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Autore: lucifermorningstar    31/03/2018    1 recensioni
Seattle. Il Corvo, un Conduit o come preferiscono chiamarlo alcuni: "Bioterrorista" compierà quello che si potrebbe definire un Butterfly Effect. Un piccolo gesto cambierà totalmente il suo destino, legandolo in maniera indissolubile a quello di un altra persona.
{Crossover. Personaggi di LIS nel mondo di Infamous Second Son} {Coppia: Pricefield}
Genere: Azione, Fantasy, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Chloe Price, Max Caulfield, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Il mondo si tinse di colori grigi mentre Max ricordava, affogando negli angoli remoti della sua mente. Era una giornata tranquilla quando successe, pioveva ma non c'era una vera e propria tempesta, solo qualche lampo e qualche fulmine che le facevano scappare un risolino.

Trovava i fulmini affascinanti Max, e anche suo padre li trovava molto belli. Sua madre era addormentata, con la testa appoggiata sul sedile e le braccia conserte. Suo padre era alla guida e canticchiava sottovoce, cercando di non svegliare la moglie.

Max era sul sedile posteriore, guardava fuori con curiosità, osservando il cielo pieno di nuvole grigie. Un fulmine squarciò il cielo, rombando e facendola sobbalzare lievemente per quanto era passato vicino. Si era spaventata ma ne era rimasta anche affascinata. Le piacevano quei fulmini.

-Papà, dove stiamo andando?- Domandò a un certo punto, l'uomo smise di canticchiare e sorrise, voltandosi di poco in sua direzione.

-Lo scoprirai presto. Abbia pazienza piccolina.-

-Lo sai vero che non ho piu dodici anni? Non chiamarmi piccolina.- Gonfiò le guance, mostrando al padre quanto fosse matura con quella sua espressione. Il genitore rise sonoramente nel vederla, tornando a prestare attenzione alla strada, limitandosi a lanciarle solo qualche occhiata con lo specchietto retrovisore.

-Lo so, lo so, sei diventata grande.- Il tono con cui lo disse non la convinse piu di tanto. Sapeva che il padre tendeva a considerarla una ragazzina nonostante la sua età, ma non ne faceva una colpa. Era un poliziotto e come ogni poliziotto vedeva crimini e pericoli per la sua famiglia praticamente ovunque.

Un altro fulmine, questa volta ancora piu vicino e forte si espanse nel cielo, stavolta non la affascinò, spaventandola e basta. Non era una di quelle ragazze che avevano paura dei temporali ma l'idea di essere colpita da un fulmine non gli piacque. Dallo specchietto retrovisore il genitore notò la sua espressione preoccupata e subito si accinse a rassicurarla.

-Non preoccuparti Maxine. Sono solo un paio di fulmini. Non è nulla di cui spaventarsi.-

La ragazza sbuffò nel sentirsi chiamare con il suo nome, non gradendolo particolarmente. Il nome Maxine le aveva dato sempre un certo fastidio per un qualche motivo, per questo molto spesso si presentava come Max. Non ebbe tempo di dire nulla dato che all'improvviso la macchina sterzò bruscamente, facendola ondeggiare. Appoggiò le mani sul sedile della madre, andando a guardare la strada. 

Un fulmine squarciò il cielo, un fulmine rosso come il sangue, rimbombando e svegliando la madre che sobbalzò, girando il capo da una parte all'altra come un animale spaventato. E un altro fulmine ancora piombò a gran velocità addosso, ma stavolta non rimase in cielo, cadde addosso a un veicolo che avevano sorpassato facendolo esplodere. Lei aveva urlato dallo spavento assieme a sua madre.

Il padre non capì cosa stava succedendo e perse il controllo dell'auto. Questa correva a una velocità maggiore, tutti nell'auto erano spaventati, sua madre continuava ad urlare al padre chiedendo cosa stesse succedendo e il padre urlava di non sapere nulla. Preso dallo spavento l'uomo perse di vista la strada e quando tornò a guardare, per cercare di evitare qualcuno o qualcosa, sterzò. Quello fu un grosso errore.

L'auto si ribaltò, finendo per rotolare su stessa un paio di volte. Max aprì gli occhi, stordita e dolorante, e scoprendo di essere a testa in giu. Si toccò la fronte sentendola umida a causa del sangue che stava fuoriuscendo da un piccolo taglio. Ritirò la mano di scatto quando una fitta di dolore la colse, facendole scappare un lamento. I suoi genitori non erano nell'auto, da quanto riuscì a vedere.

Lentamente andò si tolse la cintura, unica cosa che la teneva ancora a testa in giu, con il risultato di cadere sul tettuccio interno della macchina. Il cuore le batteva a mille, la paura la attanagliava in una morsa lo stomaco. 

-Mamma? Papà?- Chiamò mentre strisciava fuori dal veicolo distrutto. Fuori era un inferno in terra, una pioggia di fulmini si era abbattuta sui palazzi distruggendo alcune facciate, altre persone avevano avuto incidenti con l'auto, altre persone giacevano a terra piangendo davanti a ammassi neri e fumanti. Le ci volle qualche secondo per capire cosa fossero quegli ammassi neri, e quando lo capì, inalando l'odore di carne bruciata, rischiò di vomitare. 

Ma non lo fece. Doveva trovare sua madre e suo padre, girò attorno alla propria macchina alla ricerca dei genitori, sperando di trovarli vivi. La gola le sembrava secca e la gamba sinistra le faceva terribilmente male, costringendola a zoppicare.

-Mamma... papà...- Chiamò per la seconda volta, il tono di voce spezzato quasi stesse per mettersi a piangere. Qualcuno le prese una spalla di forza, lei si voltò subito sperando di vedere uno dei genitori ma si sbagliava.

Un uomo con un casco simile a quello della S.W.A.T le puntò addosso un fucile, facendola cadere a terra. L'uomo indossava una divisa nera e gialla con un enorme marchio al centro della corazza: il palmo di una mano al cui centro vi era lo Space Needle. 

