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Autore: Signorina Granger    10/04/2018    4 recensioni
Joseph Richardson ha 29 anni quando perde sua moglie in seguito al parto della figlia Diana, e da quel momento la sua vita cambia drasticamente... lasciata la carriera da Auror per cercare chi gli ha tolto la sorella anni prima inizierà a lavorare per la scienziata Cecily DeWitt, dedicando al contempo tutte le sue cure alla sua piccola principessa.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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My little Princess 


Joseph Richardson stava attraversando il corridoio a grandi passi, guardandosi intorno con impazienza e una punta d’irritazione: era andato al Dipartimento per parlare con Richard, di come stesse riuscendo ad infiltrarsi nella Dollhouse… e ora veniva a sapere che sua figlia, che aveva lasciato nelle mani della segretaria dell’amico ed ex collega, era scomparsa.

“Diana?! Qualcuno ha visto una bambina piccola?”
“Infondo al corridoio Richardson.”

“Grazie…”
Joe sbuffò e affrettò il passo, camminando a passo di marcia, quasi con cadenza militare, e le braccia abbandonate lungo i fianchi, rigide con le mani strette a pugno.
Quando giunse sul pianerottolo non seppe se sorridere o alzare gli occhi al cielo, trovando praticamente metà dei vecchi colleghi intorno ad una sorridente bambina bionda che si guardava intorno con curiosità, felice di essere al centro dell’attenzione e di vedere tutte quelle facce nuove.

“Se avete finito con la mia bambina, io avrei delle cose da fare…”
“Oh, non puoi lasciarla qui Joe? È così dolce…”

Miranda, una sua ex collega che teneva la bambina in braccio, sospirò e le diede un bacio su una guancia mentre Diana continuava a sorridere allegramente e Joseph sorrideva appena, avvicinandosi alla considerevole calca:

“Mi dispiace, io e questa signorina abbiamo dei programmi per oggi. Vieni con me Pulcino? O resti qui con loro?”
La bambina di un anno e mezzo esitò ma poi gli sorrise, allungando le braccia verso di lui:

“Con te!”
“Meno male, mi sarei preoccupato in caso contrario… ecco, saluta i tuoi fan.”
“Torna a trovarci!”
“Portala quando vuoi!”

“Perché sembrate più felici di vedere lei rispetto a me?!”
“Lei ha un carattere più socievole, e poi l’abbiamo adottata come mascotte.”

“Ciao!”  Diana sorrise agli Auror e agitò una mano nella loro direzione da sopra la spalla del padre, che la stava portando verso l’ascensore.

“Bene signorina… papà doveva parlare con lo zio Rick, adesso cosa vuoi fare?”
“Gelato!”
“Ma che strano…”


*

 Diana
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“Papà papà papà papà papà guarda! C’è la bambola di Cenerentola!”

Joseph che stava iniziando a prendere in considerazione l’idea che sarebbe morto lì dentro, sospirò quando la figlia, con un enorme sorriso sulle labbra, gli saltellò incontro sollevando la scatola della bambola della sua principessa preferita:

“Didi, ti ho detto che avremmo comprato il vestito per Carnevale, nient’altro.”
“Ma è tanto che non compriamo una bambola. Per favore! Guarda che bella.”

Diana gli mise la scatola tra le mani e Joseph roteò gli occhi prima di lanciare un’occhiata scettica al prezzo, trovandolo decisamente ridicolo per un giocattolo. Accettare di portarla al Disney Store era stata una pessima idea. 
Non che fosse un problema di denaro, certo, i Galeoni valevano molto più delle sterline e cambiandone anche solo qualcuno alla Gringott se ne ricavavano parecchie… ma come gli ripeteva sempre sua madre, doveva trattenersi dal viziare la bambina.

“Didi…”
La bambina lo guardò con aria supplichevole, gli occhioni azzurri sgranati e fissi su di lui, facendolo sospirare subito dopo:

“Va bene. Ma dopo oggi non ti comprerò nessun altro gioco fino al tuo compleanno, capito?”
“Sì! Grazie papy! Vado a provarmi il vestito.”

Diana sorrise e, dopo avergli lasciato la bambola in custodia e avergli raccomandato di stare attento e di non perderla, trotterellò verso i camerini per provarsi il vestito azzurro. 
L’ex Auror lanciò un’occhiata scettica alla bambola, che gli fece fastidiosamente venire in mente Cecily, prima di affrettarsi a distogliere lo sguardo, assolutamente certo che la figlia non si sarebbe tolta il costume da Cenerentola neanche per andare a dormire per un mese.


*


“Papy?!”
“Mh? Che c’è?”

Joseph si girò su un fianco, aprendo a malincuore gli occhi per cercare la figlia con lo sguardo. Diana, in pigiama e i capelli legati in due treccine, era in piedi accanto al suo letto e teneva un peluche stretto tra le braccia mentre lo guardava con aria implorante.

