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Autore: ___Aliena___    03/04/2018    0 recensioni
"Il mistero dell'amore è più grande del mistero della morte. Non bisogna guardare che all'amore" ('Salomé', Oscar Wilde)
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In un tempo dove la Morte pretende di creare la Vita, che cosa resta all'Amore?
Brevi scintille di umanità che lanciano la loro luce nelle tenebre del Nuovo Mondo.
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«Medea, tu sai perché Watari ha deciso di chiamarti così?».
«Era il nome di mia madre».
«E poi?».
«Non lo so, non gliel'ho mai chiesto».
«Cos'è che distingue Medea da tutte le altre eroine tragiche?».
«Di certo non un destino più clemente».
«Alla fine della sua storia, Medea resta in vita. Ricordalo, perché dovrà essere lo scopo della tua esistenza. Tu devi vivere, Medea, non importa quello che accadrà a noi altri. Tu devi vivere».
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Watari
Note: Missing Moments, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Umani


 
Io oso solo ciò che è umano;
se osassi di più non sarei uomo.
 (William Shakespeare, “Macbeth”, atto I, scena VII).
 
 
 
«Ti è mai capitato di sentirti... inutile? ».
«Inutile?».
«Ecco, sì, di troppo».
«Di troppo?».
«Non... non mi riferisco a te! Insomma, non che tu sia di troppo, però...».
«Matsuda, stai forse tentando di dirmi qualcosa?».
«No... cioè sì! Medea, tu sei la figlia di Watari e hai accompagnato Ryuzaki per tutti questi anni restando sempre nell’ombra... non ti sei mai sentita... come dire... di fronte alle sue intuizioni geniali, al suo essere così deciso in tutto ciò che fa...».
«Inadeguata? Paralizzata dall’dea di essere scacciata perché troppo semplice? Ingenua? Umana?».
«Sì...».
«No, non mi è mai capitato».
 
*
 
Irruppe nella stanza con l’irruenza di un fiume in piena e, prima che gli agenti potessero rendersene conto, si immobilizzò di fronte agli schermi, i languidi occhi sbarrati.
Matsuda balzò in piedi scompostamente, rovesciando sul tappeto la tazza di caffé che stringeva tra le mani. «Medea! Tu non dovresti essere qui!».
La ragazza parve non udirlo affatto, impietrita davanti a quelle immagini che erano riuscite a spegnere le rose delle sue guance. «Si tratta di questo?». La voce fuoriuscì gelida dalle labbra inaridite, penetrando come tanti aghi acuminati nelle orecchie dei presenti. «Ecco il tuo piano, dunque. Ed io non avrei dovuto vederlo, Ryuzaki?».
Il giovane rannicchiato sul divano continuò imperterrito ad aggiungere zollette di zucchero in una tazza fumante, leccandosi di tanto in tanto le dita. Si sfilò dalla tasca una chiave argentea e la posò sul tavolo, facendola tintinnare. «Come hai fatto ad uscire?».
«Dalla finestra».
Dall’altro lato della sala, Matsuda non riuscì a trattenere un risolino nell'immaginare quella selvaggia calarsi giù dal balcone, ma venne all'istante redarguito dallo sguardo severo di Aizawa. L’atmosfera s’era fatta d’un tratto tesa, impregnata dall'aroma dolciastro del caffé che contribuiva soltanto a rendere l'ambiente più soffocante di quanto fosse realmente. Ryuzaki si portò la bevanda alla bocca e senza scomporsi gettò una rapida occhiata ai monitor. «È necessario».
«Davvero?». La ragazza sollevò stranita un sopracciglio; sulle lucide lenti degli occhiali si rifletteva il corpo provato di una pallidissima Misa Amane, bendata e ancorata ad uno strano sedile come una bestia da macello in attesa dell'esecuzione. 
Medea strinse i pugni, respirando lentamente. «È davvero necessario tutto questo per confermare le tue ipotesi?» parlava scandendo le parole, nel tentativo invano di contenere i fremiti convulsi della voce. «Per la buona riuscita del caso, per catturare questo assassino che sembra quasi divertirsi a stuzzicarti, è davvero necessario dimenticare che anche i sospetti sono qualcosa di più di semplici pezzi di carne da analizzare in laboratorio?».
«Ho fatto imprigionare Misa Amane con l’accusa di essere il secondo Kira e l’obiettivo che bisogna raggiungere ora è una confessione che ci aiuti a risalire all’identità del primo».
«Non mi importa di Kira!». Il corpo della ragazza parve esplodere all’improvviso come un vulcano in eruzione; affondò le dita tremanti tra i capelli senza riuscire a controllarsi, gli occhi ambrati deformati in tizzoni ardenti. «Come... come diavolo fai a non renderti conto della violenza fisica e psicologica a cui, sotto gli occhi di tutti, hai deciso a sangue freddo di sottoporre questa ragazza? Guardala, Ryuzaki! Stai indagando per fermare un criminale degenerato che crede di poter trasformare gli esseri umani nelle sue personali marionette, ma come pretendi di definirti migliore dopo aver concepito una tortura del genere?».
Ryuzaki si voltò a fronteggiare con implacabile fermezza quella maschera delirante che stravolgeva il viso della giovane. Era accaduto ancora. Come alla Wammy's House quand'era bambina, come tutte le volte che permetteva anche alla più piccola delle emozioni di dominarla. 

