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Autore: _Kalika_    27/03/2018    1 recensioni
La storia non tiene conto dei fatti ne "Le Sfide di Apollo"
Will è in preda ai sintomi di una terribile malattia, una maledizione che colpisce alcuni figli di Apollo… le possibilità di sopravvivenza sembrano scarse, ma Nico non intende perderlo. Riuscirà il figlio di Ade a superare le prove proposte, compreso lo scontro con un odiato nemico?
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«Che intendi dire?» Nico strinse il Ferro dello Stige, alternando lo sguardo tra la figura che si dimenava debole e l’ombra.
«Ti sarà richiesto soltanto un sacrificio. Devi scegliere tu se sei disposto ad accettare»
«Di cosa stai parlando?» Chiese ancora, irritato. L’ombra non rispose. Si mosse appena, poi scomparve con un risucchio nel terreno.
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«Sono ancora uno stupido, Raggio di Sole?»
Il figlio di Ade sbuffò, riappoggiando il capo sulla maglietta arancione del biondo. «Sì, moltissimo. Anche se non è stata tutta colpa tua.»
«Ah, no?»
«No. Probabilmente gli dei avevano già deciso che avresti fatto la stupida azione che hai fatto.»
«Mh. Quindi ti sei sbagliato a darmi uno schiaffo, prima.»
«No, non sto dicend…»
«E ti devi far perdonare.»
«Non…»
«Facciamo così: se farai un’azione più stupida della mia, allora potrò restituirti il torto.»
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cupido, Eros/Cupido, Nico di Angelo, Nico/Will, Nuovo personaggio, Will Solace
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Cap 6
«Sei pronta, tesoro?» Una donna dall’aria solare con un dolce sorriso dipinto sul volto fece capolino nello spogliatoio. Helen era seduta accanto alla finestra, vestita di un tenero abitino sui toni del verde che le accentuava i capelli biondi. I suoi occhi brillarono di energia mentre osservava un paio di farfalle posate sul davanzale baciate dal sole.
Saltò giù dallo sgabello, annuendo e prendendo la mano della donna: «Sì! Andiamo, mamma.»
Arrivarono insieme fin dietro le quinte. C’erano altri bambini, quasi tutti accompagnati dai genitori. Helen si stropicciò la gonna del vestito. Era felicissima, ma anche un po’ nervosa. «Ci sono tantissime persone! Io non voglio perdere, ma è impossibile!»
La madre rise di cuore, abbassandosi per raggiungere l’altezza della figlia. La sua bambina, così piccola eppure già mostrava alcuni tratti di suo padre. «Non importa!» Rispose con un sorriso. «Tu ami cantare, ed è quello che farai. Se perderai, allora torneremo a casa cantando, e se lo vorrai ci alleneremo ancora di più! Finché sarò con te non ci arrenderemo, giusto?»
Helen annuì con vigore e sorrise ancora di più. Chiamarono il suo nome, e la bimba salì sul palco.
 
Passarono gli anni.
In quella sua prima gara Helen era arrivata seconda. La sua dote da figlia di Apollo le aveva concesso di superare senza difficoltà anche i più bravi, ma la sua poca esperienza non aveva permesso di arrivare prima. La semidea aveva sempre considerato quel podio una posizione ideale: si era resa conto della sua bravura, ed al contempo aveva avuto voglia di migliorare sempre di più.
Con il tempo che passò, il ricordo di quel giorno crebbe nel suo cuore diventando sempre più caro.
Si dedicò al canto con dedizione. Voleva diventare una vera artista, diceva a tutti, ed il sogno di bambina si trasformò in un obiettivo che sentiva di poter raggiungere.
Cantò per anni, Helen, fino a che, quando aveva 12 anni, la polizia entrò nella sua casa e la affidò ai servizi sociali. La madre era morta in un incidente stradale, e con lei Helen aveva perso tutto.
Fu un periodo molto confuso.
Passò appena qualche mese in una sorta di orfanotrofio. Era una ragazza forte: riuscì a superare la morte della madre senza troppi problemi. In quel periodo incontrò diversi ragazzi e, anche se non fece particolari amicizie, ebbe modo di confrontare storie, passati, dolori: non era sola, in quel piccolo mondo di bambini senza genitori, e grazie anche alla sua innata allegria era convinta di poter andare avanti senza alcun trauma.
Poi iniziarono ad arrivare i mostri. Di nuovo, fu costretta a cambiare abitazione: e mentre un essere metà uomo e metà capra le spiegava a grandi linee chi fosse suo padre, si trovò catapultata in un altro mondo, il Campo Mezzosangue, che non avrebbe più lasciato.
Anche in quel posto, aveva avuto modo di rendersi conto, non c’era troppo spazio per l’amore dei genitori. Passarono alcune settimane, si trovava bene, fino a che una consapevolezza la fece colpì come una doccia gelata.
«Molti figli di Apollo gestiscono il coro al falò, dopo cena. Tu sai cantare?»
Helen fissò Austin quasi stranita. Da quanto tempo non cantava? Uno o due anni, ormai. Dalla morte della madre.
«I-io… no, non so cantare.»
Il fratello inclinò appena la testa: «Strano. Di solito i figli di Apollo amano cantare. Mi pare di ricordare che non suoni neanche degli strumenti, giusto?»
La semidea non rispose, rimase anzi in silenzio fino a che l’altro non se ne andò scrollando le spalle.
 
