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Autore: Lena_Railgun    31/03/2018    1 recensioni
"Ivan mi stava aspettando: il suo sguardo da prima perso nel vuoto si posò su di me e mi sorrise.
-Bravissima Mary- mi disse evidentemente fiero di me. Si avvicinò e mi scompigliò i capelli mentre io abbassavo il capo.
-Grazie- feci teneramente. Non l'avevo notato, ma nella mano destra teneva un'orchidea.
-è..è per me?- chiesi sorpresa.
-No guarda, per mia cugina che abita Torino che evidentemente frequenta l'accademia. Certo che è per te- fece ironicamente alzando il sopracciglio.
Gli feci la linguaccia:
-Ma dai! Non serviva!- feci quando me la porse.
-Viene sempre dato un fiore a chi si esibisce no?- mi disse lui mettendo le mani in tasca.
-Dove l'hai tirata fuori questa?- chiese divertita.
-Da qualche film- disse lui alzando le spalle. Osservai l'orchidea e sorrisi:
-é...perfetta. È tutto perfetto- "
Marina Rinaldi è una ragazza di sedici anni, che lascerà la sua normale vita da liceale, per accettare una borsa di studio per un'accademia di musica a Firenze. Per fare ciò, verrà ospitata da amici del padre, la famiglia Innocenti, con i loro due figli, Ivan e Celeste. Nonostante Ivan sembri molto diffidente, piano si avvicineranno molto. Cosa succederà tra i due?
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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22-IVAN E MARINA
 
(tre anni dopo)
 
 
"Sire, tra il sogno e la veglia risponderò confuso. Giuro che finora non so com'io sia qui venuto.
Forse - il vero vorrei dirvi! - or che ricordo, ecco dev'essere così; qui io venni con Ermia. Intendevamo fuggircene da Atene, eludendo la minaccia delle leggi ateniesi..."
Recitai. Tenevo il copione in mano per darmi sicurezza ma, in realtà, non ne avevo bisogno.
"Basta così! Duca, non più! Ciò vi sia sufficiente! Invoco la legge, la legge sul suo capo! Avrebbero voluto fuggirsene via, caro Demetrio. Questo, avrebbero voluto! Me e te defraudando. Te di tua sposa, e me del mio consenso... del consenso al vostro matrimonio. "
Ripose il mio compagno di corso Antonio. Il battere delle mani della nostra docente ci fermò.
-Bene così! Il tempo a disposizione è scaduto! Finite di leggere il quarto atto per la settimana prossima! Arrivederci- si congedò, ed uscì a suon di tacchi.
-Ivan complimenti!- mi disse Rosalba. Io le sorrisi e la ringraziai.
-Sai che amo Shakespeare- le dissi, scendendo dal palco.
-Sì che lo so- mi diede un bacio sulla guancia e io la strinsi forte a me.
-Rosalba! Sono geloso!- la richiamò Antonio, il suo attuale ragazzo nonchè nostro compagno di corso. Lei gli fece la linguaccia e corse da lui. Stavano molto bene insieme, ed ero felice per lei. Era bello vederla così felice, dopo lunghi periodi di crisi. Guardai l'orologio e sussultai.
-Io devo scappare, ci vediamo domani!- feci, raccogliendo la mia borsa con i libri.
-Non vieni a bere qualcosa con noi?- chiese Chiara, un'altra compagna di corso, mettendo il broncio.
Scossi la testa.
-Oggi non posso. Lei sta tornando a casa-  e me ne andai.
-Chi è questa lei?- sentii la voce di Chiara borbottare quelle parole a Rosalba. Lei rise.
-La sua ragazza. Sta tornando dopo tre anni di viaggio in Europa-
-Ma come? Ha la ragazza?- sentii esclamare Chiara, parecchio scocciata.
Risi senza farmi sentire e scappai via.
