di soprassalto, impiegando qualche secondo a riconoscere la stanza degli ospiti dei Potter.
Solo un sogno, orrendo, ma niente di più.
Lo scricchiolio della porta mi fa sobbalzare, e d’istinto infilo la mano sotto il cuscino dove tengo la bacchetta. Intravedo il riflesso delle lenti di James.
-Tranquillo, sono io- scosta le lenzuola mentre mi sposto di lato per fargli spazio –Proprio non me la sentivo di lasciarti da solo-
Prendo un respiro, il più profondo e calmo che posso per nascondere che ho appena avuto un incubo.
-Te l’ho detto, sto bene-
-Piantala con le cazzate, Pads-
Restiamo zitti a fissarci per qualche momento. O meglio, lui mi fissa e io cerco di darmi un contegno perché trovo che per oggi mi sono già reso patetico da bastare per una vita. Pianta le mani nel materasso e si sposta più vicino.
-Perché devi sempre essere così testardo…- sospira esasperato –Dai, vieni qui-
Quando ritiene che ci stia mettendo troppo a decidermi da spettacolo di togliersi gli occhiali posandoli sul comodino –Ecco fatto, se non ti vedo va meglio?-
Diventasse anche sordo decisamente sì, ma questo è quel che passa il convento e tocca farselo bastare. Non so cosa mi abbia fatto addormentare alla fine, se il calore di James, la sua voce o le sue dita che nel frattempo affondavano nei capelli come a volerli districare…
Quando ho chiuso gli occhi sono scivolato in un sonno profondo senza sogni.
   
 
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