Ecco che cosa mancava. Ecco qual era la cicatrice che si portava dietro, che era rimasta nascosta perfino a lei sino a quel momento.
“Finché sarò con te non ci arrenderemo, giusto? Continueremo a cantare.”
Helen sentì la gola seccarsi mentre camminava svelta verso il bosco. Tanti semidei avevano dei traumi legati al passato, lì. Ma mai avrebbe immaginato una cosa del genere.
In quei pochi anni il ricordo di quella sera, che viveva in lei a sugellare il suo impegno, si era lentamente sbiadito fino a scomparire. E adesso che tornava, con la voce materna che le rimbombava nelle orecchie, era traboccante di amarezza. Non riusciva a cantare, non da quando aveva perso la sua guida. Solo a provarci gli occhi le si riempivano di lacrime e la gola si chiudeva, e aveva smesso subito di tentare.
Ma come aveva potuto lasciar perdere così?
Si addossò ad un albero, il cuore adesso pieno di determinazione e amore per la musica. Alzò la testa guardando negli occhi una driade che, sorpresa dalla sua irruzione nel bosco, la stava osservando. «Voglio continuare a cantare.» Decise parlando più a sé stessa che alla ninfa. «Prima o poi supererò la nostalgia, no? Mi eserciterò, e farò in modo che il canto diventi parte della mia quotidianità. Posso superarlo!»
 
La sua determinazione le aveva permesso di mantenere il proposito. Quasi tutti i giorni andava ad esercitarsi: cantava fino a che riusciva, e con il tempo era in grado di scacciare la malinconia sempre più a lungo. Con il passare dei mesi la casa di Apollo era venuta a conoscenza del suo obiettivo: erano in grado di aiutarla come solo dei veri amanti della musica sanno fare.
Helen continuava ad esercitarsi quando poteva; molto lentamente, il ricordo di quella sera di tanti anni prima stava tornando dolce come lo era stato all’inizio, anche se non mancavano delle crisi.
Solo di recente era riuscita ad unirsi al coro dopo cena, ma di cantare da sola a lungo… ancora non se ne parlava.
 
O almeno, era quello che credeva.
 
