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Autore: Ode To Joy    30/03/2018    3 recensioni
REWRITING in Progress
[Kageyama x Hinata]
[Iwaizumi x Oikawa]
[Daichi x Suga]
"Ti racconto una cosa: quando un corvo riesce a trovare il proprio compagno gli rimane accanto per tutta la vita."
In un mondo la cui storia è scritta da continui giochi di potere tra principi e re, due regni continuano a scontrarsi senza che vi sia mai un vincitore.
"C'è una lezione che non devi mai dimenticare: un Re che decide di combattere da solo, è un Re sconfitto in partenza."
In un mondo in cui si può solo perdere o vincere tutto, alle volte è utile ricordare che anche il più grande avversario può divenire il più forte degli alleati.
"Alla fine, il Re più potente è sempre quello con a fianco più compagni disposti a seguirlo fino alla fine."
[Medieval+Fantasy -AU]
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Koushi Sugawara, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Raven Crown '
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​Di persiane chiuse e bandierine colorate




La risolutezza del Principe dell’Aquila durò meno di mezza giornata.

Non riusciva a togliersi dalla testa la conversazione di cui era stato l’involontario testimone. Aveva tenuto gli occhi chiusi per tutto il tempo, eppure gli sembrava di avere quella scena impressa a fuoco dietro le palpebre. Se provava ad addormentarsi, poteva vedere Shouyou e Tobio tanto vicini l’uno all’altro da non lasciare alcun dubbio sul tipo di legame che c’era tra loro.

Tsutomu incrociò le braccia dietro la testa e fissò il soffitto del granaio come se fosse un cielo stellato. Accanto a lui, Satori russava da qualche ora.

Il Principe non poteva parlare con lui di Shouyou e Tobio, a meno che non fosse pronto ad ascoltare un lungo discorso beffardo da parte del Cavaliere, su come il suo primo amore era finito ancor prima di essere vissuto. Tsutomu non provava nulla per Shouyou e non tollerava che chiunque affermasse il contrario.

Il Principe dei Corvi era stato l’unico fanciullo del Castello Nero ad aver cercato apertamente la sua amicizia, ma Tsutomu non aveva dato alcun valore alla sua gentilezza. Ne era rimasto sorpreso, certo ma Shouyou si era dimostrato un animo gentile per natura e non c’era nulla di speciale nei sorrisi amichevoli che gli rivolgeva.

Con Tobio, invece, tutto era diverso. C’era qualcosa tra loro, qualcosa che il Principe dell’Aquila non avrebbe mai avuto.

Aaaaaah!” Urlò, tirandosi i capelli per la frustrazione.

Satori saltò a sedere e sfoderò la sua spada in un battito di ciglia. “Che cosa succede?” Ringhiò, guardandosi intorno. “Che cosa c’è, Tsutomu?”

Il Principe si coprì il viso con le mani e non rispose. Il Cavaliere impiegò un solo istante per rendersi conto che non c’era alcun pericolo di morte nelle vicinanze, solo un adolescente in preda al delirio. “Tsutomu…” Rifoderò la spada.

“No!” Sbottò il fanciullo.

“No?” Satori si sporse verso il suo giaciglio e gli strattonò il braccio per obbligarlo ad uscire allo scoperto. “Non puoi urlare come un folle nel cuore della notte e poi pretendere di non dare spiegazioni!”

Tsutomu si liberò dalla stretta e si girò su di un fianco. “Lasciami in pace!”

Satori sospirò e rilassò le spalle. “Un giorno capirò da chi hai ereditato questo carattere chiassoso!” Esclamò. “Tua madre non stava agli scherzi ed era silenzioso per la maggior parte del tempo. Sorvoliamo su Wakatoshi…”

“Non voglio sentirti parlare dei miei genitori,” si lagnò Tsutomu, si premette le mani contro le orecchie. Non gli piaceva quando lo paragonavano a loro: fin da bambino, si era sentito in dovere di dimostrare di essere all’altezza di qualcuno e a quasi quattordici anni sapeva di non essere degno di nessuno dei due.

Era amato, certo ma quell’amore cominciava a non essere più abbastanza.

“Che cosa ti ha infastidito?” Domandò Satori con pazienza. “Sei stato tutto il giorno con il Principe Demone ed il Principe dei Corvi. Hai litigato di nuovo con Tobio?”

“Stupido…” Borbottò Tsutomu fissando il mucchio di fieno accanto al suo giaciglio. Litigare con Tobio non lo faceva stare male. Era sempre avere la peggio che lo feriva, sentirsi inferiore a lui e sapere che nonostante quell’orribile personalità che si ritrovava, aveva trovato qualcuno a cui affidare il suo cuore.

“Ehi!” Satori lo afferrò per la spalla spazientito. “Sei un moccioso, ne prendo atto, ma sono stufo del tuo atteggiamento!”

Tsutomu si guardò bene dal ribellarsi ancora al Cavaliere. Era testardo come un mulo ma sapeva quando era meglio smettere di tirare la corda. “Sono arrabbiato.”

Satori si passò una mano tra i capelli già ribelli per natura. “Questo lo vedo da me, ragazzino.”

“Sono arrabbiato col mondo intero!”

“Rilassati,” gli consigliò il Cavaliere. “È l’età. Anche se ho il presentimento che sarai una spina nel fianco anche quando avrai l’età di tuo padre.”

“La pianti di offendere?”

“Dammi una buona ragione per rispettarti,” disse Satori. “Fai ordine tra i tuoi pensieri e cerca di capire la causa che ha scatenato il tuo malumore. Non tirerò ad indovinare. Con tuo padre è già abbastanza difficile e ho dovuto combattere coi suoi silenzi per tutta la vita. Dammi una tregua almeno tu!”

Tsutomu si sollevò a sedere e si strinse le ginocchia al petto. Teneva lo sguardo basso e le labbra imbronciate. “Come si sono innamorati mio padre e mia madre?”

Satori inarcò le sopracciglia. “Hai battuto la testa, ragazzino?”

Il Principe dell’Aquila gli lanciò un’occhiata tagliente. “Non puoi rispondere e basta?”

“Tsutomu…” Preso in contropiede, il Cavaliere si guardò intorno ma le pareti di pietra non gli suggerirono le parole giuste da dire. “Cosa vuoi che ne sappia?” Concluse frustrato. “Siamo cresciuti tutti insieme e tra Wakashito ed Eita è successo.”

Tsutomu si prese il labbro inferiore tra i denti. “E cosa è accaduto tra mio padre e Kenjirou?”

Satori sbuffò e si chiese perchè era lui ad affrontare quella discussione e non il Re dell’Aquila. “Quella è stata una cosa diversa.” Non aveva alcun diritto di dirlo. “Esistono tipi di amore diverso, Tsutomu.”

“Un amante non si dovrebbe amare allo stesso modo?” Domandò il Principe dell’Aquila.

“Non necessariamente,” disse il Cavaliere. “La storia dei tuoi genitori è diversa da quella di Kenjirou. Perchè queste domande, ragazzino?”

Perchè sono custode di un segreto, avrebbe voluto dire Tsutomu. Anzi, due…

Tuttavia, la cattiveria e la corsa verso il potere non avevano ancora imbruttito l’animo del Principe dell’Aquila e non tradì il giuramente che aveva fatto a due suoi pari. Sì, era un ragazzino arrabbiato col mondo ma si stava rendendo conto che non sapeva più chi biasimare per la sua debolezza.

“Niente…” Rispose e si coricò nuovamente sul suo giaciglio, gli occhi chiari rivolti alla parete ancora una volta. “Sono solo arrabbiato.”

Satori non ci credette ma era troppo stanco per assediare il muro del silenzio che il suo Principe aveva eretto. Tsutomu non era capace di restare da solo con i suoi pensieri per troppo tempo. Il Cavaliere decise che gli avrebbe dato il suo spazio, certo che prima o poi sarebbe stato il ragazzino a vuotare il sacco.

“Buona notte, Tsutomu,” concluse. Si riaddormentò in pochi minuti.

Il Principe dell’Aquila, invece, non chiuse occhio per tutta la notte.

 
***



Hajime uscì dalla locanda alle prime luci dell’alba.

A quell’ora, soltanto le guardie di pattuglia camminavano per le strade della Capitale di Seijou. Il Princo Cavaliere ne incontrò un paio, queste lo salutarono con rispetto e continuarono il loro giro senza fare domande. Con gran sollievo di Hajime, non incontrò nessuno abbastanza vecchio d’aver fatto l’addestramento con lui: non era davvero dell’umore per fare una chiacchierata alle prime luci del giorno.

I suoi pensieri, tuttavia, non sembravano curarsi dell’ora o del fatto che non fosse riuscito a dormire un solo minuto nel letto sconosciuto in cui aveva passato la notte. Aveva provato a svignarsela come un ladro dopo aver commesso un furto, ma la donna che gli aveva dormito accanto si era svegliata e gli aveva gentilmente offerto di restare fino alla colazione.

L’ombra di un sorriso era comparsa sul viso del Primo Cavaliere ma aveva rifiutato l’offerta e se ne era andato a testa bassa, come un codardo.

Non riuscì ad essere tanto maligno da andare nella sua stanza e fingere di non aver commesso l’azione più bassa della sua vita. Sapeva che Tooru lo stava aspettando.

Salì le scale che conducevano agli appartamenti reali velocemente. Le guardie poste davanti all’ingresso non esitarono a farlo passare. Hajime non era un nobile e non aveva permesso a Tooru d’investirlo del titolo necessario per essere il consorte di un sovrano, ma era un signore all’interno del Castello Nero.

