Stanza Quindici.
Parte Prima: una
coincidenza.
CAPITOLO II: Il Principe e lo Scudo.
L’odore del fumo è pregnante, sembra quasi
che abbia un peso tutto suo e si appiccichi addosso, come una coperta di lana
troppo pesante. È così che se ne accorge, è così che si sveglia: la stanza è al
buio, ma può sentire la soffocante presenza del fumo già dentro i polmoni
togliergli il fiato.
«Muoviti, Nux, svelto, dobbiamo uscire da
qui!», sente dire. Conosce quella voce o almeno crede di conoscerla, ma non si
muove.
«Nux, avanti!»
Non reagisce a quel nome semplicemente perché
non è così che si chiama. Non è quello il suo nome. Giusto?
Ma resta il fumo, resta la sensazione di non
riuscire a respirare e il bisogno urgente di scappare, quindi qualunque sia il
suo nome si alza e segue la voce del bambino davanti a lui che lo guida lungo
un corridoio e poi giù per delle scale. Sente caldo, c’è caldo intorno a lui e
vede le fiamme per la prima volta quando ormai l’uscita è vicina. ma ha paura e
si ferma.
Inchiodato al suolo, inchiodato alla vista
dello spettacolo delle fiamme che quasi lo avvolgono, salendo lungo le pareti
fino al soffitto, non riesce a fare un solo passo e sente all’improvviso ancora
quella voce, la voce che lo ha chiamato, farsi più forte, gridare in modo
disperato.
Vorrebbe andare avanti, vorrebbe davvero
uscire, perché ora respirare fa quasi male, punge e brucia come quando si grida
troppo forte, ma le fiamme sembrano giocare sul soffitto e lui resta a
guardarle quasi ammaliato mentre si propagano simili ad onde, accavallandosi
come l’acqua sulla spiaggia, terribilmente belle e mortali.
Poi qualcosa lo afferra all’altezza della
pancia e si sente trascinare fuori di peso. Prova a guardare, per capire di chi
si tratti e dove lo stia portando, ma tutto quello che ottiene è un violento
giramento di testa, uno strano senso di nausea e ancora quel fumo che massiccio
gli si posa addosso, sul cuore e sulla coscienza.
Noctis
si svegliò di soprassalto, sudato e col cuore in gola, trattenendo a stento un
grido. Ci mise qualche istante a realizzare che non c’era odore di fumo, che
niente stava andando a fuoco e che era nel suo letto, nella sua stanza e al
sicuro. Si mise a sedere con una certa difficoltà, tirando a sé le coperte
quasi potessero offrirgli protezione dagli incubi e cercò di calmare il battito
accelerato del cuore.
Va tutto bene,
si disse, è tutto a posto, è stato solo
un incubo, non è mai successo.
Era
qualcosa di ricorrente, un sogno a cui non riusciva a dare una spiegazione
precisa ma che tornava molto spesso a tormentarlo; ciò che innervosiva di più
Noctis era non sapere perché quello scenario lo sconvolgesse tanto: certo, una
casa in fiamme non era la più piacevole delle situazioni in cui trovarsi,
eppure l'ansia, la paura e il dolore che poteva ancora sentire addosso gli
parevano reazioni esagerate e lo rendevano di pessimo umore.
Il
ragazzo si lasciò scappare un verso sconfortato e si rimise a letto, sentendosi
più stanco di quando era andato a dormire e raggruppandosi su se stesso,
tremando appena: la sgradevole sensazione di sconforto che gli restava addosso
era qualcosa a cui non era ancora abituato. Non ebbe neanche il tempo di
chiudere nuovamente gli occhi che il fastidioso suono di un carillon, che usava
come sveglia, lo riscosse. Stavolta il mormorio che uscì dalle sue labbra fu di
puro dolore e Noctis nascose la testa sotto il cuscino per ripararsi da quella
violenza, sebbene sapesse che, presto o tardi, qualcuno sarebbe entrato in
stanza a controllare se si fosse alzato. L’ultima volta lo avevano lasciato
fare a Gladio e non era stato affatto divertente essere trascinato per un piede
fuori dal letto – ancora rabbrividiva al pensiero.
Gladiolus,
dopotutto, non era di certo tipo da farsi fermare dal suo titolo di principe
quando si trattava di alzarsi in orario o allenarsi, e davvero Noctis avrebbe
voluto che si desse una calmata di tanto in tanto.
I
colpi che sentì alla porta segnarono la fine di ogni speranza di riposo.
Avrebbe riconosciuto ovunque il tocco gentile del suo Scudo.
«Ben
svegliato, principessa», lo salutò
Gladio, quando finalmente Noctis uscì dalla sua stanza, ancora assonnato e
vestito per puro miracolo «Pronto per l’allenamento?»
Il
principe di Lucis mormorò qualcosa di incomprensibile, prima di prendere a
seguire il ragazzo lungo il corridoio e poi in ascensore; sbadigliò
sbadatamente e si fermò in cucina per prendere qualche toast prima di dirigersi
in palestra: c’era stato un tempo in cui la colazione era un pasto sacro e
andava fatto a tavola, con suo padre e tutto il cerimoniale, ma erano anni
ormai che nella Cittadella s’era perso quel lusso, soprattutto perché Regis si
alzava sempre più presto ed aveva sempre meno tempo da dedicare a suo figlio.
Quella
mattina la palestra al piano terra era completamente vuota – spesso capitava di
trovarvi alcuni uomini dei Crownsguard che approfittano del tempo libero per
tenersi in allenamento, ma stavolta sarebbero stati solo loro due e Noctis ne
fu confortato: allenarsi da soli lo rilassava, perché poteva essere se stesso,
perché non era distratto dalla presenza e dagli sguardi altrui.
Gladio
scelse due spade da una delle teche della grande stanza e le soppesò - erano
spuntate, ma la grandezza, il peso, il modo in cui andavano maneggiate erano
quelli di qualunque arma avrebbero portato con sé o evocato attraverso la magia
del Re, quindi potevano andare bene per l’allenamento. Ne lanciò una a Noctis
senza farsi troppi problemi e il principe l’afferrò al volo senza essere colto
di sorpresa.