«Qual è la vostra più grande ambizione?»
I pensieri di Helen volarono come un turbine nella sua mente. La riportarono alla sua infanzia, all’amore della madre. Alla sua più grande passione, e la risposta alla domanda le parve ovvia.
Il cuore accelerò i suoi battiti, che si fecero sentire fino alle orecchie. Helen traboccava di energia. Lo sentiva, era in grado di fare qualsiasi cosa. Poteva cantare.
Allora canta” Le sibilò una voce soave nelle orecchie. C’era musica tutto intorno a lei. Bastava soltanto lasciarsi trasportare.
Helen chiuse gli occhi e divise le labbra. Prese fiato, poi si unì al concerto.
All’iniziò non riuscì a sentire la sua voce. Poi lentamente questa si fece spazio nella sinfonia, incastrandosi perfettamente come l’ultimo ingranaggio e riempendole il cuore di pace. A malapena si accorse di aver mosso dei passi in avanti.
Voleva sentire ancora più forte quella canzone che non aveva mai ascoltato prima ma che tuttavia sapeva di conoscere, e per farlo doveva seguire la melodia. Una scia di luce, che Helen a malapena riconobbe come la coda di un piccolo essere luminescente, le volò accanto.
Ti piace cantare, non è vero?”
Quelli che sembravano piccoli uccellini fatti di luce si avvicinarono con ritmo incostante, scattando in avanti e poi virando lentamente come se avessero paura di ferire la semidea. Lei sorrise senza smettere di intonare la canzone che si faceva più chiara a mano a mano che camminava. “Seguici”
Si fece guidare senza esitazione da quelle creaturine. Fece solo pochi metri, un passo dietro l’altro con lentezza estenuante, ed intanto i folletti di luce le si avvicinarono ancora di più volteggiandole attorno.
Alcuni di essi le coprirono il corpo, avviluppandosi sulla sua pelle, fino a che non si trasformarono in tessuto vero e proprio. Helen sentì una nuova, dolce scarica di energia percuoterla e si ritrovò a cantare con più voce, volteggiando su sé stessa. I vestiti che aveva indossato durante il viaggio erano scomparsi, lasciando il posto ad un abito con una gonna svolazzante sui toni del verde che le calzava a pennello. Non ci mise molto a rendersi conto di star indossando un vestito del tutto uguale a quello che aveva nella competizione di tanti anni prima.
Stranamente, non provò nostalgia. Si sentiva anzi al settimo cielo, e piroettò ancora mentre una voce melliflua le sussurrava nelle orecchie: “Ti piace? Seguici, ed avrai anche di meglio”
Si lasciò condurre in un corridoio che stava nella stanza, un corridoio che se non fosse stato per le luci delle creaturine probabilmente sarebbe stato completamente buio. “Vieni con noi. Abbandona i tuoi doveri, e sarai felice…”
Helen continuò a cantare, ipnotizzata dalle voci melodiose di quegli esseri. Guardò in fondo al corridoio e le parve di scorgere una luce tenue e familiare.
La sinfonia attorno a lei parve accelerare appena il ritmo. La semidea portò automaticamente una mano contro la coscia, tamburellando la cadenza della canzone. Non si era mai sentita così bene. Fece una sorta di piroetta, sorridendo nel sentire il tessuto leggero della gonna frusciare, e volse lo sguardo indietro.
Will era come bloccato, con lo sguardo perso nel vuoto. Le stesse luci che la guidavano gli giravano attorno, circondandogli ora le mani ora il busto ed i capelli d’oro.
Qualcosa parve spezzarsi nella canzone. Helen balbettò incerta, osservando confusa la figura di Will come se essa turbasse la sua quiete. “Abbandonalo” Le suggerì un sibilo persuasivo.
Abbiamo ciò che vuoi… dimenticati di lui… del campo… di tutto…”
La musica tornò forte e sicura nelle orecchie di Helen. Come in risposta, lei riprese a cantare. Poi una voce conosciuta la chiamò da dietro e la fece girare una volta per tutte.
«Tesoro, vieni qui…»
La ragazza sembrò perdere ogni traccia di controllo sulla sua mente e docile, seguendo la luce, si diresse verso la voce. Tutto era possibile, adesso…
 
Sappiamo ciò che desideri…”
Will non riusciva a concentrarsi. Che fosse a causa delle voci che gli sibilavano nelle orecchie o di un picco della malattia non lo sapeva, ma gli girava la testa e sentiva le mani tremare in modo innaturale.
Abbassò lo sguardo, spannando la vista, e vide come dei folletti che gli volavano attorno. “Desideri diventare un bravo medico, non è così?”
Will si lasciò cullare dal tono melodioso. Annuì senza rendersene conto. A malapena sentiva la dolce e vibrante melodia che aleggiava nell’aria, nonostante rimbombasse nelle sue orecchie senza sosta.
“Un dottore, sì…” Un altro esserino volò davanti al suo viso, quasi sembrò che lo carezzasse.
“Vuoi curare tutti”
Sentiva dei sospiri tutto intorno a lui. “Puoi curare anche te stesso, sì?”
La voce era così melodiosa… rispose balbettando una risposta affermativa, la mente inebriata da tutti quei sussurri dolcissimi. Eppure, sentiva che in tutto ciò c’era qualcosa di sbagliato. Che cosa stava dimenticando di fare? Perché si sentiva così? Che cosa… una creaturina gli volò davanti agli occhi, offuscandogli la vista per qualche secondo con la sua luce. Quando risollevò le palpebre, tutti i suoi pensieri negativi scemarono. Davanti a lui si trovava un’immensa libreria: riusciva a distinguere nitidamente alcuni dei più famosi volumi sulla medicina. “Vuoi studiare medicina, laurearti…”
Will avanzò verso la libreria, allungando appena le mani. Era lontana, come alla fine di un lungo tunnel, eppure la vedeva chiaramente e la percepiva altrettanto vicina.
Noi possiamo darti ciò che vuoi… però in cambio devi lasciare tutto il resto…”
Il figlio di Apollo continuò ad avanzare in silenzio. Sì, gli sembrava una proposta ragionevole…
 