«Vorrei che tenessi d'occhio mia figlia, Lawliet. Medea è una ragazza buona e sono sicuro che non farebbe mai del male a nessuno, ma c'è qualcosa di incontrollabile in lei, qualcosa che né la mia scienza né la disciplina della scuola sono riuscite a governare. Forse avrei dovuto adottare metodi più severi per educarla, ma guardala: porta con sé l’indomito e inconsapevole fervore di chi non è ancora stato contaminato dall’ipocrisia della società. Non ti affascina tutto ciò?».

«Non saresti dovuta uscire dalla tua stanza».
«È così giovane, Ryuzaki» Medea non lo ascoltava più, non poteva, non voleva in alcun modo accettare l’imperturbabilità di quelle parole che la trafiggevano come lame roventi. Con la voce ridotta ad un supplichevole lamento avanzò impietosita verso gli schermi luminosi, ignorando gli sguardi sconcertati degli agenti di polizia che mai avrebbero immaginato di poter assistere ad un simile spettacolo. «È così giovane... come te, Ryuzaki, e come...» si portò le mani al petto con un profondo sospiro, rincorrendo affannosamente la lucidità che sembrava averla abbandonata. «Kira vale davvero tanto? Saresti davvero disposto a tutto?».
Una colata di silenzio ricadde sulle loro teste come piombo fuso. Attonito, Matsuda continuava a torcere compulsivamente il lembo della camicia, schioccando di tanto in tanto la lingua contro il palato. Senza quasi rendersene conto, aveva cominciato a rimuginare su quelle parole che ancora aleggiavano nell'aria, avvertendo il rimbombo martellante dei suoi pensieri.
Umano... umano...
Da quando aveva accettato di collaborare al caso Kira accanto a quello strambo detective ossessionato dagli zuccheri, non c'era stata ora della sua giornata in cui innumerevoli dubbi non avessero deciso di tormentarlo.
Sarò all'altezza?
Non posso deludere gli altri agenti.
Cosa devo fare? Come devo muovermi?
Perché non riesco a ragionare come loro?

