Videogiochi > Final Fantasy XV
Segui la storia  |       
Autore: Alchimista    08/04/2018    0 recensioni
Noctis, Gladiolus, Prompto ed Ignis sono ancora dei bambini quando l'orfanotrofio in cui hanno vissuto i loro primi anni di vita va a fuoco. Da quel momento le loro strade si separano e per quindici anni non hanno più notizie l'uno dell'altro. Fino al giorno in cui la sorte decide di farli incontrare di nuovo in maniera più o meno drammatica. Coincidenze e fatalità si intrecciano sullo sfondo di una guerra mai del tutto sedata, vecchi segreti che minacciano di rompere fragili equilibri e un legame che va oltre il tempo e la lontananza.
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gladiolus Amicitia, Ignis Stupeo Scientia, Noctis Lucis Caelum, Prompto Argentum, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Stanza Quindici.

Parte Prima: una coincidenza.

 

 

 

 

CAPITOLO II: Il Principe e lo Scudo.

 

L’odore del fumo è pregnante, sembra quasi che abbia un peso tutto suo e si appiccichi addosso, come una coperta di lana troppo pesante. È così che se ne accorge, è così che si sveglia: la stanza è al buio, ma può sentire la soffocante presenza del fumo già dentro i polmoni togliergli il fiato.

«Muoviti, Nux, svelto, dobbiamo uscire da qui!», sente dire. Conosce quella voce o almeno crede di conoscerla, ma non si muove.

«Nux, avanti!»

Non reagisce a quel nome semplicemente perché non è così che si chiama. Non è quello il suo nome. Giusto?

Ma resta il fumo, resta la sensazione di non riuscire a respirare e il bisogno urgente di scappare, quindi qualunque sia il suo nome si alza e segue la voce del bambino davanti a lui che lo guida lungo un corridoio e poi giù per delle scale. Sente caldo, c’è caldo intorno a lui e vede le fiamme per la prima volta quando ormai l’uscita è vicina. ma ha paura e si ferma.

Inchiodato al suolo, inchiodato alla vista dello spettacolo delle fiamme che quasi lo avvolgono, salendo lungo le pareti fino al soffitto, non riesce a fare un solo passo e sente all’improvviso ancora quella voce, la voce che lo ha chiamato, farsi più forte, gridare in modo disperato.

Vorrebbe andare avanti, vorrebbe davvero uscire, perché ora respirare fa quasi male, punge e brucia come quando si grida troppo forte, ma le fiamme sembrano giocare sul soffitto e lui resta a guardarle quasi ammaliato mentre si propagano simili ad onde, accavallandosi come l’acqua sulla spiaggia, terribilmente belle e mortali.

Poi qualcosa lo afferra all’altezza della pancia e si sente trascinare fuori di peso. Prova a guardare, per capire di chi si tratti e dove lo stia portando, ma tutto quello che ottiene è un violento giramento di testa, uno strano senso di nausea e ancora quel fumo che massiccio gli si posa addosso, sul cuore e sulla coscienza.

 

Noctis si svegliò di soprassalto, sudato e col cuore in gola, trattenendo a stento un grido. Ci mise qualche istante a realizzare che non c’era odore di fumo, che niente stava andando a fuoco e che era nel suo letto, nella sua stanza e al sicuro. Si mise a sedere con una certa difficoltà, tirando a sé le coperte quasi potessero offrirgli protezione dagli incubi e cercò di calmare il battito accelerato del cuore.

Va tutto bene, si disse, è tutto a posto, è stato solo un incubo, non è mai successo.

Era qualcosa di ricorrente, un sogno a cui non riusciva a dare una spiegazione precisa ma che tornava molto spesso a tormentarlo; ciò che innervosiva di più Noctis era non sapere perché quello scenario lo sconvolgesse tanto: certo, una casa in fiamme non era la più piacevole delle situazioni in cui trovarsi, eppure l'ansia, la paura e il dolore che poteva ancora sentire addosso gli parevano reazioni esagerate e lo rendevano di pessimo umore.

Il ragazzo si lasciò scappare un verso sconfortato e si rimise a letto, sentendosi più stanco di quando era andato a dormire e raggruppandosi su se stesso, tremando appena: la sgradevole sensazione di sconforto che gli restava addosso era qualcosa a cui non era ancora abituato. Non ebbe neanche il tempo di chiudere nuovamente gli occhi che il fastidioso suono di un carillon, che usava come sveglia, lo riscosse. Stavolta il mormorio che uscì dalle sue labbra fu di puro dolore e Noctis nascose la testa sotto il cuscino per ripararsi da quella violenza, sebbene sapesse che, presto o tardi, qualcuno sarebbe entrato in stanza a controllare se si fosse alzato. L’ultima volta lo avevano lasciato fare a Gladio e non era stato affatto divertente essere trascinato per un piede fuori dal letto – ancora rabbrividiva al pensiero.

Gladiolus, dopotutto, non era di certo tipo da farsi fermare dal suo titolo di principe quando si trattava di alzarsi in orario o allenarsi, e davvero Noctis avrebbe voluto che si desse una calmata di tanto in tanto.

I colpi che sentì alla porta segnarono la fine di ogni speranza di riposo. Avrebbe riconosciuto ovunque il tocco gentile del suo Scudo.

«Ben svegliato, principessa», lo salutò Gladio, quando finalmente Noctis uscì dalla sua stanza, ancora assonnato e vestito per puro miracolo «Pronto per l’allenamento?»

Il principe di Lucis mormorò qualcosa di incomprensibile, prima di prendere a seguire il ragazzo lungo il corridoio e poi in ascensore; sbadigliò sbadatamente e si fermò in cucina per prendere qualche toast prima di dirigersi in palestra: c’era stato un tempo in cui la colazione era un pasto sacro e andava fatto a tavola, con suo padre e tutto il cerimoniale, ma erano anni ormai che nella Cittadella s’era perso quel lusso, soprattutto perché Regis si alzava sempre più presto ed aveva sempre meno tempo da dedicare a suo figlio.