Rimase sopra di lei, la canna del fucile puntata all'altezza della testa, senza parlare o dire nulla di nulla, rimanendo per un istante a guardarla prima di scavalcarla e continuare, mettendosi a correre. Lei restò con la schiena sull'asfalto, a metà tra lo steso e il seduto con la pioggia che le cadeva addosso inzuppandola. Il respiro era affannato per la paura e per quanto volesse non riuscì a mettersi in piedi. 

Degludì, gli occhi sbarrati e le mani che le tremavano, la gamba sinistra le pulsava in maniera insopportabile. Da dove era spuntata quella persona? Suoni di spari si udirono nella direzione dove l'uomo era sparito, persone che gridavano e correvano verso di lei, scappando come animali in fuga da un predatore. Si voltò, gomiti usati come appoggio per mettersi in ginocchio e provare ad alzarsi.

Una luce intensa la acceccò costringendola a chiudere gli occhi, si stese subito sulla pancia appoggiando il mento contro la strada mentre un calore intenso le passava sopra la testa. Riaprì piano gli occhi, notando come alle sue spalle, alcune persone che erano scappate giacevano a terra urlando con i vestiti bruciati. Si agitavano, rotolando per spegnere il fuoco.

-M-max- Chiamò una debolissima voce. Con le lacrime agli occhi si rianimò, mettendosi a urlare a gran voce, cercando di farsi sentire.

-Mamma? Mamma!- Urlò, alzandosi a fatica e zoppicando in direzione della voce che sembrava provenire a qualche passo di distanza dalla macchina, vicino a un cumulo di macerie. Si mosse piu rapidamente possibile, scavando con le mani e spostando cumuli. Le pietre appuntite le graffiarono le dita e i palmi, aprendo dei piccoli tagli ma non le importò.

Continuò e continuò a scavare finchè non trovò sua madre, ricoperta di polvere e mezza schiacciata da un enorme masso. Mise entrambe le mani sotto al masso, cercando di tirarlo via ma la gamba sinistra tornò a farle male. Pianse come una bambina, non arrendendosi.

-Mamma andrà tutto bene. Te lo prometto...te lo prometto. Ora ti tiro fuori ma mi serve il tuo aiuto. Devi aiutarmi a spingere- Ma la donna non sembrava totalmente cosciente di cosa stesse succedendo attorno a lei. Le ci volle qualche secondo per capire che la madre non la stava riconoscendo.

-Max- Ripeteva debolemente e in continuazione la donna, chiamandola ancora e ancora.

-Mamma...sono io...sono qui. Sono qui.- Le disse prendendole una mano, la donna socchiuse gli occhi smettendo di ripetere il nome della figlia. Il terrore prese il sopravvento. 

-No no no, resta sveglia, resta sveglia. Aiuto! Qualcuno mi aiuti!- Gridò, cercando di attirare l'attenzione di qualcuno. Sperando che qualcuno andasse ad aiutarla ma non venne nessuno. Si ritrovò lì da sola, stringendo in lacrime la mano della madre morente. Singhiozzò, sentendosi inutile e colpevole per non essere riuscita ad aiutarla.

-Aiuto. Aiuto- Continuava a ripetere sottovoce, singhiozzando.

Accarezzò i capelli della madre, passandole una mano sul viso per chiuderle gli occhi, come a far sembrare che fosse caduta in un sonno profondo. Si sentiva a pezzi, distrutta ma si costrinse a rialzarsi e cercare il padre. La minima speranza che lui fosse vivo sembrò darle la giusta spinta per non arrendersi ma in quel momento il mondo divenne distorto.

Cambiò. I ricordi orribili di quel giorno sfumarono, mischiandosi all'incubo formatosi con la sua immaginazione. Suo padre era ferito ma in piedi, lontano da lei e le veniva incontro.

Lei corse cercando di raggiungerlo ma cadde per terra e fu allora che lo vide. Qualcuno arrivò dal cielo, un uomo le cui gambe sembrarono apparire solo dopo essersi avvicinato al suolo. Atterrò a metà strada tra lei e suo padre, consentendogli di vederlo bene in faccia. 

Il viso sbarbato, con una cicatrice di una lama che tagliava in diagonale passando sopra al suo naso. Un occhio blu e un occhio marrone che fissavano i due, i denti marci esposti in un sorriso diabolico. Alzò le mani al cielo, aprendole in una posa quasi religiosa, mentre queste si riempirono di una scintillante e vibrante luce blu in una mano e rossa in un altra. Due fulmini partirono dalle sue mani verso il cielo, tagliandolo a metà.

Comprese troppo tardi cosa stava per succedere. Suo padre corse, quasi sperasse di raggiungerla ma non era abbastanza vicino. L'uomo abbassò le mani di scatto e i fulmini che aveva lanciato tornarono piu forti di prima in un torrente elettrico. Riversandosi, spaccando il terreno e travolgendo il padre che venne disintregrato.

E lei allora urlò. Urlò a gran voce e fu con quell'urlo che si risvegliò, urlando disperata anche dopo che il sogno era sparito, fino a quasi perdere la voce. Solo dopo aver sfogato quella disperazione si asciugò le lacrime che scendevano copiose dalle sue guance. La gamba sinistra le pulsò, come a prenderla in giro.

Il suono di un fulmine che squarciava il cielo la terrorizzò. Si strinse, portando le ginocchia al petto, seduta sul suo divano. L'occhio le cadde sull'orologio, notando con sommo dispiacere che aveva dormito solo un paio d'ore. E come al solito la "dormita" non le aveva dato alcun riposo oltre ad essere stata piena di incubi, come sempre. 

Dinanzi a lei, sul tavolino, c'era ancora il giornale che parlava di quel giorno. La foto del Fulmine impressa in prima pagina, un uomo giovane con la barba e senza alcuna cicatrice a tagliargli a metà il viso. Nessun dente marcio e nessun occhio di colore diverso. D'altra parte lei non lo aveva mai visto, non lo aveva mai incontrato. Ma aveva visto cosa aveva fatto, aveva visto quei fulmini che uccidevano il padre. E odiava quel ricordo. 