L’uomo rivolse una rapida occhiata alla sveglia sistemata sul comodino, sospirando quando appurò che erano le due passate del mattino mentre la flebile voce della figlia giungeva di nuovo alle sue orecchie, con lo stesso tono malinconico di poco prima, quando l’aveva svegliato:

“Anacleto ha avuto un incubo e vuole dormire con te.”
“Ah sì? Ok, allora lascia qui Anacleto.”
“Ma lui non dorme se non ci sono io, quindi devo restare qui con lui.”

Diana, senza aggiungere altro, si arrampicò sul letto per poi scavalcare le gambe del padre e sistemarsi accanto a lui, abbracciando il gufo di peluche mentre il padre, chiudendo gli occhi, la stringeva con un braccio e parlava a bassa voce:

“Che cosa ha sognato Anacleto?”
“Che tu andavi via e ci lasciavi qui da soli.”
“E tu digli che non lo farò mai, ok? Anacleto non si deve preoccupare.”


*


“Bene, allora… dov’eravamo rimasti?”
“Cenerentola è andata al ballo con la carrozza a forma di zucca!”

Diana, già in pigiama e sotto le coperte con il suo peluche s forma di gufo tra le braccia, sorrise al padre mentre, appoggiata comodamente contro i cuscini, si godeva la sua favola della buonanotte.

“Ah, sì… Beh, quando arrivò al castello era così bella che nessuno la riconobbe, nemmeno la matrigna e le sorellastre, e il Principe rimase così colpito da lei che le chiese di ballare non appena la vide, senza prestare attenzione a tutte le altre ragazze.”

“Ma il Principe come si chiamava?”
“… Beh, il Principe è il Principe!”
“Ma il Principe di Aurora si chiama Filippo! Lui come si chiamava?”

“Non ne ho idea, facciamo Principe e basta.”
“Ma Principe non è un nome!”
“Come sarebbe? Diana è un nome e Principe no, secondo te?”

“Facciamo che si chiamava Joe come te, papy.”

Diana sorrise, guardandolo con affetto mentre il padre doveva agli occhi chiarissimi, sospirando leggermente:

“Va bene, come vuoi Didi. Beh, dicevo… Ballando finirono con l’innamorarsi, ma lei non gli disse il suo nome, e nemmeno da dove veniva.”

Certo, tutto molto verosimile. Ma come ti sei ridotto a ripetere queste stronzate tre volte alla settimana?!

Riusciva quasi a sentire la debole risata di Clare, immaginandola chiaramente osservare la scena dalla soglia della camera, magari appoggiata allo stipite della porta, nel vederlo raccontare Cenerentola alla figlia.

“E poi?!”
“Didi, la sai a memoria…”
“Ma è più bello sentirla raccontare, papy.”

*


La cucina era un colossale disastro, ma Diana aveva trovato alcuni album che ora stava sfogliando con interesse, lasciandoli disseminati sul tavolo.

“La mamma era bellissima.”
“Come te, pulcino.”

Diana sollevò lo sguardo per rivolgergli un largo sorriso prima di tornare ad osservare le foto e poi la sua attenzione si focalizzò sull’unico che ancora non aveva aperto, color avorio con delle scritte che non sapeva leggere e ricoperto da una specie di sottile velo trasparente.

“Questo cos’è?! Cosa c’è scritto qui?”
“Questo è il mio nome, questo quello della mamma e questa è una data.”

“Una data?”
“Sì. Del… matrimonio.”

“Oh! Voglio vederlo!”  Diana sorrise mentre lo apriva e Joseph si alzò lentamente dalla sedia, avvicinandosi alla cucina mentre sentiva solo distrattamente le parole della figlia, che non faceva che ripetere quanto fossero belli i genitori. 

No, lui non aveva molta voglia di vedere quelle foto.

“Papy, hai delle foto di me quando ero piccola?”
“Quanto piccola?”
“Appena nata. Judy ha un album intero con le sue foto.”

“… no tesoro, mi dispiace. Io non… non ti ho fatto molte foto in quei primi giorni.”


Joseph sospirò e si voltò, dando le spalle al mobile e appoggiando le mani sul lavabo per rivolgersi alla figlia, che apparve delusa per un attimo prima di sgranare gli occhi, osservandolo con perplessità:

“Papà, sei triste?”
“No tesoro.”
Joe scosse il capo, poco convinto, parlando a mezza voce e fissando un punto del parquet mentre la figlia continuava a guardarlo:

“Ti manca la mamma?”
“Tanto. Però adesso ho te, giusto?”

Joseph si rilassò leggermente, sforzandosi di sorridere, e Diana scivolò giù dalla sedia per raggiungerlo e abbracciarlo. L’Auror accennò ad un sorriso più sincero, accarezzandole i capelli chiari, infinitamente grato ai medimaghi per essere riusciti a salvare almeno lei. 
Non era sicuro che sarebbe riuscito ad andare avanti dopo la morte di Clare senza la figlia. 


*


Erano stati mesi lunghi, cupi, interminabili e fatti di fin troppi silenzi.
Era sicuro che le uniche altre volte in cui si era sentito così male erano stati i mesi successivi alla morte di Melanie e di Clare.

