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Autore: Horror_Vacui    01/04/2018    1 recensioni
Stiles Stilinski ha perso tutto: la moglie, la casa e il lavoro. Torna così a vivere con suo padre, dopo aver passato otto mesi in un istituto psichiatrico poiché affetto da disturbo bipolare, emerso dopo aver sorpreso la moglie con un altro.
Stiles incontra Malia, una misteriosa e problematica giovane donna, che in seguito alla morte del marito si è data alla promiscuità. Malia si offre di aiutare Stiles a riconquistare la moglie consegnandole una lettera, ma solo se lui in cambio farà qualcosa di veramente importante per lei: partecipare a una gara di ballo.
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Stalia AU basato sull'omonimo film di David O'Russell.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allison Argent, Malia Hale, Sceriffo Stilinski, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 5. La lettera


Aveva smesso di correre con la sua felpa foderata di plastica, aveva dimezzato la dose di farmaci e quasi non ricordava più quale fosse la lista di libri da leggere per far contenta Lydia.
Lui e Malia si allenavano da quasi due mesi e il ballo era la sua nuova fissazione.
Malia era davvero una brava insegnante, gli diceva cosa fare e lo incoraggiava senza moine, non lo faceva sentire uno stupido bambino incapace – come invece erano stati tutti i suoi insegnanti fino ad allora – era più calma di quanto si sarebbe aspettato e sapeva restare concentrata per ore.
Avevano iniziato dandosi appuntamento ogni pomeriggio per provare; lei aveva deciso di dedicare le prime ore di ogni incontro all'ascolto della musica, in silenzio e guardandosi negli occhi, diceva che li avrebbe aiutati a entrare in connessione. E forse erano serviti, perché già alla seconda settimana l'imbarazzo era crollato e l'intesa era cresciuta, Stiles non aveva più paura di guardarla in modo diretto o di toccarla, la ruga tra gli occhi di Malia si era appianata.

Di volta in volta imparavano nuovi passi e provavano quelli vecchi, Malia voleva puntare sulla varietà di stili, non potendo far affidamento sugli anni di pratica degli altri partecipanti alla gara.
E quindi il carico di lavoro era aumentato al punto che i pomeriggi non bastavano e dovettero cominciare a vedersi anche di mattina.
Stiles usciva molto presto, quando ancora suo padre dormiva, passava dalla tavola calda e prendeva due caffé americani e due donuts, uno con copertura al cacao amaro per Malia e uno con copertura al lampone per lui.
Lei si faceva trovare sulla panchina più riparata del parco del suo quartiere, lì facevano colazione e restavano in genere per mezz'ora o poco più a parlare. Stiles faceva domande a caso sulle cose più disparate e Malia rispondeva con quel suo tono da donna che ne ha viste troppe per sorprendersi di qualcosa.
Dopo si dedicavano al riscaldamento, facendo qualche giro attorno all'isolato e stretching a casa di Malia e restavano insieme fino a sera.
La madre di Malia aveva smesso di rivolgergli occhiate al vetriolo e anzi preparava il pranzo anche per lui. Li aveva più volte invitati alla sua tavola, ma Malia preferiva pranzare seduta a terra piuttosto che sentire i consigli del padre su come trovare “un onesto cittadino americano” da sposare.
Era la loro nuova routine e a Stiles piaceva, non avrebbe cambiato nulla, eccetto forse le occhiatacce di Noah quando rientrava tardi, che lo facevano sentire un eterno adolescente.
Non era andato tutto sempre liscio, c'erano stati episodi che Stiles avrebbe preferito dimenticare, ma che lo tormentavano spesso di notte, quando si trovava da solo con se stesso.
Come quella volta in cui Malia era andata in bagno a cambiarsi e lui aveva intravisto la sua schiena nuda attraverso lo specchio appeso alla porta. Era corso via senza nemmeno salutare e si era chiuso in camera a ripassare i motivi per cui la stava aiutando, cercando di focalizzare il volto di Lydia, che era sempre più sfocato nella sua mente.
Lydia era un'idea, un desiderio negato, Malia era la realtà.
Dentro di sé Stiles sapeva che era così, ma a livello conscio non poteva accettarlo, non poteva venire a patti con quella nuova consapevolezza, non se Malia parlava ancora di Isaac con gli occhi lucidi e gli ricordava che prima o poi Lydia avrebbe risposto alla lettera e sarebbe stato libero da quella “cosa di ballo”.
E poi Lydia era sua moglie, avevano giurato di fronte a Dio e a tutti gli invitati che sarebbero stati insieme per sempre, il loro matrimonio non era uno scherzo.
Quella promessa doveva pur valere qualcosa, no?



*


Non ce l'aveva fatta, non aveva consegnato la lettera a Lydia. A sua discolpa ci aveva anche provato, ma l'unica volta in cui l'aveva vista era sta a cena da Allison e con lei c'era anche Jordan.
Il suo naso era tornato quasi dritto com'era stato prima che Stiles lo distruggesse e lo rendeva, se possibile, ancora più bello e affascinante. Scott li aveva raggiunti con un ritardo di dieci minuti, aveva una mano fasciata e un sorriso così finto da sembrare una paresi.
Un'altra avrebbe desistito dal consegnare la lettera perché Lydia e il suo nuovo compagno sembravano felici insieme, lei no. Malia lo aveva fatto un po' per Stiles e un po' per se stessa.
La verità era che, guardare Lydia ridere e fare gli occhi dolci a Jordan, aveva risvegliato in lei un vecchia rabbia che credeva sopita: Lydia non meritava quelle attenzioni. E, anzi, era convinta che l'ego della rossa bambola di porcellana avrebbe fagocitato la lettera e il cuore di Stiles, lasciandolo a mani vuote, più ferito e umiliato di prima.

