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Autore: Corydona    28/03/2018    0 recensioni
Come in una partita a scacchi, due fazioni si ritrovano schierate l'una contro l'altra, pronte a dichiararsi una guerra che entrambe non vorrebbero. Da un lato gli Autunno, la cui potenza sembra inarrestabile, dall'altra i Primavera-Inverno, che possono contare su un'influenza senza eguali.
Una situazione di apparente stasi: apparente, perché nell'ombra i sovrani cadono e le successioni al trono sembrano più complicate del previsto. La guerra sarà dichiarata? Termineranno i regicidi? Quale delle due parti avrà la meglio?
Un'antica profezia annuncia la disfatta degli Autunno: si realizzerà? O rimarranno solo vaneggiamenti di un passato caduto nell'oblio?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Selenia '
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Capitolo revisionato

L'insegna della Quercia notturna era colpita dagli sbiechi raggi del tramonto quando Erik vi giunse insieme a uno stremato Peves. La locanda sorgeva al limitare di un querceto, al confine tra Cmune, Dzsaco, Defi e Pogudfo. L'Inverno lanciò un'occhiata rapida alla boscaglia con un sospiro: forse tornare lì non era stata una buona idea, ma era troppo tardi per cercare un altro luogo per riposare.

Gli venne incontro l'oste, con il quale il principe aveva avuto modo di familiarizzare in altre occasioni, pur mantenendo una debita distanza; Erik gli disse di aver bisogno di una stanza per la notte, e quello annuì, servizievole. Dapprima l'uomo lo accompagnò nella stalla, dove Peves avrebbe riposato, poi gli fece largo all'interno della locanda.

Le chiacchiere colmavano un'aria già satura degli aromi di cibi variamente preparati. Le tavolate erano occupate e solo facendosi largo tra gli avventori, l'oste poté guidare il nobile tra mercanti che parlavano di affari, viaggiatori al crocevia e boccali di birra pieni fino all'orlo che sbattevano tra loro, augurio di buona fortuna o solo di una felice serata.

La locandiera portava vassoi colmi di pietanze ma, non appena scorse il principe, accennò al marito un tavolo libero e in disparte dove far prendere posto all'illustre ospite.

Erik si sedette e attese pazientemente che la donna arrivasse da lui dopo aver consegnato dei piatti fumanti. Si beò del profumo invitante della zuppa, che molti sembravano gradire con schiamazzi fastidiosi.

Quando l'ostessa fu finalmente libera degli ultimi piatti, si avvicinò all'Inverno con un sorriso.

«Avete qualche preferenza per la cena?» gli chiese.

Il principe di Defi rispose a quel sorriso con gentilezza, nascondendo la stanchezza per il viaggio appena intrapreso. «Qualsiasi cosa che sia calda andrà benissimo.»

«Siete molto provato? Siete passato da qui due giorni fa!» commentò la donna, pulendo velocemente la superficie di legno con un panno umido.

«Sono distrutto, ma è mio dovere, quindi posso sopportarlo» le spiegò Erik con un sorriso di cortesia. Non aveva intenzione di discutere dei motivi per cui non si era trattenuto di più a Mitreluvui.

L'ostessa lo salutò con un'occhiata benevola, prima di allontanarsi. Lui la seguì con lo sguardo e la vide raggiungere due giovani che chiacchieravano, poco distanti dalla porta che conduceva alle cucine. L'Inverno riconobbe nella ragazza la figlia dei locandieri, Susanna, ma non aveva idea di chi fosse lo sconosciuto con cui parlava. La madre disse qualche parola alla figlia che, roteando platealmente gli occhi, scortò l'altro attraverso i tavoli.

Erik sospirò nello spiare di sottecchi il profilo elegante di Susanna muoversi con grazia. Se cercava un modo di distrarsi e non pensare ai suoi problemi, lei era una maniera molto attraente per distrarsi; tuttavia c'era qualcosa nel suo portamento che lo stregava, molto più di quanto gli fosse mai accaduto con altre popolane.