Finalmente era giunto quel giorno. Avevo deciso di iscrivermi all'Accademia di teatro e doppiaggio, realizzando così il mio grande sogno. Volevo tenermi vicino qualcosa che mi rendesse felice appieno, all'inizio forse per capriccio, ma andando avanti capii quanto fosse quello che volevo fare. Ma quei tre anni non passavano più. La sentivo tutti i giorni, ci chiamavamo, ma tra i suoi allenamenti e spettacoli, aveva sempre meno tempo. Spesso mi chiamava la notte, a spettacoli finiti, ma io mi arrabbiavo perché era sempre stanca e si capiva dal tono di voce. Lei ribatteva, sostenendo che sentire la mia voce la faceva stare meglio. E io avrei solo voluto teletrasportarmi lì da lei e stringerla forte a me. Spesso le varie esibizioni che faceva insieme a Lara le potevo vedere in televisione e io e la mia famiglia ci radunavano in salotto per poterla ammirare. Io la guardavo estasiato: era migliorata tantissimo ed ero davvero fiero di lei.
Finalmente stava tornando da me. Era tornata in Italia da qualche settimana, ma aveva deciso di tornare a Padova per un po', sia per stare con la sua famiglia, sia per capire cosa voleva fare. E aveva deciso che voleva vivere con noi, più precisamente con me.
I suoi genitori non erano molto entusiasti della cosa. In quei sei anni era stata più in giro che a casa con loro. Ma, a ventun anni, era ormai cosciente di quello che voleva, appunto perché era stata poco a casa in una teca di vetro.
Tornai a casa dopo un'intensa mattinata di corsi e salutai mia madre e mia sorella, Celeste. Guardai l'ora: erano le tre del pomeriggio  e lei stava per arrivare. Lasciai la borsa vicino al divano e mi catapultai fuori di nuovo, fuori dal cancello. La giornata era particolarmente grigia, ma lei avrebbe riportato il sole. Guardavo dritto davanti a me e aspettavo, agitando il piede con impazienza. E poi vidi una figura in fondo alla strada. Sentivo il rumore delle ruote del trolley che correvano sull'asfalto. La figura si fece più vicina: era avvolta da un cappotto blu, e indossava dei jeans; i capelli erano cresciuti, lunghi come li aveva sei anni prima, ed erano sciolti incorniciandole il viso perfetto. Lei guardava  la zona con nostalgia, i suoi occhi correvano verso il quartiere. E mi vide. Si fermò e sorrise. Non resistetti più.
Corsi verso di lei, corsi come non avevo mai fatto, come se potessi perderla nonostante fosse a tre metri da me. Lei mollò le valigie e le borse lì, e spalancò le braccia con gli occhi pieni di lacrime. E finalmente, il suo corpo caldo ed accogliente.
-Bentornata Marina!- dissi non appena la strinsi a me.
-Sono a casa... Ivan!- singhiozzò sulla mi spalla. Era lì con me, era tornata.
-Non ti lascio più! Non esiste!- dissi mentre la guardavo negli occhi. Le asciugai teneramente le lacrime con i pollici e lei rise. La sua risata giunse alle mie orecchie come un richiamo d'amore. E, ancora una volta, non resistetti oltre. La baciai con fare possessivo, rude. Era mia ed era tornata da me. Lei mi circondò il collo con le braccia, le sue dita giocherellavano con i miei capelli. Ero avido di lei,  avido delle sue labbra che succhiavo e mordevo tentando di saziarmi,
-Marina!- Celeste gridò fuori dalla porta di casa. A mala voglia, mi staccai da lei e la aiutai a portare le sue cose in casa.
-Grazie- mi disse lei sorridendo. Quanto mi era mancata.
-Sono...sono a casa- disse lei entrando.
Mia madre corse ad abbracciarla.
-Ciao Marina! come stai?- le chiese.
-Bene! Un po' stanca- disse ridendo - Voi come state?- chiese.
-Ci sei mancata tanto- disse Celeste abbracciandola.
-Anche voi- mormorò lei.