«Vediamo
quanto sei migliorato», lo sfidò Gladiolus e Noctis, cercando di coglierlo di
sorpresa, gli si lanciò contro mentre quello stava ancora parlando.
Lo
Scudo, ad ogni modo, era un guerriero davvero difficile da cogliere alla
sprovvista e parò il colpo del principe come se lo avesse visto arrivare,
affidandosi alla propria forza e ai propri riflessi, respingendo l’attacco e
facendo allontanare Noctis di diversi metri solo col proprio contraccolpo. Ora,
con la spada appoggiata sulle spalle ed un sorriso strafottente, Gladio lo
guardava dall’alto e sorrideva.
«Non
male, principessa», disse con
divertimento. Poi fu il suo turno di attaccare e scaricò addosso a Noctis una
serie di colpi con tutta la forza che aveva e ai quali il principe resistette
con una certa difficoltà. Ormai erano anni che si allenavano insieme,
praticamente da quando Noct era riuscito a tenere in mano la sua prima spada,
all’età di dodici anni, e Gladio doveva ammettere che dopo un inizio alquanto
burrascoso, l’erede dei Lucis Caelum era migliorato molto.
«Sei
distratto», gli fece notare, mentre Noctis parava a stento uno dei ultimi
colpi, indietreggiando a corto di fiato.
«Ho
sonno», rispose quello in maniera laconica, cercando di restituire il colpo, ma
finendo sbalzato dall’altro lato della stanza.
«Ti
sei letteralmente svegliato meno di mezz’ora
fa!» si lamentò Gladio in modo drammatico, ma vide qualcosa cambiare sul volto
di Noctis: il principe divenne serio e lo Scudo capì che doveva essere successo
di nuovo, che Noct aveva avuto di nuovo lo stesso incubo. Senza perdere la sua
compostezza, si preparò a rispondere nuovamente alle domande che, lo sapeva,
sarebbero arrivate.
«Questa
volta quel bambino era praticamente accanto a me: continuava a chiamarmi Nux e
a dirmi di muovermi, di scappare. Avevo l’impressione che il fumo mi avrebbe
soffocato e non riuscivo a fare niente...».
Noctis
smise di attaccare, perso di nuovo nei pochi frammenti che ricordava di
quell’incubo. Il fumo, il caldo, la voce del bambino, il dolore. Era tutto
confuso e mischiato: gli dava la nausea, destabilizzandolo più di quanto
avrebbe voluto concedergli.
«È
solo-».
«Un
brutto sogno, lo so», lo precedette il principe, seccato: non era la prima
volta che Gladio gli diceva quelle parole. «Sono stufo di sentimelo ripetere! Vorrei
solo capire perché continua a tormentarmi e come farlo smettere».
Lo
Scudo sospirò: si rese conto che stavolta ci avrebbe messo un po’ di più a
convincere Noctis, quindi calò la propria spada e gli si avvicinò con cautela -
aveva imparato ad essere ineccepibile nel muoversi intorno a quell’argomento,
sia con le parole sia con il linguaggio del corpo e le espressioni del viso.
«Eravamo
piccoli, Noct», disse con calma, con un tono che faceva venire i brividi al
principe perché era dannatamente serio per essere quello di Gladio «Eravamo
piccoli, stavamo tornando da un viaggio di qualche giorno e quell’incendio… ti
ha semplicemente sconvolto. Era un palazzo, c’erano… c’erano persone di tutte
le età e anche alcuni bambini. Ricordo le grida, ricordo che le due macchine
della scorta e la nostra si fermarono per aiutare e nella confusione scendesti
anche tu. Ti persi di vista solo per un attimo e quello dopo non eri più con
me. Ti cercammo ovunque e quando ti trovammo eri con quel bambino, quello del
tuo sogno. Nux era il suo fratellino...».
Noctis
annuiva alle parole di Gladiolus e poteva vedere i pochissimi ricordi che aveva
di quell’episodio scorrere davanti ai suoi occhi, quasi uguali al suo incubo. Sapeva
che cosa era successo, sapeva che era solo il trauma per aver visto qualcosa di
orribile, eppure proprio non riusciva a farsi scivolare addosso tutte le
emozioni che sentiva.
Gladiolus
lo fissava cercando di capire a cosa stesse pensando, se le sue parole fossero
riuscite in qualche modo a calmarlo.
«Credo
di sentirmi in colpa», aggiunse il principe «Per non aver fatto niente».
Era
la prima volta che il ragazzo ammetteva una cosa del genere e Gladio avvertì
chiaramente una morsa stringergli lo stomaco - Noctis poteva sembrare una
persona sempre sulle sue e distaccata da tutto, ma lui lo conosceva abbastanza
bene da sapere che era semplicemente il suo modo di fare, che andando oltre la
prima impressione, era possibile vedere quanto prendesse a cuore qualunque
situazione difficile gli si presentasse davanti, anche se si trattava di
qualcosa che non dipendeva da lui.
«Avevi
sei anni!» esclamò, dandogli una pacca sulla spalla «Non ho potuto fare niente
neanche io! Eravamo bambini!»
Noctis
lo guardò, senza essere certo che quella fosse una giustificazione sufficiente
- la voce del bambino che chiamava il fratello era qualcosa di straziante nei
suoi sogni, disperata. Sospirò, cercando di scrollarsi di dosso quella
sensazione di orrore e dolore che ancora sentiva e riprese in mano la spada.
«Di’
la verità», lo incalzò Gladio, riprendendo la spada e mettendosi in posizione
d’attacco «Avevi solo bisogno di riprendere fiato!»
Il
principe gli rivolse un sorrisetto di sfida prima di prepararsi a parere un
nuovo colpo.
Probabilmente,
la parte più noiosa del lavoro di Gladiolus era presenziare alle riunioni
politiche che si tenevano alla Cittadella. Da quando Noctis aveva compiuto
diciotto anni, il Re aveva deciso che era arrivato per lui il momento di
partecipare alle discussioni riguardanti il regno e Gladio, che era il suo
Scudo ed aveva giurato di proteggerlo ad ogni costo, non poteva non essere
presente.
