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Autore: piccina    12/04/2018    3 recensioni
"Non era mai stato un padre tradizionale, ma a quel figlio voleva bene e sentiva che in questo momento aveva bisogno di lui"
Brian alle prese con la difficile adolescenza di Gus fa i conti con il suo essere padre. Justin è al suo fianco.
Idealmente circa una decina di anni dopo la 5X13
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Gus Kinney, Justin Taylor, Lindsay 'Linz' Peterson, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era rientrato la domenica sera, mentre Justin avvertendolo, per altro all’ultimo momento, quando aveva già fatto il check-in si era fermato a NY fino al martedì successivo. La telefonata non era stata delle più simpatiche.
“Potevi aspettare ancora un po’ a dirmelo, praticamente sono sull’aereo. A sapere che non rientravi mi sarei fermato un giorno in più. Grazie eh, Justin!”
Il marito aveva emesso un piccolo suono strozzato: “Hai ragione, scusami. Mi è scappato il tempo, è da dopo pranzo che penso di chiamarti, poi però mi sono svanito. Non riesci a cambiare programma?” “Figurati – aveva commentato con scazzo evidente – stanno chiamando il volo in questo momento. Se decidi di fermarti fino al 4 Luglio, avvertimi, che mi organizzo” aveva concluso ironico. “Dai Brian …” “Mi devo imbarcare, ciao” brusco aveva terminato la conversazione.
“Ciao Naty, ci pensi tu a disfare il bagaglio?” La donna aveva fatto il gesto di prendere il borsone dalla spalla del ragazzo, ma era stata bloccata: “No, aspetta, lo porto io in lavanderia. Pesa”
Nel tragitto aveva notato la tavola apparecchiata per almeno otto persone. Una roba informale, se no Brian avrebbe fatto preparare sotto il gazebo e non lì in veranda.
“Abbiamo ospiti?” aveva chiesto alla donna che gli trotterellava dietro.
“I ragazzi, doppia coppia. Ted e Blacke, Emmett e consorte. Forse, ma non sono sicuri, anche Michael e Ben.”  
“Brian?” aveva domandato in fine.
“In giardino.”
Era seduto al tavolo di ferro battuto, sorseggiava annoiato un pomodoro condito e stava leggendo qualcosa sul tablet.
Lo aveva sorpreso da dietro, gli aveva sfilato il bicchiere di mano e rubato un sorso.
“Ah c’è anche la vodka, mi pareva strano” aveva commentando appoggiando il bicchiere al tavolo, avvolgendogli il collo e appoggiandosi alla sua schiena con il petto. Brian aveva sorriso e bloccato per un momento le mani del marito con i suoi palmi. “Sei arrivato. Ci sono i ragazzi a cena. Non sei troppo stanco, vero?”
“No, mi fa piacere è un casino che non li vedo”
“Già” aveva commentato Brian, ma Justin non aveva colto il sarcasmo.
“Faccio in tempo a farmi una doccia?”
“Sì, dovrebbero essere qui fra una mezz’oretta”
Il chiacchiericcio che aveva sentito scendendo le scale gli aveva fatto capire che qualcuno era già arrivato.
Si era messo informale, braghe corte con i tasconi e polo fuori dai pantaloni, era caldo, ma non quel caldo afoso che faceva preferire l’innaturale frescura del condizionamento alla cena all’aperto.
Bisognava ammetterlo Britin d’estate era una figata, e dopo parecchi anni, non si era ancora abituato del tutto. La luce radente a pelo d’acqua illuminava la piscina, si era fermato un attimo a guardare la scena, prima di farsi notare.
Brian gli era andato incontro, avvolgendogli le spalle: “Naty dice che ci vuole ancora un quarto d’ora prima di sedersi. Vuoi un aperitivo?” Emmett dietro al carrello dei liquori shakerava come se non ci fosse un domani.
Justin si era avvicinato: “Mi fido di te” gli aveva detto, difficilmente ci si pentiva di qualcosa preparato dall’amico. Infatti, come previsto, l’intruglio, dal nome impronunciabile, era buono. Da sempre Emmett utilizzava gli amici come cavie per provare nuove ricette, prima di inserirle nell’offerta della sua attività di catering e organizzazione eventi.
Naty aveva preparato una cena messicana, innaffiata da caraffe di Margarita ghiacciato.
Scendeva giù che era una meraviglia, il vociare e le risate salivano insieme al tasso alcolico della compagnia. Non erano mai stati morigerati anche se adesso dovevano, gioco forza, contenersi un poco. Solo Justin era ampiamente sotto i quaranta. 