Mamma aveva preparato il the per tutti, sapendo quanto lei lo amasse. Si levò il cappotto e lo appese sull'attaccapanni. Indossava un maglioncino nero attillato, le stava d'incanto. I suoi occhi verdi guardavano la casa come ad assicurarsi che fosse tutto in ordine. E io non riuscivo a smettere di guardare lei.
-Vieni!- la incitò mamma. Lei si sedette a tavola, accavallando le gambe e si scaldò le mani con il the bollente.
-Raccontaci tutto!- la incitò Celeste.
Io mi sedetti accanto a lei. Sorrise e fissò la tazza.
-Allora...io e Lara ci allenavamo in studi di danza diversi ogni sei mesi. Siamo passate da Monaco, a Parigi, a Londra, a Stoccolma...grandi città ecco.- iniziò a raccontare. -L'ultimo periodo ci siamo spinte fuori dall'Europa, a Mosca, visto che la De Luci è nata lì e ha studiato lì danza. Giravamo per i teatri delle città vicine per esibirci almeno una volta a settimana.-
Ad un tratto prese la borsa ed iniziò a frugarci dentro. Ne estrasse quattro pacchetti.
-Ecco, questi sono per voi!-
Ne diede uno ciascuno. Il mio era un pacchetto verde dalla carta lucida. Serena e Celeste la ringraziarono davanti ai vestiti che le aveva regalato. Io aprii lentamente il mio.
I miei occhi si illuminarono davanti ad una copia in inglese di "Romeo e Giulietta", di "Amleto" e de "La Tempesta".
-Grazie Marina!- esclamai abbracciandola.
-Bhe ti conosco un po', direi- mormorò lei. Passò l'ultimo a mia madre -Questo è per Pietro- esclamò.
Ci raccontò dei teatri, delle esibizioni fatte che più le erano piaciute, e ci fece vedere molte foto che aveva fatto in quegli anni. Avevamo passato ormai due ore a parlare, non solo di lei, ma anche di tutto ciò che era accaduto in quegli anni.
-Come va in Accademia?- mi chiese, appoggiando la testa sul palmo della mano.
-Benissimo! Stiamo proprio studiando "Sogno di una notte di mezza estate"-
Le si illuminarono gli occhi.
-Quando lo porterete in scena?-  mi chiese.
-Se tutto va bene, in primavera-
-Non vedo l'ora di vederlo- sembrava entusiasta. Era il mio tesoro.
-Tu cosa farai ora?- le chiesi.
-Bhe ecco...ho deciso di entrare in conservatorio. Voglio accantonare la danza per un po'. Alla fine, in questi tre anni è come se avessi lavorato da ballerina, sono stata pagata bene, ma ho lasciato stare il canto e mi dispiace- ci comunicò.
-Quindi...mi preparerò per l'esame di ammissione e vivrò qui-
-Buona fortuna Marina!- esclamò mia madre -Hai dei progetti ammirevoli! e sono felice che vivrai ancora qui con noi-
Marina arrossì. Era così bella quando arrossiva.
-Anche io, molto-
-Ti aiuto con le valigie- mi offrii, alzandomi da tavola.
Lei mi ringraziò. Afferrai alcune delle sue cose e salii le scale. Aprii la porta di quella che era e sempre sarà la sua stanza, ed entrai, appoggiando i suoi bagagli sul pavimento.
Lei mi seguì. Entrò e si guardò intorno con nostalgia. Alcune cose erano rimaste lì, come ad esempio la tastiera. Mentre lei si avvicinava ad essa, io chiusi a chiave la porta. Prima che potesse raggiungere la tastiera, le afferrai il polso e la feci aderire alla parete. Mi guardò spaesata. Le mie mani erano strette sui suoi polsi sottili.
-In questi giorni, dovrai compensare per tre anni di attesa. Ti aspettano giorni molto duri- le comunicai con un ghigno. Lei scrollò le spalle.
-Non ho paura.- disse sostenendo lo sguardo.
-Si inizia subito. Fai l'amore con me, Marina-
Lei rise.
-Non ero io quella impaziente?-
Sorrisi a quella affermazione che avevo fatto io tre anni prima.