Ora
se ne stava, schiena dritta e gambe strette, appoggiato ad una delle pareti
della stanza, direttamente alle spalle di Noctis ed osservava come le diverse
personalità presenti prendessero a turno la parola per riferire della
situazione nelle varie regioni del regno. Anche solo a giudicare dai volti seri
che avevano, Gladio poteva dire che la situazione era in qualche modo tesa,
sebbene i problemi esposti non fossero all’apparenza tanto gravi.
A
parte i delegati di Leide, Duscae e Cleigne, erano presenti anche Cor Leonis e
due dei suoi Crownguard, un manipolo di Kingsglaive e ovviamente Clarus
Argentum, Scudo del Re e padre adottivo di Gladio. Il giovane indugiò sulla
figura composta del padre per qualche istante e sospirò, ricordando la
conversazione che aveva avuto quella mattina con Noctis: a riunione finita,
avrebbe dovuto informare suo padre ed il re del nuovo incubo del principe e la
cosa, come sempre, non gli piaceva.
A
Gladio non era mai piaciuto il ruolo che aveva assunto da quando era stato
adottato. O meglio, non gli era mai piaciuta la posizione in cui era stato
messo da quando lui e Noctis erano arrivati ad Insomnia. Perché lui ricordava
precisamente il momento in aveva visto la Cittadella per la prima volta, il
momento in cui la sua vita era cambiata per sempre.
Intorno c’è solo buio e Xìfos è davvero
stanco degli incendi. Questo è il secondo che vede a distanza di pochi giorni e
sebbene non sia come il primo, sebbene stavolta ad aver preso fuoco sia solo
una macchina, lui è davvero seccato. Ha sette anni, non sa neanche che cosa
voglia dire essere seccato, ma prova quella sensazione sulla pelle, nella morsa
con cui stringe fin troppo la mano di Nux, nella rabbia che gli fa serrare
forte la mascella.
«Va tutto bene, piccoli, ora venite con noi».
L’uomo che gli parla a Xìfos non piace: il
suo sorriso è finto e ha visto chiaramente che è stato lui, insieme ad alcuni
di quelli che dalle divise ha riconosciuto come soldati di Lucis, ha dar fuoco
alla macchina su cui lui e Nux stavano viaggiando. Xìfos ha paura e
indietreggia, trascinando con sé il più piccolo.
«Non andiamo da nessuna parte», dice con
tutta la sfacciataggine che possiede e vede il sorriso sparire dal volto
dell’uomo.
Sa che le cose non vanno bene, può sentire
chiaramente che sono entrambi in pericolo, ma le gambe restano per qualche
istante inchiodate al suolo senza dargli possibilità di scappare, mentre l’uomo
si avvicina e nel buio i riverberi del fuoco lo rendono ancora più minaccioso.
«Nux», sussurra, cercando di attirare
l’attenzione del più piccolo. Il bambino gli stringe la mano con più forza in
risposta, ma non stacca gli occhi da davanti a sé.
«Salta sulle mie spalle», gli ordina allora
Xìfos e Nux lo fa all’istante, così che il più grande possa finalmente mettersi
a correre e scappare.
Xìfos è abituato al peso di Nux: lo porta
sulle spalle da che ha memoria ed è facile perché il più piccolo è davvero
mingherlino; eppure in quel momento tutto gli sembra pesare troppo, persino
Nux, persino il suo stesso corpo. Non è veloce abbastanza, non riesce a correre
come vorrebbe e non sa che è la paura a dargli quelle sensazioni, mentre le
voci dei soldati alle sue spalle si fanno sempre più alte, sempre più vicine.
«Perché ci inseguono?», grida Nux e Xìfos lo
sente dalla voce che il piccolo vorrebbe piangere. Ad essere sincero, anche lui
vorrebbe piangere perché non sa dare una risposta a quella domanda, perché aver
perso Puros e Prom è già tanto da sopportare e davvero non c’è bisogno anche di
questo. Ma non piange, cerca di correre più veloce e non piange: ora deve
occuparsi di Nux, deve portarlo al sicuro, lontano dagli uomini che hanno
fermato la macchina dell'orfanotrofio, dandole fuoco, e che ora li inseguono
come fosse una caccia.
Xìfos è così concentrato a capire quanto
vantaggio abbia rispetto agli inseguitori, che si rende conto appena in tempo
che la piccola radura in cui ha preso a correre finisce in uno strapiombo di
diversi metri; deve aver seguito senza rendersene conto la flebile luce che
proveniva da quella direzione dove, senza più gli alberi a bloccarli, i raggi
della Luna schiariscono appena la notte. Il bambino grida, fermandosi in tempo
e sente la roccia sotto i suoi piedi franare e qualcosa cadere lungo il fianco
scosceso. Ma non sono l’altezza o quel pericolo a fargli paura quanto piuttosto
la consapevolezza di essere in trappola. Voltandosi, intravede nel buio le
figure dei soldati che lo accerchiano.
«Xìfos...», mormora Nux, aggrappandosi meglio
alle sue spalle e il più grande vorrebbe davvero avere una soluzione, ma non sa
che cosa fare.
Pensa di buttarsi: per qualche istante,
l’idea è fortissima - magari potrebbe scivolare giù, come fosse uno scivolo,
solo molto ripido. Prenderebbe Nux in braccio e riuscirebbe a liberarsi dei
soldati: loro mica sono così intelligenti da fare lo stesso?
«Fermati».
Xìfos guarda davanti a sé, da dove gli sembra
sia provenuta la voce - non è della stessa persona di prima, gli è sembrata
diversa, meno minacciosa.
«Aspetta, per favore», continua la stessa
voce ed ora Xìfos può intravedere l’uomo che si sta facendo avanti, appena
rischiarato dalla luce della Luna: gli sorride ma il suo volto è serio e il
bambino non sa se fidarsi. Cosa impedirà a quegli uomini di far loro del male?
Li hanno fatti accostare mentre erano in macchina, hanno dato fuoco alla
vettura e volevano portarli via!
«Io sono Cor», dice il soldato, continuando
ad avvicinarsi lentamente «E ti prometto che non vogliamo fare del male né a te
né al tuo amico».
Xìfos non risponde subito, ma non sta più
pensando neanche a sé provare a gettarsi con Nux dalla scarpata – in qualche
modo, la voce di quel Cor lo frena, perché è calma e profonda.