Solo guardarla gli permetteva di dimenticare il pugnale di Ariel, le scuse da poter utilizzare con i genitori per la fuga non prevista nel Pecama, il mistero della morte di Guglielmo Lotnevi...

Si stropicciò gli occhi con le mani. Che scusa avrebbe escogitato? In che modo i sovrani di Defi non avrebbero pensato a una sua ostinata ribellione, come quella che invece sua sorella sembrava ben decisa a portare avanti? Era davvero necessario informarli della sua posizione e dei suoi futuri spostamenti? Scosse appena la testa, come conversando tacitamente tra sé e sé: mettere al corrente Alcina e Tancredi gli avrebbe solo portato altri problemi; era meglio condurre le sue indagini segrete e agire solo una volta scoperto qualcosa di concreto.

«Permettete che lui si sieda con voi?» gli chiese una voce dolce, che lui identificò all'istante.

Scostò le mani dal visto e annuì imbambolato, mentre Susanna faceva cenno all'altro giovane di sedersi di fronte al principe. Erik notò immediatamente il mantello logoro e di povera fattura di quello sconosciuto e solo l'idea che la giovane locandiera potesse avere una relazione con lui gli provocò una sensazione strana. Si guardò attorno, quasi infastidito, ma tutti gli altri tavoli erano occupati e il ragazzo non aveva dove sedersi, per cui a malincuore dovette annuire. Intravide l'ostessa intimare alcuni mercanti di non esporre le loro merci con una severità tale che anche lui avrebbe raccolto i propri averi per poi allontanarsi.

Susanna si allontanò, lasciando soli i due. Il principe approfittò della vicinanza per scrutare l'altro, che si toglieva il logoro mantello da viaggio e lo ripiegava, prima di posarlo sulla panca di legno. Qualche ruga gli solcava la fronte, indice di una profonda stanchezza, non di un'età avanzata. Sapeva di dover essere il primo a parlare, perché nessun popolano con cui non aveva neanche un briciolo di confidenza si sarebbe permesso di rivolgergli la parola. Dunque, non appena quello ebbe preso posto, gli porse la mano con un gesto amichevole.

«Erik Inverno» disse soltanto. Non aveva voglia di elencare tutti i titoli della sua famiglia: solitamente era sufficiente pronunciare il proprio cognome per comunicare tutto quello che avrebbe seguito in una presentazione formale; con un altro nobile, il suo comportamento sarebbe stato molto differente.

«Gaetano Dogli» rispose lui, ricambiando la stretta di mano. Una stretta ruvida, come Erik poté notare, con la mano segnata dalla fatica. L'umile origine di quel Gaetano gli era chiara già da qualche minuto, ma non riusciva a carpire altro. Tenere i sensi in allerta era per lui un'utile pratica, anche se molto più fruttuosa con i cortigiani, che celavano maldestramente molti segreti.

Il popolano non disse altro, suscitando una buona impressione in Erik, che non amava i chiacchieroni. Tuttavia c'era dell'altro a incuriosirlo: una strana sensazione, come se avesse trovato qualcuno il cui destino era collegato al suo.

«Siete del Defi?» gli domandò.

«No, mio signore, vengo dalla campagna a sud di Tisle» gli spiegò Gaetano, atono. Avrebbe potuto rimanere sul vago, limitarsi a fare un cenno di diniego con il capo: Erik considerò un atto di coraggio quella precisione.

«Pogudfo» commentò. «Lì regna l'anarchia.»

«Siamo senza sovrani, ma non per questo senza » ribatté l'altro, pacato. «L'urgenza spinge tutti a fare il proprio dovere.»

Il nobile apprezzò quella difesa della propria terra: pur trattandosi di un campagnolo, aveva una buona capacità di parola. «E in caso di attacco, come fareste?»

