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Autore: Enchalott    09/04/2018    7 recensioni
Vegeta la fissò, socchiudendo gli occhi, quasi ammirato dalla sua testardaggine, che tuttavia aveva superato la misura concessa. Lei era incosciente tanto quanto lui, ma non aveva le sue stesse doti fisiche, gli stessi incredibili poteri nel ki. Perché, allora? Perché non era terrorizzata?
“Detesto ripetermi” le disse, spostandosi lentamente nella sua direzione. La guardò come se fosse una sfortunata preda.
Lei seguì il movimento con una certa apprensione, ma rispose con altrettanta sufficienza: “Credi che abbia paura di te?”
“No” ammise lui. Le indirizzò un sorriso freddo: “Ma ne avrai”.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci alla conclusione della vicenda! Vorrei davvero ringraziare tutte le persone che mi hanno lasciato un feedback, in particolare Old Fashioned, Misatobulma e Shanley, che hanno avuto la pazienza e l'assiduità di leggere tutto. Ho mantenuto verde il rating, anzichè girarlo in giallo, non mi sembrava necessario. Buona lettura!

Quarto giorno
 
Bulma si destò dopo poche ore, indolenzita dal crudo contatto con il pavimento. Il principe non si era mosso e continuava a dormire placidamente, appoggiato a lei. Si mise a sedere, cercando di non svegliarlo e lui si spostò nel sonno, lasciando intravedere la medicazione: fortunatamente non c’era sangue, la cauterizzazione era stata risolutiva, benché drastica. Gli saggiò la fronte con il polso e la trovò tiepida, ma non eccessivamente calda. Non era andato in ipotermia e non sembrava avere la febbre. Grazie ai Kami.
Si alzò, rintuzzandogli la coperta e andò a preparare qualcosa da mettere sotto i denti, pensando che per un Saiyan fosse la cura migliore e, se non altro, più gradita. Gli strani frutti del pianeta Isuyo erano piuttosto rigeneranti: se n’era accorta quando aveva bevuto il decotto improvvisato, poche ore prima. Sperava che contribuissero a far riprendere anche Vegeta. Kitsu-sama aveva affermato che erano la risposta al suo desiderio di ristoro. Voleva che lui stesse bene. Nient’altro. Aprì la cassetta per prenderne altri.
“Per le stelle!” le scappò a voce alta.
In mezzo alle bacche variopinte c’erano alcuni pesci dall’aspetto invitante. Rinunciò a qualsiasi spiegazione logica e iniziò a cucinare silenziosa.
 
Vegeta riprese coscienza e stese il braccio, che annaspò nel vuoto: realizzò di essere solo nel giaciglio estemporaneo. La terrestre si muoveva in punta di piedi poco distante da lui, ma il suo calore gli era rimasto dentro. Sentiva la ferita asciutta, il che era un buon segno, così come le pulsazioni contenute indicavano che non c’era infezione.
Gli eventi delle ore precedenti gli si affacciarono alla mente: la neve aveva avuto uno scopo, l’apparizione del signore del luogo anche, la tempesta di fulmini più che mai. Probabilmente, quel pianeta dannato era davvero un posto sacro. Non si capiva bene a chi. Nulla di ciò, tuttavia, aveva avuto su di lui lo stesso potente effetto di quando aveva sentito affermare dalla ragazza che non aveva avuto paura, perché era con lui. Shireei. Fiducia. Faceva una certa impressione esserne il destinatario.
Il profumo stuzzicante del cibo gli giunse alle narici e riaccese tutte le altre percezioni, snebbiandolo definitivamente. Si alzò sui gomiti con cautela, spinto dalla voragine che aveva nello stomaco, che protestava ferocemente.
“Vegeta!”
“Ce la faccio!”
Il principe si raddrizzò con fatica; lei ignorò, come di consueto, il suo orgoglioso tentativo di rifiutare qualsiasi aiuto, facendolo sedere con precauzione.