«Avete bruciato la macchina!» lo accusa,
fremendo, senza pensare che un tono tanto ostile potrebbe farli arrabbiare –
Xìfos è sempre stato temerario, non gli sono mai piaciute le regole.
«Lo so, ma era necessario… Abbiamo fatto
scendere tutti prima, però, hai visto? Nessuno si è fatto male».
La voce dell’uomo è accomodante, cerca di
guadagnarsi la sua fiducia e il bambino non sa bene come reagire.
«Mi spiace se vi abbiamo spaventati»,
aggiunge l’adulto, sempre più vicino «Vogliamo solo portarvi al sicuro. Ti va
di fidarti di me…?»
Xìfos sente le braccia dell’altro bambino
stringerlo forte e porta le sue mani su quelle di Nux per tenerlo saldo e
cercare di rassicurarlo.
«Ho paura qui fuori», gli sussurra quello –
le labbra così vicine al suo orecchio che Xìfos sente un lungo brivido percorrergli
la schiena «Forse dice la verità…»
«Prometti di non separarci?» chiede allora
con risolutezza all’uomo.
Quello gli sembra esitare per qualche istante
e allora Xìfos si guarda di nuovo intorno: vuole essere sicuro di avere una
possibilità di fuga nel caso l’uomo lo inganni, nel caso sia come l’altro
soldato. Per nessuna ragione al mondo è disposto a lasciare Nux da solo – è il
suo fratellino, gli ha promesso che sarebbero stati sempre insieme e prima di
lasciarlo ha promesso anche a Puros che si sarebbe occupato di lui, affidando
all’altro Prom. Loro si sono sempre occupati dei più piccoli e avrebbero
continuato a farlo anche adesso che sarebbero stati lontani, fino al giorno in
cui non si fossero ritrovati.
«Prometto di non separarvi», risponde infine
Cor – Xìfos sente delle voci agitarsi subito dopo queste parole: i soldati
discutono, non sembrano d’accordo, poi di nuovo la voce di Cor li sovrasta,
zittendo tutti e portando nuovamente l’ordine.
«Ora ti va di dirmi come ti chiami?»
Xìfos annuisce: Cor è ormai ad un soffio da
lui, accovacciato a terra così da essere alla sua stessa altezza. E gli
sorride.
Quella
sera Cor li aveva portati per la prima volta alla Cittadella. Gladio ricordava
di non aver mai visto qualcosa di tanto imponente come il palazzo reale, la cui
vetta pareva quasi perdersi nel buio del cielo. Non aveva lasciato andare Nux
neanche una volta, almeno fino a che non li avevano fatti scendere.
Ad
accoglierli fuori il palazzo s’erano presentati pochi uomini, tutti agli ordini
di Cor che dopo aver detto loro cosa fare, aveva chiamato qualcuno al
cellulare; al tempo, Gladio non sapeva ancora che stava parlando con l’uomo che
sarebbe stato suo padre. Cor aveva discusso animatamente per qualche minuto,
poi aveva sospirato e s’era avvicinato a loro – Gladio aveva mosso mezzo passo
davanti al più piccolo e l’uomo aveva sorriso, accarezzandogli la testa e
dicendogli che non doveva preoccuparsi.
Da
quel momento, Xìfos e Nux erano morti. Da quel momento loro erano diventati
Gladiolus e Noctis. Nei giorni seguenti, nonostante la sua insistenza, Gladio
non aveva potuto vedere Noctis; per la maggior parte del tempo era rimasto
nella sua nuova casa, a pochi passi dalla Cittadella ma separata da essa, ed
aveva passato interminabili ore con l’uomo che lo aveva adottato. Aveva solo
sette anni al tempo ed aveva faticato a star dietro a tutti i ragionamenti con
cui l’uomo gli aveva riempito la testa, ma una cosa Gladio l’aveva capita da
subito: c’era un segreto da mantenere, un segreto importante, un segreto che
poteva costargli caro. Il suo nuovo padre era serissimo a riguardo, gli aveva
quasi fatto paura.
Clarus
Amicitia era stato chiaro: da quel momento in avanti l’orfanotrofio non
esisteva più, non ne avrebbero mai più parlato e men che meno davanti a Noctis,
ora principe della dinastia dei Lucis Caelum. Ma Gladio aveva faticato a capire
perché non potesse parlarne o perché quel segreto valesse soltanto per Nux:
tutti sembravano sapere che lui era stato adottato dalla famiglia Amicitia e
non aver alcun problema con la cosa, ma nessuno pareva essere altrettanto
consapevole che anche Noctis condivideva la stessa storia – a sentire la
servitù, Noctis era semplicemente tornato a casa, come se fosse sempre stato un
principe e gli anni in orfanotrofio non contassero. Come se fosse semplicemente
tornato da un lungo viaggio. Gladio se n’era reso conto quando, dopo essere
stato istruito sul suo ruolo di futuro Scudo e su ciò che poteva o non poteva
dire, aveva finalmente potuto passare del tempo con Nux – Noctis, aveva ricordato a se stesso, ora si chiamava Noctis.
Il
bambino gli era sembrato uno sconosciuto quando gli era corso incontro,
abbracciandolo. Gladio non avrebbe saputo dire in cosa fosse diverso, eppure
sapeva di aver perso Nux, sapeva che il segreto che doveva mantenere lo avrebbe
per sempre separato da lui. Lo aveva ascoltato parlare, cercando di capire che
cosa gli avessero detto ed aveva capito che in realtà non sapeva nulla: per
Noctis quella nuova vita come principe di Lucis era semplicemente la vita che
avrebbe dovuto sempre avere, come nelle favole quando la piccola orfanella si
scopre figlia di un Re decaduto e torna a corte dopo aver sconfitto la matrigna
cattiva. Con la differenza che in realtà loro non avevano sconfitto proprio
nessuno. E Noctis non era davvero un principe, per quanto pareva credere a
quella storia assurda.
«Non
è bello che siamo tornati a casa?» aveva chiesto Noctis, con gli occhi pieni
della bellezza di quel posto, di quella vita.
Gladio
s’era guardato intorno, annuendo appena e poi aveva desiderato tornare nella
sua stanza, a riparo da tutto.