Quella mattina la palestra al piano terra era completamente vuota – spesso capitava di trovarvi alcuni uomini dei Crownsguard che approfittano del tempo libero per tenersi in allenamento, ma stavolta sarebbero stati solo loro due e Noctis ne fu confortato: allenarsi da soli lo rilassava, perché poteva essere se stesso, perché non era distratto dalla presenza e dagli sguardi altrui.

Gladio scelse due spade da una delle teche della grande stanza e le soppesò - erano spuntate, ma la grandezza, il peso, il modo in cui andavano maneggiate erano quelli di qualunque arma avrebbero portato con sé o evocato attraverso la magia del Re, quindi potevano andare bene per l’allenamento. Ne lanciò una a Noctis senza farsi troppi problemi e il principe l’afferrò al volo senza essere colto di sorpresa.

«Vediamo quanto sei migliorato», lo sfidò Gladiolus e Noctis, cercando di coglierlo di sorpresa, gli si lanciò contro mentre quello stava ancora parlando.

Lo Scudo, ad ogni modo, era un guerriero davvero difficile da cogliere alla sprovvista e parò il colpo del principe come se lo avesse visto arrivare, affidandosi alla propria forza e ai propri riflessi, respingendo l’attacco e facendo allontanare Noctis di diversi metri solo col proprio contraccolpo. Ora, con la spada appoggiata sulle spalle ed un sorriso strafottente, Gladio lo guardava dall’alto e sorrideva.

«Non male, principessa», disse con divertimento. Poi fu il suo turno di attaccare e scaricò addosso a Noctis una serie di colpi con tutta la forza che aveva e ai quali il principe resistette con una certa difficoltà. Ormai erano anni che si allenavano insieme, praticamente da quando Noct era riuscito a tenere in mano la sua prima spada, all’età di dodici anni, e Gladio doveva ammettere che dopo un inizio alquanto burrascoso, l’erede dei Lucis Caelum era migliorato molto.

«Sei distratto», gli fece notare, mentre Noctis parava a stento uno dei ultimi colpi, indietreggiando a corto di fiato.

«Ho sonno», rispose quello in maniera laconica, cercando di restituire il colpo, ma finendo sbalzato dall’altro lato della stanza.

«Ti sei letteralmente svegliato meno di mezz’ora fa!» si lamentò Gladio in modo drammatico, ma vide qualcosa cambiare sul volto di Noctis: il principe divenne serio e lo Scudo capì che doveva essere successo di nuovo, che Noct aveva avuto di nuovo lo stesso incubo. Senza perdere la sua compostezza, si preparò a rispondere nuovamente alle domande che, lo sapeva, sarebbero arrivate.

«Questa volta quel bambino era praticamente accanto a me: continuava a chiamarmi Nux e a dirmi di muovermi, di scappare. Avevo l’impressione che il fumo mi avrebbe soffocato e non riuscivo a fare niente...».

Noctis smise di attaccare, perso di nuovo nei pochi frammenti che ricordava di quell’incubo. Il fumo, il caldo, la voce del bambino, il dolore. Era tutto confuso e mischiato: gli dava la nausea, destabilizzandolo più di quanto avrebbe voluto concedergli.

«È solo-».

«Un brutto sogno, lo so», lo precedette il principe, seccato: non era la prima volta che Gladio gli diceva quelle parole. «Sono stufo di sentimelo ripetere! Vorrei solo capire perché continua a tormentarmi e come farlo smettere».

Lo Scudo sospirò: si rese conto che stavolta ci avrebbe messo un po’ di più a convincere Noctis, quindi calò la propria spada e gli si avvicinò con cautela - aveva imparato ad essere ineccepibile nel muoversi intorno a quell’argomento, sia con le parole sia con il linguaggio del corpo e le espressioni del viso.

«Eravamo piccoli, Noct», disse con calma, con un tono che faceva venire i brividi al principe perché era dannatamente serio per essere quello di Gladio «Eravamo piccoli, stavamo tornando da un viaggio di qualche giorno e quell’incendio… ti ha semplicemente sconvolto. Era un palazzo, c’erano… c’erano persone di tutte le età e anche alcuni bambini. Ricordo le grida, ricordo che le due macchine della scorta e la nostra si fermarono per aiutare e nella confusione scendesti anche tu. Ti persi di vista solo per un attimo e quello dopo non eri più con me. Ti cercammo ovunque e quando ti trovammo eri con quel bambino, quello del tuo sogno. Nux era il suo fratellino...».

Noctis annuiva alle parole di Gladiolus e poteva vedere i pochissimi ricordi che aveva di quell’episodio scorrere davanti ai suoi occhi, quasi uguali al suo incubo. Sapeva che cosa era successo, sapeva che era solo il trauma per aver visto qualcosa di orribile, eppure proprio non riusciva a farsi scivolare addosso tutte le emozioni che sentiva.

Gladiolus lo fissava cercando di capire a cosa stesse pensando, se le sue parole fossero riuscite in qualche modo a calmarlo.

«Credo di sentirmi in colpa», aggiunse il principe «Per non aver fatto niente».

Era la prima volta che il ragazzo ammetteva una cosa del genere e Gladio avvertì chiaramente una morsa stringergli lo stomaco - Noctis poteva sembrare una persona sempre sulle sue e distaccata da tutto, ma lui lo conosceva abbastanza bene da sapere che era semplicemente il suo modo di fare, che andando oltre la prima impressione, era possibile vedere quanto prendesse a cuore qualunque situazione difficile gli si presentasse davanti, anche se si trattava di qualcosa che non dipendeva da lui.

«Avevi sei anni!» esclamò, dandogli una pacca sulla spalla «Non ho potuto fare niente neanche io! Eravamo bambini!»

Noctis lo guardò, senza essere certo che quella fosse una giustificazione sufficiente - la voce del bambino che chiamava il fratello era qualcosa di straziante nei suoi sogni, disperata. Sospirò, cercando di scrollarsi di dosso quella sensazione di orrore e dolore che ancora sentiva e riprese in mano la spada.

«Di’ la verità», lo incalzò Gladio, riprendendo la spada e mettendosi in posizione d’attacco «Avevi solo bisogno di riprendere fiato!»