Gaetano scrollò le spalle. «Ci sono diverse compagnie di mercenari, ci metteremmo a loro disposizione per organizzare le difese, immagino.»

Nonostante la giovane età e nonostante il ceto sociale, aveva le idee abbastanza chiare, constatò Erik lasciandosi sfuggire un sorriso. «Potrebbe essere una buona idea.»

Il giovane sorrise, come rincuorato dall'approvazione del principe, e non fece più parola, come immerso nei propri pensieri e desideroso di non disturbarlo. L'Inverno lo ebbe in simpatia per quella discrezione: in passato gli era capitato di essere importunato da popolani che gli domandavano un'opinione su qualsiasi futilità: ricordava con fastidio come un commerciante aveva insistito per parlare con lui dei flussi commerciali a cui i De Ghiacci erano costretti... Come se lui avesse avuto voce in capitolo nelle faccende altrui!

Tuttavia c'era qualcosa che andava oltre la simpatia: gli sembrava di veder l'aria vibrare intorno al ragazzo che gli sedeva di fronte, come se lo guardasse attraverso il vetro di un bicchiere. Provò a distogliere lo sguardo e a riportarlo sul giovane, ma quell'impressione non svaniva.

Allontanò il pensiero quando scorse Susanna riapparire dalla porta delle cucine. La fanciulla si rivolse subito nella loro direzione, portando un vassoio con due piatti di zuppa fumante. Il suo incedere sinuoso ed elegante non passava inosservato tra gli avventori, che subito si voltarono a guardarla volteggiare tra i tavoli, ballerina meravigliosa di uno spettacolo riservato ai viandanti. Non si curava di loro, la locandiera: i suoi occhi di mare erano concentrati esclusivamente sulla meta, su quel tavolo a cui sedevano, in un accostamento bizzarro, un principe e un contadino. Posò il vassoio davanti ad Erik, a cui porse il primo piatto fumante insieme a un cucchiaio di rame. Dopo aver fatto lo stesso con l'altro, si sedette al fianco del nobile.

«Mi sarebbe bastato qualcosa di meno elaborato» commentò Gaetano. «Non so se potrò pagarti...»

«Era già pronta» gli sorrise lei. «Non puoi rimanere a digiuno. Considerala inclusa nel pernottamento.»

Il popolano, titubante, lanciò uno sguardo all'Inverno, che aveva sin da subito impugnato la posata e iniziato a trangugiare la pietanza calda. Superò il suo lieve imbarazzo e fece tintinnare anche lui il cucchiaio contro il coccio del piatto.

«Allora è vero quello che si dice?» mormorò Susanna ad Erik. «Che re Guglielmo è stato assassinato?»

Il principe di Defi posò il cucchiaio nel piatto. Mal sopportava di essere interrotto durante i pasti e ancor meno lo sopportò in quel momento, nonostante fosse stata proprio la bella locandiera a parlargli, poiché era coinvolto nella ricerca dell'uccisore del re.

Fece un lieve cenno di assenso con il capo, sperando che la fanciulla capisse il suo desiderio di mangiare in silenzio. La scorse con la coda dell'occhio guardare l'altro giovane al tavolo, smaniosa di fare conversazione.

«Chiara ha un mezzo per andare nel Pecama, vero?»

Al sentir nominare la sua stessa destinazione, Erik tese le orecchie: non aveva idea di chi stessero parlando, ma che qualcuno fuggisse dal continente diretto verso l'isola meridionale lo mise in allerta; che avesse a che fare con la morte di Guglielmo?

«Abbiamo trovato un modo» rispose Gaetano evasivo. Guardò il principe e riempì il cucchiaio, prima di aggiungere: «La paura che Raissa Autunno la trovi lo stesso c'è.»

L'Inverno strabuzzò gli occhi a quelle parole: se Susanna voleva fare in modo da catturare la sua attenzione, c'era riuscita. Scambiò uno sguardo con il popolano di fronte a sé e scoprì di essere ricambiato. La strana sensazione che aveva provato prima, di vedere l'aria agitarsi intorno a lui, non era ancora svanita.

