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Autore: AlessandroConte    04/04/2018    1 recensioni
Storie varie lunghe e brevi, in prosa e in versi
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL  VIATICO                                              
 
“Conducimi, o Signore, nei verdi pascoli…”
“Ora il Signore…fa il conducente…” ansimò il moribondo.
“Nei verdi pascoli” ripetè il sacerdote alzando gli occhi al cielo in cerca di appoggio. “E anche se dovrò passare nella valle della morte non temerò alcun male finche…”
“Tu sei con me” si aggiunse la flebile voce a quella dell’officiante. “Signor prete non siete … molto bravo. Io … la ricordavo diversa questa … litania. E poi … non muoio. È inutile. Il solo pensiero di … dover morire mi fa morire. Io … non ci sto.”
“Lo so anch’io che non morirete, don Vincenzo. Però visto che sono qua…”
“Ve ne potete anche andare” sospirò Vincenzo.
“Visto che ci sono perché non ci riconciliamo con Nostro Signore?”
“No.”
“Pensate un po’. Se l’Aldilà esiste fareste un affare, sennò non ci avete rimesso niente.”
“Questo … lo disse Pascal. Bell’esempio di …fede. E Dio si fa prendere per il …”
“Basta! Non lo dite! È stata vostra moglie, che santa donna, a chiedermi di darvi l’assistenza spirituale.”
“Quando mi riprendo … le liscio il pelo … a quella cagna.”
“Allora siete fermamente convinto di lasciare questa terra senza l’opportuno viatico?”
“Ora … basta lo dico io!” cercò di urlare il morente. “Sono convinto … voglio così. Sì … lo voglio!”
Con questa energica presa di posizione don Vincenzo consumò l’ultimo fiato.
Era il momento di introdurre la moglie che, continuando il suo frignare ininterrotto, constatò il decesso.
“Sapete, signora” le si rivolse l’altro, “io ho pregato e chiesto una riconciliazione col Nostro Salvatore e il vostro Vincenzo, credetemi sulla parola, ha finito per dire ‘Sì, lo voglio!’.
Visto che ce l’abbiamo fatta?”
 
Alessandro Conte
 
 
PRIMO  APPROCCIO  
 
Amore leggo in viso alla fanciulla
quando, stretta al mio petto, volge il viso
disioso d’altri baci appassionati.
È rilassata e nulla la distoglie
da quell’abbandonarsi al suo compagno.
Mi sembra il Paradiso quell’abbraccio
e bado a che non cessi l’abbandono.
So che baci e carezze son graditi
ma nulla più di quello e ciò mi basta.
Sono io pure a voler rimanga casta.
 
Alessandro Conte
 
 
LA  LEVATRICE                
 
Non attese quasi niente prima di essere ricevuta dall’abate e questa era la prima volta che si trovava con lui da sola.
“Eloìsa” fu interpellata, “mi spieghi com’è morta quella novizia? È la seconda sorella che lascia il convento per il Creatore dacchè ha principiato l’anno 1440 di Nostro Signore.”
“Monsignore, io impiego tutta l’attenzione possibile e le conoscenze del mio mestiere. Volete dare la colpa a me?”
“No, certo. So che sei meglio di tanti medici e mammane. Non farci caso.
È che la situazione di papa Eugenio, soppiantato da Amedeo di Savoia, mi preoccupa. Non so neanche se dipendo da questo nuova papa Felice. Mah, sono cose mie.
Comunque una seconda monaca quest’anno è morta sotto le tue mani.”
“Ed erano belle tutte e due.”
“Già, ma questo non c’entra.
A te personalmente sono nati tre figli e mi dicono che vengono su bene.”
“Altri due mi sono morti, ve l’hanno detto questo, monsignore?”
“Sì, mi dicono tutto. È la volontà del Signore.”
“Come per quelle due; io che c’entro? Le mandate a sgravarsi da me come tante altre che vengono. C’è chi ce la fa e chi no.”
“Lo so che ci rimetti pure tu se i bambini muoiono: non li puoi rivendere a caro prezzo.”
“Monsignore, l’abbazia mi dà di questi incarichi ma non mi ha mai pagato neanche un carlino per la mia opera. Senza di me sarebbero poche le monache vive nel vostro convento.”
“Che fai? Vendi esseri umani come fossero porcetti e vuoi avanzare pretese?
Con me devi usare un tono umile come tutti! Chi ti ha fatto studiare presso il miglior cerùsico di Bologna? Per farmi cosa grata lui, docente all’Università, ha accettato di insegnare a te, una femmina, medicina e latino. Tu mi devi riconoscenza!”
“Se è per questo devo esservi grata anche per non avermi voluta in convento, caro genitore.”
“Cosa dici, impudente?”
“Scusatemi, monsignore: nel circondario lo dicono tutti che sono la figlia del priore oltre che di una monaca, ovviamente. Ma non palpitate: so bene che non ho a pretendere da voi.”
“No, certo. Anzi, visto che hai voluto introdurre l’argomento mi pagherai dieci carlini per ogni monaca che farai partorire e che non manderai al camposanto.”
“Ora le pretese le avete voi, caro babbo monsignore; posso sapere come vi è venuta questa fantasia? In sogno?”
“Per te, Eloisa, sono monsignore e basta.
Non ti farei questa richiesta sennonchè il nuovo papa, se viene confermato, potrebbe chiedermi di lasciare l’abbazia. E restare un semplice monaco indigente è qualcosa cui non aspiro.
È deciso: per ogni bambino delle mie monache che vendi faremo a metà del ricavato.”
“A metà? Non avevate detto dieci carlini?”
“E sia così allora: dieci carlini che pagherai all’arrivo della monaca che ti mando comunque si risolva il parto e il tuo mercato.
Lo vedi che farei di tutto per accontentarti, figliola cara? Va da sè che se non pagherai prontamente ti sostituirà un’altra levatrice. Ora te ne puoi andare.
A proposito di figli i tuoi mandameli di tanto in tanto: ho sentito ch’è bello fare il nonno.”
“Anche fare il padre non è brutto. Non ve l’hanno mai detto questo?”
Rimasto solo l’abate riflettè che quella figlia era davvero una sorpresa per lui: combattiva e tenace oltre che desiderata da tutti i conventi intorno, disposti a pagare per riceverne i servigi.
Non aveva fatto storie sui carlini da sborsare.
Bisognava richiamarla al più presto farsi una risata e concludere che circa il pagamento aveva voluto burlarla. Figli era facile averne e anche nuove monache; ma una levatrice così…
 