Il principe gli rivolse un sorrisetto di sfida prima di prepararsi a parere un nuovo colpo.

 

Probabilmente, la parte più noiosa del lavoro di Gladiolus era presenziare alle riunioni politiche che si tenevano alla Cittadella. Da quando Noctis aveva compiuto diciotto anni, il Re aveva deciso che era arrivato per lui il momento di partecipare alle discussioni riguardanti il regno e Gladio, che era il suo Scudo ed aveva giurato di proteggerlo ad ogni costo, non poteva non essere presente.

Ora se ne stava, schiena dritta e gambe strette, appoggiato ad una delle pareti della stanza, direttamente alle spalle di Noctis ed osservava come le diverse personalità presenti prendessero a turno la parola per riferire della situazione nelle varie regioni del regno. Anche solo a giudicare dai volti seri che avevano, Gladio poteva dire che la situazione era in qualche modo tesa, sebbene i problemi esposti non fossero all’apparenza tanto gravi.

A parte i delegati di Leide, Duscae e Cleigne, erano presenti anche Cor Leonis e due dei suoi Crownguard, un manipolo di Kingsglaive e ovviamente Clarus Argentum, Scudo del Re e padre adottivo di Gladio. Il giovane indugiò sulla figura composta del padre per qualche istante e sospirò, ricordando la conversazione che aveva avuto quella mattina con Noctis: a riunione finita, avrebbe dovuto informare suo padre ed il re del nuovo incubo del principe e la cosa, come sempre, non gli piaceva.

A Gladio non era mai piaciuto il ruolo che aveva assunto da quando era stato adottato. O meglio, non gli era mai piaciuta la posizione in cui era stato messo da quando lui e Noctis erano arrivati ad Insomnia. Perché lui ricordava precisamente il momento in aveva visto la Cittadella per la prima volta, il momento in cui la sua vita era cambiata per sempre.

 

Intorno c’è solo buio e Xìfos è davvero stanco degli incendi. Questo è il secondo che vede a distanza di pochi giorni e sebbene non sia come il primo, sebbene stavolta ad aver preso fuoco sia solo una macchina, lui è davvero seccato. Ha sette anni, non sa neanche che cosa voglia dire essere seccato, ma prova quella sensazione sulla pelle, nella morsa con cui stringe fin troppo la mano di Nux, nella rabbia che gli fa serrare forte la mascella.

«Va tutto bene, piccoli, ora venite con noi».

L’uomo che gli parla a Xìfos non piace: il suo sorriso è finto e ha visto chiaramente che è stato lui, insieme ad alcuni di quelli che dalle divise ha riconosciuto come soldati di Lucis, ha dar fuoco alla macchina su cui lui e Nux stavano viaggiando. Xìfos ha paura e indietreggia, trascinando con sé il più piccolo.

«Non andiamo da nessuna parte», dice con tutta la sfacciataggine che possiede e vede il sorriso sparire dal volto dell’uomo.

Sa che le cose non vanno bene, può sentire chiaramente che sono entrambi in pericolo, ma le gambe restano per qualche istante inchiodate al suolo senza dargli possibilità di scappare, mentre l’uomo si avvicina e nel buio i riverberi del fuoco lo rendono ancora più minaccioso.

«Nux», sussurra, cercando di attirare l’attenzione del più piccolo. Il bambino gli stringe la mano con più forza in risposta, ma non stacca gli occhi da davanti a sé.

«Salta sulle mie spalle», gli ordina allora Xìfos e Nux lo fa all’istante, così che il più grande possa finalmente mettersi a correre e scappare.

Xìfos è abituato al peso di Nux: lo porta sulle spalle da che ha memoria ed è facile perché il più piccolo è davvero mingherlino; eppure in quel momento tutto gli sembra pesare troppo, persino Nux, persino il suo stesso corpo. Non è veloce abbastanza, non riesce a correre come vorrebbe e non sa che è la paura a dargli quelle sensazioni, mentre le voci dei soldati alle sue spalle si fanno sempre più alte, sempre più vicine.

«Perché ci inseguono?», grida Nux e Xìfos lo sente dalla voce che il piccolo vorrebbe piangere. Ad essere sincero, anche lui vorrebbe piangere perché non sa dare una risposta a quella domanda, perché aver perso Puros e Prom è già tanto da sopportare e davvero non c’è bisogno anche di questo. Ma non piange, cerca di correre più veloce e non piange: ora deve occuparsi di Nux, deve portarlo al sicuro, lontano dagli uomini che hanno fermato la macchina dell'orfanotrofio, dandole fuoco, e che ora li inseguono come fosse una caccia.

Xìfos è così concentrato a capire quanto vantaggio abbia rispetto agli inseguitori, che si rende conto appena in tempo che la piccola radura in cui ha preso a correre finisce in uno strapiombo di diversi metri; deve aver seguito senza rendersene conto la flebile luce che proveniva da quella direzione dove, senza più gli alberi a bloccarli, i raggi della Luna schiariscono appena la notte. Il bambino grida, fermandosi in tempo e sente la roccia sotto i suoi piedi franare e qualcosa cadere lungo il fianco scosceso. Ma non sono l’altezza o quel pericolo a fargli paura quanto piuttosto la consapevolezza di essere in trappola. Voltandosi, intravede nel buio le figure dei soldati che lo accerchiano.

«Xìfos...», mormora Nux, aggrappandosi meglio alle sue spalle e il più grande vorrebbe davvero avere una soluzione, ma non sa che cosa fare.

Pensa di buttarsi: per qualche istante, l’idea è fortissima - magari potrebbe scivolare giù, come fosse uno scivolo, solo molto ripido. Prenderebbe Nux in braccio e riuscirebbe a liberarsi dei soldati: loro mica sono così intelligenti da fare lo stesso?

«Fermati».

Xìfos guarda davanti a sé, da dove gli sembra sia provenuta la voce - non è della stessa persona di prima, gli è sembrata diversa, meno minacciosa.

«Aspetta, per favore», continua la stessa voce ed ora Xìfos può intravedere l’uomo che si sta facendo avanti, appena rischiarato dalla luce della Luna: gli sorride ma il suo volto è serio e il bambino non sa se fidarsi. Cosa impedirà a quegli uomini di far loro del male? Li hanno fatti accostare mentre erano in macchina, hanno dato fuoco alla vettura e volevano portarli via!