Spesso aveva la sensazione di essere adocchiato dai colleghi come l' anello debole della squadra, l'uomo goffo e disattento da tenere d'occhio costantemente, l'imbranato su cui nessuno avrebbe fatto affidamento nonostante tentasse di mettercela tutta. 
Gli uomini sbagliano. È parte della nostra natura.
Ma Ryuzaki sembrava non sbagliare mai. Senza il suo prezioso contributo, probabilmente Kira sarebbe riuscito a sgominare già da tempo le forze della polizia, mettendo fine a quella sottile resistenza che ancora gli impediva di realizzare i suoi progetti. Ryuzaki era l'unica arma nelle loro mani da poter contrapporre alla genialità di Kira. Eppure...
Umano...
Le sue decisioni erano davvero prive di errori? Dalle cimici nella casa del sovrintendente Yagami all’interrogatorio di Misa Amane, era davvero necessario adottare misure tanto estreme ? Per la prima volta avvertì l'amaro sapore della riluttanza intaccare l'infinita stima che provava per il giovane detective.
Io non sono L. Se lo fossi, a quest'ora tutte le persone in questa stanza sarebbero già morte... ma non mi importa.
 Una morsa gli avviluppò il ventre quando percepì nuovamente i cinguettii strazianti della ragazza risuonare tra le pareti cupe.
«Non c’è altra scelta? Per battere il disumano bisogna realmente cedere all’abbraccio della disumanità?».
Ryuzaki si mordicchiò il pollice. «Sapevi a cosa saresti andata incontro nel seguire me e Watari in Giappone».
«Anche se fosse Kira, è soltanto una ragazza...».
«Se non riesci a controllarti, forse avresti fatto meglio a non venire...».
Lo schiaffo echeggiò nella stanza con violenza, facendo sussultare gli agenti di polizia. Ryuzaki restò interdetto al suo posto, gli occhi spalancati e le labbra schiuse.
Medea boccheggiava esterrefatta, incapace di articolare anche la più semplice delle parole. Rendendosi improvvisamente conto di ciò che aveva fatto serrò le palpebre, quasi a voler scacciare tale immagine dalla mente, ma fu inutile. Si guardò attorno con foga, focalizzando infine la sua attenzione sulle dita spalancate della mano destra, dritte e affusolate come le inesorabili zampe di un ragno; per un attimo assecondò l’impulso di allungarle verso il viso di Ryuzaki, ma il disgusto le attanagliò il petto e con uno spasmo si afferrò la fronte, le pupille dilatate che tornavano lentamente alla normalità.
Senza ricevere alcun ordine, Matsuda le si avvicinò titubante, sentendola trasalire quando le sfiorò una spalla. «Vieni, Medea, torniamo in camera».
 
*
 
«Mai? Sul serio? Sei assolutamente sicura?».
«Mai».
«In tutti questi anni non hai mai lottato contro la frustrazione?».
«Non a causa delle indagini di Ryuzaki».
«Un po’ ti invidio, Medea. Come riesci a seguirlo ovunque vada senza cadere preda dello sconforto?».
«Il tempo ti insegnerà che l’unico modo per riuscirci è imparare a dominare le emozioni, proprio come fa lui».
«E tu quando ci sei riuscita?».
«Mai».
 
*
 
«Medea, ho delle notizie per te!»
Matsuda spalancò la porta della camera da letto, rischiando di inciampare nella marea di fogli scarabocchiati che tappezzavano il pavimento. Dopo un’occhiata cinica al disordine generale, riuscì a scorgere la ragazza oltre le tende candide della finestra spalancata, seduta sulla balaustra con le gambe penzoloni e il naso rivolto al firmamento.
Il giovane agente sospirò mestamente. Era passato più di un mese dall’incarcerazione di Misa Amane, a cui erano seguite quella del figlio del sovrintendente Yagami e del sovrintendente stesso, e da più di un mese Medea aveva smesso di svolazzare a piedi nudi nel quartier generale, murandosi ostinatamente dentro se stessa. Ryuzaki non l’aveva cercata mai, nemmeno quando, con disappunto, aveva fatto notare a Watari di essere a corto del suo dolce preferito.
 
«Credo che Medea sia malata, Ryuzaki».
«Lei come fa a dirlo, Matsuda?».
«Se ne sta chiusa nella sua stanza da giorni e temo che...».
«Di tanto in tanto anche il fuoco ha bisogno di riposare. Si fidi, è meglio così».
 
Ma a differenza degli agenti più anziani, Matsuda non era riuscito ad ignorare la situazione e, senza parlarne con nessuno, aveva preso l’abitudine di farle visita ogni sera per aggiornarla sul caso, trovandola sempre immobile sul balcone nella medesima posizione. Le uniche cose a mutare, con il passare dei giorni, erano i bizzarri indumenti dal taglio un po’ esotico indossati dalla ragazza e il numero di fogli a terra.
Una notte gli era capitato per errore di sentirla confidarsi a voce bassa con il padre, l'unica altra persona a cui permetteva di avvicinarsi:

«Papà, tu credi che se Ryuzaki sospettasse che io sia Kira, legherebbe anche me in quel modo?».
«Allora è questo che ti turba?».
«Quelle cinghie sembrano così strette...».
«Perché mai dovrebbe sospettare di te?».
«Non lo so... E tu perché non rispondi alla mia domanda?».