Lo
Scudo si mosse sul posto, irrequieto e ancora in qualche modo infastidito da
quei ricordi. Erano passati anni ed anni da che erano arrivati ad Insomnia,
eppure l’idea di essere a conoscenza di un segreto tanto importante lo turbava
ancora – non era il tipo di persona che teneva segreti, lui, non gli piacevano,
erano rogne sentimentali che neanche capiva. Ma vi era stato trascinato dentro
senza poter fare nulla ed aveva compreso solo col tempo la situazione in cui si
trovava: con gli anni Noctis aveva dimenticato l’orfanotrofio, aveva
dimenticato Puros e Prom, aveva quasi dimenticato anche il loro tatuaggio – ora
diventato una semplice disavventura di quand’erano piccoli. La vita nella
Cittadella lo aveva rapito e le favole che gli avevano raccontato quando aveva
quattro anni erano bastate per impressionare la mente e l’immaginazione di un
bambino tanto piccolo. Non s’era più fatto domande, aveva preso a vivere come
se non avesse mai abbandonato quella vita, come il legittimo erede della
famiglia reale. E Gladio lo aveva osservato crescere, lui legittimo erede degli
Amicitia, come suo Scudo e suo unico vero amico, senza avere alcuna possibilità
di distruggere quella fantasia tanto ben costruita. Non che lo volesse, a
pensarci bene: a che pro svelargli che non era quella la realtà? Noctis era
stato educato come principe ed era riconosciuto come tale da tutti – che il suo
sangue non fosse lo stesso del Re cambiava davvero poco ai suoi occhi.
Gli
incubi erano cominciati da qualche anno e, nei primi tempi, avevano allarmato
tanto il Re quanto Clarus. Gladiolus aveva pensato che fossero un modo per la
coscienza di riportare alla luce i vecchi ricordi e non aveva confidato a
nessuno che, almeno un po’, aveva sperato ci riuscisse. Le prime volte aveva
immaginato Noctis correre da lui e chiedergli dell’orfanotrofio, dei loro
amici, di quando erano bambini in attesa di qualcuno che venisse a prenderli.
Ma il principe non aveva ricordato mai del tutto e lui aveva ricevuto precise
istruzioni riguardo a ciò che doveva dire – avevano inventato un incendio,
avevano inventato delle vittime, avevano inventato intere vite pur di non dire
a Noctis la verità, pur di non sconvolgere il precario equilibrio su cui
poggiava il regno.
E
Gladio lo aveva accettato e in parte anche capito: a lui poteva non importare
delle origini di Noct, ma come sarebbe stata vista una simile situazione a
livello pubblico? Che cosa avrebbe pensato il popolo della bugia che la
famiglia regnante raccontava da quindici anni? Gladiolus non aveva mai capito
come fosse cominciata quella storia, perché il Re avesse deciso di prendere
proprio Noctis, ma sapeva che ora era troppo tardi per tornare indietro.
Eppure
qualche volta faceva fatica, qualche volta trattenersi dal rivelare la verità
era difficile, anche ora che era adulto, anche ora che poteva capire.
«A questo punto, ritengo di poter aggiornare
la riunione alla prossima settimana. La situazione rischia di diventare seria e
necessita di rapporti costanti da tutte le regioni».
La
voce autoritaria del Re e il movimento con cui tutti i presenti si alzarono
subito dopo di lui fece tornare Gladiolus alla realtà della situazione in cui
si trovava. Non capitava mai che si distraesse quando era in servizio, neanche
se si trattava di una situazione calma come poteva esserlo quella riunione
interna. Ma doveva ammettere che gli incubi di Noctis infastidivano e
deconcentravano anche lui – il principe lo prendeva in giro quando se ne
accorgeva, dicendo che reagiva in quel modo perché in realtà lo amava più di
quanto volesse ammettere; Gladio lo scacciava con una spinta, ma dentro
qualcosa si spezzava ogni volta.
«Maestà,
permette una parola?» si fece avanti lo Scudo, superando il principe che era al
fianco del padre.
Regis
comprese dal suo sguardo quale sarebbe stato l’argomento della loro
conversazione e si congedò dal figlio e dai presenti con compostezza. Clarus,
accanto a lui, si mosse per seguirlo.
«Non
metterci troppo», borbottò Noctis all’indirizzo dell’amico e seguendo il Re,
Gladio gli lanciò un occhiolino prima di lasciare la sala.
In
breve il principe si trovò da solo e, sospirando, non poté che apprezzare
quella nuova condizione. A voler essere sinceri, la riunione s’era rivelata
importante e Noctis, nonostante potesse sembrare uno scansafatiche e magari
inesperto, avvertiva ormai il peso del suo ruolo, del suo futuro; tuttavia
c’era qualcosa di asfissiante nello stare per tanto tempo seduto ad ascoltare resoconti
di situazioni serie e pericoli più o meno fondati e Noctis s’era sentito come
legato alla propria sedia, senza avere la possibilità di fare nulla. Si
chiedeva se sarebbe diventato un buon re, come suo padre, e mentre Regis
ascoltava preoccupato e con espressione seria, lui aveva realizzato che
preferiva di gran lunga essere un principe sotto la sua direzione, così da
sapere sempre che cosa fare e soprattutto non dover prendere decisioni che
avrebbero avuto ripercussioni su altri. Decidere era complesso e lui non si
sentiva ancora pronto a farlo.
Dovendo
aspettare Gladiolus e non volendosi allontanare senza, Noctis prese a
girovagare nella grossa sala. Non capitava spesso di trovarsi fra quelle mura,
dal momento che la stanza restava quasi sempre chiusa quando non c’erano
riunioni o incontri ufficiali da ospitare nella Cittadella, così il ragazzo
pensò di approfittarne per poterla osservare più da vicino.