Si morse il labbro inferiore, tremando appena nel buio di quella stanza. Una parola uscì dalle sue labbra, senza un destinatario preciso, rivolta forse a una divinità o forse ancora ai genitori morti quel giorno. Una parola detta con un tono implorante, sussurrata nell'ombra del suo salotto.

-Aiuto-

 

Seattle. 5 Ottobre 2018. Ore 13:00 PM

David si era messo al volante, guidando per qualche isolato, girando in lungo e in largo per quasi mezza Seattle. Lo sguardo, sempre vigile, a cercare la figliastra, sperando di intravederla sotto qualche riparo dalla pioggia. Si era messo a piovere a dirotto e, anche se non lo dava a vedere, era davvero molto preoccupato per Chloe. 

Piu volte aveva cercato di richiamarla o di messaggiarle, senza ricevere alcuna risposta. Si era ritrovato a correre nei vicoli, con la giacca a far da scudo dalla pioggia, smuovendo dalla sporcizia e dal buio persone somiglianti alla ragazza, o persone che potevano aiutarlo nella sua ricerca. Niente di niente, non aveva trovato nulla. 

Aveva cercato nei posti dove era solita bazzicare Chloe ma non aveva trovato nemmeno il minimo indizio. Dopo essersi fermato a un distributore di benzina per fare il pieno, si ritrovò costretto a tornare verso casa, sperando in un possibile ritorno da parte della figliastra.

Controllò l'orologio sul polso, facendo ordine nei propri pensieri e ricordando i suoi spostamenti mentre guidava verso casa. Il suo turno era finito da un paio d'ore, si era cambiato d'abito e nell'esatto istante in cui aveva messo piede fuori dalla centrale era iniziato il diluvio universale. 

Aveva visitato diverse zone, specialmente nei quartieri malfamati, dove Chloe era solita prendere droga. O almeno ipotizzava ne facesse uso. Da quando aveva frugato nelle sue cose diversi mesi prima, la ragazza si era fatta attenta, chiudendo la stanza e rimanendoci, certe volte, per diverse ore. Era quasi certo facesse uso di stupefacenti, cosi l'aveva seguita per confermare i suoi sospetti ma incredibilmente la ragazza lo seminava. Girava un vicolo e spariva, facendo perdere le sue tracce nonostante fosse a piedi.

Fermò l'auto. Non era una volante della polizia ma una decapottabile blu vintage, un auto che trattava come un gioiello seppur fosse ormai vecchiotta e con qualche pezzo da cambiare. Aprì lo sportello, mettendosi la giacca sopra la testa mentre rapido andava a sollevare la porta del garage, cosi da poter parcheggiare la macchina. Una volta fatto tirò giu, chiudendo il garage. Era alquanto umido quel posto e odorava d'olio per motori, una fraganza che, chissà perchè, lui adorava. 

Per una disattenzione inciampò su un oggetto per terra, ristabilendo fortunatamente l'equilibrio appena in tempo. Lo sguardo si posò sull'oggetto in questione: delle pinze. Le afferrò, studiandole con attenzione, notando un particolare in un angolo, proprio in mezzo. Grattò con l'unghia, ritrovandosi dello sporco rossiccio sul dito. Ne rimase confuso, non capendo cosa fosse. Esaminò il terreno circostante ma non trovò alcunchè. Rimise le pinze al loro posto, chiudendole nella propria cassetta degli attrezzi.

Si guardò il dito, sporco ancora di quel rosso. Sembrava vernice ma in un angolo del suo cervello un pensiero fastidioso iniziò a pizzicarlo. Un piccolo sospetto che si faceva strada. Un rumore improvviso lo distolse dai suoi pensieri. Un rumore di passi che veniva dal salotto. Silenzioso andò a prendere la pistola che teneva nascosta nel cruscotto dell'auto, stringendola con la mano sinistra. 

Piano piano si avvicinò alla porta, girando la maniglia lentamente cosi da non produrre il minimo suono. Sempre con la stessa lentezza aprì uno spiraglio da cui spiò, cercando di vedere se ci fosse qualcuno. Non vide nessuno ma continuò a muoversi in maniera furtiva, uscendo dal suo nascondiglio e, arma in pugno, dirigendosi verso il salotto.

Spalle al muro, pistola contro il petto. Prese un bel respiro e si sporse lentamente cosi da vedere chi ci fosse ma senza volersi far vedere. Era buio, la luce era spenta e, a causa del cielo pieno di nuvole nere come la pece, poca luce filtrava nella stanza. Si riusciva a vedere ma la visibilità non era delle migliori. 

Una figura si mosse nell'ombra, le braccia tenute dinanzi a se, trasportando quello che sembrava un baule. Uscì dal suo nascondiglio, puntando la pistola contro la figura. Il tono di voce fu autoritario e minaccioso.

-NON TI MUOVERE O SPARO-

La figura sobbalzò, urlando spaventata, lasciando cadere per terra quello che teneva in mano. E non era un baule, una valigia o una cassa come aveva pensato. Era un cesto di plastica, di quelli che si usano per il bucato. La voce, poi, era famigliare, apparteneva a una ragazza giovane che lui conosceva molto bene. La ragazza in questione tremava come una foglia, tenendosi la testa tra le mani e tenendo gli occhi chiusi per lo spavento. Abbassò la pistola, riconoscendola.

-Kate.- Mormorò, infilandosi la pistola nel risvolto dei pantaloni militari dietro la schiena.

-S-s-si Sono i-io.- Balbettò la figlia dei Marsh, aprendo l'occhio destro con attenzione, temendo di essere sparata. Vedendo come la pistola era sparita dalle mani dell'uomo si tranquillizzò, rimanendo tremante ancora per qualche secondo. Non del tutto sicura di essere fuori pericolo.

-Cosa ci fai qui?- Chiese il poliziotto, il tono duro e severo. Lo sguardo inflessibile e glaciale di chi sembrerebbe star interrogando un prigioniero di guerra anzichè una semplice ragazza.

