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Autore: reesejordan    06/04/2018    7 recensioni
Siamo ad aprile. André decide di arruolarsi per aspettare che Oscar lo comandi di nuovo.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Guardo il bicchiere posato davanti a me. Ho perso il conto. Il vino ha un colore spento, un odore di fogna e un sapore scadente. Il posto in cui mi ritrovo è lontano miglia da casa tua e da quella sensazione di grandezza, di decoroso e di pulito.

Sarei potuto restare a casa tua, a bere dell'ottimo vino della cantina di tuo padre. Me lo hai sempre permesso, ma volevo uscire, andarmene da lì perché tutto mi ricorda te. Avrei potuto scegliere un posto migliore, uno di quelli in cui ci siamo ubriacati fino allo svenimento, ma anche lì i pensieri corrono a te. 

Qui, in questo buco dimenticato da Dio e da molti, ecco che la mia mente cerca inesorabilmente te. È inutile scappare, sei un chiodo fisso, un pensiero permanente. Te ne sei andata via, lontano da sola. Da sola. Me lo ripeto come una preghiera che non allevia il dolore. Per la seconda volta in vita mia non ti accompagno. E fa male tanto quanto quella sera in cui eri vestita come una dea per lui. Cosa volevi provare? Cosa volevi fare? Volevi sentire le sue mani addosso a te? Volevi spogliarti per lui? Unirti a lui?

Lui ti ha rifiutata. Tu hai rifiutato me. Il cerchio si è chiuso come le mie mani hanno serrato i tuoi polsi. La gelosia mi ha spinto a fare l'inimaginabile. Ho sentito le tue labbra morbide contro le mie. Ho sentito il tuo corpo da donna sotto il mio. Ho sentito le tue lacrime bagnare il mio volto. Ora sento solo il disprezzo, il rimorso, il vuoto.

Rivedo i tuoi occhi colmi di pianto mentre diventavo un altro. E adesso sei diventata un'altra. Hai deciso di vivere come un uomo per colpa sua. Hai deciso di scappare per colpa mia. Dovrei proprio andare da Fersen e dirgli che siamo due idioti, incoscienti e disperati. Ma non lo faccio, non lo farei mai. Se lo facessi, rischierei che lui s'innamorasse di te e allora ti perderei di sicuro. Che sciocchezze mi vengono in mente. Sarà l'alcol che mi circola in corpo. Ti ho già persa. Mi hai detto di non avercela con me, ma mentivi, ne sono certo. Non ci siamo più guardati negli occhi. Non siamo più quei bambini complici che si capivano con un'occhiata, un cenno, uno sguardo birichino. Ti ho fatto avere paura dei miei occhi, delle mie mani, di me. 

Non mi hai cacciato di casa. Mi hai detto che non avrai più bisogno di me come attendente, che sai cavartela da sola. Ma mi hai lasciato vivere a palazzo. Perché?

Forse per il bene che provi per mia nonna, perché sai che le spezzeresti il cuore se mi mandassi via? Se venisse a sapere quello che ti ho fatto, mi disprezzerebbe, non sarei più il nipote su cui fare affidamento, ma uno sconosciuto violento, viscido, imperdonabile. Mi spaccherebbe la testa con le mestolate. Meritate. Tutte.

Forse perché mi vuoi un po' di bene e non vuoi che finisca per strada e che in fondo mi perdonerai, un giorno. Verresti a casa per trovare me e le nostre serate davanti a del buon vino, a scambiarci idee, confidenze. Torneremo a essere quello che eravamo l'uno per l'altra. Indispensabili. Inseparabili. Illuso. 

Mi sono arruolato come un tuo soldato. Sei arrivata in caserma con una giornata di anticipo. Oscar, qui non scherzano. Qui odiano i nobili come te, no le nobili come te. Sei entrata come una furia, con gli occhi di ghiaccio, severi, che usi come facciata per proteggerti dalle tue emozioni e per far credere agli altri di essere un uomo. Ma io ho visto le mille espressioni dei tuoi occhi. Quelle sorridenti. Quelle malinconiche. Quelle di dolore che miste alle lacrime mi hanno fatto vedere il tuo cuore di donna in tumulto. La prima volta per lui. La seconda volta per me.

I miei compagni, come me, guardano avanti quando ti salutano. Posso solo immaginare i pensieri pieni di rancore che provano per te, per quello che credono di sapere di te, un comandante nobile che impartisce ordini e che non ha sofferto nemmeno un giorno nella sua vita. Non sanno che sei una donna, per ora. Prima o poi lo verranno a sapere e allora sono sicuro che gli farai vedere quello che vali. E io sarò qui con te, come sempre.

Il tuo bellissimo corpo è stretto nella nuova divisa. Sei stupenda. Bianca, rossa, blu. Con l'uniforme della Guardia metropolitana hai aggiunto nella tua carriera l'ultimo colore dell'amata Francia. Sono ancora indeciso se benedire o maledire la divisa. La maledico perché per indossarla tuo padre ti ha allevata come un uomo. La benedico perché ora saresti sposata con qualche nobile imparrucato che nonostante abbia te come moglie, si diverte a portarsi a letto altre donne. Ti avrebbe già violata da tempo con le mani e altre parti del suo corpo. L'idea mi disgusta, mi dà la nausea. E io, come sempre, sarei stato impotente, davanti a decisioni più grandi di me.

Mi hai visto, qui in fondo alla camerata. Sei rimasta sorpresa con gli occhi sbarrati. Sei arrabbiata? Ti faccio paura?
Mi chiami nel tuo nuovo ufficio. Sono il primo soldato ad entrarci al tuo cospetto. Mi urli contro la tua furia. Mi chiedi perché mi sono arruolato, perché ti ho seguito. Ripeti a pugni chiusi che non hai bisogno di me, che sai cavartela da sola. Siamo vicini. Sono bellissimi i tuoi occhi che brillano dall'ira causata dal mio affronto. Sento il tuo respiro sul mio viso. La mia risposta è decisa, tagliente.

- Sono l'unico qui che possa proteggerti. Sono l'unico qui ad amarti per quella che sei.

Accorcio le distanze. Ti vedo esitare. Le mie parole hanno colto nel segno. La mia vicinanza ti sconcerta. Poso leggermente le mie labbra sulle tue e mi allontano velocemente da te, senza lasciarti possibilità di reagire. Batto i tacchi e ti saluto. 

- Ben arrivata, mio comandante.

Sono ai tuoi ordini come sempre, padrona del mio cuore.
   
 
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