Non era certo di comprendere cosa stava avvenendo: per un momento gli parve di non essere più lì, ma in un altro luogo, senza colore né tempo, avvolto in un nulla in cui solo la figura cupa dell'altro era presente. Si rispecchiò negli occhi scuri dell'altro, come due pozzi riflettenti ed ebbe la percezione che anche quello potesse rivedersi nei suoi, di ghiaccio. Durò solo un istante, ma quel breve e straordinario evento lo lasciò confuso: cosa era successo?

«Può davvero trovarla?» chiese Susanna, interrompendo l'incanto.

Gaetano scrollò le spalle. Lanciò di nuovo un'occhiata ad Erik, prima di rispondere. «Non lo so. Potrebbe cercarla, visto che è l'erede al trono del regno delle Foglie Cadute... Non sappiamo cosa ha in mente, non lo sa nessuno: è questo che mi spaventa.»

Erik trattenne il respiro. Parlavano della figlia dei sovrani Delle Foglie? Il re e la regina erano morti solo alcune settimane prima e, nonostante sapesse che avessero un'erede, non aveva idea che ne avrebbe sentito parlare alla Quercia notturna, né che sarebbe stato proprio un contadino a preoccuparsi tanto per lei!

Se il re e la regina Delle Foglie avevano allontanato la figlia, era stato di certo per metterla al riparo dalla situazione pericolosa del regno, i cui sudditi erano in continua guerriglia con quelli del regno limitrofo. Un'ottima decisione, anche se al sud attendevano da tempo che la principessa giungesse, tanto che qualcuno aveva iniziato a pensare che fosse stata uccisa anche lei.

«Sta andando da sola?» chiese preoccupata Susanna.

«No, c'è qualcuno che la accompagna» rispose Gaetano scrollando di nuovo le spalle.
La ragazza abbozzò un sorrisetto: «Sei geloso?»

«Non è questione di gelosia» disse lui seriamente. «Sono solo in pensiero, anche se mi fido di Claudio. Se lui ha detto che ci si può fidare, io ci credo.»

«Non poteva andarci lui?»

«Claudio? Ma sei matta? Vuoi proprio che venga ammazzata?» esclamò il giovane, rosso in viso. «Riesce a malapena a badare a sé stesso e si mette nei guai anche così!»

«Ti ho chiesto perché lo conosco appena» ribatté Susanna, affatto in difficoltà per quel piccolo accesso d'ira dell'amico.

La loro conversazione venne interrotta da un uomo sulla cinquantina che fece a Susanna un volgare complimento e che le chiese come avrebbe passato la notte.

«Ringrazia che mio padre non sia qui» sibilò la locandiera. Guardò i due giovani, turbati molto più di lei dalla presenza di quell'avventore.

Erik provò una strana sensazione, come se fosse stato lui a ricevere l'offesa.

«Vieni spesso trattata così?» le chiese con uno strano tono di voce, cercando di risultare allo stesso tempo indifferente, sprezzante e preoccupato.

«Generalmente no, ma a volte succede »rispose lei con una smorfia. L'oste la apostrofò da lontano per richiamarla al lavoro, dopo avere concesso quella breve pausa. Susanna si alzò senza neanche dire una parola e cercò di non avvicinarsi all'uomo di prima ritornando nelle cucine.

L'Inverno terminò di mangiare in silenzio, mentre il contadino fissava pensieroso il proprio piatto, ancora quasi pieno, con il suono di chiacchiere e tintinnii di posate metalliche nei piatti di terracotta in sottofondo. Il principe posò il cucchiaio, sazio e soddisfatto per la cena, sebbene frugale e molto diversa da quella che gli sarebbe stata servita in qualsiasi corte.