Se avesse voluto, avrebbe potuto fare del male al Re Demone e farla franca.

Se solo avesse voluto…

Si fermò di fronte alle stanze di Tooru per un istante e pensò che lo aveva già fatto.

Il sovrano di Seijou si era addormentato sul divano di fronte al caminetto spento. Aveva ancora i vestiti da Cavaliere addosso e Hajime dedusse che era rimasto ad aspettarlo tutta la notte, fino a che la stanchezza non aveva preso il sopravvento. Arrivò di fronte alla figura addormentata e posò un ginocchio a terra. “Non hai dubitato nemmeno un istante che sarei venuto da te, eh?”

La parte peggiore di lui esultava, felice di avere ancora tutto quel potere sul Demone che aveva stretto in pugno la sua vita e gli aveva spezzato il cuore. Era solo un bisbiglio fastidioso rispetto alle urla del suo senso di colpa.

Passò una mano tra i capelli di Tooru, liberando il bel viso dalla frangia un po’ ribelle, arricciate sulle punte. Erano così eleganti rispetto alla matassa di ciuffi corvini che lui aveva sulla testa. Pur non essendo ricciuti come quelli di Tooru, i capelli di Tobio erano egualmente eleganti, sempre in ordine.

Alla sua carezza, Tooru trasalì nel sonno ma si calmò immediatamente: doveva aver riconosciuto la sua mano.

I grandi occhi scuri si aprirono lentamente e Hajime non allontanò le dita dai suoi capelli nemmeno quando si fissarono sui suoi.

“Hajime…” Chiamò Tooru, ancora intontito dal sonno. Si stiracchiò. “Il sole sta sorgendo…” Notò sorpreso, gli occhi rivolti alla finestra

Il Primo Cavaliere annuì. “Sì,” rispose distrattamente.

Tooru incrociò il suo sguardo ed accennò un sorriso. “Mi stai guardando, Hajime?” Era una domanda scherzosa, nulla di serio.

Tuttavia, l’intensità che rendeva più profondo il verde degli occhi del Cavaliere era sincera. “Ieri notte non mi sono presentato.”

Tooru inarcò le sopracciglia, poi ricordò ed annuì. “Siamo troppo vecchi per fare queste cose, eh?” Domandò, un sorriso gentile gli illuminò il volto. “Ti sei addormentato anche tu?”

Hajime fu codardo ancora una volta. “Sì…”

Il Re Demone allungò la mano e gli pizzicò il naso. Un gesto tenero, figlio di una confidenza che non avrebbe mai avuto con nessun altro. “Hai dormito con l’armatura?”

Hajime scosse la testa. “Quando mi sono svegliato, ho notato che il cielo si stava facendo chiaro e mi sei venuto in mente tu,” mentì, sedendosi sul pavimento, la schiena contro il divano. “Mi sono vestito in fretta per paura che fossi ancora sveglio ad aspettarmi.”

Nell’udire quelle parole premurose, Tooru sorrise. “Non cambierai mai, Hajime.” Sfiorò i capelli corvini sulla nuca del Cavaliere con la punta delle dita. Una carezza che non era una vera carezza. Stava tastando il terreno, Tooru. Non c’era una direzione verso cui voleva spingersi ma i confini tra lui ed il padre di suo figlio non erano definiti da anni: muoversi in punta di piedi l’uno intorno all’altro era divenuta un’abitudine poco piacevole.

Hajime sospirò e rilassò la schiena contro il bordo del divano, la sua nuca toccò il dorso della mano che lo aveva toccato e Tooru si chiese se era un caso o se stava rispondendo alla domanda che non aveva mai posto. Allungò le dita e fece un secondo tentativo.

Hajime continuò a guardare di fronte a sè, come se quella scena fosse completamente normale. “Volevo farti una proposta.”

“Dimmi,” gli concesse il Re Demone.

Hajime si voltò, ma la mano di Tooru rimase a riposare sulla sua nuca. “Andiamo da Tobio,” disse il Cavaliere. “Partiamo per le campagne di Seijou. Solo io e te, due cavalli e due sacche da viaggio.”

Le labbra di Tooru si piegarono in un sorriso nostalgico. “Come quando eravamo ragazzini.”

“Non c’è più nessuno al Castello Nero. Siamo solo io e te.”

Per un attimo, Tooru pensò che rifiutare quella proposta sarebbe stato più allettante che cavalcare incontro all’alba col suo Cavaliere.

Solo io e te.

Da quanto tempo non capitava? Chissà quanto ne sarebbe passato, prima che vi fosse di nuovo l’occasione?

Hajime lo guardava, in attesa. Tooru rifletté sulle sue possibilità e scelse quella che più aveva il sapore della libertà. “Va bene,” disse e si mise a sedere sul divano. “Dammi il tempo di mettere qualcosa di comodo e di recuperare qualcos’altro per il viaggio.”

Hajime rimase a sedere sul tappeto, mentre Tooru si alzava e faceva il giro del divano.

“Ti aspetto qui,” disse il Cavaliere.

Il Re Demone si voltò e camminò all’indietro per un paio di passi. “Mi mancava correre verso l’avventura con te,” confessò, prima di sparire oltre la porta della camera da letto.

Un angolo della bocca di Hajime si sollevò un poco ma non appena il ricordo della notte che aveva trascorso alla taverna tornò a toccarlo, la sua bocca divenne una linea netta, dura ed i suoi occhi verdi si fissarono sui ricambi del tappeto.

Sì, era davvero un codardo.

 

***




Fu un insistente martellare a svegliare Shouyou.

La cosa non lo irritò particolarmente: la stanza era calda ed era rimasto sospeso nel dormiveglia per troppo tempo. Si stiracchiò e fissò il soffitto bianco sopra il suo letto per il tempo necessario a svegliarsi completamente. Prima di alzarsi, si voltò verso la finestra che dava sul cortile interno: i raggi dorati del sole entravano attraverso le fessure della persiana, disegnando delle linee dorate sul pavimento di legno; il rumore martellante veniva da lì fuori, accompagnato da voci vivaci che conosceva bene.

Si alzò e saltellò verso la finestra. I lacci della camicia da notte si erano sciolti nel sonno e la stoffa bianca era scivolata giù da una spalla.

Il Principe dei Corvi aprì le persiane e dovette stringere gli occhi a causa della luce splendente che lo investì. Chinò la testa e sbatté la palpebre svariate volte, prima di riuscire a vedere quello che stava accadendo sotto la sua finestra.

Il cortile interno era stato sgombrato dai pali del bucato, dai carri e dagli attrezzi che i più pigri non riponevano nel capanno apposito a fine giornata. Al loro posto, erano comparsi tavole di legno rettangolari di varie dimensioni.

Shouyou inarcò le sopracciglia ed osservò la scena con crescente curiosità. Tutti i Cavalieri che erano soliti lavorare nei campi erano lì, armati di martello e chiodi. Alcune tavole erano chiare, come se fossero state appena levigate, altre venivano messe da parte perchè il legno cominciava a marcire.

Mentre il sonno scivolava via, Shouyou credette d’intuire in che cosa erano tutti impegnati: stavano costruendo dei tavoli e delle panche.

“Buongiorno, Shouyou!”

Shouyou spostò lo sguardo verso l’angolo destro del cortile e sorrise: Tadashi lo salutava con la mancina, mentre reggeva la gamba di un tavolo con la mano destra e Kei, inginocchiato a terra, cercava d’inchiodarla ad una delle tavole.

Sembrava uno spettacolo divertente: il futuro Primo Cavaliere di Karasuno aveva molti talenti ma senza una spada, le sue mani erano incapaci di fare alcunchè.

“Tadashi, tieni dritta questa cosa!” Si lamentò Kei, un chiodo tra i denti.

Era in evidente difficoltà e nulla poteva divertire Shouyou di più.

Tadashi sospirò e si guardò intorno. “Lev!” Chiamò. “Lev, per favore, potresti aiutare Kei? Devo portare la colazione a Shouyou!” Non se ne accorse mai, ma Kei sollevò gli occhi velocemente e lo fulminò con lo sguardo.

Da dove si trovava, Shouyou non poteva vedere Lev e non udì mai la sua replica.

“Vado io!” Rispose una voce dal lato opposto del cortile.

Istintivamente, Shouyou voltò lo sguardo e vide Tobio abbandonare il martello che stringeva tra le dita. “Yutaro, prendi il mio posto,” ordinò.

Nell’udire il tono gentile, Shouyou sospirò e scosse un poco la testa. Un giorno, forse, sarebbe riuscito a portare definitivamente alla luce quel lato di Tobio che solo lui poteva vedere, anche se con molta fatica. Tuttavia, in quel momento, nulla poteva impedire al più dolce dei sorrisi di sbocciare sulle sue labbra.

Tobio fu molto attento a non alzare gli occhi verso di lui e Shouyou ridacchiò tra sè e sè. Accostò le persiane per impedire al sole d’estate di riscaldare troppo la stanza e si allontanò dalla finestra.




Tadashi guardò il Principe Demone sparire all’interno della casa e storse la bocca in una smorfia. “Hai visto, Kei?” Domandò.

“Visto che cosa?” Domandò il Cavaliere, battendo con rabbia il martello su di un chiodo che non aveva alcuna intenzione di restare dritto.

“Tobio si è offerto di andare da Shouyou.”

“Tanto meglio, meno problemi per noi,” disse Kei, estraendo il maledetto chiodo dalla tavola per l’ennesima volta.

Tadashi poggiò un ginocchio a terra. “Potresti sforzarti di essere un po’ più attento?” Chiese con gentilezza. “Sta succedendo qualcosa e mi serve una mano.”