Così aveva fatto buon viso a cattivo gioco e poi aveva nascosto la lettera sotto il materasso.
La tentazione di leggerla era forte, troppo forte, ma non voleva aggravare il suo senso di colpa.
Era già abbastanza difficile mentire vedendolo ogni giorno, così felice e pieno di speranze!
Doveva però ammettere che quel piccolo peccato pesava meno degli altri, era l'unico di cui non riusciva a pentirsi. Sarebbe andata all'inferno tenendolo stretto al petto senza rimorsi e senza rimpianti.
Alla fine era cascata nella trappola che Stiles non sapeva di averle teso, si stava innamorando di lui senza che potesse far nulla per per impedire a se stessa di provare ciò che provava. Ogni sua stranezza, ogni parola di troppo, ogni sguardo, sorriso o sospiro mettevano a tacere i suoi vecchi demoni e, allo stesso tempo, ne creavano di nuovi.
Stiles non ricambiava, non avrebbe mai ricambiato, il suo amore per Lydia sembrava impossibile da scalfire, senza contare che prima o poi la verità sarebbe venuta a galla; perciò lei aveva deciso di accontentarsi di quello che riusciva a racimolare di nascosto durante i loro incontri, nonostante ogni sguardo, ogni abbraccio e ogni stretta di mano fossero parte di una finzione da lei creata per partecipare a una gara che lui voleva vincere per un'altra donna.
Era debole, stupida e fragile, se lo ripeteva di continuo, soprattutto quando lui l'attraeva a sé e i loro corpi sbattevano uno contro l'altro e un fuoco le si accendeva dentro, dalla punta dei piedi alla punta dei capelli.
Lui restava coerente alla sua fissazione per la moglie, mentre lei era passata al livello successivo, era caduta in un nuovo circolo vizioso di autodistruzione. Il pavimento si stava sgretolando sotto i suoi piedi e lei non aveva più nulla a cui aggrapparsi, nemmeno il dolore.
Era partito il conto alla rovescia dei giorni che la separavano da Eichen House o da qualsiasi altra clinica per matti. Tic tac, tic tac...




*


«Stiles? Stiles, sveglia, sveglia. Dove sei stato? Ci troviamo in una grave situazione, lo sai?»
Stiles si rigirò sotto le coperte, suo padre era seduto sul letto, indossava una tuta in acetato blu e lo chiamava, ma lui non ricordava neppure come ci fosse arrivato lì.
Aveva ballato con Malia senza sosta, tutto il giorno, poi era tornato a casa e... che ore erano?

«Noi dobbiamo battere i Giants se vogliamo avere una possibilità di qualificarci, una possibilità per arrivare ai play-off, te ne rendi conto?»
«No,» grugnì con la bocca impastata dal sonno «non me ne rendevo conto».
«Siamo in un grosso casino, quindi penso che sarebbe saggio se passassimo qualche tempo insieme, a leggere tutto sugli Eagles, a parlare di loro, giusto per rafforzare la buona sorte che tu hai dentro».

Era ancora intontito ma gli bastò guardare gli occhi lucidi del padre per capire che il problema non erano gli Eagles, che c'era molto di più.
«Sì, certo, d'accordo» sussurrò schiarendosi la voce e mettendosi seduto.
Noah restò in silenzio a guardarlo e poi si passò una mano sulla fronte sospirando.
«Ieri ho messo in ordine lo studio. Sai non l'avevo ancora fatto dopo quel nostro piccolo litigio, le videocassette erano ancora ammassate a terra e quindi le ho sistemate sugli scaffali con lo stesso ordine di prima. E mentre le catalogavo mi sono reso conto di aver dedicato parecchi anni della mia vita agli Eagles, più di quanto immaginassi. E poi ho trovato un album di fotografie, uno di quelli di pelle vecchia e marrone, la carta puzzava un po'. C'erano un sacco di foto tue da bambino e di tua madre, ma ce n'erano anche molte di me con te e con Derek e quindi ho iniziato a riflettere».

«Su cosa?»
«Be', sai pensavo che forse non ho passato tanto tempo con te mentre crescevi, forse ne ho passato troppo a lavoro e con Derek. Io e suo padre eravamo grandi amici e dopo che è morto mi sono sentito in dovere di sostituirlo. Eh sì, è così...» alcune lacrime fecero capolino tra le ciglia chiare.
«E questo avrà fatto peggiorare il tuo comportamento, ma io... io non sapevo niente, non sapevo come gestire la cosa, credevo che prima o poi avresti trovato la tua strada da solo e non volevo costringerti ad appassionarti allo sport, volevo che tu fossi libero di scegliere in qualche modo, ma ho sbagliato tutto, quindi... quindi adesso voglio recuperare, tutta questa storia degli Eagles tratta di noi che passiamo del tempo insieme. Voglio fare tutto il possibile per aiutarti a rimetterti in piedi, voglio solo recuperare, capisci? Per questo ti chiedo sempre di guardare le partite con me, così possiamo parlare, possiamo... confidarci» finì con la voce rotta dal pianto.
Stiles avvertì un grosso groppo in gola guardando suo padre sciogliersi in lacrime, lo aveva visto piangere una sola volta al funerale di sua moglie, la madre di Stiles morta quando lui era ancora piccolo. Era stata dura crescere con un padre che beveva e scommetteva per affogare il proprio dolore, era stata dura crescere all'ombra di Derek, ma non aveva senso continuare a guardarsi indietro, Stiles aveva scelto di andare oltre quel periodo.

Diede qualche pacca sulle spalle a suo padre per aiutarlo a ricomporsi e gli passò anche uno dei fazzoletti di carta che teneva sul comodino.
«Quindi tutta la storia che porto fortuna agli Eagles serviva solo a stare insieme?»