-La signora Joyce aveva steso il bucato stamattina e-e-e quando si è messo a piovere, i-io li ho presi cosi che non si bagnassero- Infilò debolmente una mano in tasca, mostrando e agitando un piccolo oggetto luccicante. Dovette aguzzare la vista per vedere che era una chiave. -La s-signora mi ha d-dato u-una chiave per emergenze simili- Mormorò con una vocina da bambina.

-Perchè non hai acceso la luce allora? Avrei potuto spararti- Il tono di voce di David non cambiò minimamente. Kate sobbalzò sul posto, aprendo bocca per rispondere anche a quella domanda.

-L-la luce non funziona... la pioggia ha fatto saltare la corrente...- Il poliziotto mosse qualche passo, avvicinandosi all'interruttore della luce. Premendolo piu e piu volte senza ricevere alcun risultato. Era vero, la corrente era andata via. Tornò a guardare Kate, con un occhiata ancora severa mentre quest'ultima raccoglieva e rimetteva nel cesto i vestiti che erano caduti all'impatto con il suolo.

-Ho-ho-ho provato ad aggiustare ma è partita una scintilla e mi sono s-s-spaventata- Ora la faccenda si faceva piu chiara nella mente di David. Kate era entrata, provando ad aggiustare con le pinze il generatore ma spaventata doveva aver fatto cadere l'attrezzo. Si avvicinò con passo pesante alla ragazza, le mani sui fianchi e il capo chino a osservarla inquisitorio. Il cesto era stato poggiato su una sedia e Kate sembrava essersi fatta minuscola come un topolino.

-Non azzardarti piu a fare niente di quello che hai fatto, in questa casa chiaro? Sarebbe potuto partire un incendio, ti saresti potuta ferire o peggio. Fuori da questa casa. ADESSO!- L'ultima parola uscì praticamente urlata. Un ordine che non accettava repliche e che fece scappare a gambe levate la povera Kate, in uno stato davvero pessimo.

Si passò la mano sul viso, tenendosela davanti agli occhi sentendo la porta di casa sbattuta. Dopo un lungo momento andò a guardare l'ingresso, la porta chiusa dopo che Kate era scappata via, un mucchio di lettere posato in un angolo e un mucchio di chiavi appese al muro. Si avvicinò alla porta, restandovici per qualche istante, a fissare il legno bianco perfettamente intagliato. Sospirò, scuotendo il capo e sentendosi in colpa per quanto aveva appena fatto.

Dietro di se c'erano le scale, unico modo per andare al piano di sopra. Inizialmente indeciso se andare da Kate a scusarsi, decise di andare a cercare di ripristinare la corrente. Si infilò un paio di guanti, solo per sicurezza, e vide di aggiustare come poteva il guasto. Ci vollero un paio di minuti, forse anche di meno. Non era nulla che non si potesse risolvere con un po di pazienza e di buona volontà.

Fatto ciò si tolse i guanti, gettandoli nel cestino dell'immondizia. Non notando come all'interno del cestino vi fosse una strana piuma blu scuro. Chiuse la porta dietro di se, accendendo finalmente la luce. Ora si riusciva a vedere e ora poteva salire le scale senza correre il rischio di cadere nel farlo. Si diresse al piano di sopra, andando a vedere se Chloe era in camera sua. Capitava non poche volte che quella ragazza era lì senza che nessuno se ne accorgesse.

Girò la maniglia ma non si aprì. Spinse, cercando di far forza ma i suoi sforzi erano vani. La porta era chiusa, cosi si mise a bussare un paio di volte. Se era chiusa dall'interno era probabile che Chloe fosse in casa. Non era certo dato che lei usciva dalla finestra a volte. Bussò ancora e ancora senza ricevere mai una risposta dall'altro lato.

Non si arrese, piegandosi cosi da spiare dal buco della serratura. Completamente nero. Probabilmente Chloe aveva messo un cappotto o un oggetto qualsiasi per coprire la serratura e impedirgli di vedere. La rabbia tornò a prendere il sopravvento su di lui, la stessa rabbia che aveva sfogato sulla povera Kate.

-CHLOE. SO CHE SEI QUI. APRI SUBITO LA PORTA.- Urlò a gran voce, stringendo i pugni e sbattendoli con forza contro la porta di legno, rischiando quasi di romperla. Si arrese infine. Rapida come era venuto quello scatto d'ira, cosi se ne era andato. Scese le scale, tornando in salotto. Guardò l'orologio, erano passate meno di ventiquattro ore dall'ultima volta in cui aveva sentito Chloe. Non poteva fare altro che attendere, sperando che tornasse. Se non lo avesse fatto avrebbe dichiarato la sua scomparsa, facendo appello ai suoi colleghi. Non era quello che desiderava fare dato che l'ultima cosa che voleva era mettere in ridicolo Chloe, Joyce o se stesso.

Aprì il frigorifero, prendendosi una birra e andando a sedersi sul divano. Accese la televisione e, telecomando in pugno, girovagò per i canali alla ricerca di qualsiasi cosa potesse distrarlo. Canali di sport, canali pieni di soap opere da quattro soldi, reality show. Ormai in televisione non si vedeva altro che programmi spazzatura. Sorseggiò la sua birra, scuotendo il capo a metà tra il rassegnato e il deluso.

Stava per premere il tasto OFF del telecomando quando apparì un enorme schermata, con un logo che lui conosceva bene. Si bloccò a mezz'aria con il telecomando puntato contro il televisore. Aspettando per vedere il programma di quella fastidiosa ragazza.

La ragazza dai capelli biondi a caschetto fece il suo ingresso nello studio televisivo. Portava una gonna nera lunga fino al ginocchio, con una camicia grigio scuro e dalla quale penzolava una collana di perle bianche lucenti. Un tocco di rossetto rosa pesca sulle labbra e, probabilmente, del semplice trucco per donne sulle guance e sugli occhi.

La ragazza camminò fino al centro dello studio, dove andò a sedersi, in una maniera esageratamente teatrale, dietro una scrivania. Un sorriso e un espressione gioviale rivolta alla telecamera che la stava inquadrando.