Kei gli rivolse un’occhiata esasperata. “Vuoi una mano, Tadashi?” Domandò scocciato. “Comincia col tenere ferma la gamba di questo tavolo, prima che ti arrivi un chiodo su di un piede.”

Tadashi sospirò e si alzò in piedi, entrambe le mani strette sul pezzo di legno. Sollevò gli occhi e si accorse che Shouyou aveva chiuso la finestra.




Nel vedere Tobio entrare nella sua camera da letto con un vassoio tra le mani, Shouyou non potè evitare di sorridere e l’altro non tardò a mal interpretare la sua espressione.

“Smettila di guardarmi così,” disse il Principe Demone, posando il vassoio in fondo al letto.

“Non ti sto mica deridendo.” Shouyou gonfiò un po’ le guance. “Possibile che tu sia tanto ottuso da non saper interpretare un sorriso.” Si fermò a riflettere. “Ah, già, tu non sorridi molto…”

Tobio gli lanciò un’occhiata storta. “Mangia,” ordinò, indicando la colazione sopra il vassoio.

Shouyou saltellò fino al letto e si sedette a gambe incrociate tra le lenzuola in disordine. “Oh! C’è la torta!”

“Pare che sia opera di Aone,” disse Tobio, adocchiò le persiane socchiuse e appoggiò la schiena al davanzale.

Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Aone passa il suo tempo libero a cucinare torte?” Domandò sorpreso.

Tobio scrollò le spalle. “Imparerai che Aone è un uomo dai talenti e le passioni insospettabili,” disse. “Ancora accenna al nostro ballo al Castello Nero.”

Le gote di Shouyou si colorarono un poco a quel ricordo. “Che cosa sta succedendo lì fuori?” Prese tra le mani la sua tazza di latte e ne bevve un sorso, prima che si raffreddasse.

“Ci prepariamo per la festa di fine estate,” rispose l’erede al trono di Seijou con tono incolore.

“La festa di fine estate?” Indagò Shouyou.

Tobio annuì. “In principio, era il modo dei contadini di ringraziare i miei genitori ed i soldati per l’aiuto con i campi ed il raccolto. Come suo solito, Tooru l’ha voluta trasformare in una grande tradizione. Non sono più i contadini a spendere risorse ed energie per celebrare la nobiltà ma è l’esatto contrario.”

Un sorriso incantato comparve sul viso del Principe dei Corvi. “È straordinario…” Commentò.

“Lo credevo anche io,” disse Tobio, abbassò gli occhi sul pavimento, sulle linee dorate che il sole disegnava attraverso le fessure delle persiane. “L’ho creduto per tanto tempo…”

Shouyou udì chiaramente l’inclinazione malinconica della sua voce. Appoggiò la tazza quasi vuota sul vassoio e si dimenticò della fetta di torta che aspettava solo di essere mangiata. “Vieni qui,” disse con un sorriso gentile, incoraggiante.

Tobio inarcò le sopracciglia, come se non avesse capito cosa il Principe dei Corvi voleva da lui.

Shouyou allungò una mano. “Vieni qui,” lo esortò. “Sembra che tu stia facendo l’impossibile per mettere tra di noi tutta la distanza che questa stanza ti permette.”

Tobio si allontanò dalla finestra e si avvicinò con passi incerti. Shouyou si spinse con la schiena contro la parete e l’altro si sedette accanto a lui. “Hai l’espressione stanca,” notò. Sollevò la mano ed arrotolò una ciocca corvina intorno all’indice.

Tobio appoggiò la nuca alla parete e lasciò andare un sospiro. Non lo allontanò. “Non dormo molto,” rispose.

Il viso di Shouyou si fece preoccupato. “Stai dormendo sul divano per permettere a me di stare nella stanza dei tuoi genitori, potremmo-”

“No,” disse Tobio con voce placida, gli occhi blu erano scesi di nuovo sulle linee di luce sul pavimento. “Il problema non è il divano.”

Shouyou studiò il suo profilo ed una timida speranza si arrampicò dal suo cuore verso l’alto, fino a trovare voce. “È per me,” disse e gli angoli della sua bocca si sollevarono appena. “Non riesci a dormire per me.”

Tobio lo guardò di traverso. “Ti fa piacere farmi perdere il sonno?”

Shouyou scosse la testa. “No, non hai capito.”

“Capirti non fa parte dei miei talenti. Lo hai detto tu che non riesco nemmeno ad interpretare un sorriso.”

Shouyou strinse le ginocchia al petto. “Ti sbagli,” disse. “Non ti piace impegnarti, tutto qui. Quando ho avuto bisogno di te, hai sempre saputo capirlo senza che ti chiedessi aiuto e hai sempre trovato le parole giuste da dirmi. Hai fatto chiarezza nel mio cuore quando nemmeno io sapevo cosa provavo. Nessuno ci è mai riuscito, Tobio.” Impiegò un istante per rendersi conto di quello che aveva dichiarato ed allora nascose il viso tra le mani con imbarazzo.

Animato dallo stesso sentimento, Tobio strinse le labbra e voltò lo sguardo altrove. “Capisci?” Incrociò le braccia contro il petto. “Non è semplice.”

Shouyou, però, continuava ad essere quello meno in difficoltà dei due. “Sarebbe semplice, se uno dei due si decidesse a baciare l’altro,” concluse, gli occhi d’ambra fissi sulle persiane illuminate dal sole d’estate.

“Significherebbe smettere di giocare,” sottolineò Tobio. “Di rincorrerci.”

Shouyou sollevò l’angolo destro della bocca ed un sorriso furbetto illuminò il giovane volto. “Forse dovresti cominciare a sforzarti di prendermi.”

Per la prima volta da quando si erano seduti vicini, Tobio portò gli occhi blu su di lui.

Si guardarono. Shouyou sorrideva e Tobio lo guardava con quella sua solita espressione che non lasciava trasparire nulla. Tuttavia, non per il Principe dei Corvi.

Quei grandi occhi d’ambra avevano saputo vedere oltre e scorgevano qualcosa anche in quel momento, un sentimento confuso, cullato dalle onde di quelle iridi blu.

Non era in corso nessuna tempesta nel cuore di Tobio ma ciò che provava non era ancora delineato. Nel petto di Shouyou batteva lo stesso sentimento, ma era completamente diverso il modo in cui si poneva di fronte a quella nuova avventura.

Tobio si mosse verso di lui e lo studiò come un predatore indeciso se sferrare o meno un attacco. Shouyou fu più veloce: allungò la mano e pizzicò il fianco del Principe Demone.

Tobio sobbalzò esageratamente. “Che diavolo fai, stupido?”
Shouyou lo fissò con gli occhi sgranati ma non perchè aveva alzato la voce. “Soffri il solletico?” Domandò e le iridi d’ambra si accesero di una luce birichina.

Tobio la trovò inquietante. “No,” negò.

Il Principe dei Corvi non gli credette nemmeno per un istante. “Soffri il solletico!” Esclamò con entusiasmo.

“Stai lontano da me!” Lo avvertì Tobio. Non servì a nulla. In un battito di ciglia, Shouyou gli fu addosso e le piccole mani scovarono velocemente tutti i punti più sensibili del suo corpo.

Tobio non rideva, ringhiava e saltava come un grillo sulle lenzuola in disordine.

“Avanti!” Esclamò il Principe dei Corvi, imbronciato. “Che cosa devo fare per farti ridere un po’?”

Tobio lo afferrò per i fianchi e lo gettò sul materasso, invertendo le loro posizioni. Prima che Shouyou potesse reagire, il Principe Demone gli afferrò i polsi e glieli bloccò sopra la testa.

Gli occhi d’ambra si fecero enormi, smarriti.

Tobio sollevò l’angolo destro della bocca in un ghigno vittorioso. “Ti ho preso,” dichiarò. “Ho vinto io… Di nuovo.”

Per tutta risposta, Shouyou gonfiò le guance.

Tobio chinò la testa e scoppiò a ridere.

Il Principe dei Corvi si fece rigido. “Tobio…”

“Quando capisci di essere sconfitto, fai una faccia…” Il Principe Demone sollevò gli occhi blu, ma inarcò le sopracciglia nel vedere l’espressione dell’altro. “Ehi… Che ti prende?”

Shouyou lo guardava in modo strano, come se lo vedesse per la prima volta. Liberò un polso. Tobio lo lasciò fare e non si mosse, mentre Shouyou gli sfiorava la guancia con la punta delle dita.

Le voci ed i rumori provenienti dal cortile sotto la finestra sparirono.

Non era la prima volta che Tobio si sentiva così in presenza di Shouyou ma non si era mai concesso di vivere il momento fino in fondo e lasciare che l’emozione sbocciasse gradualmente, senza disturbare la ragione.

Gli angoli della bocca di Shouyou erano appena sollevati in un sorriso che aveva qualcosa di segreto, quasi stesse cercando di dire qualcosa senza usare le parole. Tobio non era bravo a comunicare nemmeno con la voce e tutto quel silenzio da parte del Principe dei Corvi lo inibiva. Sarebbe stato così semplice commettere un errore e rovinare tutto ed il pensiero lo terrorizzava.

Il cuore di Shouyou non era animato dallo stesso timore. Smise di accarezzargli il viso e lo prese tra le mani. Come la notte che si erano baciati circondati dalle lucciole, il Principe dei Corvi non fece niente, non disse niente.

Pretese da Tobio solo ciò che questi era disposto a dargli.

Afferralo! Urlava una voce nella testa del Principe Demone. Afferralo, è tuo!