Noah annuì soffiandosi il naso.
«Verresti di sotto a parlare con me e Peter ora?» gli disse poi dopo essersi calmato.

«Certo».
Stiles si diede una rinfrescata e guardando il cielo grigio fuori vide che era già mattina. Avrebbe saltato l'abituale colazione con Malia e questo lo rese triste, ma non sapeva proprio come contattarla per farglielo sapere.

Peter era seduto al tavolo in cucina, indossava uno dei suoi maglioncini con lo scollo a V color crema e beveva caffè nero ristretto.
«Peter, digli quello che sto facendo» disse Noah, addentando una ciambella.
«Vuole puntare tutto sulla partita dei Giants, tutti i soldi che gli servono per il ristorante».

«Digli perché».
Peter fece una smorfia di disappunto.
«Perché lui crede in te».
«Che... che cosa? È vero?» chiese Stiles incredulo.

«Sì, io credo in te e voglio che tu lo sappia, perciò punterò pesante stavolta, hai capito? Voglio anche che tu vada alla partita con Derek».
«Tu vuoi che io vada alla partita con Derek?» ripeté Stiles sempre più incredulo.
«Certo che lo voglio!»
«E lui vuole che io ci vada? Te l'ha detto lui?»
«Sì, lo ha detto a me e a Peter».
«Con tutti i suoi amici?»
«Esatto, con tutti i suoi amici, si fida di te».

«E non si vergogna?»
«No, no, perché dovrebbe? Anch'io vorrei venire alla partita ma sono stato bandito dallo stadio. Ci terrei tantissimo a vedere battere i Giants e sfilare un sacco di soldi a questo stronzo» ridacchiò.
Peter non era dello stesso parere.
«Senti, personalmente la trovo una scommessa stupida, penso che sia ridicolo puntare tutti quei soldi per il ristorante su una partita» disse e finì il caffè in un sorso.

«Peter, io spero che tu abbia sentito quello che ho detto. È come un'attività di famiglia, è la nostra famiglia che tenta, io e Stiles siamo uniti in questa faccenda, è così che funziona. È una vibrazione positiva».
Peter sollevò le spalle «Come ti pare».
«E quand'è la partita?» chiese invece Stiles.

«Domani, perché?»
Tra tutti i giorni perché proprio quello? La gara si avvicinava e a loro mancava l'ultima parte della coreografia, non avevano tempo da perdere e anche un solo giorno era importante.

«Ho preso un impegno con Malia riguardo un progetto e c'è una parte molto molto importante che noi dobbiamo ripassare domenica, perciò io...» sospirò affranto «io non posso. E prima che tu dica altro, mi fa bene, mi fa davvero bene. Mi sta insegnando disciplina, concentrazione e, non l'avrei mai pensato, ma è una cosa buona».
Peter sorrise con malizia.
«Mmh, e che cos'è questa cosa? Che sarebbe questo progetto per cui resti tutto il giorno fuori casa con questa Malia? Sicuro che si tratti di un'attività da fare in piedi e non sdraiati?» disse ammiccando verso Noah. Suo padre lo guardò storto in attesa di conferma.

«Cos...? No, è solo una cosa di ballo, non c'è altro papà, lo giuro».
«Va bene, va bene. Ora però risolvi questa cosa con Malia, devi andare alla partita, non puoi deludermi così e... ehi, dove stai andando?»

«A risolvere questa cosa con Malia, ci vediamo dopo».

Malia lo stava aspettando fuori casa propria con aria di tempesta.
«Dove sei stato? Sei in ritardo».

«Scusa, mio padre...»
«Sì, va bene, non importa, vieni dentro» disse e lo spinse oltre la porta.
Stiles non poteva andare in città a comprare delle scarpe da ballo e si vergognava a chiedere un passaggio, a Malia era vietato prendere l'auto, così avevano ovviato al problema foderando con del nastro isolante le scarpe sportive di Stiles. Ogni mattina lei lo costringeva a sedersi e gli avvolgeva i piedi nel nastro, era un'altra delle loro nuove abitudini, anche se Stiles la odiava, lo metteva in imbarazzo. Si sentiva uno dei vecchi padri padroni che obbligavano le mogli ad allacciare loro le scarpe. Malia invece non sembrava infastidita dalla cosa.
Quella mattina però era irritata e quindi strinse così forte che Stiles quasi sentì la gomma delle scarpe piegarsi.
«Senti, devo chiederti una cosa» le disse quando si rimisero in piedi.
«Cosa?» lo guardò storto con un sopracciglio pericolosamente alzato.

«Domani posso passare metà giornata con te e metà alla partita?»
Malia rise sprezzante.
«Farò finta che tu non me l'abbia chiesto. Questi sono i due giorni che abbiamo previsto per trovare il passo forte e non è ancora pronto e non abbiamo altro tempo».

«Lo so, ma mio padre si è aperto con me ed è stato bellissimo e io voglio essergli d'aiuto. Ha paura che la jella sugli Eagles li stia fottendo ed è agitato perché passo del tempo con te».
Malia incrociò le braccia al petto e fece una smorfia che non prometteva nulla di buono.
«Oh, non mi dire, io sto portando jella agli Eagles?»

«No, non sei tu che porti jella, ma la jella si sta abbattendo perché non sono con lui durante le partite».
Malia cambiò espressione, lo scherno si spense e la determinazione si accese.
«Indovina un po'?» disse piano.