-Benritrovati cari telespettatori. Come ben sapete io sono Victoria Chase, la nuova conduttrice di questo programma. Vi ricordiamo che questa sera in prima serata avremo come ospiti i vari sostenitori dei gruppi pro e contro i bioterroristi con cui discuteremo dell'attacco del Corvo avvenuto ieri sera. Qui il video dell'attacco.- Si voltò indicando uno schermo dietro di lei, che tuttavia rimase completamente bianco. Ci fu un attimo di confusione sul viso della ragazza, spaesata si guardò attorno chiedendo con lo sguardo spiegazioni ai tecnici. Portò una mano all'orecchio, lì dove c'era nascosto un dispositivo con cui stavano comunicando qualcosa.

La giovane tornò a guardare nella telecamera. Degludì prendendo un bel respiro prima di aprire bocca.

-Interrompiamo i programmi e i servizi per informarvi di un comunicato da parte dell'Ordine.- Lo schermo divenne totalmente nero, un simbolo bianco comparve al centro. L'impronta di una mano umana, al suo interno vi era, confuso con lo sfondo nero, la sagoma dello Space Needle. Una voce in sottofondo, metallica ma riconducibile a un individuo di sesso femminile parlò.

-Salve cittadini di Seattle. Io sono Rose Palmer, capo dell'Ordine. Ci duole informarvi che tra di voi un assassino si nasconde. Il bioterrorista chiamato "Il Corvo" si è macchiato di un orribile crimine. Ha compiuto un omicidio, togliendo la vita a un onorevole poliziotto. Questo crimine non rimarrà impunito. E' nostro dovere catturare il Bioterrorista. Quest'oggi siamo qui per informarvi che non sarà piu permesso uscire dalla città fino a quando Il Corvo non sarà nostro. Questo messaggio è anche per te Bioterrorista. Se senti questo messaggio sappi che stiamo arrivando per te. Sappi che presto saremo qui. Consegnati e renderai le cose piu facili a te e a tutti noi. Rifiuta e ti pentirai di averlo fatto. Hai dodici ore di tempo da adesso in poi per consegnarti alla polizia, dopodichè verremo a cercarti-

La mano scomparve e cosi anche tutto il resto. Nessun programma era piu visibile, cambiò canale varie volte ma lo schermo restò nero. La birra era caduta, senza che se ne accorgesse, rovesciandosi sul pavimento. Imprecò quando se ne rese conto, e imprecò ancora piu forte quando vide che le anche le scarpe erano state bagnate dalla birra.

Si alzò in piedi, pulendo per terra, non volendo dover mettersi a discutere con Joyce quando questa sarebbe tornata dal lavoro. Quel comunicato lo aveva reso nervoso. Molto ma molto nervoso. Sapeva degli eventi di Los Angeles, sapeva cosa era successo nell'ultima "caccia" al Bioterrorista e sapeva quante persone erano morte solo per trovarne una soltanto. Guardò fuori dalla finestra, osservando la pioggia incessante che cadeva e un fulmine squarciare il cielo. Chiuse gli occhi, per un secondo scosso, voltando le spalle e andando a prendere il telefono, piu preoccupato di prima.

Una tempesta stava per abbattersi sulla città.

 

Seattle 5 Ottobre 2018. Ore 15:30 PM

 

Chloe era uscita di casa, proprio nel momento in cui David aveva fatto il suo ingresso, parcheggiando l'auto nel garage. Aveva atteso sopra al tetto, nascosta con addosso la sua giacca di pelle nera come la pece, o come le ali di un corvo. Non indossava la sua maschera, non la portava addosso. Solo quando David era sparito lei era scesa, correndo via sotto la pioggia battente.

Si trovava nella metropolitana, in attesa di un treno che l'avrebbe portata in una zona ben specifica dove avrebbe potuto discutere con una persona molto importante. Aveva ucciso un uomo eppure stava lì, gocciolante da capo a piedi ad aspettare un treno come tante altre persone attorno a lei. I capelli azzurri erano coperti in parte da un cappello, le cui poche ciocche che spuntavano da sotto quest'ultimo erano bagnate e facevano cadere delle goccie d'acqua di tanto in tanto.

Era in abito comuni ma attirava comunque qualche sguardo, al contrario del cappotto nero del Corvo che le permetteva di mimetizzarsi nelle ombre senza doversi mettere in mezzo alla gente. Per questo lo aveva scelto per le sue scorribande notturne. Da sotto la giacca di pelle si intravedeva il suo fisico gracilino, con addosso una maglietta bianca dove davanti era disegnato il teschio di un ariete. Il resto del suo abbigliamento erano un paio di jeans mentre ai piedi calzava un paio di stivali.

Non portava gioielli sfavillanti, dato che non facevano per lei. L'unico ornamento che portava era una collana composta da tre proiettili, un regalo che si era concessa assieme al suo coltello preferito. Coltello che non si portava in giro molto spesso, dato che preferiva non ricorrere all'uso di armi quando poteva usare i suoi poteri.

Chiuse gli occhi per un istante, lasciando che quel ricordo le entrasse nel cervello. Il ricordo di quando aveva sparato a un uomo, di quando aveva ucciso un uomo innocente, il ricordo di quando era diventata un assassina. Sentì un brivido lungo la schiena ma non seppe dire se fosse stato per quel pensiero o per il freddo dovuto all'essere tutta bagnata.

Un treno si fermò dinanzi a lei, aprendo le porte del vagone emettendo un suono fastidioso e lasciando quel quesito senza una risposta. La folla di gente in attesa assieme a lei ci si buttò dentro mentre quelli che erano all'interno del vagone scendevano, muovendosi freneticamente come se fossero dentro un gigantesco formicaio. Persone sconosciute che si gettavano addosso ad altri sconosciuti solo per prendere un piccolo posto in un piccolo vagone.