Oltre
al grande tavolo in legno e marmo, lo spazio era riempito da diverse teche
piene di libri che, disposte su due ordini, scandivano con precisione l’altezza
della stanza - si trattava per la maggior parte di annuari e libri di storia,
Noctis ricordava di aver studiato qualche manuale quando, da piccolo, aveva
dovuto imparare la Storia di Eos e la sua mitologia. Quando era piccolo, suo
padre riusciva a trovare tempo per leggergli ogni sera un pezzo delle antiche
leggende sugli dèi e i luoghi dacri in cui, ancora ora, li si pregava. Noctis
ricordava che quelle storie erano capaci di farlo sognare, di fargli immaginare
scenari in cui gli dèi stessi lo incaricavano di importanti missioni ed
infinite avventure - era così spensierato allora…
Crescendo
forse il buonsenso aveva smussato la sua sete d’avventura - o forse erano stato
gli occhi tristi con cui qualche volta Regis lo aveva guardato, mentre ancora
diceva di voler visitare il Regno ed avere qualcosa di più al di fuori delle
mura di Insomnia. Noctis s’era adeguato a ciò che aveva percepito, ad una certa
inquietudine di fondo che aveva scorto in quegli sguardi, ed aveva accettato di
starsene tranquillo nella Cittadella, di non allontanarsi troppo da Gladio.
Aveva cercato la sua autonomia altrove, frequentando la scuola pubblica, ma
alla fine tutto aveva continuando a ruotare intorno a quel palazzo. E forse a
Noctis andava bene così - alla fine, era destinato a diventare Re, destinato a
vivere la sua vita lì per sempre.
Un
grosso tomo dal dorso azzurro attirò l’attenzione del principe che, aprendo la
teca in cui era chiuso, lo tirò fuori con accortezza. Lo riconosceva, era un
tomo di astronomia, di quelli illustrati con le diverse carte delle stelle del
cielo di Lucis. Lasciò che le dita scivolassero lungo la stampa scura e
unissero i diversi punti, le diverse stelle, a formare nuove costellazioni -
quando le aveva studiate ne aveva davvero inventate alcune tutte sue,
escludendo stelle che non lo soddisfacevano e attirando insieme certe che non
avevano relazioni fra loro, per il semplice gusto di creare.
«Credi si possa conoscere il nome di tutte le
stelle? Ma proprio tutte tutte?»
Aveva
fatto quella domanda così tante volte e nessuno era stato in grado di dargli
una risposta. Sapeva che c’erano ancora stelle da scoprire, che si diceva che
il cielo fosse infinito, che solo gli dei potessero conoscerlo tutto, eppure a
furia di guardare sopra la sua testa Noctis aveva sempre pensato che da grande
sarebbe stato la prima persona a dire che sì, lui le stelle le conosceva tutte
- gli dei gli avevano concesso di vederle e di memorizzarle ed erano
bellissime.
«Un giorno viaggeremo così tanto e ovunque
che le conosceremo tutte le stelle. Tutte».
Con
ancora le dita che sfioravano l’inchiostro, la fronte del principe di aggrottò,
mentre il ragazzo cercava di capire a chi appartenenti quell’improvviso
ricordo, chi gli avesse fatto una promessa tanto bella e puerile. Poteva essere
stato Gladio? Era certamente il tipo da avventura, lui, ma Noctis non aveva mai
saputo che avesse un particolare interesse per le stelle… Suo padre allora?
Forse glielo aveva promesso in un momento di debolezza, in una delle volte in
cui lui aveva insistito tanto…
La
frase continuò a risuonargli nelle orecchie senza che Noctis fosse in grado di
ricordare a chi appartenesse o quando gli fosse stata detta e più la riportava
alla memoria più pareva sfuggirgli, come quando si ripete troppe volte una
parola ed essa perde di significato, diventando un suono sempre più strano e
sconnesso.
«Hai
deciso di restare qui a studiare o vogliamo andarcene in giro?»
La
voce grossa di Gladiolus fece quasi sobbalzare Noctis, che chiuse di scatto il
grosso volume.
«Tutto
bene con mio padre?» chiese, cercando di scacciare l’inquietudine in cui era
caduto.
«Soliti
discorsi sulla sicurezza - farà presente i miei appunti al Generale».
Noctis
sorrise per la professionalità che Gladio mostrava in questi frangenti, poi si
incamminò con l’amico. Pensò di prendere la Regalia e fare magari un giro alla
periferia di Lucis, ma lo sguardo di disapprovazione che ricevette dal suo
Scudo gli ricordò che l’ultima volta avevano rischiato di fare un frontale
contro un palo della luce perché il principe s’era distratto dietro a chissà
quale pensiero. Noctis sospirò - Gladio probabilmente gli avrebbe rinfacciato
quella cosa per tutta la vita - e si rassegnò a camminare.
«Una
passeggiata non potrà che farti bene!» lo incoraggiò lo Scudo e il principe si
rassegnò.
Camminarono
per un po’, godendosi l’aria fresca del pomeriggio che accenna verso la sera e
le strade che si riempivano di gente indaffarata tra lavoro e compere.
«Abbiamo
mai avuto qualche amico che fosse interessato alle stelle?» chiese a bruciapelo
Noctis, mentre Gladio osservava con una certa fame la vetrina di una tavola
calda.
La
domanda del principe gli tolse il fiato e lo fece quasi tremare. Gladio sperò
che non se ne fosse accorto, mentre si voltava verso di lui. Certo che avevano
avuto un amico interessato alle stelle - era la ragione per cui a Noctis
piacevano così tanto.
«Da
dove salta fuori questa domanda?». Cercò di apparire seccato e sbrigativo, come
se la cosa non gli interessasse davvero.
«È
solo qualcosa che mi è venuto in mente… una sensazione».
Dannazione,
Gladio odiava quelle situazioni e quella giornata sembrava davvero non volerlo
lasciare in pace.
«Ricordo
che tu ne eri ossessionato, hai fatto impazzire governanti e tutori con la tua
insana voglia di vederle tutte - il Re non sapeva più che cosa fare: aveva
paura che una sera o l’altra saresti potuto andare di nascosto su uno dei
pinnacoli della Cittadella per poterle vedere meglio!»
Noctis
rise - ora ricordava: aveva dovuto davvero promettere a suo padre di non salire
su tetti o superfici sporgenti. Doveva averlo davvero spaventato per la serietà
con cui aveva parlato, sebbene non avesse neanche una decina di anni al tempo.