“Come ti senti?” indagò.
“Bene, a parte il tamburo che mi batte dentro la testa”.
“Quel liquore orribile!” borbottò Bulma “Spero che mio padre non pensi di farne scorta!”
Gli passò un vassoio colmo e lui osservò sorpreso il pesce che faceva bella mostra in mezzo alla frutta tagliata con cura.
“Abbiamo avuto tempo di pescare?” le chiese perplesso.
“No. Sarà il risultato di qualche desiderio sottaciuto. Come la tempesta di fulmini”.
Hah…” sospirò lui, comprendendo l’allusione all’apocalittico scenario terminale deliberato dal pianeta. Fagocitò tutto con lestezza saiyan e le porse nuovamente il piatto.
“Che il mio fine fosse quello di diventare super Saiyan, non è mai stato un segreto. Ma in quel momento non ci stavo proprio pensando. Evidentemente, Isuyo agisce oltrepassando le riflessioni più epidermiche… certo che il sistema che ha usato è stato piuttosto perentorio. Chi! Ancora un po’ e ci restiamo secchi…”
“Indubbiamente l’ha considerato necessario” commentò lei con un velo di tristezza “Rasentare la morte, ti fa apprezzare la vita. Devi comunque scegliere, quando non hai scelta e, per farlo, devi restare calmo. Ti ha imposto tutte queste condizioni in una volta”.
Gli offrì un terzo piatto pieno e riportò le coperte al loro posto, accomodandole sul letto. Lui la seguì con lo sguardo e percepì un tuffo al cuore. Non era da lei rinunciare. Forse, non gli aveva più domandato nulla sulla questione della partenza per ordine di priorità: la premura di salvargli la vita aveva annullato tutte le altre. Ancora…  lui anteposto a lei.
“Non solo. Non basta questo per la trasformazione”.
Lei sollevò quegli occhi blu, così carichi di sentimenti.
“L’ha ritenuto indispensabile…” concluse Vegeta sottovoce.
Come quella maledetta, gelida neve. Ma l’ultima considerazione non la espose a voce alta. Riuscì a dirigersi da solo verso il letto, quello vero, le energie ripristinate dal pasto abbondante e rinvigorente. La lesione non gli doleva più così tanto: si sarebbe ripreso presto, più potente di prima, come succedeva sempre al sangue saiyan che veniva lambito dal decesso. Come già era accaduto nel suo funesto passato di distruttore… e su Namecc… e sulla Terra, nella gravity room… come una maledizione, che lo portava a bramare l’ascesa infinita… come una benedizione, che gli donava immeritate chance… come poter salvare lei… cambiare qualcosa… baciami ancora, ti prego… una sola volta… sconfiggimi o io…
Il sonno lo avvolse.
 
Si svegliò per l’ennesimo scossone, che comunque passò quasi inosservato: ormai erano assuefatti al continuo balletto dell’astronave che, in meno di ventiquattr’ore, sarebbe rientrata alla Capsule Corporation.
La terrestre non era tra le coltri con lui ma, ne era certo, non aveva smesso di vegliarlo, nonostante avesse a sua volta bisogno di riposo. Era di un’altra tempra rispetto a lui, non era abituata a rischiare la vita in quel modo avventuroso, tuttavia il suo coraggio indomito era ineccepibile. La vide affacciata all’oblò, vicino ai comandi, di spalle, assorta.
“Tu… piangi?”
Lei trasalì e si asciugò le lacrime con una mossa fugace.
“Non sto piangendo…”
Il principe scosse la testa e sedette sul bordo del letto, appoggiando i piedi nudi a terra. Il contatto col freddo pavimento fece risalire tutte le sensazioni che aveva sperimentato, una dopo l’altra, con la precisione di un conto alla rovescia. Il computer segnalava inesorabile il tempo rimasto a quell’incredibile viaggio. Strinse le lenzuola tra i pugni.