«Cosa?»
«Lydia ha risposto alla tua lettera» sganciò la bomba e si diresse su per le scale senza perderlo di vista.
Quando scese portò con sé una busta bianca sigillata e perfetta, diversa dalla lettera spiegazzata che le aveva consegnato lui. Tipico di Lydia avere sempre tutto in ordine.
Stiles fece per prenderla, ma Malia gli mise una mano sul petto e lo spinse via.
«Non puoi leggerla finché non metti a punto quel passo, forza».
Diceva sul serio quando parlava di disciplina e concentrazione, solo due mesi prima si sarebbe avventato su Malia per strapparle la lettera dalle mani, in quel momento si limitò a sbuffare e mettersi in posizione.
Il “passo forte”, come lo chiamava Malia, doveva essere una presa in stile Dirty Dancing, ma non erano abbastanza allenati in generale, quindi ogni volta che ci provavano cadevano a terra.
Provarono sette volte, Stiles riusciva a pensare solo alla lettera poggiata sulle scale.
«Mal scusami, non ci riesco se non leggo la lettera di Lydia, va bene? È che ormai ce l'ho in testa e noi ancora non ci siamo, chiaro?» disse mentre lei si preparava per l'ottavo tentativo.
Malia si passò una mano tra i capelli e tolse la fascia con cui li teneva fermi, era sudata e aveva il fiatone.

«Va bene. Spero solo che tu reagisca bene».
«Grazie, grazie davvero. Non ne abbiamo mai parlato, non so perché, ma... com'era la sua energia quando gliel'hai data?»

«Era incuriosita, eccitata e un po' spaventata» rispose porgendogli la busta.
Anche lei sembrava spaventata mentre lui strappava la carta incollata per aprirla.
«Cerca di restare positivo».
Era di semplice carta bianca, scritta al computer e poi stampata, assolutamente impersonale, ma era lunga il che non poteva che essere positivo no? Stiles sentì freddo ma anche caldo.

«La leggo ad alta voce, va bene? Perché se dice qualcosa che... è chiederti troppo?»
Malia scosse la testa e lui guardò le prime righe senza leggerle davvero.
«Hai detto che l'avresti letta ad alta voce» gli ricordò in un sussurro.
Sembrava tenerci quasi quanto lui.
«Va bene, scusami. Caro Stiles, è stata una grande emozione per me avere la tua lettera, come sono sicura immaginerai, ma sono felice che tu sia stato così discreto da affidarla a Malia. Questo ci dà l'occasione di comunicare mentre mantengo l'ingiunzione restrittiva finché non mi sento al sicuro. Devo ammettere che sembri in gran forma e sono felice che ti senta positivo e che diventi un uomo affettuoso e caritatevole, cosa che per me tu sei sempre stato» si fermò, perché l'emozione risalì veloce dal petto agli occhi e le lacrime spinsero per uscire com'era successo a suo padre.

«Mi sono commossa nel leggere di Excelsior e della tua fiducia nel lieto fine, sono anche commossa del tuo atto d'amore di leggere i libri che ho consigliato ai ragazzi del liceo, mi dispiace che tu li trovi negativi, ma io non concordo, li considero grandi opere d'arte che riflettono quanto sia difficile la vita e possono aiutare i ragazzi a prepararsi agli ostacoli».
«Nonostante tutti questi sviluppi positivi, Stiles, devo confessare che se leggo bene i segnali mi occorre qualcosa di più che dimostri che sei pronto a riprendere il nostro matrimonio. Altrimenti mi ritrovo a pensare che sarebbe... meglio per entrambi procedere con le nostre vite... separatamente» lesse l'ultima parola in un soffio e poi guardò Malia, che come uno specchio gli restituì lo stesso sguardo carico di paura e smarrimento.
«Ti prego non reagire d'impulso, prenditi del tempo per riflettere. Sono contenta che tu stia bene, con amore, Lydia» chiuse la lettera e la mise in tasca.
Tutti i mesi passati in clinica a pensarla gli parvero inutili, rivide se stesso provare e riprovare il discorso che le avrebbe fatto una volta uscito e provò pena per quell'uomo ingenuo, che si sforzava di restare positivo nonostante il mondo gli stesse cadendo addosso.
Ancora una volta le aveva dato il potere di distruggerlo e lei non aveva perso l'occasione di farlo.

«Per oggi basta, ho finito» disse e andò a prendere la felpa.
«Ha detto di dimostrarle qualcosa, Stiles. Questo ballo potrebbe essere quel qualcosa, non avresti mai fatto una cosa così in un milione di anni. Dimostra ogni genere di capacità a tantissimi livelli diversi: concentrazione, collaborazione, disciplina. Stiles, è romantico proprio come ti avevo detto. È... è per lei».
Stiles trattenne a stento i singhiozzi e si asciugò in fretta le lacrime, vergognandosene. Non voleva farsi vedere in quelle condizioni, anche se Malia non lo stava rimproverando, a lei andava bene se lui esprimeva le sue emozioni, non lo riteneva meno uomo per questo.
«Grazie per la lettera, ci vediamo domani, d'accordo?» disse senza voltarsi e andò via.


L'indomani Derek si presentò in camera sua senza nemmeno bussare, saltandogli addosso.
Un altro risveglio del genere e sarebbe tornato da solo ad Eichen House.
«STILES! SVEGLIA SVEGLIAAAAA!» urlò raggiungendoli Scott.
Stiles non aveva dormito molto, in realtà si era da poco appisolato, ma la partita degli Eagles non avrebbe di certo aspettato lui e il suo sonno disturbato.
Li accompagnò Noah, perché Derek non aveva la sua auto in quella città e la macchina di Scott serviva ad Allison. Fu come tornare davvero ai vecchi schifosissimi tempi.

