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Autore: ___Aliena___    01/04/2018    1 recensioni
"Il mistero dell'amore è più grande del mistero della morte. Non bisogna guardare che all'amore" ('Salomé', Oscar Wilde)
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In un tempo dove la Morte pretende di creare la Vita, che cosa resta all'Amore?
Brevi scintille di umanità che lanciano la loro luce nelle tenebre del Nuovo Mondo.
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«Medea, tu sai perché Watari ha deciso di chiamarti così?».
«Era il nome di mia madre».
«E poi?».
«Non lo so, non gliel'ho mai chiesto».
«Cos'è che distingue Medea da tutte le altre eroine tragiche?».
«Di certo non un destino più clemente».
«Alla fine della sua storia, Medea resta in vita. Ricordalo, perché dovrà essere lo scopo della tua esistenza. Tu devi vivere, Medea, non importa quello che accadrà a noi altri. Tu devi vivere».
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Watari
Note: Missing Moments, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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1
Un padre

 
 
Noi due soli canteremo come uccelli
in gabbia; quando tu chiederai la mia
benedizione, io mi inginocchierò
per chiederti perdono; e vivremo così,
e pregando, e raccontandoci antiche favole,
e ridendo delle farfalle variopinte.
(William Shakespeare, “Re Lear”, atto V, scena III)
 
 
 
«Ryuzaki, dov’è mia figlia?».
Erano tutti lì, riuniti nella sala di controllo del quartier generale, le camice slacciate e i volti provati dalle innumerevoli notti in bianco. Watari sgusciò inosservato in mezzo ai corpi rigidi degli agenti, tra le mani un vassoio traboccante di ogni sorta di leccornia destinato al giovane uomo dai capelli corvini accovacciato su un divanetto. Senza scomporsi, il ragazzo gli rivolse uno sguardo di sottecchi, mordicchiandosi pensieroso il pollice. «Hai detto qualcosa, Watari?».
«Mia figlia» l’anziano si schiarì la gola con un colpo secco di tosse. «Hai per caso visto mia figlia questa mattina, Ryuzaki?».
Matsuda si stiracchiò placidamente le braccia con uno sbadiglio profondo. «È l’alba, accidenti! Non potrebbe essere ancora a letto?».
Watari si accomodò gli occhiali sul naso. «Negativo, signore. Sono passato a svegliarla senza trovarla, dunque ho pensato che avesse deciso di raggiungervi qui per la colazione, ma come può constatare anche lei non è così. Qualcuno di voi saprebbe dirmi dove rintracciarla?».
L’uomo che rispondeva al nome di Soichiro Yagami si allentò il nodo alla cravatta aggrottando la fronte. «L’ultima volta che ho visto sua figlia è stata ieri all’ora di pranzo, quando è venuta a portare una macedonia di fragole a Ryuzaki. Da allora non si è più fatta viva».
«La ringrazio, signor Yagami. Da bambina aveva la bizzarra abitudine di rifugiarsi nei luoghi più impensabili e rimanere nascosta anche per giorni interi. Continuerò a cercarla nei paraggi prima di...».
«Nella mia stanza».
Gli occhi dei presenti ricaddero basiti sul divano al centro della sala. Il signor Yagami inarcò un sopracciglio. «Che cosa hai detto?».
Senza sollevare lo sguardo dal monitor del computer, Ryuzaki si portò alle labbra un pasticcino farcito di cioccolato, assaporandolo con gusto. «Si trova nella mia stanza, o meglio, sul balcone della mia stanza. È la zona accessibile situata più in alto dell’intero stabile e l’unico luogo illuminato perennemente dal sole. Tu sai meglio di me quanto la diverta il pensiero di trovarsi vicino al cielo, Watari, non può che essere lì».
Un lieve velo di silenzio calò nella stanza e le dita nodose di Watari corsero nuovamente agli occhiali, questa volta senza un apparente motivo. «Sei sicuro, Ryuzaki?».
«Conosco la tua Medea».
 