“Ti fa male la ferita?” domandò lei, sviando l’argomento.
“Non più” rispose senza lasciarsi distrarre “Fa male a te”.
Bulma si girò, con gli occhi luccicanti, percossa da quell’affermazione insolita e lo guardò mentre, intento, fissava il suolo, con le mani incrociate sulle ginocchia.
“Il pianeta non avrebbe potuto trovare metafora più indovinata di quella della neve, sai?” gli disse “Ti dà l’impressione di essere distante e indifferente a tutto, mentre cade lieve; è fredda e impalpabile, ma in realtà porta un peso insospettabile; se la tieni troppo tra le mani, al contrario, ti ustiona e, se vuole, può anche ucciderti”.
Vegeta le rivolse uno sguardo ardente e non rispose, riconoscendosi fin troppo bene nell’allegoria. Volutamente ostentava freddezza, interponeva tra loro un algido distacco, reso più struggente dal fatto che Kitsu avesse rivelato a bruciapelo le sue elucubrazioni. Ne era consapevole.
“Eppure, se quelle mani riescono ad essere più calde di essa e non la lasciano cadere, si trasforma in acqua e restituisce la vita” continuò lei avvicinandosi.
Il principe, terribilmente commosso, non staccò gli occhi dal suo viso.
“Quel gelo era per me, non per te” replicò “Il pianeta mi ha pagato con la stessa moneta che uso solitamente. Per sopravvivere, ho dovuto agire al contrario: accendere il ki per salvarmi, accettare che mi venisse affidata la responsabilità della tua vita. Come tu hai sempre fatto con me. Il ghiaccio mi è entrato nelle ossa, nonostante l’uso dell’energia spirituale, mi è stato inferto con spietata risolutezza, affinché potessi capire che cosa mi sta aspettando là fuori, nella solitudine, e potessi scegliere con accortezza”.
Lei era in piedi, a un passo da lui, e lo ascoltava. Gli posò una mano sulla spalla.
“Io ti ringrazio, principe dei Saiyan. Mi hai salvato la vita due volte, non mi dovevi niente”.
“Cosa? Che stai dicendo?! Tu stai forse…”
Le dita di Bulma gli percorsero il viso, in una carezza dolcissima.
Vegeta si curvò e si prese la testa tra le mani, disperatamente. Se quello era un commiato, se lei avesse pronunciato quella dannata parola di congedo, lui… “Combatti…” mormorò.
“Come?”
“Combatti!” gridò lui.
La ragazza rimase immobile per un istante. Poi pizzicò il cursore della cerniera della tuta che indossava e lo abbassò fino a metà, scoprendo il top bianco che le fasciava il corpo. Vegeta scattò in piedi e nella sua mano la zip continuò la corsa, andò oltre, stracciando la stoffa fino in fondo. Le abbassò l’indumento sui fianchi, stringendola con forza, cercando le sue labbra, strappandosi a sua volta i vestiti che gli erano divenuti insopportabili.
“Perché!?” le domandò, baciandole impetuosamente il collo e le spalle, lasciando che la mano di lei indugiasse sul suo petto, che sfiorasse i suoi addominali scolpiti, che lo accarezzasse “Perché sei tu che mi stai dicendo addio!?”
La risposta lo scudisciò, mentre le sollevava la canottiera e assimilava il contatto con il suo corpo di seta, mentre la mano di lei gli percorreva la schiena fino alla cicatrice della coda che non c’era più.
“Perché ti amo…”.