«Io sono Cor», dice il soldato, continuando ad avvicinarsi lentamente «E ti prometto che non vogliamo fare del male né a te né al tuo amico».

Xìfos non risponde subito, ma non sta più pensando neanche a sé provare a gettarsi con Nux dalla scarpata – in qualche modo, la voce di quel Cor lo frena, perché è calma e profonda.

«Avete bruciato la macchina!» lo accusa, fremendo, senza pensare che un tono tanto ostile potrebbe farli arrabbiare – Xìfos è sempre stato temerario, non gli sono mai piaciute le regole.

«Lo so, ma era necessario… Abbiamo fatto scendere tutti prima, però, hai visto? Nessuno si è fatto male».

La voce dell’uomo è accomodante, cerca di guadagnarsi la sua fiducia e il bambino non sa bene come reagire.

«Mi spiace se vi abbiamo spaventati», aggiunge l’adulto, sempre più vicino «Vogliamo solo portarvi al sicuro. Ti va di fidarti di me…?»

Xìfos sente le braccia dell’altro bambino stringerlo forte e porta le sue mani su quelle di Nux per tenerlo saldo e cercare di rassicurarlo.

«Ho paura qui fuori», gli sussurra quello – le labbra così vicine al suo orecchio che Xìfos sente un lungo brivido percorrergli la schiena «Forse dice la verità…»

«Prometti di non separarci?» chiede allora con risolutezza all’uomo.

Quello gli sembra esitare per qualche istante e allora Xìfos si guarda di nuovo intorno: vuole essere sicuro di avere una possibilità di fuga nel caso l’uomo lo inganni, nel caso sia come l’altro soldato. Per nessuna ragione al mondo è disposto a lasciare Nux da solo – è il suo fratellino, gli ha promesso che sarebbero stati sempre insieme e prima di lasciarlo ha promesso anche a Puros che si sarebbe occupato di lui, affidando all’altro Prom. Loro si sono sempre occupati dei più piccoli e avrebbero continuato a farlo anche adesso che sarebbero stati lontani, fino al giorno in cui non si fossero ritrovati.

«Prometto di non separarvi», risponde infine Cor – Xìfos sente delle voci agitarsi subito dopo queste parole: i soldati discutono, non sembrano d’accordo, poi di nuovo la voce di Cor li sovrasta, zittendo tutti e portando nuovamente l’ordine.

«Ora ti va di dirmi come ti chiami?»

Xìfos annuisce: Cor è ormai ad un soffio da lui, accovacciato a terra così da essere alla sua stessa altezza. E gli sorride.

 

Quella sera Cor li aveva portati per la prima volta alla Cittadella. Gladio ricordava di non aver mai visto qualcosa di tanto imponente come il palazzo reale, la cui vetta pareva quasi perdersi nel buio del cielo. Non aveva lasciato andare Nux neanche una volta, almeno fino a che non li avevano fatti scendere.

Ad accoglierli fuori il palazzo s’erano presentati pochi uomini, tutti agli ordini di Cor che dopo aver detto loro cosa fare, aveva chiamato qualcuno al cellulare; al tempo, Gladio non sapeva ancora che stava parlando con l’uomo che sarebbe stato suo padre. Cor aveva discusso animatamente per qualche minuto, poi aveva sospirato e s’era avvicinato a loro – Gladio aveva mosso mezzo passo davanti al più piccolo e l’uomo aveva sorriso, accarezzandogli la testa e dicendogli che non doveva preoccuparsi.

Da quel momento, Xìfos e Nux erano morti. Da quel momento loro erano diventati Gladiolus e Noctis. Nei giorni seguenti, nonostante la sua insistenza, Gladio non aveva potuto vedere Noctis; per la maggior parte del tempo era rimasto nella sua nuova casa, a pochi passi dalla Cittadella ma separata da essa, ed aveva passato interminabili ore con l’uomo che lo aveva adottato. Aveva solo sette anni al tempo ed aveva faticato a star dietro a tutti i ragionamenti con cui l’uomo gli aveva riempito la testa, ma una cosa Gladio l’aveva capita da subito: c’era un segreto da mantenere, un segreto importante, un segreto che poteva costargli caro. Il suo nuovo padre era serissimo a riguardo, gli aveva quasi fatto paura.

Clarus Amicitia era stato chiaro: da quel momento in avanti l’orfanotrofio non esisteva più, non ne avrebbero mai più parlato e men che meno davanti a Noctis, ora principe della dinastia dei Lucis Caelum. Ma Gladio aveva faticato a capire perché non potesse parlarne o perché quel segreto valesse soltanto per Nux: tutti sembravano sapere che lui era stato adottato dalla famiglia Amicitia e non aver alcun problema con la cosa, ma nessuno pareva essere altrettanto consapevole che anche Noctis condivideva la stessa storia – a sentire la servitù, Noctis era semplicemente tornato a casa, come se fosse sempre stato un principe e gli anni in orfanotrofio non contassero. Come se fosse semplicemente tornato da un lungo viaggio. Gladio se n’era reso conto quando, dopo essere stato istruito sul suo ruolo di futuro Scudo e su ciò che poteva o non poteva dire, aveva finalmente potuto passare del tempo con Nux – Noctis, aveva ricordato a se stesso, ora si chiamava Noctis.

Il bambino gli era sembrato uno sconosciuto quando gli era corso incontro, abbracciandolo. Gladio non avrebbe saputo dire in cosa fosse diverso, eppure sapeva di aver perso Nux, sapeva che il segreto che doveva mantenere lo avrebbe per sempre separato da lui. Lo aveva ascoltato parlare, cercando di capire che cosa gli avessero detto ed aveva capito che in realtà non sapeva nulla: per Noctis quella nuova vita come principe di Lucis era semplicemente la vita che avrebbe dovuto sempre avere, come nelle favole quando la piccola orfanella si scopre figlia di un Re decaduto e torna a corte dopo aver sconfitto la matrigna cattiva. Con la differenza che in realtà loro non avevano sconfitto proprio nessuno. E Noctis non era davvero un principe, per quanto pareva credere a quella storia assurda.