Alessandro Conte
 
 
LA  MAGICA  POESIA
 
“Magia e poesia, nipotina bella, sono intimamente collegate” spiega l’anziano alla ragazzina cercando di mettere nel tono di voce un che di fiabesco.
Vedendo dell’interrogativo sul volto della piccola, ricalca:
“Sono quasi la stessa cosa, hanno l’immaginazione dentro, capito?”
“Cosa, nonno?”
“Poesia e magia.  Sai cos’è la fantasia, Mariuccia?”
“Sì, poesie e favole, quelle che scrivi tu. Il maestro ci ha fatto dire quella che sul ponte sventola bandiera bianca.”
“Beh, ci sarebbero altre poesie che renderebbero meglio l’idea.
Dante era un poeta. Senti: nel mezzo del cammin di nostra vita … dice quando si è grandi, mi ritrovai per una selva oscura…”
“Nonno, ma io so quella del ponte che sventola.”
“Ti dicevo … Dante sta in una selva oscura…” e l’uomo tira il tono al cavernoso. “E lì può succedere di tutto, escono animali strani, fatine dai fiori, elfi dai tronchi e tutto è una cascata di suoni emessi da strumenti mai inventati. E le parole assumono tutti i significati che per te sono più importanti. Mi capisci?
Non per niente quel poeta era considerato anche un mago potente.”
“Sì, nonno. Ho capito che Dante faceva le magie, ma io ti volevo far sentire la bandiera bianca.”
Il nonno si rifiuta di spazientirsi:
“Senti quest’altra ch’è tutta una magia: s’io fossi foco brucerei lo monno…”
“No, non mi piace.”
“Bruciare tutto il mondo non è una grande magia?”
“Nonnooooo, la bandiera biancaaaaa.”
“Senti, Mariuccia, la mamma ti sta chiamando. Vai.”
E mentre la ragazzina si allontana a saltelli alternati si sfoga amareggiato: ‘E la bandiera mettitela… No, questo no.”
 
Alessandro Conte
 
 
NEL  VUOTO    
  
Quando stretto al suo seno son, bramoso
   d’aver carezze e baci, un desiderio
   di darle e avere amore il cor m’assale.
   Sono attimi che entrambi noi vorremmo
   protratti nell’eterno e nè pensieri
   ci vengono a sfiorare. Sembra un vuoto
pien di delizie tutto  a circondarci.
E dentro ad esso quant’è bello starci!
 
Alessandro Conte
 
 
IL  RATTO           
 
Quel matrimonio non era proprio il massimo delle feste ma, comunque fosse, era stato necessario: Ginetto e Lucia erano scappati, avevano fatto la ‘fuitina’ due anni prima e ora, compiuti entrambi i diciotto anni, avevano dovuto rimediare. Questo sposalizio forzato, riparazione al ratto, era quanto la società richiedeva e ‘la società’ nella fattispecie era rappresentata fieramente dai parenti della sposa.
No, la festa non si poteva dire proprio riuscita: lo sposo era moscio che più moscio non si può e di conseguenza tutti i suoi erano terribilmente imbarazzati e gli altri offesi. Nello sguardo della sposina c’era anche l’espressione alla ‘ormai dove scappi?’ del pescatore che tira il pesce in barca.
Che quel giorno fosse proprio infausto ci si accorse quando il mortorio volse al termine notando l’assenza di Mene e Paoletta dal gruppo dei piccoli. Non si riusciva a rintracciarli e la parola ‘rapimento’, non pronunciata da alcuno, frullava nella mente di tutti.
Le ricerche all’intorno cominciarono frenetiche con la paura generale e la morte nel cuore per i parenti degli scomparsi. Poi, a sera, vista l’inutilità di tanti affanni, sapendo ciò che riportavano i giornali, con quello che si vedeva in TV furono chiamati i carabinieri.
La mattina seguente, poco dopo l’alba, quelli che non erano riusciti a chiudere occhio videro venire i due rampolli e diedero l’allerta.
Mano nella mano erano lì sani e salvi con Mene, a dieci anni, più vecchio di lei di quasi un anno. Erano stanchi per la camminata dalla masseria vuota della zi’ Peppa dove avevano pernottato alla meglio con una voglia matta di tornare a casa. Fame no perchè avevano fatto, furbescamente, un cartoccio con un po’ di dolci prelevati al rinfresco.
Passati i minuti sufficienti perchè al sollievo subentrasse una giusta irritazione, si cominciò con gli interrogativi. Fu Paoletta, la più spigliata dei due, a dare spiegazioni:
“Noi ci vogliamo bene come Lucia e Ginetto.
Ora che pure noi siamo stati tutta la notte insieme, quando diventiamo grandi ci possiamo sposare come hanno fatto loro?”
 
Alessandro Conte
 
(Vi do appuntamento a mercoledì prossimo, 11 aprile, con altre storie)
   
 
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