Sussultò. Le liberò l’altro braccio dalla manica e la tuta scese a terra…e non era mai stato così bello sentire pronunciare il suo nome come dalla sua bocca e desiderare di essere toccato da lei, mentre la spingeva sul letto e la cercava in quella stretta sempre più nuda, più vera, più trascinante…
“Ripetilo…” ansò, con le mani tra i suoi capelli sciolti, sentendo il suo seno conto il petto solido, la pelle attraversata dai brividi accesi dalla sua fragranza “…o non lo crederò reale…”. La udì sussurrare ancora quelle due parole e furono uno schiaffo, furono una certezza o non gli avrebbero fatto così male, non lo avrebbero incendiato ancor più del sentirla aderire ad ogni suo centimetro, dell’avere la sicurezza che lei lo voleva tanto quanto lui anelava lei…
“Non riesco a dirlo…” ma fu su di lei col silenzio bruciante di baci, perché il linguaggio che stavano usando per accogliersi apparteneva all’universo “Non riesco a dire che ti amo…” e, per tutte le galassie, invece, lo aveva davvero detto, tirandole fuori una lacrima rovente, che si perse nell’amplesso, nell’intreccio con le sue braccia delicate, che lo guidavano al suo cuore. Il battito impazzito era lo stesso, era sincrono al suo, lo avvertiva nel risvegliarsi ancora più fino dell’istinto atavico del suo sangue, nella natura ancestrale di Saiyan, che gli pulsava nelle vene, nell’unirsi dei loro corpi, perché le loro anime lo avevano già fatto…
“Vegeta…”
Sollevò il viso da lei, in attesa.
“Questo… questo fa paura…”
“Terribilmente…”.
Dividersi in un’altra creatura era esistere, era vivere dentro di lei non solo per un’istante, era divenire uno e lui non lo avrebbe mai creduto, nemmeno in mille anni sarebbe mai arrivato a pensare di riuscire a sentirsi così, di poterlo davvero fare, di volersi dare, di volerla avere, di… oh, stelle…
Bulma lo strinse sospirando, mentre si adagiava su di lei, in lei, senza più fiato e le sue membra tese di guerriero si rilassavano e le dita si arrampicavano per intrecciarsi alle sue, senza interrompere il legame, che oltrepassava quello fisico e incandescente di passione, che irrompeva nell’anima, in una contrazione d’amore perpetuo. Unì il respiro al suo, prima rapido e impetuoso, poi sempre più regolare, affondandogli le mani nei capelli, restando con i suoi muscoli possenti a premerle addosso, sentendolo rovente e sereno, riconoscendolo nell’umanità fusa di loro, nella quiete di quell’abbraccio, nell’amore e basta.
Vestiti come il giorno in cui erano venuti al mondo, senza barriere, avevano percepito la paura, che avevano negato, evaporare e lasciarli finalmente soli l’uno con l’altra. A volersi, ad amarsi.
 
Sulla sua spalla, Bulma in un sonno leggero percepiva a tratti la sua mano salire e scendere lentamente lungo la spina dorsale. A sua volta, cingeva con dolcezza il suo torace che si sollevava e si abbassava piano. Sopore e veglia sotto il baluginare ombroso delle luci rosse e blu della capsula, che correva ostinata verso la Terra.
Il computer emise un segnale e Vegeta si tirò su delicatamente, con la fronte aggrottata, fissando lo schermo petulante, che gli poneva una richiesta che aveva ignorato fino a quel momento. Si alzò e si diresse alla console, leggendo il messaggio “test di navigazione ultimato”. Diede un ok e l’aggeggio pretese nuove attenzioni, domandando istruzioni sulla procedura d’arrivo: “scegliere criterio finale; navigazione veloce per termine procedimento - 30 minuti/navigazione lenta di registrazione dati - 4 ore”.
Il principe dei Saiyan sogghignò e inviò il comando.
“Quattro ore?” domandò la ragazza, leggendo la nuova cifra sul timer.
Hah, non di meno” rispose lui, avvicinandosi con uno sguardo che non lasciava dubbi.
Si sedette sul bordo del letto e sentì le mani di lei scorrergli sugli omeri e circondarlo.
“Davvero? E come vorresti impiegarle?” gli sussurrò all’orecchio.