«Non è bello che siamo tornati a casa?» aveva chiesto Noctis, con gli occhi pieni della bellezza di quel posto, di quella vita.

Gladio s’era guardato intorno, annuendo appena e poi aveva desiderato tornare nella sua stanza, a riparo da tutto.

Lo Scudo si mosse sul posto, irrequieto e ancora in qualche modo infastidito da quei ricordi. Erano passati anni ed anni da che erano arrivati ad Insomnia, eppure l’idea di essere a conoscenza di un segreto tanto importante lo turbava ancora – non era il tipo di persona che teneva segreti, lui, non gli piacevano, erano rogne sentimentali che neanche capiva. Ma vi era stato trascinato dentro senza poter fare nulla ed aveva compreso solo col tempo la situazione in cui si trovava: con gli anni Noctis aveva dimenticato l’orfanotrofio, aveva dimenticato Puros e Prom, aveva quasi dimenticato anche il loro tatuaggio – ora diventato una semplice disavventura di quand’erano piccoli. La vita nella Cittadella lo aveva rapito e le favole che gli avevano raccontato quando aveva quattro anni erano bastate per impressionare la mente e l’immaginazione di un bambino tanto piccolo. Non s’era più fatto domande, aveva preso a vivere come se non avesse mai abbandonato quella vita, come il legittimo erede della famiglia reale. E Gladio lo aveva osservato crescere, lui legittimo erede degli Amicitia, come suo Scudo e suo unico vero amico, senza avere alcuna possibilità di distruggere quella fantasia tanto ben costruita. Non che lo volesse, a pensarci bene: a che pro svelargli che non era quella la realtà? Noctis era stato educato come principe ed era riconosciuto come tale da tutti – che il suo sangue non fosse lo stesso del Re cambiava davvero poco ai suoi occhi.

Gli incubi erano cominciati da qualche anno e, nei primi tempi, avevano allarmato tanto il Re quanto Clarus. Gladiolus aveva pensato che fossero un modo per la coscienza di riportare alla luce i vecchi ricordi e non aveva confidato a nessuno che, almeno un po’, aveva sperato ci riuscisse. Le prime volte aveva immaginato Noctis correre da lui e chiedergli dell’orfanotrofio, dei loro amici, di quando erano bambini in attesa di qualcuno che venisse a prenderli. Ma il principe non aveva ricordato mai del tutto e lui aveva ricevuto precise istruzioni riguardo a ciò che doveva dire – avevano inventato un incendio, avevano inventato delle vittime, avevano inventato intere vite pur di non dire a Noctis la verità, pur di non sconvolgere il precario equilibrio su cui poggiava il regno.

E Gladio lo aveva accettato e in parte anche capito: a lui poteva non importare delle origini di Noct, ma come sarebbe stata vista una simile situazione a livello pubblico? Che cosa avrebbe pensato il popolo della bugia che la famiglia regnante raccontava da quindici anni? Gladiolus non aveva mai capito come fosse cominciata quella storia, perché il Re avesse deciso di prendere proprio Noctis, ma sapeva che ora era troppo tardi per tornare indietro.

Eppure qualche volta faceva fatica, qualche volta trattenersi dal rivelare la verità era difficile, anche ora che era adulto, anche ora che poteva capire.

«A questo punto, ritengo di poter aggiornare la riunione alla prossima settimana. La situazione rischia di diventare seria e necessita di rapporti costanti da tutte le regioni».

La voce autoritaria del Re e il movimento con cui tutti i presenti si alzarono subito dopo di lui fece tornare Gladiolus alla realtà della situazione in cui si trovava. Non capitava mai che si distraesse quando era in servizio, neanche se si trattava di una situazione calma come poteva esserlo quella riunione interna. Ma doveva ammettere che gli incubi di Noctis infastidivano e deconcentravano anche lui – il principe lo prendeva in giro quando se ne accorgeva, dicendo che reagiva in quel modo perché in realtà lo amava più di quanto volesse ammettere; Gladio lo scacciava con una spinta, ma dentro qualcosa si spezzava ogni volta.

«Maestà, permette una parola?» si fece avanti lo Scudo, superando il principe che era al fianco del padre.

Regis comprese dal suo sguardo quale sarebbe stato l’argomento della loro conversazione e si congedò dal figlio e dai presenti con compostezza. Clarus, accanto a lui, si mosse per seguirlo.

«Non metterci troppo», borbottò Noctis all’indirizzo dell’amico e seguendo il Re, Gladio gli lanciò un occhiolino prima di lasciare la sala.

In breve il principe si trovò da solo e, sospirando, non poté che apprezzare quella nuova condizione. A voler essere sinceri, la riunione s’era rivelata importante e Noctis, nonostante potesse sembrare uno scansafatiche e magari inesperto, avvertiva ormai il peso del suo ruolo, del suo futuro; tuttavia c’era qualcosa di asfissiante nello stare per tanto tempo seduto ad ascoltare resoconti di situazioni serie e pericoli più o meno fondati e Noctis s’era sentito come legato alla propria sedia, senza avere la possibilità di fare nulla. Si chiedeva se sarebbe diventato un buon re, come suo padre, e mentre Regis ascoltava preoccupato e con espressione seria, lui aveva realizzato che preferiva di gran lunga essere un principe sotto la sua direzione, così da sapere sempre che cosa fare e soprattutto non dover prendere decisioni che avrebbero avuto ripercussioni su altri. Decidere era complesso e lui non si sentiva ancora pronto a farlo.

Dovendo aspettare Gladiolus e non volendosi allontanare senza, Noctis prese a girovagare nella grossa sala. Non capitava spesso di trovarsi fra quelle mura, dal momento che la stanza restava quasi sempre chiusa quando non c’erano riunioni o incontri ufficiali da ospitare nella Cittadella, così il ragazzo pensò di approfittarne per poterla osservare più da vicino.