Shouyou era veramente disposto a fargli vincere quel loro gioco con tanta semplicità? Tobio si aspettava che si trasformasse in corvo da un momento all’altro, che volasse fuori da quella finestra e lo lasciasse lì, a rendersi conto che le uniche ali che aveva gli erano state concesse da qualcun altro.

In cuor suo, Tobio sapeva che l’intento di Shouyou non era quello di farlo sentire insicuro, ma l’esatto contrario.

Se il Principe Demone avesse rincorso quella creatura dalle ali corvine con tutte le sue forze, come avrebbe potuto negare a se stesso, all’altro o al mondo intero che ci teneva?

Perchè, sì, Tobio ci teneva ma la profondità di quel sentimento nuovo lo spaventava ancora.

Una mano di Shouyou scivolò tra i capelli corvini sulla sua nuca e lo spinse un poco verso il basso. Non era un ordine, solo un invito.

Tobio poteva rifiutarsi, darsi ancora del tempo e sapeva che Shouyou sarebbe volato solo un po’ più in là ma non troppo da sfuggirgli.

Scappavano l’uno dall’altro solo col desiderio di farsi rincorrere.

Tobio si ritrovò a chiedersi se il primo capitolo della storia dei suoi genitori non fosse stato scritto con le stesse parole.

“Shouyou!”

Il Principe Demone girò la testa ma non ebbe nemmeno il tempo di posare gli occhi sulla porta ancora chiusa della camera: Shouyou affondò un ginocchio nel suo stomaco, facendolo rotolare giù dal letto. Cadendo, Tobio urtò il vassoio con sopra la colazione del Principe dei Corvi e lo trascinò a terra con sè.

Quando Kei abbassò la maniglia e fece capolino nella camera da letto, Shouyou era seduto sul letto e Tobio era terra, con quello che rimaneva della fetta di torta spalmato sulla sua faccia.

Kei ghignò divertito. “Il piccolo Corvo vi ha steso, Principe Demone?”

Tobio sollevò il viso e pur con il viso ricoperto di crema, riuscì ad apparire minaccioso.

Il Cavaliere di Karasuno non si fece impressionare. “Tadashi,” chiamò, voltandosi. “Aiuta Shouyou e ripulire questo casino, io continuo a fare quello che stava facendo di sotto.”

Tadashi comparve sulla porta immediatamente e fissò la scena con le sopracciglia inarcate: si era aspettato una scena del tutto diversa. “Serve una mano, mio Principe?” Domandò, poggiando un ginocchio a terra.

“No!” Ringhiò Tobio, tirandosi in piedi e pulendosi il viso con la manica della camicia. Si voltò e Shouyou lo guardò con espressione colpevole. Le sue labbra si mossero e gli chiesero scusa senza usare la voce.

Tobio scosse la testa e sbuffò. “Vado a cambiarmi e torno di sotto,” gli disse.

Tadashi si fece da parte e lo fece passare. “Che cosa è successo?” Domandò, richiudendo la porta della camera. “Avete litigato?”

Shouyou annuì con un po’ troppo entusiasmo. “Sì!” Esclamò. “Nulla di nuovo!”

Tadashi abbassò lo sguardo sul vassoio ribaltato e le stoviglie finite in mille pezzi. Avevano litigato al punto da provocare tutto quel caos e poi Tobio se ne andava quasi in tranquillità, mentre Shouyou non pareva nemmeno irritato.

No, non erano convincenti.

“Non scendere dal letto a piedi scalzi,” disse. “Prendo qualcosa per pulire.”

 
***



Hajime aveva sempre associato la luce del sole d’estate al modo in cui si rifletteva negli occhi grandi e scuri di Tooru. Era un’immagine di cui non era mai riuscito a liberarsi, nemmeno nei giorni in cui era quasi riuscito ad odiarlo.

Il Primo Cavaliere ricordava le stagioni calde della sua giovinezza ed il primo ricordo che gli tornava alla mente era quello di Tooru che giocava nella fontana dei giardini reali; prima bambino, solo con lui e poi fanciullo, insieme ai Cavalieri che erano entrati a far parte della loro cerchia di fedelissimi.

Per anni, Hajime non aveva potuto vedere il vero Tooru: il giovane che si nascondeva dietro la corona, quello che si sentiva a suo agio con gli abiti semplici di un figlio del popolo e che non si preoccupava della sua immagine.

Tooru sarebbe riuscito ad essere elegante anche sporco di fango e vestito di stracci e lo aveva dimostrato durante le loro estati nelle campagne del Regno. Era ipnotico, il Re Demone ma non era di quello che il Primo Cavaliere si era innamorato.

“Tooru, rallenta!” Disse Hajime a gran voce. Lui era abituato alla vita a cavallo ma non ricordava l’ultima volta che aveva visto Tooru lanciarsi al galoppo in quel modo.

Il Re Demone si voltò, i capelli tirati indietro dal vento ed il viso illuminato da un sorriso che Hajime aveva rivisto nei suoi sogni per anni. Ecco, era proprio di quello che si era innamorato: del ribelle travestito da Re.

“Non riesci a starmi dietro, mio Cavaliere?” Domandò arrogante.

Il desiderio familiare di acciuffarlo e prenderlo a schiaffi spinse Hajime ad osare di più. Piegò la schiena in avanti e spinse il suo cavallo ad andare più veloce.

Si ritrovarono l’uno di fianco all’altro. Si scambiarono una risata complice ed un sorrisetto di sfida.

Non c’era nulla tra loro e l’orizzonte, solo una distesa verde brillante che sembrava estendersi fino ai confini del mondo.

Da tanto tempo, Hajime non assaggiava l’emozione che gli stava facendo battere il cuore. Le settimane passate in mare con Tobio gli avevano dato la possibilità di rievocarla ma non di riviverla a pieno.

Sarebbe potuto andare avanti così per sempre, con le gambe dolenti ma il desiderio di andare avanti, di continuare a correre verso qualcosa che non poteva ancora vedere ma che era certo sarebbe stato bellissimo perchè Tooru era con lui.

Suo malgrado, Hajime non aveva più la resistenza di un fanciullo. Prese un respiro profondo e drizzò la schiena. Rallentò il cavallo gradualmente, rafforzando la prese sulle briglie a poco a poco.

Pochi metri più avanti, Tooru fece lo stesso. “Tutto bene?” Domandò preoccupato.

Hajime lo raggiunse. “Sì,” rispose, il fiato corto. “Non sono più abituato.”

Il Re Demone sollevò l’angolo della bocca in un ghignetto. “Stai invecchiando, Hajime?”

L’espressione del Cavaliere si fece dura. “Ho visto poco più di trenta inverni!” Replicò, un po’ offeso.

“E hai un figlio alto quanto te,” aggiunse Tooru, spingendo il suo cavallo a camminare ma con calma. Il gioco era finito e non avevano alcuna fretta.

“Questa è una benedizione,” disse il Primo Cavaliere, seguendolo. “Vederlo crescere mi ha riempito di gioia. Mio padre non ha potuto farlo con me. La considero una vittoria personale.”

Tooru accennò un sorriso e portò gli occhi scuri di fronte a sè. “Potrai guardarlo per altri trenta inverni ancora, Hajime.”

“Non ho altro desiderio,” disse il Cavaliere.

Tooru sospirò e gonfiò un po’ le guance. “Non ce la facciamo, eh?”

“A fare cosa?” Domandò Hajime, voltanosi a guardarlo.

“A non parlare di Tobio.”

Il Primo Cavaliere accennò un sorriso. “Se non ricordo male, abbiamo già avuto questa conversazione.”

“Sì, è probabile,” concordò il Re Demone. “Sarà felice di vederci?”

Hajime fissò il suo profilo per un lungo istante di silenzio. “Non credo che si aspetti di vederti.”

Tooru storse la bocca in una smorfia. “Già…” Fu attento a non incrociare lo sguardo del suo Cavaliere. “Credo che abbia smesso di aspettarsi molte cose da me.”

“Non è tardi per rimediare.”

“Sei ottimista, Hajime.”

“Tobio non è rancoroso come appare,” disse Hajime. “Ha poca pazienza e non è sempre facile capire cosa gli passa per la testa… Penso che la maggior parte del tempo non lo sappia neanche lui. Tutta la maestria e la lucidità che dimostra sul campo di battaglia si disintegra non appena posa la spada.”

“Forse Shouyou ci riuscirà,” disse Tooru. “Forse, il piccolo Corvo troverà il mondo di saper leggere dentro nostro figlio.”

Hajime scrollò le spalle. “Dovrebbero essere davvero destinati l’uno all’altro perchè questo sia possibile.” Si morse la lingua un isttante dopo e lanciò un’occhiata al Demone con la coda dell’occhio. “Questo non significa che comincerò a credere alle tue storie assurde!”

Tooru ridacchiò. “Vorrei riuscire ad essere scettico quanto te.”

Hajime sbuffò. “Non sono sicuro di essere scettico,” ammise.

Il Re Demone inarcò le sopracciglia. “Non mi sono nemmeno sforzato di farti cambiare idea.”

“Non ce ne è stato bisogno.” Hajime portò gli occhi verdi sull’orizzonte e gli parve di vedere i tetti di alcune case dove prima vi era solo cielo azzurro. “Mi piace credere che tu abbia smarrito la strada e ti sia allontanato da noi cercando di salvare nostro figlio dal suo destino. Voglio pensare che, da bravo idiota, tu abbia scelto la strada sbagliata per fare la cosa più giusta.”

Tooru strinse le labbra ed abbassò il capo.

“Gliene parlerai?” Domandò Hajime. “A Tobio e Shouyou, intendo. Racconterai loro tutta la storia dei sogni e del loro destino?”