“Allora Jus, come va? – aveva chiesto Ted – È parecchio che non capiti più in Kinnetic”
“Sono stato impegnato per lavoro, non ho un minuto libero. Mi sembra di essere tornato agli anni di NY. Non ci avevo più fatto caso, ma Pittsburgh, a volte, va un po’ stretta a un artista”
Era stato un bene che Justin, su quest’ultima affermazione, non avesse incrociato lo sguardo del marito, perché probabilmente avrebbe avuto paura. Non se ne era accorto lui e neppure gli altri, ad eccezione di Michael che si era chiesto cosa cazzo stesse succedendo fra quei due.
“Non lo vogliamo fare un brindisi all’artista? - aveva interrotto la conversazione Brian alzando il bicchiere - A Justin e ai suoi spazi” aveva concluso e la nota acida questa volta l’avevano colta tutti. Justin compreso.
Nei giorni seguenti si era chiesto se Justin si fosse reso conto di aver detto una gran bella stronzata a cena perché era affettuoso, niente di straordinario, ma più della media degli ultimi tempi e come al solito, in lui era prevalsa la tenerezza rispetto allo scazzo. Lo sapeva da sempre, rimanere arrabbiato con Justin non era una delle cose che gli riusciva meglio.
I WhatsApp che illuminavano il display del suo cellulare - improvvisi e più frequenti - per sapere della sua giornata e dei suoi programmi, gli facevano piacere, non poteva negarlo. Continuava a lavorare come un pazzo, ma in qualche modo gli faceva capire di esserci. Neanche a farlo apposta, mentre rifletteva, era arrivata la notifica di un messaggio da Justin:
- Vai in palestra stasera, quando esci dall’ufficio? ;-)
- Pensavo di sì, mi raggiungi?
- Ci provo, ma non ci contare. In ogni caso ti aspetto per cenare. Baci

Era Ted, quello che lo aiutava con i pesi, ormai manco lo chiedeva più. Si metteva dietro e si assicurava che il Capo non si disintegrasse, esagerato com’era in ogni cosa, nel mentre lo rintronava di chiacchiere.
Era stato così che aveva scoperto che Ethan era a Pittsburgh, l’aveva incrociato per strada con Justin due giorni prima. Nulla di strano e in effetti Ted l’aveva raccontato in totale serenità, se non fosse che mentre l’amico continuava a parlare, all’improvviso nella sua testa era riaffiorata proprio quella cena di due sere prima in cui il marito era stato particolarmente chiacchierino e dove non era stato fatto neanche un minimo accenno ad Ethan e al suo arrivo in città. Una semplice dimenticanza nulla di più che però gli aveva dato fastidio, gli era montato il nervoso, improvvisamente si era accorto di avercela un po’ con Justin, sempre più distante, sempre oberato, sempre con la testa da un’altra parte.
Non era un vero e proprio sospetto, era più che altro scazzo, ma uno scazzo strisciante che sembrava scomparire come un fiume carsico e che riemergeva, troppo di frequente ormai, ogni volta che Justin gli sembrava su un altro pianeta.
Linz senza dubbio gli avrebbe detto di piantarla, che forse era il caso di accettare che per una volta poteva non essere il primo pensiero del marito, che era un viziato e che Justin l’aveva abituato troppo bene.

Justin aveva preparato fuori, sotto il gazebo fiorito. La cena non era nulla di elaborato, ma c’era qualcosa di intimo, quella sera, in quella tavola apparecchiata per due. Sembrava fuori luogo, ma non era riuscito a tenere la lingua in bocca. Le parole di Ted gli avevano lasciato un sapore amaro e voleva toglierselo.
“Ted dice che vi siete incrociati”
“Si, qualche giorno fa in Liberty Avenue”
“Non me l’avevi detto”
Justin aveva alzato le spalle: “Me ne sarò scordato …”
L’indifferenza di Justin lo faceva ribollire. Mi prende per il culo!
“Pare non fossi solo” e queste parole le aveva scandite fissandolo dritto negli occhi.
Il marito sembrava sorpreso, ma non dall’affermazione, piuttosto dall’espressione truce sul suo volto. Era rimasto un attimo interdetto, come se cercasse di mettere in ordine le idee, poi aveva annuito. “E’ vero. Ted l’ho incrociato all’uscita dalla libreria, non prima. Ero con Ethan, ci siamo incontrati fra gli scaffali e poi ci siamo fatti una birretta. Non mi ricordavo neppure che mi aveva detto sarebbe stato in città.”
“Ma quante cose ti dimentichi ultimamente”
“Brian?”