Oltre al grande tavolo in legno e marmo, lo spazio era riempito da diverse teche piene di libri che, disposte su due ordini, scandivano con precisione l’altezza della stanza - si trattava per la maggior parte di annuari e libri di storia, Noctis ricordava di aver studiato qualche manuale quando, da piccolo, aveva dovuto imparare la Storia di Eos e la sua mitologia. Quando era piccolo, suo padre riusciva a trovare tempo per leggergli ogni sera un pezzo delle antiche leggende sugli dèi e i luoghi dacri in cui, ancora ora, li si pregava. Noctis ricordava che quelle storie erano capaci di farlo sognare, di fargli immaginare scenari in cui gli dèi stessi lo incaricavano di importanti missioni ed infinite avventure - era così spensierato allora…

Crescendo forse il buonsenso aveva smussato la sua sete d’avventura - o forse erano stato gli occhi tristi con cui qualche volta Regis lo aveva guardato, mentre ancora diceva di voler visitare il Regno ed avere qualcosa di più al di fuori delle mura di Insomnia. Noctis s’era adeguato a ciò che aveva percepito, ad una certa inquietudine di fondo che aveva scorto in quegli sguardi, ed aveva accettato di starsene tranquillo nella Cittadella, di non allontanarsi troppo da Gladio. Aveva cercato la sua autonomia altrove, frequentando la scuola pubblica, ma alla fine tutto aveva continuando a ruotare intorno a quel palazzo. E forse a Noctis andava bene così - alla fine, era destinato a diventare Re, destinato a vivere la sua vita lì per sempre.

Un grosso tomo dal dorso azzurro attirò l’attenzione del principe che, aprendo la teca in cui era chiuso, lo tirò fuori con accortezza. Lo riconosceva, era un tomo di astronomia, di quelli illustrati con le diverse carte delle stelle del cielo di Lucis. Lasciò che le dita scivolassero lungo la stampa scura e unissero i diversi punti, le diverse stelle, a formare nuove costellazioni - quando le aveva studiate ne aveva davvero inventate alcune tutte sue, escludendo stelle che non lo soddisfacevano e attirando insieme certe che non avevano relazioni fra loro, per il semplice gusto di creare.

«Credi si possa conoscere il nome di tutte le stelle? Ma proprio tutte tutte?»

Aveva fatto quella domanda così tante volte e nessuno era stato in grado di dargli una risposta. Sapeva che c’erano ancora stelle da scoprire, che si diceva che il cielo fosse infinito, che solo gli dei potessero conoscerlo tutto, eppure a furia di guardare sopra la sua testa Noctis aveva sempre pensato che da grande sarebbe stato la prima persona a dire che sì, lui le stelle le conosceva tutte - gli dei gli avevano concesso di vederle e di memorizzarle ed erano bellissime.

«Un giorno viaggeremo così tanto e ovunque che le conosceremo tutte le stelle. Tutte».

Con ancora le dita che sfioravano l’inchiostro, la fronte del principe di aggrottò, mentre il ragazzo cercava di capire a chi appartenenti quell’improvviso ricordo, chi gli avesse fatto una promessa tanto bella e puerile. Poteva essere stato Gladio? Era certamente il tipo da avventura, lui, ma Noctis non aveva mai saputo che avesse un particolare interesse per le stelle… Suo padre allora? Forse glielo aveva promesso in un momento di debolezza, in una delle volte in cui lui aveva insistito tanto…

La frase continuò a risuonargli nelle orecchie senza che Noctis fosse in grado di ricordare a chi appartenesse o quando gli fosse stata detta e più la riportava alla memoria più pareva sfuggirgli, come quando si ripete troppe volte una parola ed essa perde di significato, diventando un suono sempre più strano e sconnesso.

«Hai deciso di restare qui a studiare o vogliamo andarcene in giro?»

La voce grossa di Gladiolus fece quasi sobbalzare Noctis, che chiuse di scatto il grosso volume.

«Tutto bene con mio padre?» chiese, cercando di scacciare l’inquietudine in cui era caduto.

«Soliti discorsi sulla sicurezza - farà presente i miei appunti al Generale».

Noctis sorrise per la professionalità che Gladio mostrava in questi frangenti, poi si incamminò con l’amico. Pensò di prendere la Regalia e fare magari un giro alla periferia di Lucis, ma lo sguardo di disapprovazione che ricevette dal suo Scudo gli ricordò che l’ultima volta avevano rischiato di fare un frontale contro un palo della luce perché il principe s’era distratto dietro a chissà quale pensiero. Noctis sospirò - Gladio probabilmente gli avrebbe rinfacciato quella cosa per tutta la vita - e si rassegnò a camminare.

«Una passeggiata non potrà che farti bene!» lo incoraggiò lo Scudo e il principe si rassegnò.

Camminarono per un po’, godendosi l’aria fresca del pomeriggio che accenna verso la sera e le strade che si riempivano di gente indaffarata tra lavoro e compere.

«Abbiamo mai avuto qualche amico che fosse interessato alle stelle?» chiese a bruciapelo Noctis, mentre Gladio osservava con una certa fame la vetrina di una tavola calda.

La domanda del principe gli tolse il fiato e lo fece quasi tremare. Gladio sperò che non se ne fosse accorto, mentre si voltava verso di lui. Certo che avevano avuto un amico interessato alle stelle - era la ragione per cui a Noctis piacevano così tanto.

«Da dove salta fuori questa domanda?». Cercò di apparire seccato e sbrigativo, come se la cosa non gli interessasse davvero.

«È solo qualcosa che mi è venuto in mente… una sensazione».

Dannazione, Gladio odiava quelle situazioni e quella giornata sembrava davvero non volerlo lasciare in pace.

«Ricordo che tu ne eri ossessionato, hai fatto impazzire governanti e tutori con la tua insana voglia di vederle tutte - il Re non sapeva più che cosa fare: aveva paura che una sera o l’altra saresti potuto andare di nascosto su uno dei pinnacoli della Cittadella per poterle vedere meglio!»

Noctis rise - ora ricordava: aveva dovuto davvero promettere a suo padre di non salire su tetti o superfici sporgenti. Doveva averlo davvero spaventato per la serietà con cui aveva parlato, sebbene non avesse neanche una decina di anni al tempo.