Entrò dentro al vagone, rimanendo in piedi con la faccia mezza schiacciata contro il vetro dal gran numero di presenti. Spinse e diede un paio di gomitate, riuscendo ad assumere una posa perlomeno dignitosa. Emise anche qualche ringhio rabbioso, allontanando da se possibili attenzioni indesiderate, cosa che era frequente in treni come quello.
Il rumore del treno in movimento era quasi occultato dal gran numero di chiacchere dentro a quel posto. Sentiva le persone discutere del comunicato dell'Ordine, un comunicato che lei aveva sentito dato che era stato emesso anche dai megafoni della metropolitana. Quel messaggio non sembrava minimamente preoccuparla, quasi non lo avesse preso realmente sul serio.

Il fianco non le faceva piu male, era guarita velocemente dato che i proiettili erano stati espulsi dal suo corpo prima di quanto si aspettasse. Stava diventando piu forte forse, non lo sapeva con certezza. Era difficile capire quanto i suoi poteri fossero potenti e quanto stessero cambiando. Imparava ogni giorno cose nuove sui suoi poteri.

Un uomo si girò bruscamente, colpendola con il gomito sul naso. Reclinò il capo all'indietro, dolorante e frastornata per la botta ricevuta, guardando rabbiosa l'uomo che l'aveva colpita e tenendosi con una mano il naso. Non si era rotto per fortuna.

-Stai attento idiota- Aveva detto a un tono di voce alto, attirando l'attenzione di mezzo vagone su di se. Si morse il labbro inferiore quando lo notò ma evitò di peggiore ulteriormente le cose, decidendo di fregarsene e guardando fuori dal vagone. Le porte si aprirono nuovamente e un ondata di andirivieni la spinse qua e là, facendole perdere l'equilibrio e facendola finire addosso a una ragazza che stava uscendo, finendo per buttarla a terra e atterrando su di lei.

-Ahia- Si era lamentata la ragazza quando era finita a terra. Il busto di Chloe sopra la sua faccia, coprendola e quasi soffocandola. Mise i palmi delle mani per terra, spingendo e alzandosi. La ragazza sotto di lei sgusciò come un anguilla, cercando di uscire ma la folla continuava ad andare e venire urtandole entrambe e finendo per non permettere a nessuna delle due di alzarsi completamente.

Restarono lì bloccate per un paio di secondi fino a quando non terminò quel caos e Chloe potè sollevarsi da terra, togliendosi da sopra l'altra. Rimessasi in piedi gli occhi andarono a vedere la ragazza che aveva steso.

-Tutto apposto?- Aveva domandato, porgendole la mano per aiutarla a rialzarsi. Lei l'aveva presa, venendo tirata su da Chloe che la rimise in piedi. Era una ragazza minuta, dai capelli castano scuro con un taglio che sembrava tenerla a metà tra il femminile e il maschile. Una maglietta nera con una scritta viola che diceva "Jane" accanto alla quale c'era il disegno di una cerva. Un cappotto color beige a coprirle le spalle e a ripararla dalla pioggia. Un che di malinconico negli occhi, due splendidi occhi blu.

Chloe le aveva dato un paio di colpetti sulle spalle, pulendola dallo sporco finitole addosso per la caduta. Non seppe nemmeno lei il perchè di tanta premura per una completa sconosciuta. La ragazza le sorrise e, accidenti, le si fermò il cuore per un istante come se quel semplice sorridere dell'altra avesse fermato il tempo. Si ritrovò senza parole, confusa e trovandosi, per la prima volta, senza saper cosa dire distolse lo sguardo. Notando per terra un biglietto, lo raccolse credendo fosse caduto dalle tasche dell'altra.

Non potè fare a meno di leggerlo prima di porgerglielo: "Maxine Caufield. Agenzia investigativa". Gli occhi si erano messi a luccicarle quando aveva letto quelle poche parole, un sorrisetto curioso le era nato sulle labbra.

-Un investigatrice privata? Figo.-

Chissà perchè nel sentire quelle parole notò una sorta di imbarazzo misto ad orgoglio sul viso dell'altra. Le restituì il biglietto e lei lo afferrò, sfiorandole la mano. Sentì qualcosa di strano quando avvertì quel contatto, uno strano brivido che le percosse la schiena. Non ricevendo risposta dalla ragazza non disse niente, rimanendo per un paio di secondi ad osservarla in silenzio.

-Mh. Bhe, buona giornata Maxine- La salutò infine dandole le spalle e facendosi per andarsene per la sua strada, quando ecco che la voce della ragazza la fermò.

-Max. Mai Maxine.- Le disse con quella vocina. Chloe si voltò, guardandola negli occhi e sorridendo.

-Chloe- Rispose facendole un occhiolino, prima di riprendere a camminare.

 

Seattle 5 Ottobre 2018 Ore 16:00 PM

Ray si passò un fazzoletto sulla fronte madida di sudore. Non solo perchè in quell'ufficio faceva terribilmente caldo ma anche perchè aveva passato un brutto quarto d'ora con il capo della polizia che lo aveva rimproverato per il suo modo di fare troppo avventato. I suoi superiori non avevano apprezzato la sua chiamata all'Ordine, non vedendo di buon occhio quel gruppo di persone.

Sopratutto il capo della polizia che definiva l'Ordine un "gruppo di scimmie senza cervello" e che riteneva lui uno scarto della società. Non poche volte il capo della polizia aveva cercato di cacciarlo e mandarlo sotto a un ponte. Il motivo? Il colore della sua pelle non gli andava a genio. Raymond sopportava in silenzio, le angherie dell'uomo, non avendo il coraggio di ribellarsi.

Si sedette sulla propria sedia dietro alla scrivania, appoggiando il gomito sul legno massiccio, scostando le numerose scartoffie accumulate. Non era stata una bella giornata per il povero poliziotto. Era stato lui, personalmente, a dare la tragica notizia ai famigliari di Skip, donando le proprie condoglianze e assicurando che sarebbe stata fatta giustizia al piu presto.

"Giustizia" Si ritrovò a pensare amaramente. Giustizia a quale prezzo? Con la morte di altre persone? L'incontro con Max aveva contribuito a rendere i suoi pensieri alquanto cupi. Aprì il cassetto della scrivania, frugando nello scomparto segreto da lui costruito. Sollevando il pannello che celava il doppio fondo, lì dove nascondeva una bottiglia di whisky assieme a dei bicchieri di vetro.