Il Re Demone ignorò deliberatamente la domanda. “C’è una piccola cittadina là,” disse, indicando i tetti delle case che Hajime aveva già notato. “Potremmo cercare un alloggio per la notte.”

Il Primo Cavaliere scosse la testa. “Sei un Re, Tooru, non puoi…”

“Come potrebbero riconoscermi?”

“Sei consapevole delle due corna che hai sopra la testa?” Domandò Hajime, annoiato. “Raggiungeremo il bosco che precede i campi di grano e la tenuta prima del tramonto. Ci accamperemo tra gli alberi.”

Tooru s’imbronciò. “Io volevo dormire comodo.”

“Non ti lamentare.”

“Prima che faccia buio, riusciremo ad arrivare alla cascata?”

Hajime sollevò lo sguardo perchè la voce di Tooru era cambiata. Il tono da moccioso lamentoso era stato sostituita da un’inclinazione più dolce, nostalgica. “Vorresti passare la notte lì?”

Tooru sorrise con malinconia. “Non vedo quel luogo da anni.”

“Nemmeno io,” disse Hajime. Non poteva confessargli che aveva portato Tobio a caccia in quel bosco molte volte.

Hajime si era allontanato da Tooru inseguendo il suo ricordo ed aveva coinvolto Tobio in quella ricerca disperata. L’aveva fatto inconsciamente, in silenzio ed aveva nascosto tutto concentrandosi su Tobio e sui suoi doveri di Primo Cavaliere.

Non era servito a niente.

Era Tooru ad essergli mancato in tutto quel tempo e tutte le emozioni che era in grado di fargli provare.

Solo la notte prima, Hajime aveva compiuto l’ennesimo tentativo di spezzare quel legame e liberarsi da una maledizione che, suo malgrado, aveva reso la sua vita degna di essere vissuta. Si era rifugiato nell’abbraccio caldo di una donna che non da lui non aveva preteso altro che piacere, il Primo Cavaliere e al risveglio, il desiderio di correre da Tooru era stato soffocante quanto il suo senso di colpa.

Per cosa? Non voleva rispondersi. Era una storia vecchia e quello era un filo di pensieri in cui si era perso troppe volte per i suoi gusti: lui e Tooru non erano più niente e tutto quello che erano stati riviveva in Tobio.

Quella era l’unica forma di per sempre che erano riusciti a conquistare per loro.

Niente di più. Niente di meno.

Allora perchè continuavano a ritrovarsi l’uno accanto all’altro? Che fosse per trovare un accordo in nome di un bene comune o per farsi del male a vicenda, nessuno dei due si allontanava troppo dall’altro.

“Dormiremo alla cascata,” disse il Cavaliere, anche se significava allungare di parecchio la prima parte di quel viaggio improvvisato. “Andremo da Tobio domani.”

Tooru sorrise.

 
***



In quanto Cavaliere secondo solo al Re dell’Aquila, avrebbe dovuto essere un dovere di Satori tenere d’occhio i giovani della corte di Shiratorizawa ed individuare tra loro i futuri campionidel Regno.

Di fatto, però, se ne erano sempre occupati Reon e Hayato.

Satori non era particolarmente popolare tra i ragazzini e dopo la nascita di Tsutomu, Wakatoshi aveva preteso che il suo braccio destro si dedicasse esclusivamente all’addestramento e alla sicurezza del Principe.

Affacciato dalla balconata degli appartamenti reali, Kenjirou osservava i fanciulli duellare sulla spiaggia sotto lo sguardo vigile dei Cavalieri del Re dell’Aquila.

Ricordava che prima di addormentarsi, Eita aveva espresso il desiderio di far addestrare Tsutomu insieme ai figli degli altri nobili. Eita, che non aveva avuto altri amici al di fuori di quelli che erano cresciuti insieme a lui. Kenjirou aveva pensato che il suo fosse un tentativo per evitare a Tsutomu di crescere isolato e circondato solo da persone adulte.

Di fatto, a pochi mesi dal suo quattordicesimo compleanno, Tsutomu non aveva un amico e fin troppe persone pronte a prendersi cura di lui.

Suo malgrado, Kenjirou doveva ammettere che l’idea di Satori di portarlo via per l’estate non era stata del tutto una pessima. Forse…

“A cosa stai pensando?”

Kenjirou si voltò: il Re dell’Aquila era comparso sulla portafinestra e lo osservava con la sua solita espressione indecifrabile.

“Non ti manca?” Domandò l’Arciere, portando di nuovo lo sguardo sui giovani cadetti sulla spiaggia.

“Non ho mai preteso di rinchiuderlo in questo castello,” rispose Wakatoshi.

“Sì, ma non ti manca?”

“È strano sentirti fare simili domande.”

Kenjirou non poteva affermare il contrario. Una delle ragioni per cui era divenuto l’amante del Re era la sua capacità di nascondere qualsiasi emozione. Tranne per Satori ma Kenjirou si era rassegnato da tempo a non poter celare nulla a quel Cavaliere.

“Non sono abituato a non sentire le sue lamentele ad ogni ora del giorno,” disse l’Arciere.

Wakatoshi si avvicinò, posò le mani sul parapetto di marmo bianco ed osservò il profilo dell’altro. “C’è Satori con lui,” disse. “Non c’è ragione di preoccuparsi.”

“L’ultima volta che è stato lontano da casa non è finita bene,” gli ricordò Kenjirou. “Era nelle mani di Satori anche allora.”

“Mi fido di Satori,” disse Wakatoshi, secco. “So che c’è una ragione per cui ha portato Tsutomu con sè.”

“A Seijou,” sottolineò Kenjirou, un po’ freddamente.

“Seijou non è il nord.”

“Sì, è molto peggio.”

“Stai mettendo in discussione il mio giudizio, Kenjirou?” Fu il turno del Re dell’Aquila di tornare freddo.

L’Arciere si liberò dell’espressione arrogante che aveva sul viso. “Non mi permetterei mai,” disse, guardando il suo sovrano negli occhi. Kenjirou non era Eita, sapeva che gli erano concesse delle libertà ma dimenticarsi di restare al suo posto non era tra queste.

Tra i tre amanti del Re dell’Aquila, solo Tooru aveva avuto la superbia di guardare Watakoshi dall’alto in basso e, sebbene la loro relazione clandestina fosse durata meno dei loro giochi di potere, Kenjirou dubitava che il suo signore fosse riuscito a dimenticarlo.

La sola ragione per cui lui dormiva nel letto del Re dell’Aquila era perchè il Re Demone si era fatto da parte. Nessuno lo aveva superato o sconfitto. Tooru aveva lasciato il fianco di Wakatoshi di sua spontanea volontà e con la testa alta.

Eita non aveva avuto il tempo di fare sua una simile vittoria e Kenjirou sapeva che non ne avrebbe mai avuto il potere. Lui adorava Wakatoshi ed era quel suo sentimento quasi ossessivo che gli aveva fatto guadagnare l’antipatia di Satori.

A Kenjirou non importava del potere, non gli importava nemmeno di essere ricambiato con un sentimento profondo quanto il suo. Si accontentava di essere l’ombra del suo signore, il Primo Arciere del Re dell’Aquila.

“E nell’ombra strisciano le creature più infide.” Era stato Satori a rivolgergli quelle parole.

Kenjirou strinse le labbra e guardò il sovrano dritto negli occhi. “Ho il permesso di partire per Seijou?” Domandò rispettosamente.

Wakatoshi non era sorpreso da quella richiesta. “Continui a dimostrare di non fidarti di me, Kenjirou.”

“Non mi fido di Satori, Wakatoshi,” disse e cercò di suonare gentile. “Non si tratta di te.”

“Certo che si tratta di me, mio Arciere,” replicò il Re. “Satori è il mio braccio destro. È l’uomo a cui affiderei la mia vita ad occhi chiusi. In un certo senso, l’ho fatto quando gli ho chiesto di restare al fianco di Tsutomu e proteggerlo.”

Qualcun altro mi ha fatto la medesima richiesta e lo sai bene,” disse Kenjirou. “Non posso tradire quella promessa.”

Gli occhi vuoti di Wakatoshi si spostarono sull’orizzonte. “Eita si fidava di Satori. Alle volte, li guardavo da lontano e pensavo che fossero più legati tra loro di quanto entrambi lo fossero a me. Il mio ruolo implicava una certa distanza tra di noi… Distanza che non aveva ragione di esistere tra loro.”

“Non ho idea di quale fosse il legame tra Satori ed Eita,” ammise Kenjirou. “Con me parlava solo di te e di suo figlio. Mi ha chiesto di proteggervi entrambi e non posso venire meno alla parola data.”

Mi ha chiesto di toccare il tuo cuore. Quel giuramento sarebbe riecheggiato nella sua mente fino alla fine dei suoi giorni ma mai avrebbe potuto confessarlo al suo Re. Farlo avrebbe significato dare voce ai timori più oscuri di Etia e fino all’ultimo, Kenjirou non era riuscito a dar loro credito.

“L’estate sta per finire,” disse Wakatoshi. “Se non avrò notizie di Satori per l’inizio dell’autunno, andrò a cercare lui e Tsutomu personalmente.”

Kenjirou strinse i pugni. “L’autunno non arriverà prima di qualche settimana, mio Re.”

“Usa questo tempo per renderti conto che non fidarti di Satori oggi significa compromettere la posizione di Tsutomu in futuro,” replicò il Re dell’Aquila. “Tu ed Eita vi siete avvicinati nel periodo che ha preceduto il suo sonno, ma le sue disperate ultime volontà non possono spingere l’Arciere ed il Cavaliere che mi sono più vicini a contendersi mio figlio.”