Accanto
a lui, Gladio sospirò appena e senza che il principe se ne accorgesse gli
rivolse uno sguardo pieno di rimpianto. A Puros piacevano tanto le stelle… Col
tempo, Gladiolus aveva realizzato che quanto più Noctis aveva dimenticato i
primi anni della loro vita e da dove provenivano davvero, tanto più lui invece
aveva conservato quei ricordi, riportandoli alla mente ogni qual volta avesse
paura di poterli perdere, tormentandosi con le poche immagini che durante gli
anni erano sopravvissute, con le pochissime sensazioni che ancora riusciva a
ricordare, quasi volesse incidere la propria pelle con essi e lasciarsi addosso
dei segni.
«Ho
fame», disse, con un tono forse fin troppo brusco «Che ne dici se ordino due
menù grandi e mangiamo qua fuori?» chiese indicando un negozio sulla destra.
Noctis
approvò con un’alzata di spalle e lo osservò entrare nella tavola calda.
«Non
metterci troppo!» si trovò a dirgli, per la seconda volta nello stesso
pomeriggio.
Ancora
una volta prese a gironzolare per la strada cercando di ingannare l’attesa.
Doveva ammettere che la scelta di passeggiare non s’era rivelata tanto
sbagliata - per una volta avere un po’ di tranquillità, immerso nella città e
nella sua vita, a Noctis non dispiaceva. Ripensava a quello che aveva ascoltato
nella riunione, agli avvistamenti di demoni che erano stati segnalati dai
Kingsglaive al confine con Tenebrae, al volto seriamente preoccupato del padre
e all’improvviso l’aria fresca, la calma della città ignara lo rassicuravano,
gli permettevano di illudersi che il pericolo non fosse grave, che non fosse
imminente, che non c’era da preoccuparsi, che sarebbero andati avanti con
quella routine per sempre. Poteva essere l’avventura che aveva sognato da
piccolo, ma Noctis aveva smesso di cercarla da tempo, da quando era stato sul
punto di morire. Ora amava la stabilità, la tranquillità, persino la noia.
«Mi
chiedevo: al principe è davvero concesso di muoversi con tanta libertà?»
Noctis
sussultò - la voce che gli aveva parlato era così vicina che ebbe paura d’istinto
e si scansò di lato, cercando di mettere quanto più spazio possibile fra sé e
la sua fonte. S’era distratto: aveva camminato per un po’ lungo la strada della
tavola calda ed era entrato in un vicoletto poco lontano attirato da qualcosa
che ora faceva fatica a ricordare. Con le spalle quasi contro il muro, ora il
principe poteva vedere chiaramente l’uomo che lo aveva avvicinato, sebbene un
cappello ed una bandana all’altezza della bocca ne camuffassero le sembianze.
l’uomo
se ne stava con una mano sotto il mento coperto e gli occhi di chi è
terribilmente divertito dalla situazione che ha davanti e Noctis si trovò a
pensare che era stato stupido da parte sua non seguire Gladio all’interno del
locale. Sapeva difendersi, certo, eppure qualcosa nella persona che aveva
davanti lo metteva in allarme - ne percepiva la forza anche se non aveva ancora
fatto nulla di ostile.
«Posso…
posso andare dove voglio», disse, cercando di mantenere la calma - avrebbe
potuto evocare una delle sue armi se ce ne fosse stato bisogno: non era ancora
molto bravo con la magia che gli aveva trasmesso il Re, ma l’evocazione era
semplice e ormai c’aveva preso la mano.
«Non
ne dubito, non ne dubito!» lo assecondò lo sconosciuto, allargando le braccia:
nel movimento lo strano giaccone che aveva addosso, e che gli arrivava quasi
fino ai piedi, svelò un’eccentrica bardatura lungo il braccio sinistro, che
andando ben oltre la mano somigliava ad una grossa ala di stoffa nera.
Noctis
si mosse con impazienza sul posto: diverse cose riguardo a quell’uomo lo
mettevano a disagio, a cominciare dalla voce melodiosa e dolciastra, di quelle
che sembravano non poter mai dire le verità. Fece per muoversi, cercando di
guadagnare l’uscita senza però sembrare impaziente, ma lo sconosciuto fu più
veloce e gli si parò davanti bloccando la vista sulla strada principale.
«Speravo»,
riprese a parlare con lo stesso tono fastidiosamente melodioso «Che avrei
potuto avere un’udienza con Sua Altezza».
«Non
sono stato abituato a ricevere le persone in vicoletti poco illuminati»,
ribatté Noctis, sempre più nervoso - tra le mani aveva già la sensazione della
magia evocativa che gli pizzicava la pelle.
«Vorrà
dire che farà un’eccezione per me», insistette l’uomo, facendo qualche passo in
avanti.
Noctis
non era abituato ad indietreggiare - era un principe, era stato educato ad
affrontare a testa alta i problemi che incontrava sulla sua strada, quindi
scioccamente non si fece rubare metri dall’intraprendenza dell’uomo. Si rese
conto di aver sbagliato quando, in un battito di ciglia, lo sconosciuto fu a
pochi centimetri da lui, il suo fiato contro il viso del principe e gli occhi
ambra ipnotici e spalancati a scrutare, una mano sul suo viso, fredda e
pericolosa.
«Non
è possibile...», sussurrò l’uomo e si fece indietro prima ancora che Noctis
provasse a reagire - il principe era completamente congelato sul posto, fermo
nella sua pelle come una statua di marmo.
«Tu!»,
gridò ancora lo sconosciuto «Regis- come- perché- Non può averlo fatto! Lui… Chi
sei tu?».
Noctis
non riusciva a capire che cosa avesse fatto scattare l’uomo, che cosa lo stesse
facendo arrabbiare tanto, ma sentiva ancora di più adesso la pericolosità che
aveva solo avvertito quando aveva cominciato a parlargli. Finalmente, la spada
si materializzò nella sua mano e il ragazzo la tirò a sé, frapponendola tra il
proprio corpo e l’uomo.