-Me lo devi-
Mi fiondai sulle sue labbra, saporite e morbide. Non me ne sarei mai stancato. Erano le uniche labbra che volevo baciare e in quei tre anni ne avevo sentito la mancanza, quasi che credetti di non aver mai respirato fino a quando non furono di nuovo mie.
Mi staccai dalle sue labbra solo per sfilarle il medaglione che le avevamo regalato tre anni prima, e il maglione. Non indossava la canottiera ma un reggiseno rosso a balconcino. Sentii il flusso sanguineo aumentare a quella visione. Sono pur sempre un uomo no? Appoggiai una mano sulla guancia e ripresi a baciarla, sfiorandole l'orecchio e qualche ciocca di capelli. Poi le mie mani scesero fino al bordo dei suoi jeans. Li slacciai e li feci scivolare per terra. Lei li scalciò via, e si insinuò sotto la mia felpa prima di togliermela. Si morse un labbro e prese a baciarmi ancora. La guardavo con desiderio. Mi era mancato tutto di lei, e quasi non credevo che fosse davvero qui con me. Slacciai il reggiseno che cadde per terra e vidi le sua guance imporporarsi. Ed era adorabile. Mi impossessai del suo collo, facendo aderire i nostri petti, sentendo ognuno il battito dell'altro. Il battito del suo cuore era armonioso, forsennato. Alle mie orecchie giunse la sua voce ansimante. Con le labbra scesi per riesplorare quel corpo che amavo da morire. Appoggiò le sua mani sulle mie spalle, lasciandosi andare. Scesi fino all'orlo dei suoi slip e li afferrai con i denti, fino a far scivolare anche quelli. Le morsi l'interno coscia, ricoprendolo, poi, di baci, e risalii verso la sua bocca. Mi slacciò i miei jeans e i miei boxer, facendo sì che raggiungessero la mia felpa. La afferrai per le natiche, lei agganciò le sue gambe alle mia vita e la feci nuovamente. Mi era mancato vederla ansimare, implorare, gemere; vedere ogni sfaccettatura del suo viso e delle sue espressioni. Quando l'orgasmo ci travolse, strinsi a me il suo colpo caldo ma tremante uscendo da lei.
-Non lasciarmi mai più per così tanto tempo- le dissi, mentre le infilavo il reggiseno e il maglione. Scrollò i capelli spettinati e mi guardò.
-Penso che non sopravvivrei più nemmeno io-
Ok, avrei voluto farla ancora mia, ma non era il momento. Doveva essere esausta. Dopo essersi rivestita, si buttò sul letto a pancia in giù.
-Non addormentarti signorina- la rimbeccai.
Lei mugugnò.
-Perché?-
-Perché c'è una sorpresa per te sta sera! E se ti addormenti ora farai una tirata fino a domani mattina- la punzecchiai.
Si voltò a pancia in su.
-Ma io sono stanca- si lamentò.
Le diedi un bacio sulla fronte.
-Fai un piccolo sforzo. Ti farà felice-
Lei sorrise.
-Va bene, ma allora voglio un caffé-
-Subito- le diedi un altro bacio sulla fronte e scesi al piano di sotto.
 
 
Guardavo la mia stanza, era stata vuota per tre anni. Rimasi distesa ancora un po', con ancora la sensazione del corpo di Ivan sul mio. Furono tre anni lunghi, dove mi chiedevo spesso come stava, cosa stesse facendo.  Dopo quel momento, avevo capito come gli ero mancata esattamente come lui era mancato a me. Mi fece felice saperlo.
A gran fatica, mi alzai dal letto e iniziai a disfare almeno un po' le mie valigie. Soprattutto, se aveva una sorpresa per me, dovevo almeno prendere qualche vestito decente, sepolto chissà dove. Dopo un'ora ero riuscita a sistemare tutto, cercando di disporre tutto come era tre anni prima. Presi, quindi, un vestito rosso dalla gonna che arrivava a mezza coscia, con delle calze sotto. Pettinai i capelli e infilai un paio di scarpe con il tacco. Lui mi aspettava fuori dalla porta, bellissimo come sempre.