Accanto a lui, Gladio sospirò appena e senza che il principe se ne accorgesse gli rivolse uno sguardo pieno di rimpianto. A Puros piacevano tanto le stelle… Col tempo, Gladiolus aveva realizzato che quanto più Noctis aveva dimenticato i primi anni della loro vita e da dove provenivano davvero, tanto più lui invece aveva conservato quei ricordi, riportandoli alla mente ogni qual volta avesse paura di poterli perdere, tormentandosi con le poche immagini che durante gli anni erano sopravvissute, con le pochissime sensazioni che ancora riusciva a ricordare, quasi volesse incidere la propria pelle con essi e lasciarsi addosso dei segni.

«Ho fame», disse, con un tono forse fin troppo brusco «Che ne dici se ordino due menù grandi e mangiamo qua fuori?» chiese indicando un negozio sulla destra.

Noctis approvò con un’alzata di spalle e lo osservò entrare nella tavola calda.

«Non metterci troppo!» si trovò a dirgli, per la seconda volta nello stesso pomeriggio.

Ancora una volta prese a gironzolare per la strada cercando di ingannare l’attesa. Doveva ammettere che la scelta di passeggiare non s’era rivelata tanto sbagliata - per una volta avere un po’ di tranquillità, immerso nella città e nella sua vita, a Noctis non dispiaceva. Ripensava a quello che aveva ascoltato nella riunione, agli avvistamenti di demoni che erano stati segnalati dai Kingsglaive al confine con Tenebrae, al volto seriamente preoccupato del padre e all’improvviso l’aria fresca, la calma della città ignara lo rassicuravano, gli permettevano di illudersi che il pericolo non fosse grave, che non fosse imminente, che non c’era da preoccuparsi, che sarebbero andati avanti con quella routine per sempre. Poteva essere l’avventura che aveva sognato da piccolo, ma Noctis aveva smesso di cercarla da tempo, da quando era stato sul punto di morire. Ora amava la stabilità, la tranquillità, persino la noia.

«Mi chiedevo: al principe è davvero concesso di muoversi con tanta libertà?»

Noctis sussultò - la voce che gli aveva parlato era così vicina che ebbe paura d’istinto e si scansò di lato, cercando di mettere quanto più spazio possibile fra sé e la sua fonte. S’era distratto: aveva camminato per un po’ lungo la strada della tavola calda ed era entrato in un vicoletto poco lontano attirato da qualcosa che ora faceva fatica a ricordare. Con le spalle quasi contro il muro, ora il principe poteva vedere chiaramente l’uomo che lo aveva avvicinato, sebbene un cappello ed una bandana all’altezza della bocca ne camuffassero le sembianze.

l’uomo se ne stava con una mano sotto il mento coperto e gli occhi di chi è terribilmente divertito dalla situazione che ha davanti e Noctis si trovò a pensare che era stato stupido da parte sua non seguire Gladio all’interno del locale. Sapeva difendersi, certo, eppure qualcosa nella persona che aveva davanti lo metteva in allarme - ne percepiva la forza anche se non aveva ancora fatto nulla di ostile.

«Posso… posso andare dove voglio», disse, cercando di mantenere la calma - avrebbe potuto evocare una delle sue armi se ce ne fosse stato bisogno: non era ancora molto bravo con la magia che gli aveva trasmesso il Re, ma l’evocazione era semplice e ormai c’aveva preso la mano.

«Non ne dubito, non ne dubito!» lo assecondò lo sconosciuto, allargando le braccia: nel movimento lo strano giaccone che aveva addosso, e che gli arrivava quasi fino ai piedi, svelò un’eccentrica bardatura lungo il braccio sinistro, che andando ben oltre la mano somigliava ad una grossa ala di stoffa nera.

Noctis si mosse con impazienza sul posto: diverse cose riguardo a quell’uomo lo mettevano a disagio, a cominciare dalla voce melodiosa e dolciastra, di quelle che sembravano non poter mai dire le verità. Fece per muoversi, cercando di guadagnare l’uscita senza però sembrare impaziente, ma lo sconosciuto fu più veloce e gli si parò davanti bloccando la vista sulla strada principale.

«Speravo», riprese a parlare con lo stesso tono fastidiosamente melodioso «Che avrei potuto avere un’udienza con Sua Altezza».

«Non sono stato abituato a ricevere le persone in vicoletti poco illuminati», ribatté Noctis, sempre più nervoso - tra le mani aveva già la sensazione della magia evocativa che gli pizzicava la pelle.

«Vorrà dire che farà un’eccezione per me», insistette l’uomo, facendo qualche passo in avanti.

Noctis non era abituato ad indietreggiare - era un principe, era stato educato ad affrontare a testa alta i problemi che incontrava sulla sua strada, quindi scioccamente non si fece rubare metri dall’intraprendenza dell’uomo. Si rese conto di aver sbagliato quando, in un battito di ciglia, lo sconosciuto fu a pochi centimetri da lui, il suo fiato contro il viso del principe e gli occhi ambra ipnotici e spalancati a scrutare, una mano sul suo viso, fredda e pericolosa.

«Non è possibile...», sussurrò l’uomo e si fece indietro prima ancora che Noctis provasse a reagire - il principe era completamente congelato sul posto, fermo nella sua pelle come una statua di marmo.

«Tu!», gridò ancora lo sconosciuto «Regis- come- perché- Non può averlo fatto! Lui… Chi sei tu?».

Noctis non riusciva a capire che cosa avesse fatto scattare l’uomo, che cosa lo stesse facendo arrabbiare tanto, ma sentiva ancora di più adesso la pericolosità che aveva solo avvertito quando aveva cominciato a parlargli. Finalmente, la spada si materializzò nella sua mano e il ragazzo la tirò a sé, frapponendola tra il proprio corpo e l’uomo.