“Induzione” fece lui sottilmente divertito.
“Che…?”
“Per trasmettere il calore si fa senza vestiti…lo sapevi?”.
“Sì, sono una scienziata” rise lei. “E… lo chiamate davvero così?” aggiunse, maliziosa.
Vegeta si girò a guardarla, facendole capire che la stava prendendo in giro. L’abbrancò a sorpresa, con un sorriso sagace, senza farsi intimidire dalla richiesta.
“No. Teikyuketori” rispose, issandola a sé tra le braccia. “È intraducibile…”.
“Provaci…” mormorò lei sulle sue labbra.
“Offrire e ricevere in uno” interpretò lui, acceso dal contatto stretto dei loro corpi.
“Fare l’amore…” traspose lei, lasciando che le sue mani tornassero a sfiorarle la pelle.
Hah…” la trapassò con quegli occhi profondi di ossidiana nera “Ho forse dato un’altra impressione prima?” domandò sarcastico, mentre lei si affidava alla sua movenza lieve, che la sollevava senza sforzo, nonostante la cautela per via della ferita.
“Mmh, vediamo, come posso dire…” ironizzò la ragazza, accarezzandolo, provocandogli un brivido cocente sul collo.
“Parli troppo…” rise lui senza imperiosità nella voce.
 
L’astronave bucò l’esosfera, facendo scattare il sistema di raffreddamento. Vegeta calzò gli stivali e si alzò in piedi, portandosi una mano al fianco bendato: il male era sopportabile e la lesione non aveva più sanguinato. Bulma si legò le maniche della tuta sbrindellata in vita e si ravviò i capelli, ancora umidi per la doccia, osservando la superficie color zaffiro del suo pianeta avvicinarsi. Le terre emerse divennero più nitide, le montagne illuminate dall’incipiente tramonto svettarono per prime durante la discesa, poi fu la volta delle colline verdi e gialle; ma fu il mare ad avere la parte principale, cosparso di polveri luccicanti come corniole scheggiate, lento e inesorabile come il tempo, mentre si frangeva schiumando sulle coste rocciose.
La discesa verticale rallentò, mentre si dirigevano fianco a fianco verso il portellone d’uscita.
La capsula si posò al suolo con un sobbalzo, ribellandosi per l’ultima volta alla fredda logica della tecnologia, estraendo i supporti aggranchiati. La luce filtrò dal portellone che si stava schiudendo lentamente.
“Te ne andrai?”.
Il principe la guardò imperscrutabile, senza rispondere, e si diresse verso l’apertura spalancata. Lei lo seguì.
 
Il comitato di accoglienza era al gran completo. Il dottor Brief accorse per primo, con la moglie al fianco, seguito a breve distanza dagli immancabili Krilin e Yamcha.
Vegeta scese gli scalini senza volare, mentre tutti fissavano inorriditi il loro vestiti sporchi e strappati, il loro aspetto terribile, chiedendosi cosa fosse successo lassù nello spazio.
“Oh, cielo!” fece la signora Brief, scorgendo le macchie di sangue rappreso sulla dogi del Saiyan e le fasce di medicazione, che facevano capolino dalla stoffa lacerata.
“Tesoro, stai bene?” domandò lo scienziato alla figlia.
“Fammi un favore!” rispose lei inviperita “Cancella quel maledetto pianeta Isuyo dalle mappe di navigazione! E fa’ qualcosa di crudele a quel computer! Resettalo! Distruggilo! Ah! Guai se compri ancora quel liquore verde!”
Il vecchio la lasciò sfogare, tirandosi i baffi, sbigottito, osservandola dirigersi verso casa a un passo dal compagno di viaggio che, invece, pareva arrogantemente indifferente.
“Si può sapere cosa ti è saltato in mente?” esclamò Yamcha, rivolto all’indirizzo del principe “Partire per le tue mattane con lei a bordo…Cosa credevi di…”.
