The
Tormentor
01-
Prologo
L’aveva sempre
saputo che Sakura era brava a
tirare cazzotti.
Poteva
distintamente ricordare i lamenti di un certo biondo e il suo volto
contorto in
dolore in seguito a un pugno della ragazza, quando erano ancora degli
adolescenti e quest’ultima tentava con le maniere forti di
sedare quella
sentenza di troppo che usciva troppe volte dalle labbra del genin. Si
poteva
dire che Sakura stava compiendo un lavoro utile alla
società…
…
o era quello semplicemente un modo per sfogarsi?
…
Che
importa, tanto i suoi destri facevano sempre male, da cane.
Naturalmente,
in tutto questo lui, il genio del
gruppo, era sempre quello che ne usciva illeso dai battibecchi. La
testa rosa
non avrebbe mai osato ferire il
suo
amato “Sasuke-kun”, e se Naruto ci provava il
biondo si sarebbe ritrovato con
un gran bel bernoccolo prima di riuscirci.
Ora,
se non aveva mai sperimentato un colpo della ragazza, come poteva lui
sapere
che facevano male? La risposta è semplice:
Le
cose cambiano.
Si
toccò con una mano pallida la mascella, provocando scosse di
dolore, che si
ramificarono per tutto il volto , al semplice contatto. Anche se
l’avevano
guarito, con riluttanza ma
efficientemente, il colpo si faceva ancora sentire.
L’aveva
colpito senza pietà, la puttana.
Lo
sapeva che non era giusto chiamarla così, perché
nella sua posizione, era lui la
puttana, e Sakura aveva avuto
tutto il diritto di colpirlo e ridurlo in seguito a una poltiglia. Ma
il suo
orgoglio era ferito, e doveva sfogarsi in qualche modo, se non poteva
fisicamente.
Lui,
l’ultimo degli Uchiha,
sconfitto da
una ragazza (no, donna) di malapena la sua età?
Inaccettabile.
Ed
eccolo lì, in quel buco nero che chiamavano cella, seduto
sul pavimento
roccioso e appoggiato ad una parete grigia e consumata e fredda,
ad osservare con un’espressione calma ma tesa
il soffitto che gli sembrava in
quel momento oh-così
interessante, ma
che lo scherniva con la sua lontananza.
Perché
le celle dovevano essere così piccole ma così
alte?
Già
aveva un ego notevolmente diminuito, e ora l’avevano
scaraventato in un luogo
che di certo non giovava alla sua situazione.
Abbassò
il capo improvvisamente, cercando di cambiare soggetto.
Brutta
mossa.
Sbuffò,
mormorando qualcosa sotto voce, probabilmente imprecazioni, portando
una mano
gelida alla base del collo bianco in seguito ad un’imprevista
fitta di dolore.
“Lo
sa, Uchiha-san, non dovrebbe fare movimenti bruschi, nel suo
stato”
Assottigliò gli
occhi scuri quando una luce
colpì il lato sinistro del suo volto e al suono della voce,
decisamente
maschile, ferma e senza sfumature, prese un profondo respiro irritato
mantenendo le mascelle tese e serrate, lo sguardo sulle mani pallide
lasciate
senza troppa cura a penzolare sulle ginocchia, improvvisamente molto
interessanti allo sguardo provato del prigioniero.
Sentì
un rombo basso e ovattato, che decifrò come una risata.
Non
poteva far a meno di
associare il suono
a un grosso felino, che osserva
divertito e trionfante la sua preda, pronto ad attaccare.
E
lui, il povero prigioniero, era la
preda.
“Non
capisco che senso abbia
quest’attitudine…”
Le
parole erano, come al solito, ben scandite e precise, come se scelte
apposta
per la situazione. Poteva sentire una nota di divertimento, e tese ancora di
più la mascella per
controllare la rabbia. Non l’avrebbe data vinta a quello
sconosciuto. Non importava
quanto la sconfitta gli bruciasse nel petto, doveva mantenere vivo quel
piccolo
orgoglio che gli era rimasto.
“…dovrebbe
essere grato al villaggio, avresti potuto subire una pena peggiore di
cinque
mesi di vigilanza sorvegliata dopo tutto quello che è
successo”
‘A
quel paese
l’orgoglio.’
Si
girò verso la fonte della voce, lanciando
un’occhiata irritata alla figura
contrapposta alla luce che fuoriusciva dalla porta aperta della cella.
Come
aveva previsto dalla voce, era un uomo, che sembrava decisamente
scocciato,
appoggiato con un braccio allo stipite dell’entrata. La luce
gli impediva di
identificare la figura, ma sapeva che comunque non ci sarebbe riuscito;
aveva
intravisto, nonostante la stanchezza, una maschera e una spada sulla
persona, tratti
caratteristici degli ANBU.
“Che
diavolo vuoi?”
Ecco,
chiaro e coinciso. Era stanco, stordito ed indolenzito. Non aveva
bisogno di
qualcuno che gli ronzasse attorno blaterando a proposito della sua
situazione.
Era già abbastanza miserabile da solo. Non gli importava che l’avesse
data vinta all’ANBU.
Però,
ora non poco. Poteva praticamente tastare nell’aria viziata
della cella la soddisfazione
dell’altro, e gli costò
molto autocontrollo non attaccare
verbalmente l’ANBU.
“Oh,
niente, volevo semplicemente salutarla”
Un
ghigno rimbombò nella stanza, ed ebbe la tentazione di
coprirsi le orecchie.
“Dopotutto,
questo è quello che fanno i vecchi amici, no?”
Il
suo volto passò da irritato a perplesso alle parole
dell’uomo, e scavò nelle
memorie alla ricerca di un ANBU nel suo passato, trovando solo il suo
odiato
fratello. Quello che aveva davanti non poteva essere
quest’ultimo, e un leggero
sospetto si fece spazio sul suo volto. Forse stava giocando con lui?
“Bentornato
a Konoha, Uchiha-san”
Non
ebbe il tempo di aprire bocca che l’ANBU se n’era
già andato, chiudendo la
porta della cella con uno stridere di metallo e lasciandolo solo nel
buio,
pensieroso.
Le
labbra diventarono una linea inespressiva.
‘I
nervi di quello
stronzo…!’
N.A.
Ed
ecco il prologo della mia prima fic
seria: “The Tormentor” o “Il
Tormentatore”. Avete già capito il motivo del
titolo no? Questa fic è anta dal fatto che adoro torturare
psicologicamente
Sasuke e stuzzicare i suoi nervi, visto che io lo vedo più
come un personaggio
aggressivo che apatico.
Non
vi aspettate coppie Canon, anche se sicuramente un paio ce ne saranno
(tipo la
JiraTsu, che è amore totale XD), ma NON farò
assolutamente quelle più gettonate
(es. Sasusaku, Naruhina) anche perché non lavorerebbero con
quello che ho in
serbo per i personaggi in futuro.
Ah,
ed aspettatevi capitoli più lunghi; questo era solo un
prologo.