*
 
«Papà, non mi piace quella persona che hai portato qui, mandala via».
«Non è educato parlare così degli altri bambini, lo sai».
«Mi fa paura! Se ne sta sempre seduto in disparte e mi fissa con quegli occhiacci orribili. Non voglio che resti con noi».
«È appena arrivato, devi dargli il tempo di ambientarsi. Perché non vai a leggergli l’ultima filastrocca che hai composto? Magari condividerà con te un po’ delle sue caramelle».
«Ma papà...».
«Non ti piacciono le caramelle, Medea?».
«Sì, però...».
«Allora che cosa stai aspettando?».
 
 
«Signor Wammy, deve venire immediatamente!».
«Cosa è successo, Roger?».
«Si tratta di sua figlia, signore. Si è lasciata coinvolgere in una rissa con dei ragazzini più grandi durante l’uscita al parco».
«Medea in una rissa?».
«Sì, signore. Non ho ben compreso le dinamiche, ma i bambini che erano con lei continuano a dire che l’abbia fatto per difendere un compagno preso di mira da quei bulletti».
«Un compagno? E chi sarebbe?».
«Lawliet, quel ragazzo che definisce sempre “speciale” anche di fronte a sua figlia. Credo che abbia agito così pensando a lei, signore».
«Adesso come sta?».
«Ha un brutto livido sul naso e l’ho lasciata con Lawliet a medicarsi una ferita sanguinante sul labbro. Non è conciata per niente bene, ma orgogliosa com’è non si è lasciata sfuggire nemmeno una lacrima e... signore, che cosa fa? Sorride?».
«Dovresti farlo anche tu, Roger».
 
 
«Lawliet, il vecchio sta cercando Medea».
«Ah sì?».
«Ha detto che deve sbrigarsi a preparare le sue valigie altrimenti partirete per Los Angeles senza di lei. Allora, dov’è?».
«Tu credi che io lo sappia, Mello?».
«L’ha detto il vecchio, non io».
«Sta leggendo in cortile da più di due ore, seduta tra i rami di un albero. Va’ pure a chiamarla, ma a bassa voce: potrebbe essersi addormentata».
 
*
 
La trovò sul balcone, proprio come aveva detto Ryuzaki: le gambe nude avviluppate scompostamente in un lenzuolo, gli occhiali storti, un libro aperto sul petto e la testa abbandonata contro la balaustra di ferro battuto. Watari allungò titubante una mano verso di lei, scostandole dal viso placido alcuni riccioli della chioma scompigliata. Dormiva.
«Medea?».
Un moto di tenerezza gli sciolse le membra nello scorgere le piante dei piedini della ragazza sporchi di fuliggine, facendolo tornare indietro nel tempo e materializzando davanti ai suoi occhi una bimbetta irrequieta che zampettava spensierata per i corridoi della Wammy’s House invece di partecipare alle lezioni di matematica.
 
«Dove sei stata oggi, Medea?».
«In classe con gli altri bambini».
«E perché ci sono macchie di terra sul tuo vestitino?».
«Non lo so, papà».
 
«Medea...» la chiamò nuovamente, sorridendo sotto i baffi. «Medea, è mattina».
La ragazza si raggomitolò ancora di più nel lenzuolo, agitando pigramente una mano nel sonno. Bofonchiò qualcosa di incomprensibile per scacciarlo, forse senza nemmeno rendersi conto di avere accanto suo padre.
Watari sospirò. «Bé, certamente non puoi restare qui». Si chinò in avanti e la sollevò delicatamente tra le braccia, trasportandola fino al letto inutilizzato di Ryuzaki. Le si sedette accanto dopo averle tolto gli occhiali e rimboccato le coperte, smarrendosi nello scrutare l’ovale affusolato di quel volto, la curva lievemente aquilina del naso sottile, le ciglia troppo scure, le labbra troppo rosse.
Vent’anni... erano già passati vent’anni da quel fatidico incontro nei sobborghi di Winchester, vent’anni da quella notte in cui una donna logora e scarmigliata aveva insegnato ad un ricco inventore quanto fossero morbidi i corpi delle zingare... vent’anni dalla presa di coscienza di aver generato qualcosa di molto più prezioso dei suoi bislacchi marchingegni.
 