Nico boccheggiò stordito. Avrebbe voluto provare ad allentare la presa di Lisayne sul suo collo stordendola, ma stava perdendo la sensibilità delle mani e delle gambe. Il Ferro dello Stige era scivolato a terra, chissà quanto lontano da lui.
Un brivido di freddo insensato salì lungo la sua colonna vertebrale. Per un istante la sensazione lo riportò di qualche ora indietro, congelato, cullato dolcemente dalle braccia di Will… ci sarebbe rimasto per sempre, ma si rese conto che non era una sensazione reale.
Era solo una visione, e Will… era per lui che stava affrontando tutto quello. Era per lui che doveva combattere, per salvarlo e farsi stringere ancora da lui.
E non avrebbe permesso ad un’arpia spuntata da un muro di far finire così la sua missione.
Riaprì gli occhi che non si era accorto di aver chiuso, sentì i battiti accelerare. Una rabbia accecante gli salì fino al petto, poi nella testa, e lui semplicemente la lasciò uscire. Vide la figura sfocata dell’arpia troneggiante sopra di lui.
Allora il suo corpo di coprì di energia nera, violente onde di oscurità investirono Lisayne, che dalla sorpresa allontanò la mano dalla sua gola. Il figlio di Ade prese fiato e gridò con tutte le sue forze, facendo tremare la terra. Lisayne era stata spazzata a diversi metri da lui ed aveva la pelle coperta di ustioni.
Nico si mise in ginocchio. Raggiunse gattonando il Ferro dello Stige e lo usò per tirarsi in piedi.
Si sentiva traboccante di energia, ma aveva la fronte imperlata di sudore e la testa che vorticava. Mai prima d‘allora aveva mai desiderato un sorso di nettare, dell’acqua di luna o quantomeno della semplice acqua. Avanzò a fatica verso Lisayne, che pallida come un cencio alzò lo sguardo verso di lui.
Sembrava terrorizzata, ma nei suoi occhi c’era uno scintillio malvagio che non accennava a regredire. Il moro sollevò la spada. Avrebbe spedito al Tartaro quella follia.
Chiuse un attimo gli occhi per concentrarsi, poi vibrò il colpo con tutta la forza che gli rimaneva.
La spada si scontrò con il terreno di sabbia. Un attimo dopo, il rumore di una freccia incoccata risuonò alla destra di Nico.
Il ragazzo ispirò appena e senza riflettere eseguì un tondo, tagliando di netto la freccia diretta verso di lui già in aria.
Un attimo dopo, Lisayne era già scomparsa. Lo spostamento d’aria che Nico percepì sul suo viso gli fece capire che l’arpia aveva spiccato il volo.
Pochi secondi, ed una freccia sibilò a pochi centimetri da lui. Nico evocò alcuni scheletri dal terreno – ce n’erano più di quanti se ne aspettasse -, che gli si strinsero attorno mentre riprendeva fiato, adesso di nuovo in ginocchio. In breve tempo una mezza dozzina crollarono a terra, colpiti dai dardi, e si rifusero con la sabbia.
Doveva cambiare tattica. Lisayne era incredibilmente abile nel combattimento, allora qual era la sua debolezza?
Rifletté su quel poco di tempo che aveva passato fronteggiando l’arpia, sui dettagli che aveva colto osservandola, e la risposta brillò nella sua testa come una lampadina.
«Come mai hai tanta fretta di eliminarmi?» Avanzò nella penombra, scortato solo da un paio di scheletri, e per qualche secondo le frecce smisero di cadere attorno a lui.
Il rumore di un paio di grosse ali sbattute fece alzare la testa al figlio di Ade, ma non riuscì a vedere niente. In compenso, però, la voce stridula si fece risentire.
«Devo obbedire agli ordini. Sopprimere gli invasori rapidamente e poi tornare sul muro.»
Nico si schiarì la gola, cercando di sembrare accondiscendente. Non era proprio il suo stile. «Ma prima hai detto che è noioso rimanere bassorilievo per tanto tempo. Non preferiresti-»
«Che cosa stai insinuando?!» Il grido fu seguito da una freccia che, scoccata alla velocità della luce, colpì Nico alla gamba. Lui cadde a terra con un verso sordo, percependo la vista offuscarsi, ma continuò a parlare ostentando un tono tranquillo. «Sto pensando che… forse ti piacerebbe uscire, allontanarti un po’ dai tuoi doveri e divertirti.»
«Non mi serve!» Nico sentì distintamente il rumore delle zampe rapaci che si posavano e scalciavano la sabbia. «Ogni tanto viene qualcuno a portarmi vestiti ed accessori. Sono al passo con i tempi.»
Il figlio di Ade sollevò appena un sopracciglio, nello sforzo di restare concentrato. Non gli sembrava di aver visto male, allora. Lisayne sembrava ossessionata dal suo dovere di guardiana, ma a differenza di molti nemici incontrati, sembrava dotata di personalità… doveva far leva su questo.
«Ma… non sarebbe più bello uscire e comprare da sola ciò che vuoi? Magari… magari fare amicizia?» Azzardò, sentendo il ridicolo di quell’affermazione.
Lisayne si avvicinò zampettando. Nei suoi occhi brillava ingenua, anche se dubbiosa, curiosità. «Amici? Dici… anche.. trovare un fidanzato?»
Nico indugiò, osservandola. Aveva catturato la sua attenzione, non doveva lasciarsela sfuggire. «Perché no? Sai trasformarti in umana?»
L’arpia annuì come se fosse la cosa più naturale del mondo. «Sì, sono una sorta di mutaforma. Questo ibrido mi è utile per la lotta.»
Nico azzardò un sorriso. «Allora non vedo perché non dovresti. Sei carina… almeno credo»
Lei inclinò la testa. «Anche tu sei carino»
«Ah… grazie, ma… ahm…» sbuffò una risata «decisamente non sono il tuo tipo»
Lisayne parve un attimo perplessa. Sbattè ripetutamente le palpebre, e Nico ebbe giusto il tempo di alzarsi in piedi per rendersi conto che non stava esattamente pensando a quanto gli aveva appena detto. «Io… io non posso uscire! Non voglio!»
Il figlio di Ade raggelò quando sentì quelle parole. L’incantesimo si era sciolto. L’arpia eliminò il penultimo scheletro con l’arco prima di incoccare una freccia nella direzione di Nico. Un lampo di indecisione le passò negli occhi.
Il moro deglutì restando immobile. Non aveva abbastanza energie per allontanarsi nel caso Lisayne avesse deciso di colpirlo, e nonostante avesse il Ferro dello Stige in mano sapeva di essere troppo lento. «Sei davvero sicura di voler rimanere qui per l’eternità?» Chiese con calma.
«Questo è il luogo in cui ho sempre vissuto!» Gracchiò facendosi forza per rispondere «Ho sempre obbedito al padrone!»
«Non sei mai uscita… devi vedere il mondo! Puoi venire con me, con noi.»
Lisayne lentamente abbassò l’arco, e Nico fece un passetto in avanti. «Se tu mi aiuti, io aiuterò te. Lasciami andare e dimmi chi è il tuo padrone.»
«I-Io… voglio vedere il mondo esterno.»
Il figlio di Ade accennò un sorriso. Si avvicinò ancora. Ormai si distanziavano di neanche una decina di centimetri. «Dammi le chiavi… per favore.»
L’arpia annuì tremante. Nico sospirò senza smettere di guardarla negli occhi. Era convinto di aver spezzato il controllo che il suo padrone, chiunque fosse, esercitava su di lei. La guardò negli occhi lucidi fino a che, con un guizzo, essi tornarono spietati come prima.
Mentre un grido di diniego squarciava l’aria e gli artigli della ragazza gli arpionavano il fianco, Nico ruotò fulmineo il braccio e con un unico, deciso colpo, trafisse il ventre di Lisayne e la fece diventare un mucchietto di polvere. Ne pescò una grossa chiave decorata, poi cadde in ginocchio.
Era convinto… era convinto di aver vinto. Credeva di aver appena acquistato un alleato. Si portò le mani al viso mentre riprendeva fiato, disteso scompostamente per terra con le orecchie in allerta. Chissà… magari un giretto nel Tartaro l’avrebbe aiutata a cambiare visione.
Dopo appena un paio di minuti, decise che non valeva la pensa riposare. Se Lisayne aveva detto il vero, allora nell’altra stanza lo aspettava una prova psichica. Si alzò e inserì la chiave nella toppa con le mani tremanti.
Non appena si aprì di uno spiraglio, la porta rivelò una stanza buia, con il pavimento talmente nero da sembrare un baratro. Nico avanzò di qualche passo. Non fece in tempo a registrare altri dettagli perché cadde di nuovo in ginocchio, la vista appannata.
Il dolore alla spalla e alla gamba si fece più intenso che mai, e neanche si accorse di aver poggiato la testa per terra. Chiuse gli occhi, e sprofondò in un sogno lucido.
 