Erik guardò Gaetano e vi intravide un barlume di preoccupazione sincera, sebbene quello fosse immerso nei propri pensieri. Fu sul punto di offrirsi per accompagnare quella Chiara, di cui aveva sentito parlare poco prima. Se si trattava dell'erede al trono dei Delle Foglie e se era in pericolo, era giusto occuparsene. Così gli aveva insegnato il padre, poiché dalle sue azioni poteva dipendere il destino di altri.

Ricordò che era stata nominata Raissa, ma cercò di allontanare quel pensiero: che interesse poteva avere lei per Chiara Delle Foglie? Sospirò, tuttavia constatando che nei piani della figlia mediana degli Autunno poteva esserci conquistare qualche territorio limitrofo a quelli della famiglia, per rinforzare l'esercito così come aveva già fatto nel continente, con Lisse, Loavi e Ralini.

I suoi ragionamenti furono interrotti dall'arrivo dell'oste, che gli comunicò che la stanza era pronta, se desiderava coricarsi. L'illustre ospite annuì e salutò con un'occhiata il popolano, che ancora trangugiava la zuppa, ricambiato con quello che sembrava un sorriso appena accennato.
Erik non disse niente, ma lo scrutò con attenzione. Ricordava in maniera sbiadita quello che era accaduto poco prima: gli era rimasta memoria solo dei contorni sbiaditi che avevano avvolto il contadino ai suoi primi sguardi.

Si riscosse dai suoi pensieri, e seguì il padrone della locanda fino al lato opposto, dove si trovavano le scale, mentre nel salone molti ancora cenavano, con altri che si intrattenevano in fragorose chiacchiere. Pur senza fare riferimento a quanto aveva detto qualche minuto prima, domandò se l'uomo che aveva importunato Susanna avrebbe trascorso lì la notte, indicandolo con un cenno del capo.

Alla risposta negativa dell'oste tirò un impercettibile sospiro di sollievo e salì al piano superiore.

Le camere della locanda erano poche, ed Erik si stupì che ce ne fosse una disponibile con un così breve preavviso; ancora di più quando scoprì che era la stessa in cui aveva alloggiato due notti prima. Spoglia, con un mobiletto in cui poter riporre i propri effetti personali prima della partenza, la finestra che affacciava sul querceto adiacente priva di imposte, ma ricoperta da tendaggi pesanti, logori ma puliti. Il letto era stato rifatto e le lenzuola chiare profumavano di bucato: immaginò la figura di Susanna intenta a stendere nel cortile dietro la locanda, con i panni che si sollevavano al soffio del vento, e a quelle lenzuola che tanto avevano visto, ma che tanto avrebbero taciuto, su quella notte.

Una notte da dimenticare, pensò tra sé e sé.

L'Inverno si tolse il mantello da viaggio, che aveva indossato per tutto il tempo e controllò che il pugnale di Ariel fosse ancora lì: dapprima tastò la tasca in cui era nascosto, poi vi sbirciò all'interno. L'impugnatura di legno, finemente intagliata, sembrava gridargli contro che era impossibile che si trattasse dello stesso pugnale della giovane Dal Mare. Quella conchiglia stilizzata era una prova troppo schiacciante, che la principessa non avrebbe mai lasciato incustodita: non era affatto una sprovveduta.

Ancora una volta il corso delle sue riflessioni fu interrotto, questa volta dal suono di nocche alla porta. Piegò il mantello, in modo da nascondere ciò che vi custodiva, e lo lasciò sul mobiletto, prima di aprire.

Non si sorprese quando vide Susanna, con i suoi occhi chiari e le ciglia lunghe, con quel sorriso incantevole sul volto dalla carnagione di porcellana, con la sua grazia che la faceva apparire più nobile di tante dame dal sangue blu.

Il principe le fece cenno di entrare allargando il braccio sinistro, tuttavia senza troppo entusiasmo. Cercava di evitare il suo sguardo, sbirciandola a malapena con la coda dell'occhio.