«Papà, mi presti il telefono?»
«È un'emergenza?»
«Sì, più o meno. Sto facendo questo progetto con Malia e voglio avvertirla che non arriverò in tempo».
«Va bene, ma che non diventi lei l'emergenza, quella pazza scatenata».
«Ok. Scott, mi presti il tuo telefono?»
«Mi dispiace amico, non se si tratta di Malia, sai come la penso».

«Derek? Ti prego, almeno tu».
«Sì, quando saremo arrivati, adesso sto aspettando una telefonata e...»
«Grazie tante a tutti!» esclamò stizzito e calò il silenzio.
«Sai papà, mi dispiace che tu non possa venire con noi, che sia stato bandito dallo stadio perché hai picchiato tutti. In fondo non siamo così diversi, vero?»
«Pensi che sia una brutta cosa?»

«No, è una buona cosa».
«Bene, siamo arrivati. Mi raccomando, non bere troppo e non picchiare nessuno e andrà bene».
«Sì papà, sono una roccia».
«Ottimo, bravo figliolo. Passo a prendervi quando è finita?» chiese poi a Derek e Scott.
«No, ci accompagna a casa Boyd. Grazie per il passaggio» rispose Derek.


La folla di fronte allo stadio era immensa ai suoi occhi, cominciava ad abituarsi agli spazi ristretti e con poca gente, vederne così tanta lo fece sentire piccolo e indifeso.
C'erano un sacco di auto parcheggiate e anche camper, c'erano persone che arrostivano carne sulla griglia, ragazze svestite e dipinte di verde, uomini con lunghe barbe e grosse pance che bevevano birra e facevano gare di rutti.
Lui, Derek e Scott si fecero largo fino a una Prius rossa, lì accanto qualcuno aveva allestito un piccolo barbecue. C'erano Boyd e Brett, due amici di Derek che li accolsero urlando cose senza senso.

«Ciao ragazzi! Vi presento Stiles, un mio amico d'infanzia, per me è come un fratello».
«Ehi, Stiles! Com'è che mi hanno detto che ti hanno appena dimesso?» lo schernì Brett.

«Sì, il matto che viene dalla gabbia dei matti» rincarò la dose Boyd scoppiando a ridere.
Derek non la prese bene.

«E che cazzo ragazzi! Mi ero già raccomandato prima, vi avevo detto di non dire niente!»
Stiles però odiava essere trattato in modo diverso, quindi disse che non importava e stemperò la situazione.
Bevvero birra e mangiarono hot-dog fino a quando un piccolo camper non giunse nelle vicinanze.
Era il dottor Deaton insieme ad amici e familiari, molti dei quali di origine indiana. Ricordava che sua moglie fosse asiatica, ma aveva sempre pensato avesse gli occhi a mandorla.
Stiles non ci penso due volte ad andare a salutarlo, mentre Boyd avvertiva Derek urlandogli di fermare il suo fratellino.
Alan era molto diverso rispetto a come era abituato a vederlo, non indossava il completo elegante ma aveva la maglia di DeSean Jackson identica alla sua e il viso colorato, metà verde e metà bianco.
«Ehi, dottor Deaton!»
Quello si girò e gli sorrise allargando le braccia.
«Ehi, Stiles!»

«Che ci fai qui?»
«Dobbiamo battere i Giants, fratello!» rispose l'altro abbracciandolo a sorpresa.

«Non dovrei vederti, giusto? Sai, fuori dallo studio, non è illegale?»
«Stiles, oggi sono il tuo fratello in verde, non il tuo terapista. Sono felicissimo di vederti. Meraviglioso, meraviglioso che tu sia qui!» gli diede un'energica pacca sulle spalle.
In breve il gruppo di Stiles e quello del dottore si unirono a bere e mangiare insieme. Scott era ubriaco fradicio ancor prima di entrare allo stadio, non faceva che battere le braccia come delle ali, urlando “Forza Eagles!”.
Ad un certo punto Stiles si rese conto di non aver ancora avvertito Malia e, in un momento di relativa calma prese da parte proprio Scott.
«Allora senti, te lo devo dire, io non ce l'ho il suo numero. Se vuoi puoi chiamare Allison, ma io non voglio parlare con Allison!»
«Perché non vuoi parlarle? È tua moglie!»

«Perché lei ha il potere di abbattermi amico, mi butta giù!» saltellò come un bambino capriccioso.
«Oh andiamo, non getterai via così il tuo matrimonio, c'è dell'amore tra voi due. Avevate una bellissima cosa che si è interrotta da qualche parte e devi risanarla come un chiropratico, devi fare una manipolazione da chiropratico! Basta con le stranezze, non voglio venire a casa tua e non poter dire quello che penso».
Se il suo matrimonio era davvero una nave alla deriva nell'oceano del fallimento, poteva impegnarsi per salvare quello del suo migliore amico, lui ce l'aveva una qualche possibilità.
«Ok, hai ragione, hai ragione» gli disse Scott ridendo e poi la situazione precipitò.
Un gruppo di tifosi bianchi e razzisti aveva individuato il loro piccolo ritrovo e non sembravano contenti.
«Ehi, voi! Che cazzo ci fate qui? Che è questa puzza di indiano di merda? Qui siamo in America belli, tornatevene al vostro paese!» disse un energumeno pelato e con la barba rivolto a Deaton.

«Io sono un dottore!» disse quello prima di ricevere il pugno che diede inizio alla rissa.
«Stiles, resta qui. Tu sei una roccia, va bene? Non immischiarti» gli disse Scott prima di andare ad aiutare Deaton.
Lui era una roccia, era una roccia, una roccia, era una roccia...
«Che cazzo state facendo? Lasciateli in pace!» urlò Derek mettendosi in mezzo per separare le due fazioni.
«Zitto, traditore della tua stessa razza!» disse uno e lo afferrò da dietro per tenerlo fermo, mentre un altro si scagliò su di lui e lo prese a calci e a pugni, senza che Derek potesse far nulla per difendersi.
Stiles non ci vide più.
In breve stese tre persone, morse l'orecchio di uno che aveva provato a fermarlo fino a sentir scorrere il sangue e poi il buio.