«Mi ricordi tua madre, Medea. Hai le sue stesse mani piccole, gli stessi occhi vispi e disobbedienti ed anche il suo stesso nome. Ed io cosa ti ho donato? Forse soltanto la miopia».
 
Già, le somigliava, le somigliava spaventosamente; aveva ereditato l’irruenza, la forza selvaggia delle passioni che credeva morte con quella donna e che ora ritrovava racchiuse nel corpicino esile rannicchiato al suo fianco.
 
«Mi ami, papà?».
 
Watari le accarezzò dolcemente una guancia, godendo della sensazione che la pelle vellutata dava alle sue dita callose, raggrinzite, anziane.
Nessuno ti porterà via da me.
Si fermò a riflettere e per un attimo soltanto ogni ricordo del passato, ogni aspettativa per il futuro scomparvero all’istante, inghiottiti dal desiderio di fuggire lontano da tutto ciò che lo circondava. Avrebbe detto addio al nome Watari, avrebbe abbandonato gli orfanotrofi, Ryuzaki, Kira... sarebbe stato soltanto Quillsh Wammy, un padre innamorato di sua figlia, della sua Medea, il tesoro che avrebbe tanto voluto trattenere ma che giorno dopo giorno vedeva sfuggirgli dalle dita.
Non c’è più tempo ormai.
Si ricompose deglutendo lentamente, la mente rivolta agli agenti di polizia al piano di sotto. Il destino di ognuno di loro era stato scritto nel momento in cui avevano deciso di collaborare al caso Kira e tutto quello che potevano fare era continuare a vivere senza guardare mai alle innumerevoli strade che avrebbero potuto imboccare. Anche Medea aveva fatto la sua scelta, accompagnandolo in Giappone e mettendo a repentaglio la sua sicurezza, ma andava bene così: lui l’avrebbe protetta a costo di qualsiasi sacrificio.
Prima che potesse lasciare la stanza, la ragazza sollevò piano le palpebre, schermendosi goffamente dai raggi del sole che penetravano dalla finestra. «Papà...» mugugnò con la bocca ancora impastata. «Devo alzarmi? È già l’ora della colazione?».
Watari distolse intenerito lo sguardo, affrettandosi a tirare le tende. Cercò di controllare il tono della voce. «No, Medea. Puoi dormire ancora un po’».
Lei sorrise stropicciandosi gli occhi e, senza aggiungere altro, affondò il viso nel cuscino di Ryuzaki con un sospiro estasiato.
Watari uscì in silenzio.
 
«Certo che ti amo, bambina mia».


AVVERTENZE!

Per complicare maggiormente la mia vita già impegnata eccomi in questa nuova impresa. Purtroppo o per fortuna all'ispirazione non si comanda, dunque che fare se non assecondarla? Questa raccolta è in un certo senso un tentativo di omaggiare un anime che ho adorato e un personaggio della mitologia greca a cui sono particolarmente legata per svariate ragioni. Può sembrare una cosa folle, però ricordate che "la mia non è pazzia, ma stratagemma" (Amleto).
Passiamo alle cose serie.
Le vicende narrate in questa raccolta sono frutto della fantasia dell'autrice. Ogni riferimento alla realtà è puramente casuale, possibili cambiamenti rispetto all'opera originale sono fatti per esigenza di trama e il plagio e gli insulti si pagano con il sangue. Anche io ho un Death Note, sappiatelo.
Detto questo, vi ringrazio vivamente per essere passati a trovarmi, spero di aver suscitato la curiosità in qualcuno di voi. A presto!
Aliena.


 
   
 
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