Ma lo sconosciuto non lo stava guardando: con gli occhi persi nel vuoto mormorava qualcosa tra sé e pareva aver dimenticato Noctis e l’atteggiamento minaccioso con cui s’era posto fino a quel momento. Quando infine alzò di nuovo lo sguardo sul ragazzo, Noctis comprese per la prima volta che cosa volesse dire provare rabbia - l’ambra di quegli occhi pareva essersi sciolto in oro fuso e lampeggiava colmo di furia. Neanche tutto l’addestramento di Gladiolus avrebbe potuto preparare Noctis ad una aggressività simile.

Lo sconosciuto gli fu addosso, di nuovo troppo veloce, di nuovo imprevedibile - non aveva armi con cui attaccare ma riuscì a sovrastare ugualmente il principe e la sua spada con la sola forza delle sue braccia. Lo disarmò e lo bloccò a terra, serrandogli una mano intorno al collo e spezzandogli il fiato.

«Tu non dovresti essere qui! Tu non dovresti neanche essere nato!», gridò, fuori di sé per la rabbia e Noctis non riuscì a pensare ad altro se non al fatto che sarebbe morto, che dopo tutta l’accortezza del padre, dopo tutti gli sforzi di Gladio, sarebbe semplicemente morto soffocato per mano di uno sconosciuto. Cercò di muoversi, cercò con entrambe le mani di allentare la morsa, di prendere fiato, ma gli occhi dell’uomo lo inchiodavano al suolo quasi quanto la sua forza e Noctis avrebbe voluto gridare, avrebbe voluto piangere e non faceva nulla.

Noctis credeva di aver dimenticato come si respirasse quando, alla fine, l’aria tornò nei suoi polmoni. La testa faceva male e girava così tanto che per qualche momento il principe non riuscì a capire cosa stesse succedendo e rimase steso per terra, senza muoversi, senza neanche riuscire a mettere a fuoco ciò che rientrava nel suo campo visivo. Dei rumori, lontani, arrivavano alle sue orecchie e avrebbe davvero voluto sapere che cosa gli stesse succedendo intorno, se fosse ancora in pericolo, ma non riusciva a fare altro se non tossire e toccarsi il petto. Era tutto così simile all’ultima volta che aveva rischiato di morire, che Noctis non aveva neanche paura.

«Noct? Noct!».

La voce di Gladio gli ferì le orecchie e il campo visivo di Noctis divenne improvvisamente più scuro - ci volle qualche istante perché il ragazzo realizzasse che Gladiolus era sopra di lui e stava cercando di tirarlo su, sollevandogli le spalle con un braccio.

«Sei ferito?», gli chiese e Noctis finalmente riuscì a metterlo a fuoco, sebbene avesse la nausea ora per quanto ancora gli girava la testa.

«Dove… dove...», balbettò, senza riuscire a mettere insieme l’intera frase.

«È scappato». C’era risentimento nelle sue parole, Noct poteva sentirlo anche in quello stato.

Gli si aggrappò contro, cercando di mettersi a sedere senza dare di stomaco - aveva ancora il fiato corto e oscillando si trovò ad appoggiarsi al petto largo del suo Scudo. Gladio sentiva l’adrenalina ancora corrergli attraverso tutto il corpo per lo scontro che aveva appena sostenuto - non era riuscito a fare altro se non allontanare l’uomo da Noctis e parare i diversi colpi che questi aveva poi lanciato contro di lui. Poi, improvvisamente, quel tizio era sparito. Lo Scudo ancora non riusciva a spiegarsi cosa fosse successo, o come.

«Voglio tornare alla Cittadella», disse Noct, provando a sembrare risoluto.

Gladio non disse niente, lasciò che il principe provasse ad alzarsi, pronto a prenderlo nel caso non ci fosse riuscito. Noctis non lasciò andare la presa sulla maglietta dell’amico mentre si metteva in piedi e ancora alquanto disorientato cercò di muovere qualche passo - ne aveva abbastanza di quel vicoletto umido, voleva tornare a vedere la luce della grossa strada che aveva lasciato.

Con Gladiolus praticamente attaccato alle spalle, il principe prese a muoversi, acquistando lentamente stabilità. Aveva dimenticato che fosse ancora giorno e la luce bassa del Sole parve portare di nuovo calore nel suo corpo - Noct sentiva freddo, molto freddo.

«Tu non dovresti essere qui! Tu non dovresti neanche essere nato!»

Perché? Perché gli aveva detto una cosa del genere? E perché gli aveva chiesto chi fosse, se fino a poco prima s’era rivolto a lui riconoscendolo come principe?

«Calmati, Noct, va tutto bene».

Il ragazzo alzò la testa verso l’amico e lo fissò: solo così si rese conto di star tremando e di aver preso a respirare velocemente. Perché erano usciti a piedi? Perché s’erano allontanati così tanto dalla Cittadella? Tutto quello che voleva al momento era trovarsi fra le quattro mura della propria stanza, nel suo letto. Neanche gli incubi lo spaventavano più: avrebbe preferito farli per un mese di fila piuttosto che sentirsi in quel modo.

Un braccio di Gladio gli circondò le spalle, portandolo a contatto col corpo dello Scudo.

«Quando non riesci a concentrarti, lo faccio io per te», gli ricordò «È mio dovere».

Noctis si abbandonò alla sua guida.

 

 

 

 

 

 

 

_______________________

E infine fanno la loro comparsa anche Noctis e Gladio. Le differenze rispetto al canon qui sono di meno, ma probabilmente questo rende le cose ancora più problematiche! Una grande sorpresa nello scrivere questa storia è stata che adoro nuovere Gladiolus non credevo ci sarei andata tanto d’accordo ma lo sto apprezzando sempre di più! Spero che sia lui che Noct siano IC ^^

La situazione socio-politica di Lucis è diversa dal canon, come spero si sia cominciato a capire in questo capitolo. Darò approfondimenti man mano che la storia si svilupperà (dal prossimo capitolo si alterneranno il setting di Lestallum e quello di Insomnia) sperando che la narrazione fili e che sia tutto comprensibile. Stessa cosa con Noctis che ha qualche differenza, soprattutto rispetto alla magia, rispetto alla storia originale.

Un ringraziamento a chiunque presterà attenzione alla storia e a questo capitolo! Al prossimo aggiornamento.

 

Alch.

 

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy XV / Vai alla pagina dell'autore: Alchimista