-Quindi dove andiamo?- chiesi curiosa.
-Ogni cosa a suo tempo!- mi rispose lui.
Io sbuffai. Aveva ragione, non avevo per nulla pazienza.
-Noi usciamo!- disse Ivan e io salutai con la mano.
Mi aprii la portiera dell'auto di Serena.
-Prego-
Io salii e mi misi comoda. Era la prima volta che salivo in macchina mentre guidava lui.
Guardavo la strada scorrere davanti a noi, mentre lui guidava senza fretta, ma alla giusta velocità. Nonostante il buio, riconobbi il tragitto verso il centro di Firenze, verso l'Accademia. Ivan parcheggiò e io scesi, un po' disorientata. Mi prese per mano senza dire nulla, ma iniziò a camminare. Sorpassammo la zona scuole, mentre io la guardavo nostalgica. Mi fermai davanti all'Accademia e sentii una tristezza crescere in me. Chiusi gli occhi e mi ritrovai per quei corridoi, con le mie amiche; nella sala prove con i miei insegnanti, o nel teatro ad esibirmi. Ivan mi diede un lieve strattone e io riaprii gli occhi sorridendogli. Camminammo ancora un po', verso vie dove non ero mai stata. Sulla nostra sinistra, c'era una pizzeria, dove Ivan entrò. Io lo seguii, un po' perplessa. Il cameriere, che sembrava conoscerlo, invitò Ivan e me a proseguire verso una saletta qualche gradino più in basso, dritta davanti a noi. Lì vidi Lara, che si guardava intorno.
-Ciao Lara!- esclamai, andandole incontro.
-Ehi Mary!- mi abbracciò.
-Anche tu qui?- le chiesi.
-è stato Ivan a chiedermi di venire!-
Guardai Ivan perplesso. Lui ci fece l'occhiolino e scostò la tenda davanti alla sala. Era buio.
-Attenzione ai gradini- ci prese le mani e ci guidò nel buio. Dopo aver tirato nuovamente la tenda, le luci si accesero all'improvviso.
-Bentornate!-
Davanti a noi, era riunita tutta la ex 5B. Aria, Amanda ed Elisa in primis, che ci vennero incontro, tra lacrime ed urla.
-Non ci credo!- feci io sorpresa.
-è stato Ivan ad organizzare questo- mi confessò Aria. La mia amica era cambiata in quei tre anni! I capelli le arrivavano sopra il seno, e non erano più rossi come quando la conobbi, ma castani, il suo colore naturale, con le punte blu, bellissime. Amanda quella sera aveva i capelli lisci, non l'avevo mai vista con i capelli lisci. Elisa, invece, aveva tagliato i capelli, sembrando molto più adulta.
Mi voltai verso Ivan.
-Grazie- dissi semplicemente. Mi baciò la nuca e mi sentii, per davvero, a casa.
Ci sedemmo a tavola, parlando, ricordando ogni nostra avventura. Io e Lara parlammo molto della nostra avventura in giro per l'Europa, e tutti loro raccontarono a turno cosa studiavano o dove lavoravano.  Ad esempio, Elisa voleva tornare a Lucca, la sua città d'origine, ma rimase a vivere con gli zii per studiare psicologia a Firenze, e tornava a casa il week end, un po' come faceva al liceo. A giugno, probabilmente, si sarebbe laureata ed ero fiera di lei. Amanda si buttò su conservazione dei beni culturali, seguendo qualche corso con Elisa. Aria aveva preso una pausa dagli studi, iniziando a lavorare nel negozio di strumenti dove lavorava Alex, e dando lezioni di chitarra in oratorio. Messi soldi da parte, entrò in conservatorio l'anno prima.
-Sono contenta di avervi rivisti tutti- dissi, a cena finita, fuori dal locale. Si erano fatte le undici, e molti il giorno dopo lavoravano o dovevano correre in facoltà.
-Dobbiamo farlo più spesso- esclamò Emilia.