Kenjirou sapeva che aveva ragione. Ancora una volta, la volontà del Re dell’Aquila ebbe la meglio su qualsiasi suo desiderio o giudizio.

La lealtà cieca era la catena che lo univa al suo signore e così sarebbe stato fino al suo ultimo respiro. Anche lui, come i Re ed i Principi coinvolti in quella storia, aveva la sua maledizione e non aveva alcuna intenzione di liberarsene.

“Come desiderate, mio Re.”


 
***



“Te lo giuro sulla testa di mio fratello, Tadashi,” ringhiò Kei a bassa voce. “Smettila di delirare su questo argomento e dammi una mano a fare questa stupidaggine!”

“Ti sto già dando una mano!” Esclamò Tadashi, allargando le mani. “Anzi… Sei tu che stai dando una mano a me.”

Nella destra stringeva un paio di forbici e nella sinistra del filo bianco. Alcuni spilli erano appuntati sulla sua camicia e un disastro di stoffe colorate ricoprivano il grande tavolo della cucina.

Tutte le donne dei villaggi vicini si erano adoperate a far arrivare alla tenuta bianca tutte gli scarti di tessuto che avevano in casa. Tadashi era stato incaricato di ricavarne delle bandierine triangolari ed aveva chiesto a Kei di aiutarlo ad attaccarle alla corda con cui sarebbero state appese nel cortile interno.

Il Cavaliere aveva accettato solo per poter prendere le distanze da Tetsuro, Koutaro ed i Cavalieri di Seijou.

“E comunque sta succedendo qualcosa tra Shouyou e Tobio,” disse Tadashi.

Kei lasciò ricadere la corda con le bandierine sul tavolo e fissò l’amico d’infanzia con sguardo tagliente. “Che cosa ho appena detto?”

Tadashi afferrò un altro pezzo di stoffa, rosso. “Il Principe Demone che si offre di portare la colazione in camera a qualcuno ti sembra normale?” Domandò stizzito.

Kei alzò gli occhi al cielo. “Stai ancora pensando a questa mattina?”

“Per quanti minuti sono rimasti in camera da soli?”

“Stavano litigando, Tadashi.”

“Quando Shouyou e Tobio litigano, possono sentire le urla in tutti i villaggi vicini!” Esclamò Tadashi. “Quanto tempo sono rimasti chiusi in quella camera? Non hanno fatto alcun rumore!”

“Pochi minuti, Tadashi,” disse Kei, massaggiandosi la fronte. “Pochi dannati minuti. Nulla per cui dovessi disturbarmi a controllarli… Anche se vedere il Principe Demone con quell’aspetto ridicolo mi ha rallegrato la giornata.”

Tadashi afferrò le forbici e si apprestò a tagliare un’altra bandierina. “Non stavano litigando.”

“Allora Shouyou stava tentando di soffocarlo con la sua fetta di torta!” Esclamò Kei esasperato. “Oppure un’altra cosa altrettanto idiota!”
Tadashi smise di ritagliare la stoffa ma non posò le forbici sul tavolo, rimase così, immobile e con gli occhi fissi nel vuoto. “Kei…” Una breve esitazione. “Tu vuoi bene a Shouyou?”

“Che domanda è mai questo?” Domandò il Cavaliere, senza allontanare lo sguardo annoiato dalla corda tra le sue mani.

Tadashi scrollò le spalle. “Rispondi e basta.”

“La sua incolumità è un mio dovere.”

“Non ti ho chiesto questo.” Tadashi appoggiò le mani sul tavolo, non sollevò lo sguardo. “So che il nostro Re mi ha investito del titolo di Guardia reale per pura gentilezza. Non ho origini nobili e mio padre era un semplice maestro di spada, ma la generosità di tuo fratello mi ha garantito un futuro.”

Kei piegò il gomito sul tavolo ed appoggiò il viso al pugno chiuso. “Stai facendo discorsi che non hanno alcun senso, lo sai?” Domandò pazientemente, come se stesse parlando ad un bambino.

Tadashi strinse le labbra ed ingoiò a forza un improvviso rigurgito di rabbia. “Non sono uno stupido, Kei.”

“Non l’ho mai pensato.”

“Non si direbbe dal modo in cui parli,” replicò Tadashi e trovò il coraggio di sollevare gli occhi. “Io ti parlo di Shouyou, della possibilità che gli stia succedendo qualcosa e tu non prendi sul serio i segnali solo perchè sono io a farteli notare.”

Kei sospirò, appoggiandosi allo schienale della sedia. “Questo non è vero,” disse, incrociò le braccia contro il petto. “Non credo alle tue teorie su Shouyou ed il Principe Demone perchè se fossero vere, significherebbe che sono bravi a nasconderlo.”

“E ti disturberebbe?”

“Non dubito che l’erede al trono di Seijou abbia qualche talento nascosto. Se non fosse così, non sarebbe mai riuscito a divenire una leggenda vivente ancor prima di essere un adulto,” disse. “D’altra parte, Shouyou è quel che è. Non è mai stato nulla di diverso da quello che mostra al mondo e non mi piace pensare che riesca a nasconderci un simile segreto. Significherebbe che non stiamo facendo bene il nostro dovere.”

“Non è così bravo a nascondersi con me,” disse Tadashi, la voce più gentile. “È questo che sto cercando di dirti: io sto con Shouyou tutti i giorni e non posso fare a meno di notare delle differenze.”

“Perdonami, Tadashi. Il mio giudizio è l’unico di cui mi fido.”

Tadashi accettò la sconfitta con un sospiro. “Non hai risposto alla mia domanda, Kei,” gli fece notare. “Vuoi bene a Shouyou?” Non ebbe il coraggio di dirgli che quelli in Shouyou non erano stati i primi cambiamenti che aveva notato durante l’estate. Prima che partissero per il Regno di Seijou, Tadashi aveva visto negli occhi di Kei un’emozione simile a quella che scorgeva quotidianamente in quelli di Shouyou.

Era come una luce tremolante, non ben definita. Assomigliava all’incertezza ma Tadashi sapeva che aveva un altro nome. Suo malgrado, non lo conosceva.

Doveva essere tormentoso sentire di provare qualcosa per un’altra persona ma non riuscire a dare una forma a quel sentimento. Tadashi non lo sapeva, aveva sempre saputo che cosa provava per il Cavaliere che gli era seduto accanto, ma non era servito a risparmiare al suo giovane cuore il dolore del silenzio.

“Kei, provi qualcosa per Shouyou?” Tadashi non seppe dove trovò il coraggio di porre quella domanda.

Per la prima volta dall’inizio di quella conversazione, la noia e l’irritazione scivolarono via dal viso di Kei e vennero sostituite da un’espressione smarrita che Tadashi non aveva mai visto sul viso del suo amico d’infanzia.

Il Cavaliere era stato preso di sorpresa e non c’era nessuno scudo nei paraggi dietro cui potesse nascondersi.

Era la prima volta che Tadashi riusciva a raggiungere un simile risultato in una discussione con Kei, ma non si sentiva affatto vittorioso.

“Che cosa state facendo?”

Voltarono lo sguardo nello stesso momento.

Shouyou era comparso in fondo alle scale, senza far rumore. L’espressione curiosa con cui li guardava rassicurò entrambi che non doveva aver udito nessuna delle battute che si erano scambiati.

“Quando sei rientrato?” Domandò Tadashi, lanciando un’occhiata alla porta della cucina che dava sul cortile interno.

Kei storse la bocca in una smorfia. “Non è rientrato dalla porta,” concluse.

“Non guardarmi così!” Esclamò Shouyou, gonfiando un poco le guance. “Non se ne è accorto nessuno.”

Tadashi sgranò gli occhi terrorizzato. “Shouyou, devi smetterla!” Lo rimproverò. “Non importa se il Principe Demone sa tutto, non puoi-”

“C’è ancora della torta?” Domandò il Principe dei Corvi, ignorando deliberatamente le parole preoccupate dell’amico.

“Sei scese di un altro gradino nella scala della stupidità o fingi di essere sordo?” Domandò Kei.

“No, non voglio parlarne e non ne parleremo,” concluse Shouyou con una fermezza inedita.

Sia il Cavaliere che la Guardia ne furono sorpresi.

“La compagnia del Principe Demone comincia a dare i suoi frutti,” concluse Kei sarcastico.

“Che centra Tobio?” Shouyou si sedette in fondo al tavolo, distante da entrambi gli amici d’infanzia. “Ho solo fame,” aggiunse, massaggiandosi lo stomaco.

“Non hai fame, sei solo incapace di stare fermo e quando ti siedi, devi trovare qualcosa da fare per non annoiarti,” disse Kei. “Mangiare, per esempio.”

Shouyou lo guardò storto, poi rivolse a Tadashi uno dei suoi sorrisi luminosi. “Posso mangiare, Tadashi?”

“Non è tua madre,” gli ricordò il Cavaliere.

“Shouyou, siamo preoccupati per te,” disse Tadashi sinceramente preoccupato.

Il Principe dei Corvi prese la corda a cui erano appese le piccole bandiere colorate. “Belle!” Esclamò entusiasta. “Sono per la festa di stasera?”

Kei gli diede una schiaffo sul dorso della mano.

“Ahi!” Si lamentò il piccolo Principe.

“Sono seduto su questa sedia da tutto il pomeriggio e tu provochi caos e distruzione ovunque sposti la tua attenzione!” Esclamò Kei tirando la corda dalla sua parte del tavolo.

“Non è vero!” Sbottò Shouyou.

“Il Principe Demone non è con te?” Domandò Tadashi.

“Lui deve usare la porta per tornare,” gli ricordò Kei.