Era stata l'unica volta in cui, imbarazzato per aver violato un momento così intimo, non se l'era sentita di farsi avanti; ora però c’era un motivo ben preciso che l’aveva portato lì e, rammentandolo improvvisamente, si affrettò a farsi largo tra la carta per raggiungerla all’esterno. Quando fu abbastanza vicino, non poté fare a meno di notare i segni scuri di penna che le macchiavano guance e mani. Sorrise.
È soltanto una ragazza... E tu sei come lei, Ryuzaki.
 «Che cosa stavi combinando?».
Medea non si mosse, continuando imperterrita a scrutare il cielo. «Volevo scrivere una poesia sulle stelle, ma da questo punto della città non riesco a vederle».
«Bé, puoi farlo lo stesso».
«Non riesco a descrivere ciò che non vedo».
«Quindi non hai mai composto poesie su creature fantastiche come i draghi?».
«I draghi posso vederli con gli occhi della mente perché esistono soltanto lì. Le stelle invece sono al di fuori di me».
«Capisco...».
Tacquero entrambi, lei persa verso l’alto, lui ipnotizzato dalle cacofoniche melodie cittadine.
Le luci artificiali hanno spento le stelle.
«Medea, ascolta, Light Yagami e Misa Amane stanno per essere liberati». Attese un istante, sperando in una reazione che non giunse. «Ryuzaki ci ha riflettuto a lungo da quando sono ricominciati gli omicidi, ma per accertarsi che i due non siano davvero il primo ed il secondo Kira ha disposto un piano che verrà attuato tra due giorni. Dovresti assistere anche tu, Medea».
Nella quiete della notte la ragazza voltò piano la testa, agganciando gli occhi di Matsuda con le fiamme delle sue pupille. «È stato Ryuzaki a chiederti di avvisarmi?».
Il giovane agente deglutì. «Ecco... non proprio...».
«C’è un motivo se la mia presenza non è gradita, lo sai».
«Ma adesso che sei prevenuta andrà tutto bene!». Matsuda strinse le mani sulla balaustra talmente forte da sbiancare le nocche. «Non devi avere paura. Nessuno di noi due è un detective dal sangue freddo né tanto meno una macchina priva di sentimenti, ma che importa? Siamo umani, Medea. L’hai detto tu, no?».
Lei non rispose, limitandosi a sollevare nuovamente il viso.
Matsuda non demorse. «Allora, verrai?».
«Devo pensarci».
 
*
 
«Non capisco... che cosa intendi dire con "mai"?».
«Se uno spirito ti offrisse l'immortalità in cambio della felicità, tu cosa risponderesti?».
«Mai!».
«Ti è più chiaro?».



 



AVVERTENZE!
Salve! Ecco qui il secondo episodio della mia piccola raccolta, e approfitto di questo spazio per spendere due parole sul personaggio di Medea.
Dunque, Medea è un'eroina tragica, protagonista di una delle più fosche e strazianti vicende della mitologia greca, a cui artisti e scrittori di tutte le epoche hanno donato, con le loro interpretazioni, un ventaglio di sfaccettature che rendono ancora più accattivante un personaggio già di per sé prismatico. Spesso si tende ad inquadrare Medea con la madre assassina dei suoi figli, la maga folle e snaturata, dimenticandosi del suo lato ingenuo, dolce, che l'ha spinta alle tremende azioni successive perché infuocato d'amore... . Per quanto riguarda la mia Medea, bé, per adesso mi piace pensarla genuina come una bimba circondata da menti troppo razionali e ragionamenti infinitamente geniali; di fronte a queste maestose architetture, Medea rappresenta la spontaneità della fanciullezza, con i suoi pensieri semplici che brillano come stelle ardenti. Tutto questo sproloquio per dirvi...? Assolutamente nulla. Si tratta di un modo come un altro per riflettere su ciò che ho in testa. Ringrazio pazientemente chi si è spinto fin qui. Alla prossima!
Aliena.
   
 
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