«Come ti è venuto in mente di andare allo stadio, eh? E mi meraviglio di lei dottor Deaton, ha incoraggiato un atteggiamento potenzialmente pericoloso invece di fermarlo. Su voi due invece non ho niente da dire, le avete prese per benino, penso basti come punizione».
Jackson guidava l'auto della polizia con il solito atteggiamento annoiato e odioso, tenendo un braccio fuori dal finestrino e la testa appoggiata al sedile. Derek grugnì e tossì tenendosi il ventre.
«Non ti lamentare, ti è andata bene, avrebbero potuto romperti qualcosa. A chi non è andata bene è il signorino seduto accanto a me, non è vero Stiles? Lydia potrebbe sporgere un'altra denuncia e allora niente Eichen House, benvenuta prigione».
«Io sono un dottore» ripeté Deaton ancora sotto shock, la guancia gonfia per il pugno.
Arrivarono a casa Stilinski che era sera inoltrata e vi trovarono Peter felice come una pasqua, Melissa agitata e un distrutto ex sceriffo che aveva appena perso tutti i suoi soldi: gli Eagles avevano perso miseramente.
Stiles entrò in casa con la bocca ancora sporca di sangue.
«Ma che cazzo hai combinato? Ti sei è fuso il cervello? Avevi detto di avere il controllo di te, che eri una roccia! Non ti rendi conto che per colpa tua ho perso una fortuna?»
«Ero una roccia, sono ancora una roccia!» urlò Stiles, ricevendo il supporto del resto della combriccola.
«È andato tutto in pezzi! È andato tutto a puttane!» urlò Noah e si tolse la maglia degli Eagles.

«No, papà ti prego!» Stiles provò a fermarlo ma venne malamente spinto via.
«No, è andato tutto a puttane, tu e il ballo del cazzo! Sei un perdente, sei un perdente!» lo spinse ancora. «Non voglio più vedere la tua faccia!» gli urlò quasi in lacrime dalla rabbia.
Il campanello allora suonò, ma la persona dall'altra parte della porta non aspettò che qualcuno arrivasse ad aprire, entrò in casa come una furia e si avventò su Stiles.
«Dobbiamo parlare, qui e ora! Quando prendi un impegno importante con qualcuno, non è educato non presentarsi!»
«Aspetta, aspetta un momento io ho provato a chiamarti ma poi quei razzisti sono arrivati e...» si strofinò via il sangue rappreso dalla barba. «Ho provato a chiamarti, te lo giuro!»
«Ah, ma davvero?!»
«Te l'ho detto, volevo dividere la giornata tra te e gli Eagles, mio padre mi tirava da una parte e...»

«Ma è fantastico, Stiles! Sono contenta per tutti loro, ma tutti loro non hanno preso un impegno con me in cambio del mio aiuto!»
«Sono Malia, a proposito» si voltò a guardare tutti i presenti nella stanza come se fossero schifosi scarafaggi senza valore. Solo lei avrebbe potuto farlo indossando un paio di leggings corti e un trench elegante.
«Che cos'è questa fesseria con Malia?» chiese Noah ai limiti dell'esasperazione più nera.
«Non è una fesseria! Avevo questa cosa con lei!» rispose Stiles alterato.
«Che cos'è? Non capisco, quella è una pazza! Da quando hai cominciato a frequentarla è crollato tutto. La causa, la cazzo di causa è qui davanti a noi».
Malia, punta sul vivo, si rivolse direttamente all'ex sceriffo.
«Lei pensa che io porti jella agli Eagles, non è vero?»
«Sì, tutto questo succede da quando ti ha conosciuta!»

«Lei crede che sia mia la colpa di oggi?» Malia agitò il braccio indicandoli tutti.
«Sì, certo, è tua la colpa di oggi» affermò convinto.

«Ah sì? È mia la colpa di oggi? Parliamone, avanti» disse con gli occhi da pazza che Stiles aveva già visto alla tavola calda.
«Accomodati» disse Noah, accompagnando la parola a un gesto della mano.
«La prima sera, a cena da mia sorella, gli Eagles hanno battuto i Forty Niners alla grande, 40 a 26; la seconda volta che ci siamo visti, correvamo e gli Eagles hanno battuto i Dodgers 7 a 5 nella lega nazionale».
«Ha ragione, Noah» disse Derek.
«La volta seguente che siamo andati a correre gli Eagles hanno battuto i Falcons 27 a 14; la quarta volta che eravamo insieme abbiamo mangiato cereali alla tavola calda e gli Eagles hanno dominato Tampa Bay nella quarta partita delle World Series 10 a 2».
«Oh, wow, affascinante» disse Stiles.

E anche Noah sembrava molto colpito da tutta quella serie di coincidenze, che non potevano solo essere tali, no c'era di più, un disegno che non riusciva ancora a vedere per intero.
«Ok, fammi pensare, aspetta un attimo» le disse con un tono più amichevole.

«E perché non pensa a quando gli Eagles hanno battuto i Sioux 14 a 7?»
«Stava con te?»

«Stava con me! Siamo andati a correre».
«Davvero?» chiese Stiles, non se lo ricordava proprio...