“Tobio è rimasto nel bosco ma ha promesso che tornerà in tempo per la festa.”

“Quindi siete stati insieme tutto il giorno,” concluse Tadashi.

Il Cavaliere inspirò profondamente dal naso ed alzò gli occhi al cielo.

Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Come tutti i giorni,” concluse. C’era qualcosa di strano nell’espressione di Tadashi ma il Principe non riusciva ad indovinare che cosa. Abbassò lo sguardo. “Scusate se sono suonato arrogante poco fa.”

Tadashi accennò un sorriso. “Non fa niente, ma…”

“Renditi utile.” Kei lanciò alcuni pezzi di stoffa colorata in direzione del Principe. “Trova un paio di forbici o usa i denti… Sei abbastanza selvaggio da farlo, vero?”

Shouyou gli fece la linguaccia.

“Selvaggio e maturo,” commentò Kei con un sorrisetto sarcastico.

Tadashi si alzò in piedi e gli occhi del Cavaliere furono su di lui. “Dove vai?” Domandò, un sopracciglio inarcato. L’amico d’infanzia gli passò le forbici e spinse verso di lui scatola con all’interno aghi e filo. “Continua tu, per favore.”

Kei lo guardò disgustato, come se gli avesse chiesto di fare il bagno nella fosse del letame. “Prego?”

“Devo aiutare Shouyou a prepararsi per la festa,” disse Tadashi con naturalezza. “Non vorrai mica che il nostro erede al trono sfiguri.” Parlò guardando Kei dritto negli occhi ed il giovane dai capelli biondi comprese che stava cercando una scusa per rimanere solo con il loro Principe.

Kei sbuffò, afferrò le forbici come se volesse brandirle contro il Principe ed il suo amico d’infanzia e riprese il lavoro dopo Tadashi lo aveva interrotto.

“Grazie!” Disse quest’ultimo, concedendogli un’amichevole pacca sulla spalla.

Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Non è necessario…”

“Sciocchezze!” Tadashi allontanò la sedia su cui era seduto il Principe dal tavolo. “Sei l’erede al trono di un Regno, Shouyou.”

“È una festa informale,” obiettò il Principe dei Corvi, ma non oppose resistenza quando l’amico gli afferrò le mani per aiutarlo ad alzarsi. “Una tunica pulita ed un paio di stivali penso siano sufficienti.”

“Sì, ma dovrai pur farti un bagno!”

“Puzzo?” Domandò Shouyou allarmato.

“Non preoccuparti, il Principe Demone è selvaggio quanto te, non se ne sarà reso conto,” disse Kei con un ghignetto maligno.

Shouyou lo guardò storto ed emise un ringhio a bassa voce.

“Su! Su! Si sta facendo tardi!” Tadashi si spostò alle spalle del Principe e lo spinse su per la scale.

“Piano!” Esclamò Shouyou, facendo fatica a mettere un piede davanti all’altro. “Piano, così mi fai cadere!”

Ancora seduto al tavolo, Kei finì di ritagliare un’altra bandierina e la guardò cadere in mezzo al mucchio di stoffa colorata, simile ad una foglia in autunno.

Sospirò. “Questa maledetta estate finirà, prima o poi.”

 
***


Tobio sapeva che se Shouyou lo avesse visto, non avrebbe approvato.

Tuttavia, la natura del cacciatore faceva parte di lui ed avere un piccolo corvo appollaiato sulla sua spalla non poteva cambiare quello che era fin dalle fondamenta.

Non avrebbe mai potuto chiedere al Principe dei Corvi di accompagnarlo in una battuta di caccia, ma non ne avrebbe sofferto. La caccia era un momento che gli piaceva condividere solo con se stesso. Era il suo momento di meditazione, quello che gli era necessario per mantenere la calma quando il mondo intero sembrava fare l’impossibile per dargli sui nervi.

La caccia era miracolosa per placare i nervi del Principe Demone. Inseguire una preda richiedeva sangue freddo e concentrazione. In quei momenti, avvertiva nel petto un sentimento del tutto contrario a quello che provava vicino a Shouyou.

Circondato dal silenzio del bosco, il cuore di Tobio si placava, il suo respiro si faceva più regolare ed ogni percezione sembrava accentuata.

Il Principe Demone camminava sotto gli alberi come un predatore consumato, attento a non spezzare l’immobilità e l’assenza di suoni.

Tutto ciò che doveva fare era attendere che la sua preda lo facesse per lui.

“Tobio…”

Il Principe Demone si voltò e tese la corda dell’arco.

Il Principe dell’Aquila rimase immobile, come pietrificato, gli occhi azzurri resi grandi dalla paura.

Tobio emise un ringhio a bassa voce. “Maledizione, Tsutomu!” Esclamò, abbassando l’arco.

“Maledizione?” Ripeté l’erede al trono di Shiratorizawa. “Ci sono decine di piccoli villaggi intorno a questo bosco, sarebbe potuto essere chiunque!”

“Solo i cacciatori si spingono tanto dietro agli alberi, siamo lontani dal sentiero principale,” spiegò il Principe Demone, togliendosi la faretra di spalla per infilarvi la freccia.

“E se fossi stato un cacciatore?” Ipotizzò Tsutomu, incrociando le braccia contro il petto.

“Avresti notato che la mia postura era tesa, che mi stavo muovendo senza fare rumore e che disturbarmi sarebbe stato poco saggio,” replicò Tobio con voce incolore. “Non vi insegnano ad andare a caccia nel Regno di Shiratorizawa.”

Tsutomu scrollò le spalle. “Il Castello Bianco e la Capitale sono sul mare e non ci sono boschi nelle vicinanze. Tutti i fanciulli del luogo sanno pescare.”

“Serve pazienza e concentrazione anche lì,” disse Tobio.

“Ma non la precisione.” Tsutomu sollevò lo sguardo verso le chiome degli alti alberi. “Un Arciere è letale su di un campo di battaglia. Non si può dire lo stesso di un uomo armato di canna e pesca.”

Tobio storse la bocca in una smorfia. “Vallo a dire ai tiratori di lance,” disse, incamminandosi verso il folto del bosco.

Tsutomu non si preoccupò di risultare sfacciato e lo affiancò. “I tiratori di lance?”

Tobio lo guardò perplesso. “Sei nato e cresciuto sul mare e non sai di cosa sto parlando?”

Il Principe dell’Aquila s’imbronciò. “Non sono mica un pescatore.”

“Abbiamo lo stesso titolo nobiliare, Tsutomu, eppure io sono qui.”

“E non mi pare tu abbia una lancia!”

Tobio alzò gli occhi al cielo. “Sono pescatori di predatori, per così dire.”

“Pescatori di predatori?” Tsutomu inarcò le sopracciglia.

“Li ho visti all’opera quando ho risalito la costa con mio padre,” raccontò il Principe Demone. “Non puoi catturare uno squalo con una canna da pesca… Sai che cos’è uno squalo?”

“Non trattarmi come un idiota, Tobio!”

L’erede al trono di Seijou gli rivolse un sorrisetto sarcastico, come a dire che ci avrebbe provato. “Questi pescatori usano delle lance per uccidere gli squali,” proseguì. “Lance che fanno più paura di quelle delle nostre armerie. Quei pescatori hanno un braccio ed una mira migliore di molti Cavalieri che conosco e sarebbe più pericolosi dell’Arciere medio su di un campo di battaglia.”

Tsutomu lo guardò fisso. “Ti piace trovare valore in cose che non ne hanno per gli altri, vero?”

Tobio aggrottò la fronte e ricambiò lo sguardo. “Che cosa vuoi dire?”

“Nessuno penserebbe ad un pescatore, seppur di predatori, come un combattente degno di tale nome.”

Il Principe Demone storse la bocca in un sorrisetto sarcastico. “Ecco perchè Wakatoshi non è mai riuscito a piegare il Re Demone,” disse.

Tsutomu si bloccò. “Che cosa hai detto?” Sbottò.

“Un dato di fatto, nulla di più,” disse Tobio, continuando a camminare.

“Hai appena insultato mio padre!” Il Principe dell’Aquila lo raggiunse con ampi passi e si parò di fronte a lui. “Satori dice che non riesco a tenere a freno la lingua ma in questo non sei migliore di me.”

Tobio inarcò un sopracciglio. “Vuoi un premio?”

“Voglio che ti rimangi quello che hai detto!”

“Perchè? Ti risulta che Shiratorizawa sia mai riuscito a sconfiggere Seijou da quando i nostri genitori sono al trono?”

Tsutomu aprì la bocca prontamente, sicuro di avere la risposta pronta. Non l’aveva. La storia che il Re dell’Aquila ed il Re Demone avevano scritto prima della loro nascita non andava a suo favore.

“Appunto,” concluse Tobio e lo superò.

Tsutomu strinse i pugni. “L’alleanza con gli altri Regni liberi è stata l’unica ragione che ha permesso ai tuoi genitori di sconfiggere mio padre.”

“Ed il mio vuole che faccia una lezione di vita!” Esclamò Tobio, spazientito. Si voltò. “Mi vuoi dire perchè mi hai cercato o dobbiamo continuare a perdere tempo a battibeccare su un pezzo di storia che non ci riguarda e che non si può cambiare?”

Ancora una volta, il Principe dell’Aquila aprì la bocca solo per non dire niente.

Tobio sospirò annoiato. “Torna alla tenuta, Tsutomu.”

“Aspetta!”

Fu un raro moto di pietà a spingere il Principe Demone ad ascoltare quella richiesta.