-Andata!- esclamò Matteo.
-Ciao e grazie!- disse Lara. Salutammo tutti e ognuno andò per la sua strada.
Camminai mano nella mano con Ivan verso la macchina.
-Sei felice?- mi chiese ad un tratto.
-Moltissimo. Cosa ho fatto per meritarti?-
Lui si fermò e mi guardò.
-Cosa ho fatto IO per meritare te- precisò, scandendo quell' io. Si chinò e mi baciò. Era più alto di me, nonostante indossasse i tacchi. Dovetti alzare un pochino la testa per guardarlo negli occhi, mentre stringevo tra le dita la sua camicia. Sorridevo come un'ebete, ero piuttosto certa di questo. Ma andava bene così.
Tornati a casa, salimmo le scale in punta di piedi.
-Bhe..è stata una giornata intensa-
Lui annuì e rise, grattandosi la testa. Sembrava un po' inquieto.
-Vieni!- mi prese per un braccio e mi guidò in camera sua.  Lo guardai perplessa mentre apriva un cassetto dalla scrivania.  Prese qualcosa e tornò da me.
-Marina...so che siamo, probabilmente, una coppia assurda- cominciò lui. Io lo guardavo, non capendo cosa volesse dirmi. -Tu sei una ballerina, io un attore. Tu ami il dolce, io il salato. Tu ami il freddo, io lo detesto. Sei un'amante del the, del caffé, mi dai del pigrone ma nemmeno tu scherzi- nel dirlo rise, mostrando le sue adorabili fossette - Tu sei una testarda allucinante, una ragazza timida ma passionale. Hai mille facce diverse e io le amo tutte. Tu sei Veneta e quando provi a parlare il vostro dialetto mi fai un sacco ridere. Io sono Fiorentino, e ridi per come parliamo noi. Tu sei mia. E io sono tuo. E detto questo..-
Mi sembrò che il tempo rallentasse in quel frangente. Si inginocchiò davanti a me, e mi mostrò cosa aveva preso. Era una scatola rossa. La aprì: dentro c'era una fede argentata.
-Marina Rinaldi, vuoi sposarmi?-
Mi mancò il fiato.
-Ivan...ma abbiamo ventun anni...cioè-
-Non adesso scema!- esclamò lui irritato -Ma tra qualche anno. Quando avrai finito il conservatorio, e quando io avrò finito l'accademia. Ma voglio che, se litighiamo, se ti arrabbierai...se starai per tradirmi, tu ti ricordi di questo istante. Del fatto che ti amo. Che ho provato qualcosa per te dalla prima volta che ti ho visto, anche se non te l'ho mai detto. Che voglio passare il resto della mia vita con te-
Lo fissai imbambolata. Mi portai una mano sulla bocca e iniziai a singhiozzare. Piangevo davvero troppo spesso da quando mi ero trasferita li.
-Sì- dissi tra le lacrime -Sì lo voglio!- mi inginocchiai e lo abbracciai.
-Qualunque cosa accadrà tu devi sapere che il mio posto è dove sei tu. E tutto è sbagliato se non ci sei. Quindi sì, mille volte sì- dissi tra i singhiozzi.
-Vale lo stesso. -
E fu quello, probabilmente, il giorno più bello della mia vita.
 
La vera proposta me la fece alla soglia dei ventisei anni. Avevamo vissuto sotto la stesso tempo per praticamente nove anni, ci consideravamo una coppia sposata che abitava con i genitori. E la cosa faceva ridere. Quando capitava di litigare, pensavo davvero a quella proposta fatta e mi bloccavo. Mi ripetevo quanto lo amavo e quanto davvero lo volevo nella mia vita per sempre.
I miei genitori erano venuti a trovarci. Lo facevano spesso. E fu allora che Ivan decise di chiedere la mia mano a mio padre. Ormai, anche loro si erano abituati all'idea, e quindi acconsentirono. Io ero uscita dal conservatorio proprio quell'anno, ed avevo deciso di studiare per diventare un'insegnante di canto. Non mi ci vedevo a fare la cantante, ma volevo fare di quella passione il mio lavoro. Ivan si stava dedicando alla carriera di doppiatore. Lavorava già per piccoli ruoli ed ero fiera di lui.