«Erik, quello che è successo...» iniziò a dire la figlia dei locandieri.

«Non vorrei che per te avesse significato qualcosa» la interruppe lui. La sua voce suonava calma, quasi fredda. Provò ad ammorbidirsi indicandole di sedersi sul letto, ma non poté evitare di vedere il suo volto intristito.

La giovane prese posto sul materasso, il più confortevole tra quelli per gli ospiti, e accarezzò le coperte leggere che lo coprivano. Aveva compreso quali sarebbero state le sue prossime parole.

«Non so perché l'ho fatto» proseguì Erik. «È stato un momento di debolezza che non riesco a spiegarmi.»

Susanna non disse nulla, perché era evidente che lei la pensava molto diversamente. Cercò la mano di lui sulla trapunta, ma poi ritrasse la sua: non osava sfiorarlo, non più. Si era accorta dell'indifferenza del principe nei suoi confronti, poco prima, ma si era convinta che fosse a causa dell'assenza di intimità. Aveva pensato che Erik non volesse far sapere nulla di loro, almeno per il momento; e lei ne comprendeva le ragioni.

Tuttavia quelle parole la costringevano a prendere atto della realtà: gli occhi di ghiaccio del futuro re dell'Inverno mostravano che il suo cuore era della stessa natura. Se le aveva permesso di chiamarlo per nome, di sognare che quella notte potesse avere un futuro, era stato solo per un basso desiderio. Susanna non si aspettava che lui la conducesse lontano da quella vita, ma almeno che l'avesse, questo sì.

E invece no. Invece Erik rimaneva seduto sul bordo del letto, con lo sguardo fermo su di lei, come se cercasse di dirle senza parlare che non l'amava e che non avrebbe mai potuto.

Il nobile continuò a tacere, cercando di trovare le parole adatte per non dire che la condizione sociale della ragazza era un ostacolo che lui non avrebbe mai potuto superare. Sapeva di non poter sposare nessuna donna che non fosse di sangue blu, per questo aveva imparato a non legarsi sentimentalmente a nessuna delle sue conoscenze. Aveva cercato di tenersi lontano il più possibile da Susanna, proprio quando la sua bellezza e la sua dolcezza lo stavano catturando. La notte passata con lei era da dimenticare, non potendo cancellarla. Non poteva spiegarle tutto questo, non aveva intenzione di ferirla, non voleva che lei lo odiasse.

La fanciulla, tuttavia, non riusciva a odiarlo. Immobile, guardava il pavimento di pietra e tutte le parole che aveva pensato di dirgli non appena lo avesse rivisto scivolavano via dalla sua memoria.

«Susanna, mi dispiace» mormorò Erik a un tratto, interrompendo quel lungo silenzio in cui erano sprofondati.

«Tutto qui?» chiese lei. «Ti dispiace?»

Il principe arrossì: non si era mai vergognato tanto in tutta la sua vita.

La fanciulla alzò lo sguardo e lo puntò negli occhi di lui. «Ti dispiace?» ripeté.

«È quello che ho detto. Susanna, io non voglio averti illusa, vorrei che ieri notte non fosse accaduto niente, ma invece...»

Inaspettatamente, lei lo baciò. E lui rispose al suo bacio. Non provo nemmeno ad allontanarla come aveva pensato di fare in un primo momento: nonostante tutto, trovava piacevole averla vicino, anche se era combattuto. La trovava attraente, ma non la amava, non l'amava affatto.

Susanna si allontanò dalle sue labbra, si alzò in piedi e disse: «Qui ci sarà sempre un posto per te, qualsiasi cosa accada.»

Erik non ebbe il tempo di dire nulla, perché la giovane locandiera uscì velocemente dalla camera, lasciandolo solo. Decise che quella sarebbe stata la sua ultima notte lì.

 

(Ultima revisione: 09/04/2020)

   
 
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