Prese un bicchiere, afferrando il collo della bottiglia e appoggiando il tutto sulla scrivania. Fissò il liquido alcolico agitarsi, in un movimento quasi ipnotico stuzzicandogli un lato di se che aveva sempre cercato di tenere a freno. Soffriva d'alcolismo da quando sua moglie aveva ottenuto il divorzio e ultimamente, da quando aveva scoperto che la moglie era in procinto di sposarsi con un altro, era anche peggiorato.

Non resistette nemmeno un minuto. Afferrò la bottiglia e si versò un bicchiere, bevendoselo tutto d'un fiato. Sentì l'alcol scendergli in gola e infiammarlo, facendogli scappare un sospiro. Se ne versò un altro ma questa volta non lo tracannò subito, tenendoselo in mano e cercando di resistere alla tentazione di ubriacarsi. Era ancora in servizio, rischiava guai grossi, ma non ci fu niente da fare.

Anche il secondo bicchiere venne mandato giu, assieme a molti altri, fino a svuotare tre quarti della magica bevanda. Intontito dall'alcool il bicchiere scivolò dalle sue mani, andando a spaccarsi in mille pezzi contro il suolo. Eppure non si curò nemmeno di quello, andando a bere direttamente dalla bottiglia. Quando finì la ripose nel doppio fondo, chiudendo il cassetto e alzandosi in piedi. O almeno provandoci.

Traballò un poco mentre andava a guardare fuori dalla finestra, un suono di gomme che strideva aveva attirato la sua attenzione. Sbirciò e vide un enorme furgone militare da cui scesero due gruppi di uomini armati fino ai denti che marciando entrarono in centrale. Senza attendere oltre uscì dal proprio ufficio andando a controllare la situazione.

-Che succede?- Chiese a uno dei suoi uomini che lo fissò preoccupato, notando il suo stato non propriamente lucido e alquanto alterato. Il poliziotto a cui aveva fatto quella domanda balbettò una risposta ma non riuscì a capire bene. Se per il fatto che fosse ubriaco o perchè il tono che aveva usato sembrava quello di un tiranno che sentenziava una pena di morte non gli era dato sapere.

Diede quindi le spalle all'uomo, cambiando subito idea e decidendo di andare a controllare di persona cosa stesse succedendo. I pensieri e il paesaggio attorno a lui che traballavano.

Scese le scale in fretta e furia, vedendo oltre il corrimano i due gruppi di persone all'entrata che come perfetti soldati addestrati o come comparse in uno spettacolo, si erano sistemati uno di fianco all'altro in due file, lasciando al centro uno spazio vuoto. Entrambi le file iniziavano ai lati della porta d'ingresso e terminavano ai piedi delle scale.

La porta si aprì e qualcuno fece il suo ingresso. Una persona vestita di rosso e nero, con un bel paio di corna che spuntavano dal cappuccio, avanzò in maniera elegante nel luogo. Non sembrava un soldato, anzi sembrava quasi la parodia di uno stregone, tanto strani erano i suoi abiti, eppure, non appena fece il suo ingresso, ogni singola persona nelle file sembrò irrigidirsi, alzando il capo in segno di rispetto.

Talmente era concentrato su quella figura misteriosa che appoggiò male il piede su uno scalino, finendo per cadere e rotolare, ritrovandosi letteralmente ai piedi della persona in questione. Si rimise subito in piedi, guardandosi attorno e notando come alcuni dei suoi colleghi lo stessero fissando, alcuni con disapprovazione mentre altri con derisione.

Ma non commentò a nessuna delle due occhiata, tornando a guardare il nuovo ospite che aveva iniziato a parlare rivolto proprio a lui.

-Immagino che lei sia Raymond Wells. Siamo qui per prendere i fascicoli del caso Turner e tutte le informazioni che avete sul Corvo-

-Chi diavolo sei tu?- Borbottò Ray, riuscendo a vedere meglio solo ora chi fosse. Non era un uomo ma una ragazza e, accidenti, non una ragazza qualsiasi. Degludì, spalancando gli occhi e chinando subito il capo in segno di scuse. La ragazza si abbassò il cappuccio, rivelando una chioma folta e dorata, facendo dondolare con quel gesto un orecchino con una piuma blu che le pendeva dall'orecchio sinistro. 

-Sono qui per prendere i fascicoli del caso Turner e tutte le informazioni che avete sul Corvo- Ripetè autoritaria, con gli occhi fissi sul poliziotto che si limitò ad annuire.

-Ve li porterò subito- Assicurò. La ragazza richiamò due soldati, ordinando loro di farsi accompagnare dall'uomo mentre dava ordine agli altri soldati lungo le file altri ordini. Il poliziotto voltò le spalle alla ragazza, scortando i due uomini a prendere ciò di cui avevano bisogno.

Il capo della polizia scese le scale con un espressione agitata e la fronte sudata. Senza aver bisogno di voltarsi riuscì distintamente a sentire le sue parole, pronunciate con un tono cosi umile e da lurido leccapiedi che gli venne da vomitare.

-Siamo profondamente onorati di averla qui signorina Palmer, siamo desolati di non aver reso questa topaia adatta a una persona del suo rango......- Ma l'uomo non potè continuare a parlare dato che la ragazza lo interruppe con un semplice gesto della mano, silenziandolo come un cagnolino addestrato.

-La smetta di fare il leccaculo. Sono qui per conto di mia madre e per fare il lavoro che voi non siete riusciti a fare. Non tollero che un uomo viscido come lei cerchi di tenermi buona con qualche parolina idiota.-

Il capo della polizia era diventato rosso di rabbia e di imbarazzo ma non aveva avuto il coraggio di ribattere. Limitandosi a rispondere con delle scuse banalissime.

-Liberi il suo ufficio, faccia silenzio e si faccia da parte. Questo posto non è piu suo.- A quelle parole l'uomo divenne ancora piu rosso.