Ma
lo sconosciuto non lo stava guardando: con gli occhi persi nel vuoto mormorava
qualcosa tra sé e pareva aver dimenticato Noctis e l’atteggiamento minaccioso
con cui s’era posto fino a quel momento. Quando infine alzò di nuovo lo sguardo
sul ragazzo, Noctis comprese per la prima volta che cosa volesse dire provare
rabbia - l’ambra di quegli occhi pareva essersi sciolto in oro fuso e
lampeggiava colmo di furia. Neanche tutto l’addestramento di Gladiolus avrebbe
potuto preparare Noctis ad una aggressività simile.
Lo
sconosciuto gli fu addosso, di nuovo troppo veloce, di nuovo imprevedibile -
non aveva armi con cui attaccare ma riuscì a sovrastare ugualmente il principe
e la sua spada con la sola forza delle sue braccia. Lo disarmò e lo bloccò a
terra, serrandogli una mano intorno al collo e spezzandogli il fiato.
«Tu
non dovresti essere qui! Tu non dovresti neanche essere nato!», gridò, fuori di
sé per la rabbia e Noctis non riuscì a pensare ad altro se non al fatto che
sarebbe morto, che dopo tutta l’accortezza del padre, dopo tutti gli sforzi di
Gladio, sarebbe semplicemente morto soffocato per mano di uno sconosciuto.
Cercò di muoversi, cercò con entrambe le mani di allentare la morsa, di
prendere fiato, ma gli occhi dell’uomo lo inchiodavano al suolo quasi quanto la
sua forza e Noctis avrebbe voluto gridare, avrebbe voluto piangere e non faceva
nulla.
Noctis
credeva di aver dimenticato come si respirasse quando, alla fine, l’aria tornò
nei suoi polmoni. La testa faceva male e girava così tanto che per qualche
momento il principe non riuscì a capire cosa stesse succedendo e rimase steso
per terra, senza muoversi, senza neanche riuscire a mettere a fuoco ciò che
rientrava nel suo campo visivo. Dei rumori, lontani, arrivavano alle sue
orecchie e avrebbe davvero voluto sapere che cosa gli stesse succedendo
intorno, se fosse ancora in pericolo, ma non riusciva a fare altro se non
tossire e toccarsi il petto. Era tutto così simile all’ultima volta che aveva
rischiato di morire, che Noctis non aveva neanche paura.
«Noct?
Noct!».
La
voce di Gladio gli ferì le orecchie e il campo visivo di Noctis divenne
improvvisamente più scuro - ci volle qualche istante perché il ragazzo
realizzasse che Gladiolus era sopra di lui e stava cercando di tirarlo su,
sollevandogli le spalle con un braccio.
«Sei
ferito?», gli chiese e Noctis finalmente riuscì a metterlo a fuoco, sebbene
avesse la nausea ora per quanto ancora gli girava la testa.
«Dove…
dove...», balbettò, senza riuscire a mettere insieme l’intera frase.
«È
scappato». C’era risentimento nelle sue parole, Noct poteva sentirlo anche in
quello stato.
Gli
si aggrappò contro, cercando di mettersi a sedere senza dare di stomaco - aveva
ancora il fiato corto e oscillando si trovò ad appoggiarsi al petto largo del
suo Scudo. Gladio sentiva l’adrenalina ancora corrergli attraverso tutto il
corpo per lo scontro che aveva appena sostenuto - non era riuscito a fare altro
se non allontanare l’uomo da Noctis e parare i diversi colpi che questi aveva
poi lanciato contro di lui. Poi, improvvisamente, quel tizio era sparito. Lo
Scudo ancora non riusciva a spiegarsi cosa fosse successo, o come.
«Voglio
tornare alla Cittadella», disse Noct, provando a sembrare risoluto.
Gladio
non disse niente, lasciò che il principe provasse ad alzarsi, pronto a
prenderlo nel caso non ci fosse riuscito. Noctis non lasciò andare la presa
sulla maglietta dell’amico mentre si metteva in piedi e ancora alquanto
disorientato cercò di muovere qualche passo - ne aveva abbastanza di quel
vicoletto umido, voleva tornare a vedere la luce della grossa strada che aveva
lasciato.
Con
Gladiolus praticamente attaccato alle spalle, il principe prese a muoversi,
acquistando lentamente stabilità. Aveva dimenticato che fosse ancora giorno e
la luce bassa del Sole parve portare di nuovo calore nel suo corpo - Noct
sentiva freddo, molto freddo.
«Tu non dovresti essere qui! Tu non dovresti
neanche essere nato!»
Perché?
Perché gli aveva detto una cosa del genere? E perché gli aveva chiesto chi
fosse, se fino a poco prima s’era rivolto a lui riconoscendolo come principe?
«Calmati,
Noct, va tutto bene».
Il
ragazzo alzò la testa verso l’amico e lo fissò: solo così si rese conto di star
tremando e di aver preso a respirare velocemente. Perché erano usciti a piedi?
Perché s’erano allontanati così tanto dalla Cittadella? Tutto quello che voleva
al momento era trovarsi fra le quattro mura della propria stanza, nel suo
letto. Neanche gli incubi lo spaventavano più: avrebbe preferito farli per un
mese di fila piuttosto che sentirsi in quel modo.
Un
braccio di Gladio gli circondò le spalle, portandolo a contatto col corpo dello
Scudo.
«Quando
non riesci a concentrarti, lo faccio io per te», gli ricordò «È mio dovere».
Noctis
si abbandonò alla sua guida.
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E
infine fanno la loro comparsa anche Noctis e Gladio. Le differenze rispetto al
canon qui sono di meno, ma probabilmente questo rende le cose ancora più
problematiche! Una grande sorpresa nello scrivere questa storia è stata che
adoro nuovere Gladiolus non credevo ci sarei andata tanto d’accordo ma lo sto
apprezzando sempre di più! Spero che sia lui che Noct siano IC ^^
La
situazione socio-politica di Lucis è diversa dal canon, come spero si sia
cominciato a capire in questo capitolo. Darò approfondimenti man mano che la
storia si svilupperà (dal prossimo capitolo si alterneranno il setting di
Lestallum e quello di Insomnia) sperando che la narrazione fili e che sia tutto
comprensibile. Stessa cosa con Noctis che ha qualche differenza, soprattutto
rispetto alla magia, rispetto alla storia originale.
Un
ringraziamento a chiunque presterà attenzione alla storia e a questo capitolo!
Al prossimo aggiornamento.
Alch.