«Non c'è stata nessuna partita da quando Stiles e io proviamo ogni giorno e se Stiles fosse stato con me, come avrebbe dovuto, non avrebbe fatto a botte e non si sarebbe messo e nei guai e, chissà, magari Eagles avrebbero battuto i New York Giants».
«Sì, ha un senso Noah, sotto tutti i punti di vista» Derek le diede di nuovo ragione.
E poi Malia diede la stoccata finale, come un felino che azzanna la propria preda per ucciderla dopo averci giocato per un po'.
«Qualcuno qui sa qual è il motto ufficiale dello stato di New York, che sta sul sigillo ufficiale dello stato di New York? Eh? Nessuno? Lei lo sa?»
Tutti risposero di no, ma lei si prese qualche secondo per dare maggiore impatto alla bomba.
«EXCELSIOR!»
E il “no” generale si trasformò in “coooosa?”.
«Già, proprio così, controlli pure! Non che me ne freghi un cazzo del vostro football o delle sue scaramanzie ma, se fossi io a leggere i segnali, non manderei un tizio degli Eagles il cui motto personale è “excelsior” a una partita dei Giants manco morta, soprattutto se ha già dei guai con la legge».
«Incredibile, è incredibile» continuava a dire Derek.
«Wow, come la sai tutta questa roba?» le chiese Stiles, mentre lei stappava una delle birre sul tavolo e beveva a grandi sorsate.
«Ho fatto le mie ricerche».
Sul viso di Noah c'era un'ammirazione che Stiles aveva visto raramente in vita sua, suo padre era stato folgorato da Malia. Nessuno aveva mai preso tanto sul serio il suo modo di vedere le cose, interpretando i segnali e le coincidenze in modo così preciso.
«Be', cara Malia, sono colpito» annuì arricciando le labbra. «Devo riesaminare la situazione, prima non mi fidavo della cosa, ma devo dire che ora sì» ammise la sconfitta.

«Non ci credo, ora lei ti piace papà?»
«Mmh, devo dire di sì, già».
La tensione si era risolta, la tempesta era passata, quindi era ovvio che Peter intervenisse per ravvivare la fiamma della discordia.
«Noah, io mi sento una pezza, sai. Tu hai scommesso, io ho vinto un sacco di soldi e ora guarda la tua famiglia in subbuglio» disse con tono dispiaciuto.
«Oh, vaffanculo Peter, tu ne vai pazzo. Tu vivi per queste cagate, scommetti contro mio padre da una vita, stai rigirando il coltello nella piaga e ci godi da morire!» intervenne Malia infuriata.
«Questa è un'assurdità!» si difese lui.
«CI GODI DA MORIRE!» continuò ad aggredirlo lei, sembrava volesse davvero azzannarlo.
L'ammirazione di Noah cresceva di minuto in minuto e dal modo in cui annuiva, Stiles intuì che forse aveva finalmente capito che tipo di persona fosse Peter.
«Non è vero, quello che stai dicendo non è affatto vero!»
«Allora dimostralo!» lo sfidò, seguita a ruota da Noah che ripeté le stesse parole.
«E come volete che ve lo dimostri?»
«Già, come ce lo dimostra?» chiese l'ex sceriffo rivolto a Malia.
«Dandogli la possibilità di rivincere tutto, il doppio o niente».
Stiles fece un balzo in avanti, superò Malia e prese suo padre per le spalle.
«No no no, papà non starli a sentire!»

«Il doppio o niente sui Bengals la prossima settimana?»
Malia si stava divertendo a tenere il coltello dalla parte del manico. Bevve un altro sorso di birra scuotendo la testa.
«No, contro i Cowboys» disse con enfasi da cattivo della Disney.
Un “oooh” collettivo si sollevò dai presenti nella stanza.
«Ah, avanti vuoi scherzare?» disse Peter messo alle strette.
Noah era pronto ad adottare Malia o a costringere Stiles a sposarla. Magari entrambe le cose.

«È la tua squadra, giusto Peter?» ghignò soddisfatta.
«Sì, è la mia squadra, va bene? Contenta? Forza, dimmi quand'è la partita».
«Lo sai bene! Il 28 dicembre, ultima partita della stagione, lo stesso giorno al Benjamin Franklin si svolge la gara di ballo a coppie stile libero».
Peter la fulminò risentito e Noah ne approfittò per prendersi la sua piccola rivincita.
«I Cowboys non erano la squadra d'America?»

«Già Peter, non credi nella squadra d'America?» gli fece eco Malia.
«Sì, credo nella squadra d'America, ma se vinco la scommessa io vinco il tuo libro, tu sei fuori gioco e non hai più il ristorante, non hai più niente!»
«Mi piace! Io credo negli Eagles e credo in mio figlio, accetto la scommessa».
«Noah, ti prego non farlo! È un suicidio!» Scott intervenne per la prima volta.
«Excelsior appartiene a questa casa, non allo stato di New York».

«Papà ascoltami, non sapevo che quello fosse il loro motto».
«Nemmeno io! Non è incredibile?»
«Papà, ascolta Scott, questo è un suicidio non dovresti, non dovresti...»
«Shh, sta zitto hai già fatto abbastanza. Peter, che ne dici? I miei Eagles hanno un handicap di un punto e mezzo e sai che c'è? Ti concedo ben dieci punti!».
Derek gettò la busta di ghiaccio secco che teneva sull'occhio nero e si alzò dal divano, ancora dolorante per le botte prese, e afferrò suo zio per la maglia dei Giants.
«No, zio! Non accettare la scommessa!» gli disse sollevandolo da terra, ma Peter non era tipo da tirarsi indietro di fronte a una vincita tanto facile.

«Sì che deve accettarla! Con i dieci punti che gli ho dato c'è uno scarto pazzesco a suo vantaggio! I Cowboys sono vigliacchi! E scommetto che sei un tale vigliacco che non accetterai. E in più, qualunque sia il punteggio a questa cosa di ballo, com'è? Malia, com'è?»
«No, papà smettila di tirarci in mezzo!»