Oggi è il giorno del matrimonio. O per lo meno, lo è stato. La cerimonia fu gradevole. Aria, Elisa ed Amanda erano le mie damigelle, bellissime come sempre. Furono loro ad aiutarmi a scegliere il vestito, insieme a Serena e a mia madre. Lo trovai subito. è bianco avorio, le maniche in pizzo, la scollatura a cuore, il corpetto con perline bianco perla, la gonna dallo strascico, che avevo sempre amato fin da piccola. Il velo mi ricadeva fin sulla schiena scoperta, facendomi sentire una donna bellissima e speciale. Mio padre mi ha accompagnata all'altare porgendomi il braccio al quale mi ero ancorata con sicurezza e, quando lo lasciai per raggiungere il mio bellissimo sposo, ho sentito come se la parte più piccola di me fosse rimasta vicina a mio padre. Quando, oggi pomeriggio, ho pronunciato quel fatidico sì, mi sono sentita davvero completa. Ho sentito che la mia vita sarebbe iniziata. Ora sono qui, nella camera di casa Innocenti che mi ha ospitata per tutti questi anni. è vuota, spoglia dalle mie cose. Mi fisso allo specchio, mi guardo nel mio abito da sposa. Sono sposata. Sorrido allo specchio come una bambina. La sera sta calando, vedo le luci del tramonto. In me risuonano mille canzoni diverse.
-Amore- mi volto e vedo mio marito entrare.
-Dobbiamo andare, la nostra nuova casa ci aspetta-
Si affianca a me e mi bacia sulla nuca. Lo fa sempre per coccolarmi.
-Non ti fa nostalgia entrare qui?- gli chiedo, mentre mi prende la mano per guidarmi fuori da lì.
-Sì..e pure molta. Per questo ti porto fuori. Perché non voglio vederti triste-
-Ma io non potrei essere più felice di così!-  ribatto, fermandomi sulla soglia.
-Ok, ma un po' nostalgica. è normale. Mi sembra ieri che sei arrivata qui la prima volta- dice lui, allentando il nodo della cravatta.
Annuisco, pensando la stessa cosa. Quegli anni erano stati turbolenti, ma mi avevano dato tanto. Mi avevano resa felice.
Rimango a guardare la stanza ancora qualche secondo. Poi mi volto verso Ivan e dico:
-Andiamo-
Mentre chiudo la porta, ho l'impressione di vedere una Marina di quindici anni entrare per la prima volta in quella stanza, trascinando zaini e valigie, piena di paure e preoccupazioni;  e insieme a lei, c'è uno scorbutico Ivan, pieno di pregiudizi e scheletri nell'armadio, che la aiuta a svuotare la valigia. E non ha idea, che sarà la prima di molte.
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Non ci sto credendo che siamo arrivati alla fine! Ho iniziato a pubblicare il tutto più di due anni fa! Sono andata veramente a rilento per un sacco di motivi diversi, mi vergogno di me stessa. Spero non accada più!
Grazie a chi ha letto questa storia piena di zucchero e miele, sdolcinatezza e amore (che io mai riceverò, AAA cercasi un Ivan, grazie)
Penso che comincerò a pubblicare anche la nuova storia (che pubblico anche su Wattpad) tra qualche giorno.

Vi auguro una buona Pasqua, spero passiate una bella giornata. Io sono seduta sul letto ad osservare la pioggia che scende inesorabilmente da quando i 5 Seconds of summer sono arrivati qua in Italia, e rido. No, in realtà sto piangendo perché non sono andata al loro concerto giovedì, ma it's ok.
Vi lascio qualche social dove potete addarmi se vi va:
Twitter: LenaRailgun
Instagram: silvia.lena27
Wattpad: Lena Railgun

Ancora grazie!
Lena
   
 
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