Tsutomu esaurì la distanza tra loro con passi veloci, nervosi. “Devo confessarti una cosa,” disse, le guance rosse. “L’altro giorno, alla cascata, non stavo dormendo.”

Non capendolo, Tobio inarcò le sopracciglia e fece per chiedere di cose stava parlando.

”Tu scappi ed io volo per raggiungerti.” Il ricordò delle parole di Shouyou lo colse di sorpresa. ”Io sono qui, Tobio. Che cosa hai intenzione di fare?”

Il Principe Demone seppe di essere arrossito fino alla punta delle orecchie dall’espressione che comparve sul viso di Tsutomu.

“Sei un idiota!” Esclamò quest’ultimo, avvampando a sua volta.

Tobio digrignò i denti come un cane furioso. “Perchè sei imbarazzato come se la cosa riguardasse te?”

“Perchè riguarda me!” Sbottò l’erede al trono di Shiratorizawa. “Anche me!” Si corresse. “È solo il secondo dannato segreto in cui mi coinvolgete, tu ed il tuo Corvo!”

“Coinvolgerti? Sei tu che sei sempre in mezzo, Tsutomu!”

“E pensi che mi faccia piacere, Principe Demone?”

“Ma io che ci posso fare?”

“Non lo so!”

Rimasti entrambi senza fiato, si fissarono per un lungo minuto di silenzio, mentre i petti si alzavano ed abbassavano velocemente per il troppo urlare.

“E quello mio e di Shouyou non è un segreto,” aggiunse Tobio, posando lo sguardo su qualunque cosa che non fosse il viso dell’altro Principe.

Quello?” Domandò Tsutomu. “Non ha un nome, quello?”

Il Principe Demone scosse la testa frustrato. “Non lo so,” ammise con un filo di voce. Non sapeva nemmeno perchè lo stava dicendo al figlio dell’uomo di cui meno si fidava al mondo.

Era strano il rapporto tra lui, Tsutomu ed il modo in cui vedevano i loro genitori.

Wakatoshi e Tooru avevano firmato un’alleanza perchè i loro Regni ed erede potessero godere di un futuro radioso e di pace, ma i Principi in questione sembravano aver dimenticato il seno di quell’accordo strada facendo.

Tobio non provava disprezzo per il Principe dell’Aquila. Non provava assolutamente nulla, a dire la verità. Da parte sua, Tsutomu non aveva mai mancato di dimostrargli che lo guardava come il suo nemico giurato.

Il destino aveva fatto loro lo sgambetto tenendoli legati da non uno ma ben due segreti!

“È tutta colpa di Shouyou,” sibilò Tobio. “Come sempre!”

“Che cosa centra il Principe dei Corvi?” Domandò Tsutomu. “Non è nemmeno qui!”

L’erede al trono di Seijou inarcò un sopracciglio. “Non centra niente?” Ripetè. “Sul serio?”

Tobio sospirò, appoggiò la schiena al tronco di un albero e si lasciò scivolare fino a ritrovarsi seduto sul terreno erboso. “No,” rispose. “Certo che no.”

Tsutomu riflette con se stesso per meno di un istante, poi scrollò le spalle e si sedette accanto al Principe Demone. Tobio lo osservò con la coda dell’occhio. “Che cosa stai facendo?”

“Non lo so,” ammise Tsutomu, scrollando le spalle ed incrociando le gambe. “È così che ci si dovrebbe comportare in queste situazioni… Credo.”

“Quali situazioni?”

“Quelle in cui qualcuno è in difficoltà e ha bisogno di parlare con un amico.”

Tobio si voltò a guardarlo. “Noi non siamo amici.”

“Lo so!” Esclamò Tsutomu.

“Allora perchè ti sei seduto accanto a me?”

“Non lo so!”

“Non sai dire altro?”

“Non lo… Oh! Vai al diavolo, Tobio!”

“Vai al diavolo tu!”

Tsutomu guardò verso destra e Tobio verso sinistra.

Fu il Principe dell’Aquila a provare a spezzare il silenzio per primo. “Hai detto che non è un segreto.”

Tobio annuì. “Ti sentirai sollevato, immagino.”

“Confuso, a dire il vero,” ammise Tsutomu. “La scena dell’altro giorno non lasciava molti dubbi.”

“Beato te,” disse il Principe Demone. “Nella mia testa, dubbio è l’unico concetto che mi è chiaro.”

“A me è parso che tu e Shouyou vi… Piacciate?” Ipotizzò Tsutomu. “Non lo avrei mai detto.”

“Perchè?” Domandò Tobio incuriosito.

“Litigate continuamente, eppure passate ogni minuto di ogni giorno insieme. Ho passato tutta l’estate a pensare che fosse una contraddizione ma non credevo che sotto ci fosse dell’altro.”

“Non lo credevo neppure io,” disse Tobio, piegò le ginocchia e vi appoggiò le braccia. “Eppure…”

Tsutomu aggrottò la fronte. “Queste cose non succedono e basta! Deve succedere qualcosa che le scatena!”

“Tutta l’estate!” Esclamò Tobio. “Tutta l’estate ha scatenato quello che sta succedendo ora!”

Il Principe dell’Aquila studiò il fanciullo più grande per alcuni istanti. “Shouyou non sembra confuso quanto te.”

“Shouyou è più bravo di me a leggere nel proprio cuore,” spiegò Tobio. “Lui aspetta… Mi guarda da lontano, prova a fare un passo verso di me e poi sorride… Sì, sorride e basta. Non mi spinge in nessuna direzione, non pretende. Aspetta che lo acchiappi.”

“Acchiappi? Curiosa scelta di parole.”

“È un altro dei nostri giochi. Uno dei due insegue l’altro, ci tocchiamo per un istante e poi si  riprende a scappare.”

Tsutomu inarcò le sopracciglia. “Che idiozia è mai questa?”

Tobio lo guardò storto. “Ehi!”

“Cosa? Come gioco è assurdamente idiota!”

“Non è idiota è una tattica, scemo!” Replicò Tobio duramente. “Non hai mai studiato strategie di guerra?”

“Non parlarmi come se fossi un genio intellettuale!”

Tobio sbuffò. “Io non sono sicuro nemmeno di quello che penso, Shouyou lo è più di me ma imporsi non è nella sua natura.”

“Quindi?” Domandò il Principe dell’Aquila sempre più confuso.

“Te l’ho detto, aspetta. Sta lì, non troppo distante, a ricordarmi che lui c’è e che mi basterebbe fare un passo per toccarlo.”

“E perchè non ti acchiappa lui per primo?”

“Perchè c’è di mezzo anche l’orgoglio, Tsutomu.”

“Orgoglio? Shouyou mi è sempre parso più emotivo che orgoglioso.”

Tobio fece una smorfia. “Si vede che non lo conosci bene,” disse. “Se continui a scappare e la persona che vuoi continua ad inseguirti, allora significa che ci tiene davvero.”

Tsutomu ci pensò un attimo, annuì: aveva senso. “In conclusione: tu sei indeciso sui tuoi sentimenti, Shouyou gioca a farsi rincorrere per mettere alla prova il tuo interesse ma, essendo di natura gentile, non gioca con i tuoi sentimenti, rallenta, ti aspetta e ti concede la possibilità di vincere ma solo quando sarai sicuro di volerlo fare.”

L’angolo della bocca di Tobio si sollevò appena. “Allora sei ferrato in strategie.”

Tsutomu gonfiò appena le guance e borbottò qualcosa tra un’imprecazione ed un insulto all’indirizzo dell’altro Principe. “E che cosa ti blocca?” Domandò, infine. “Non sei paziente con le persone, non lo sei mai stato. Conoscendoti, se continui ad inseguirlo vorrà pur dire qualcosa.”

Tobio appoggiò la nuca al tronco dell’albero con un sospiro. “Sì, ci ho già pensato.”

Tsutomu allargò le braccia. “Siete entrambi i Principi, nessuno dei due è promesso ad altri ed i vostri genitori hanno un’alleanza che ha cambiato la storia alle spalle. La vostra potrebbe essere la storia più facile che si sia mai scritta tra due eredi al trono.”

Tobio non poteva dirgli che quella era solo parte della verità su lui e Shouyou, la più superficiale, la più semplice. I sogni di Kenma potevano essere solo sogni, ma i demoni nell’animo di Tobio erano reali ed anche se Shouyou era bravo a farli tacere, gli era difficile fidarsi completamente di se stesso.

“La loro storia non ha potere su di te?” Domandò il Principe Demone distrattamente.

Tsutomu inarcò le sopracciglia. “La storia di chi?”

“Dei tuoi genitori,” rispose Tobio, tornando a guardarlo. “Non ti è mai capitato di pensare a loro e dirti io non sarò così, non voglio essere così.”

Tsutomu aprì e chiuse la bocca un paio di volte, prima di riuscire a dare voce ai suoi pensieri. “Ho sempre vissuto cercando di emulare mio padre,” ammise. “Lo considero un emblema di perfezione e se riuscissi ad essere metà di quello che è lui…” Lasciò la frase sospesa, chiedendosi perchè stava facendo simili confessioni ad un Principe che non aveva mai considerato un alleato, tantomeno un amico. Scacciò quel pensiero con una scrollata di spalle: c’era un segreto ad unirli e dopo quell’estate, sarebbe stato difficile continuare ognuno sulla propria strada, come se nulla fosse accaduto. “Non è così per te?” Aggiunse incuriosito.

Tobio fissò gli occhi blu in un punto qualunque di fronte a sè. “No,” rispose, senza esitare. “Non voglio essere come il Re Demone.” Lo aveva fatto ma era accaduto durante una stagione felice, ormai appassita. “Voglio superarlo.”





 
   
 
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