«Sei pazzo a buttare via così tanti punti, è ridicolo, io non lo accetto!... anzi, aspetta un secondo, mi piace l'idea di una martingala»
«Cosa? Nessuna martinagala, no!» disse Derek
«Stiles, come si vince a questa gara di ballo, insomma, come assegnano il punteggio?» continuò Peter imperterrito.
«Non so, non so come cazzo l'assegnano, noi partecipiamo e basta, ci sono i giudici, questa è una gara di ballo di alto livello! Non mettere questa parte nella martingala»

«Valgono le regole di Philadelphia, ogni ballerino riceve un punteggio da 1 a 10, si fa la media tra quattro giudici» rispose Malia.
«D'accordo, il punteggio va da 1 a 10, giusto? E voi quanto siete bravi?»
«Facciamo schifo» disse Stiles beccandosi un'occhiataccia da Malia.

«Non facciamo schifo, Stiles è un principiante, io non male, l'importante è partecipare».
«E come sono gli altri concorrenti?»
«Sono bravi, alcuni sono dei professionisti».
«Quindi se io dicessi che dovreste arrivare solo a cinque sarei molto, molto generoso, giusto?»
«No, sarebbe un miracolo se prendessimo un 5!» urlò Stiles.

«Oh andiamo, fammi il piacere, ce la facciamo ad arrivare a 5 su 10!» lo rimbeccò Malia.
«E sia!» esclamò Noah «vada per 5!»
«Ma papà, non ci hai nemmeno visto ballare! Sei pazzo? Di che stai parlando?!»

Deaton, che era rimasto fermo ad ascoltare tutto il tempo alzò timidamente la mano.
«Qualcuno mi spiega cos'è la martingala, per piacere?»

«Devi azzeccare due scommesse o perdi tutto quanto, perché il signor Stilinski vinca gli Eagles devono battere i Cowboys e in più Stiles e Malia devono avere almeno un cinque alla gara di ballo» spiegò Scott.
«È una cosa da maniaco maniaco. Dovreste venire tutti al mio studio, potrei aiutarvi» disse Deaton, ma nessuno lo ascoltò.
«E allora la martingala è decisa!» disse Peter e lui e Noah si strinsero la mano per suggellare la scommessa.
«Sapete cosa? Io me ne tiro fuori. Peter, sei un pezzo di merda, un vero pezzo di merda, mi ritiro. Non voglio più ballare, mi ritiro».
«Stiles, non puoi farlo adesso, pensaci su» gli disse Malia, ma lui non voleva ascoltare altro, non voleva sentire più una parola da nessuno, gli serviva aria fresca per riflettere.
«No, no, me ne vado» disse andando verso la porta.
«Eccolo qua, eccoci di nuovo sulla linea di una yard soltanto, DeSean strappa la sconfitta a un morso dalla vittoria!» gli urlò dietro suo padre.

«Ma che vuol dire papà? Non posso fare quel collegamento che fai tu con DeSean Jackson, non m'importa più ormai, va bene? Solo perché metto questa cazzo di maglia? No, non ci sto più, mi dispiace» disse e uscì sul portico.
Malia provò ancora una volta a fermarlo.
«Stiles, se fossi io a leggere i segnali...»
«Chi legge i segnali? Tu leggi i segnali?! Sono tutte cazzate!»
«Non ti stai comportando da uomo» lo ammonì allora Malia e lo ripeté urlando a squarciagola quando lui si chiuse la porta alle spalle.
Una volta fuori, con l'aria fredda della notte a pizzicargli le guance e i polmoni, Stiles fece un respiro profondo. C'erano alcune parole che stavano scavando un buco nel suo cervello, dentro il centro della memoria, si facevano largo tra i ricordi e non riusciva a fermarle.
“Leggere i segnali”, chi gli aveva già detto che leggeva i segnali? Le parole alla fine arrivarono e destinazione in un'esplosione di fuochi d'artificio e consapevolezza.
Stiles tirò fuori dalla tasca la lettera di Lydia, l'aveva portata con sé alla partita come portafortuna e come monito per non mettersi nei guai, anche se nei fatti non era andata bene.
La rilesse velocemente riga per riga e infine arrivò al punto: “...devo confessare che se leggo bene i segnali mi occorre qualcosa di più che dimostri che sei pronto a riprendere il nostro matrimonio.

Non era stata Lydia a scrivere quella lettera, era stata Malia. E stavolta la sua malattia non c'entrava nulla, non era una delle sue assurde teorie del complotto, quella lettera era stata scritta appositamente al computer perché lui conosceva bene la grafia di sua moglie e quelle parole... Lydia non si era mai rivolta a lui con così tanta gentilezza, non aveva mai tentato di capirlo.
La rilesse di nuovo tutta e gli suonò diversa ora che sapeva chi era la vera autrice. Aveva cercato di consolarlo nel modo meno traumatico possibile, aveva usato delle belle parole e, certo, l'aveva anche ingannato, forse per indurlo a ballare, ma avrebbe potuto scrivere di tutto in maniera più diretta,“balla per me, sarò lì a vederti” e invece no, voleva spronarlo a voltare pagina continuando a fare ciò che lo faceva stare meglio.
Forse Lydia aveva rifiutato la sua lettera, forse Malia non gliel'aveva mai consegnata, il punto era che non aveva più importanza, perché dal preciso istante in cui aveva realizzato quale fosse la verità, Stiles si era sentito sollevato da un grosso peso, così leggero che corse lungo il suo solito percorso per ben due volte, ripetendo ad alta voce “Excelsior!”.
   
 
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