Era disteso a terra. Il pavimento di pietra incrostata di muschio e muffa sembrava tremare. Lentamente si alzò in piedi, ma ogni movimento era una fitta di dolore insostenibile.
Una dolce gelida eppure affascinante gli rimbombò nelle orecchie: «Non ti arrendi mai, eh Nico?»
Il ragazzo non rispose. Probabilmente non aveva le forze per farlo.
«Continui a combattere nonostante tutto..» commentò la voce con velata ilarità. «Eppure ci sono nemici che non sai sconfiggere, vero?»
Sentì uno spostamento d’aria dietro di lui. Si voltò, e la figura imponente di Cupido affiancato da Ed gli riempì la vista.
«Non importa se ho perso in passato» ringhiò con un filo di voce «la prossima volta vincerò.»
«La prossima volta sia già cosa succederà.»
Ma Nico si decise a non ascoltarlo. Si voltò a destra e a sinistra, stringendo gli occhi per il dolore. Era quella la prova psichica? Sconfiggere due nemici che non era riuscito a battere nella vita reale?
Il figlio di Ade chiuse gli occhi. Era pur sempre un sogno, no? Ormai era in grado di cambiare sogni abbastanza facilmente. Visualizzò sé stesso allontanarsi da quella dimensione, ma il processo fallì.
Era come legato a quel sogno da qualcosa; si guardò intorno, perché sentiva che di qualunque entità si trattasse aveva un’eccezionale energia, e dopo pochi secondi individuò un luccichio.
La metà strofa della profezia si trovava chiaramente nel sogno, appena dietro le spalle di Cupido e Ed.
 