-Cosa ha detto?-

-Mi ha sentito: Sparisca. Ora.- 

La ragazza fece qualche passo, andando per salire le scale, dando le spalle all'ex capo della polizia. Quest'ultimo colto da un raptus le urlò dietro un sonoro e rabbioso:

-Puttana!- Un errore a dir poco imperdonabile. Uno dei soldati lasciò la fila, colpendo con il calcio del fucile il mento dell'uomo. Questi indietreggiò, tenendosi la mascella con una mano, piegandosi in due quasi avesse paura che i denti stessero per cadergli. Altri due soldati lo afferrarono per le spalle, pronti a trascinarlo fuori con la forza. 

La ragazza alzò una mano, fermandoli dal continuare quello che stavano facendo. Tornò indietro, avvicinandosi all'ex capo della polizia e facendo cenno di lasciarlo. Cosi come lo avevano preso, cosi lo lasciarono tornando ai loro posti, ordinati come scolari. La ragazza inclinò il capo, fissando l'uomo con uno sguardo pieno di disgusto.

Schioccò le dita e l'uomo si mise ad urlare di dolore. Ogni singolo poliziotto si voltò, osservando la scena, qualcuno pensò di impugnare la pistola ma colto dal panico la riabbassò l'attimo dopo. Non osando fare nulla per aiutare quel tiranno che avevano avuto come capo.

L'uomo si teneva la gamba destra con entrambe le mani, cercando di liberarla dal massiccio ammasso di ghiaccio che l'aveva ricoperta. La ragazza ondeggiò la mano come se fosse la bacchetta di un compositore musicale, facendo crescere il ghiaccio e facendolo espandere dalla gamba destra fino a metà busto. Ricoprendo anche l'altra gamba e bloccando il corpo dell'uomo in una morsa glaciale. 

Questi urlava e si dimenava ma non c'era niente da fare. La ragazza schioccò la lingua contro il palato, muovendo un passo verso l'uomo con un che di divertito negli occhi.

-Sai cosa sta succedendo? Il ghiaccio ti sta letteralmente divorando. Se ti lascio in questo stato per qualche minuto di troppo, le tue gambe smetteranno di funzionare del tutto. Chiedimi perdono. Dì la parola magica e forse ti libererò.

Uno sguardo implorante venne alla ragazza, le mani congiunte a mo di preghiera, chiedendo umilmente di essere liberato. 

-La prego, la prego mi perdoni. Non volevo. Non accadrà piu glielo giuro.-  La ragazza sorrise, soddisfatta. Alzò di nuovo il palmo della mano in direzione del corpo dell'uomo, aprendolo e piegando le dita verso l'interno.

Il capo della polizia sorrise, sospirando di sollievo mentre il ghiaccio andava lentamente a ritirarsi, togliendosi dal suo busto e scendendo lungo le sue gambe. La ragazza si fermò, tenendo la mano ferma e mezza chiusa come se stesse stringendo qualcosa, alzandola di scatto verso l'alto.

Il ghiaccio sembrò animarsi, ritorando subito e crescendo come un edera, arrampicandosi sull'intero corpo dell'uomo fino al collo, ricoprendo tutti gli arti e tutto il busto. L'unica parte del corpo che rimase libera era la testa. L'uomo sbarrò gli occhi, cercando di urlare per il dolore ma il ghiaccio sembrava aver congelato i suoi polmoni. 

-Avevi detto che.....che....che mi liberavi.- Balbettò tremolante l'uomo con quel poco di respiro che aveva ancora in corpo. La ragazza scrollò le spalle, sorridente.

-Ho detto che forse ti liberavo. E....nah. Uno viscido come te non la merita la libertà.- L'armatura di ghiaccio ricoprì l'intero cranio dell'uomo, trasformandolo in una statua di ghiaccio vera e propria. Colpì con l'indice quello che prima era il naso dell'uomo, ridacchiando prima di tornare seria.

Rivolgendosi all'intera stazione di polizia che aveva osservato la scena in silenzio, a metà tra il terrorizzato e lo shockato.

-Signori miei, ascoltatemi prego. so che siete sconvolti da quando è appena accaduto. Quest'uomo che aveva osato mancarmi di rispetto era stato sospettato di corruzione e di traffico di esseri umani. Di bambini innocenti usati come schiavi all'estero ma non c'erano mai state prove nei suoi confronti. Potete non credermi e uscire da quella porta, siete liberi di farlo. Oppure potete dimenticare quanto successo qui, e contribuire affinchè la corruzione di questa città venga estirpata una volta per tutte. Insieme.- Silenzio. Un paio di poliziotti uscirono da quella porta, mentre tutti gli altri presenti restarono, senza osar muovere un muscolo. Piu per la paura che per il discorso fatto dalla ragazza.

-Io sono Rachel Amber. Da questo momento in poi, la vostra vita sarà nelle mie mani-

 

 

 

Allora, inizio con il dirvi che è stato un capitolo molto ma molto duro da scrivere. Inizialmente ero indeciso se iniziare con una scena con Chloe disperata per quanto avvenuto ma dato che avevo idee molto contrastanti tra loro ho deciso di mettere da parte la faccenda e concentrarmi su qualche altro personaggio. Eh si, ho voluto inserire anche Rachel Amber in questo capitolo. L'aspettativa era causare qualche sobbalzo nel lettore o una sorta di sorpresa ma, dato che non sono per nulla sicuro di esserci riuscito, facciamo finta di nulla. Ovviamente l'OOC non è stato messo a caso. Come qualcuno avrà notato Rachel non è proprio proprio uguale a quello di Before the Storm. Anche perchè l'ho sempre ritenuto un personaggio complicato, cosi come lo sono Chloe e Max e dato che temevo di non saper gestirli, non volendo fare casini ecco qui, inserisco l'OOC e sono salvo. Potrei stare ore a parlare ma vorrei evitare di rendere questo piccolo angolo dell'autore piu grande del necessario. Detto questo ci si vede al prossimo capitolo.

   
 
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