Per questo motivo Joseph Richardson fremeva d’impazienza mentre aspettava, accanto al binario 9 ¾, di vedere L’Espresso per Hogwarts. Faticava a stare fermo mentre, tenendo le mani in tasca, spostava impazientemente il peso da un piede all’altro e si mordicchiava il labbro inferiore, il collo teso per sperare di scorgere il treno a vapore.

Quando scorse finalmente la locomotiva l’Auror sorrise, sollevato, aspettando con trepidazione che si fermasse sui binari per far scendere gli studenti. Un fiume di ragazzini di tutte le età si riversò sul marciapiede e Joseph sorrise quando, poco dopo, intravide una ragazzina molto familiare sporgersi dallo sportello e guardarsi intorno, cercandolo con lo sguardo:

“Diana!”

Sentendosi chiamare la ragazzina riuscì ad individuarlo, sfoggiando un largo sorriso a sua volta prima di saltare giù dal treno e corrergli incontro, i capelli biondi legati in due trecce che dondolavano ad ogni suo passo:

“Papà!”

Diana lo strinse in un abbraccio che il padre ricambiò, chinandosi leggermente prima di darle un bacio su una guancia e poi prenderle il viso tra le mani, osservandola con aria critica:

“Vediamo… sei cambiata!”
“Ma no!
“Sì invece… sei cresciuta Didi, sei più alta!”

Diana sorrise, quasi come se sperasse che il padre avesse ragione, prima di abbracciarlo di nuovo e mormorare che le era mancato moltissimo. 
“Anche tu mi sei mancata pulcino… Hai fatto la brava?”

“Sì. E ho imparato un sacco di cose, mi spiace non poter fartele vedere.”

 Diana assunse un’espressione sinceramente dispiaciuta ma il padre le sorrise, dandole un leggero pizzicotto sulla guancia prima di metterle una mano sulla spalla e accennando alla locomotiva:

“Non importa, sono sicuro che sei bravissima. Tassorosso è fortunato ad averti, piccola Richardson… ora, andiamo a prendere il baule e la gabbia di Gus, poi faremo quello che vuoi.”

“Ok! Ho un sacco di cose da raccontarti.” 

Diana sorrise e seguì il padre per tornare sul treno, iniziando a raccontare ogni dettagli del castello, del suo Dormitorio e delle sue nuove amiche mentre l’Auror, recuperando la gabbia del povero gatto che aveva avuto la malaugurata sorte di chiamarsi come uno dei topolini di Cenerentola – perché no, non avrebbero mai potuto chiamarlo Lucifero, che Diana odiava, figuriamoci – e rivolgendo un sorriso carico d’affetto alla ragazzina. 

Erano passati solo poco meno di quattro mesi, ma aveva praticamente contato i giorni fin da quando l’aveva accompagnata a King’s Cross ed era felicissimo di riaverla a casa con sè, anche solo per un paio di settimane.
Era sempre tutto molto più bello quando c’era Diana con lui.




Clare era seduta sul divano mentre aspettava che il marito tornasse a casa, impaziente di abbracciarlo e dargli la buona notizia. 
Aveva un libro tra le mani, aperto sul punto dove si era interrotta il giorno prima, ma non riusciva a concentrarsi e non faceva altro che fantasticare, immaginando come sarebbe stato avere quel tanto agognato figlio, chiedendosi se fosse maschio o femmina visto che era ancora troppo presto per dirlo. 

Quando vide delle fiamme verdastre illuminare il caminetto la strega sorrise, drizzando la schiena e alzandosi ancora prima di vedere il marito, abbracciandolo di slancio quando questi uscì dal camino spolverandosi distrattamente la cenere dal mantello.

“Ehy… ciao tesoro. Come ti senti?”
“Mai stata meglio! Ho superato le dodici settimane e pare vada tutto bene, forse questa è la volta buona!”

Clare sorrise e Joe la imitò subito dopo, stringendola nuovamente in un abbraccio e mormorando che era felice di sentirglielo dire mentre appoggiava la testa contro il capo della moglie. 

“Tra tre settimane dovrebbero poterci dire il sesso, non vedo l’ora. Oh Joe, non immagini quanto sia felice. Ti amo tanto.”

Clare, sorridendo, gli prese il volto tra le mani e lo guardò con gli occhi castano-verdi luccicanti e Joe non poté far altro che imitarla, appoggiando la fronte contro la sua prima di parlare nuovamente a mezza voce, gli occhi chiusi e un’espressione rilassata sul viso:

“Ti amo anche io.” 

Ed era felice anche solo vedendola sorridere in quel modo. 

 



Ci terrei a ringraziare tutte coloro che, leggendo Dollhouse, mi hanno spesso ripetuto quanto questo personaggio, insieme a Diana, gli sia entrato nel cuore.
Sono molto affezionata a Joe e alla sua piccolina, quindi grazie per averlo capito e amato... e sopratutto grazie a Phebe, che ha creduto nel nostro Alpha - chiamato anche Alberto - fin dall’inizio.
   
 
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