 
 
 
 
***Angolo dell’Autrice***
Innanzitutto, MI DISPIACE.
Sono semplicemente desolata di avervi fatto aspettare così tanto a lungo; non immaginavo un simile blocco d’ispirazione, tra l’altro affiancato da allenamenti ed impegni vari, e mi sono trovata dopo un mese dall’ultimo aggiornamento ad aver scritto sì e no dieci righe.
Come se non bastasse, il capitolo è più corto del solito, ma spero che almeno per questo sarete comprensivi: ho approfittato di quest’ultima settimana in cui ero ammalata per terminare il capitolo, ed è stato già faticoso arrivare fino a qui. Se avessi prolungato ancora di più, avrei finito per pubblicarlo a giugno.
In quanto a novità, ne ho un paio: innanzitutto, immagino abbiate notato il cambio di font. Spero vi piaccia perché ho passato buona parte di ieri sera a cercare di capire come si cambia. La mia preoccupazione era principalmente riguardo al fatto che, dato che i capitoli sono piuttosto lunghi, mi sembra faticoso leggerli con un carattere piccolo come quello che c’era fino a ieri (o forse sono soltanto io con la mia miopia spaventosa, non so), e ho voluto provare questo cambiamento. Fatemi sapere se vi è piaciuto o se avete altri consigli!
Inoltre, come potrete facilmente intuire, temo che anche per i prossimi capitoli (e non parlo solo dei prossimi due o tre) il periodo di aggiornamento sarà più lungo delle 2 settimane circa che avevo cercato di rispettare fino alla volta scorsa; ovviamente cercherò di fare del mio meglio, e le vacanze di Pasqua saranno dalla mia parte, ma intanto volevo avvisarvi: insomma, potreste aspettare a lungo, anche se mi auguro mai più come avete fatto per questo capitolo, ma sappiate che non ho intenzione di abbandonare la storia, e mi dispiace se qualcuno ha creduto che fosse andata così.
Mi scuso ancora, in particolare con Giorgia che mi vede ogni giorno a scuola e che si sarà chiesta cosa diavolo stessi facendo invece di scrivere (a mia discolpa, cara, mi hanno distratto gli icosaedri), e con tutti voi che leggete, che mettete tra le seguite, ricordate, o semplicemente leggete questa storia.
Alla prossima, sperando davvero sia fra poco,
_Kalika_
 
   
 
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