Vegeta si arrestò di botto e si voltò, saettandogli contro un’occhiata che avrebbe fatto esplodere il Sole. Bulma lo vide serrare i pugni con forza e si interpose, prima che quel ki devastante andasse a segno.
“La tua premura non è necessaria, Yamcha, grazie! La colpa è di mio padre, non di Vegeta! Se non ci fosse stato lui, io sarei morta!”.
Il dottor Brief spalancò la bocca, stupefatto. Le labbra di Vegeta si piegarono in un sogghigno appena percettibile, mentre continuava a carbonizzare con lo sguardo il malcapitato guerriero terrestre, che batté in ritirata. Poi i suoi occhi si spostarono sull’altro giovane vestito d’arancio, che era rimasto timidamente in disparte con un familiare sacchetto di stoffa legato alla cintura.
“Ehi, tu…” gli disse gelido, tendendogli la mano.
Krilin non se lo fece ripetere e gli lanciò perspicacemente un senzu a distanza di sicurezza. Il principe lo inghiottì e tutte le ferite sparirono dal suo corpo all’istante. Ignorando i presenti, si avviò con calma verso l’ingresso dell’edificio, sciogliendosi le bende dalla vita.
“Ne vuoi uno anche tu, Bulma?” si informò gentilmente l’amico.
“No, grazie, Krilin, io sto bene. Ti ringrazio di essere venuto e di aver portato i senzu. Mi dispiace di averti fatto preoccupare. Sei davvero un tesoro”.
Vegeta si fermò impaziente, sempre dando le spalle al pubblico: “Bulma!” ringhiò.
“Arrivo! Insomma, mi metti sempre fretta!”
La ragazza lo raggiunse, sbuffando, ed entrambi sparirono oltre la soglia.
“Non… non ci posso credere…” sbottò Krilin con un’espressione impagabile.
La signora Brief sorrise civettuola, come una che la sapeva lunga, intrecciando con tranquillità le dita sul candido grembiule di pizzo.
“Venite, ragazzi” cinguettò “Vi offro tè e pasticcini. Festeggiamo il felice rientro”.
 
Iniziarono a salire la scalinata che conduceva alle camere, in silenzio. Bulma era immersa profondamente nei suoi pensieri, con lo sconforto nello sguardo e nel cuore. Non si era neanche accorta che lui l’aveva chiamata per nome. All’ultimo gradino, fece per svoltare a sinistra, verso la propria stanza, e sentì la mano di lui sul polso.
“Dove stai andando?” le chiese Vegeta, che si stava dirigendo a destra.
“Nella mia…”
Lui la guardò intensamente, attirandola a sé con un movimento appena accennato.
“Non credo proprio” disse con un sogghigno “Puoi venderla quella camera”.
“Non m’importa quello che credi tu, principe dei Saiyan!” lo rimproverò dolcemente lei “Non me ne starò ai tuoi ordini!”
“Ma davvero?” rispose lui con un guizzo divertito negli occhi “Ritieni ce ne sia bisogno?”
Lei lo fissò seria: “E’ un “rimango” il tuo?”
“Andrò lontano e sarai costretta ad annegare nella paura per causa mia. Ma non oggi. E neppure domani. Talvolta, forse…”.
“Non ho paura”.
Chi!” fece lui, prendendole il viso tra le mani e lasciando che quelle iridi turchesi risplendessero nel nero assoluto delle sue.
“Resterò affinché tu ne abbia. Resterò per te”.
Bulma, in un impeto di gioia incontenibile, raggiunse le sue labbra con un bacio e lo sentì fremere e si sentì sollevare da terra con altrettanta foga.
“A tuo rischio” le mormorò all’orecchio “Hai visto che ho preso un senzu, vero?”
“Disposta a correrlo, ora e per sempre”.
Vegeta sorrise e sparì nell’ombra del corridoio con la sua donna tra le braccia.
   
 
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