“Justin” aveva ribattuto con voce da schiaffi.
“Mi stai facendo incazzare” aveva sibilato, stringendo gli occhi a fessura, il ragazzo.
Brian aveva annuito compiaciuto. “Ah tu ti stai incazzando”
“Puoi ben dirlo. Questa non è una cena è un interrogatorio e dal momento che non ho piacere a cenare con Torquemada, ti saluto” Senza un’ulteriore parola stava guadagnando la porta finestra per rientrare a casa.
Brian si era alzato facendo cadere la sedia, il tonfo aveva fatto girare Justin che si era bloccato sui suoi passi, permettendo a marito di raggiungerlo.
“E no, caro mio, non te ne vai. Me l’hai già piantato in culo una volta con sto violinista del  cazzo”
“Sei offensivo Brian. Vaffanculo”
“Fantastico. Io sono offensivo, non tu che mi racconti cazzate da settimane”
Justin aveva scrollato la testa, contraendo il volto in una smorfia.
“Datti una calmata perché straparli”
“Straparlo?” aveva ribattuto sarcastico e aggressivo.
“Decisamente” aveva ribadito lapidario il marito che non accennava ad abbassare lo sguardo con il quale lo stava incenerendo.
“Vai, vai aveva urlato esasperato – Fai il cazzo che ti pare, come hai sempre fatto, del resto”
Quelle parole ingenerose avrebbe dovuto farlo incazzare ulteriormente e invece …
Era stato il tono, forse. Più probabilmente la postura, le spalle avevano ceduto, schiacciate da un peso difficile da sostenere e il passo si era fatto leggermente strascicato che erano i tipici segni di Brian quando soffriva. E lui non voleva farlo soffrire, certo non per un tradimento che esisteva solo nelle sue paure. Fanculo se si sentiva ferito e offeso dal solo fatto che l’avesse pensato. L’aveva colto alla sprovvista, allacciandolo alla vita, da dietro, con una foga che aveva rischiato di farli finire a terra.
“Brian – gli aveva detto piano, alzandosi sulle punte per avvicinarsi all’orecchio. Non c’è nessuno, nessun altro oltre te. Non devi neppure pensarlo, io ti amo e non da ieri.  Posso essere stronzo e anche egoista a volte, ma non sono un traditore.” L’aveva indotto a voltarsi, si era appeso al collo, mentre Brian rimaneva immobile, le braccia lungo il corpo. “Ethan è mio amico e basta, non c’è nulla fra di noi e non c’è nulla con nessun altro. Hai capito, Brian? Guardami! Hai capito? Mi dispiace tanto se ti ho portato a pensarlo. Sto lavorando come un pazzo, ma è tutto qui. Mi dispiace Brian, non sai quanto.”
Aveva fatto scivolare una carezza sulle braccia inerti del marito fino ad arrivare a incrociare le dita delle loro mani. “Perché non me ne hai parlato?” la voce era stanca. “Non lo so, mi è scappato di mente, non è che fosse una notizia fondamentale, almeno per me. Sono stanco morto e sono ancora più sbadato del solito, ma ti giuro non c’era nessuna malizia. Sono un po’ rincoglionito, ma questo dovresti saperlo. Mi manchi anche tu, cosa credi.”
Poi un lampo stupito e un po’ divertito aveva attraversato gli occhi di Brian, le spalle nuovamente dritte: “Ho fatto una scenata di gelosia.” Non ci poteva credere neppure lui.
Justin gli aveva stretto il mento tra le dita e gli aveva cercato la bocca: “Sei arrapante quando sei geloso” Con un gesto brusco Brian l’aveva stretto a sé, petto contro petto, aveva piegato le gambe, per abbassarsi quel tanto da portare le loro erezioni a toccarsi. “Arrapante” aveva ripetuto sulla bocca di Justin. “Geloso” aveva rilanciato il marito, un attimo prima di far entrare la lingua di Brian. Si erano staccati quando l’ipossia era più di un’ipotesi, erano rimasti con i volti vicini, gli occhi negli occhi ed erano scoppiati in una risata liberatoria, interrotta prosaicamente da Brian: “Sarebbe un grosso problema se puntualizzassimo la precedenza da dare gli aggettivi dopo che ti ho scopato?”
“No, direi di no” gli era saltato in braccio circondandogli la vita con le gambe e iniziando a leccargli il collo. “Sei buono, hai sempre un buon sapore …”
“Così non ci arriviamo in camera”
“Salottino, piano terra, ce la puoi fare Kinney, muoviti”

  
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