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Autore: HikariRin    12/04/2018    1 recensioni
The Realm Between è una storia che indaga le motivazioni per le quali Isa e Lea si sono separati; copre l'arco narrativo della saga da Birth by Sleep al finale di Dream Drop Distance. Il legame tra i due protagonisti, tra i ricordi e il presente, è come un reame di mezzo: qualcosa che non è più possibile trovare nella stessa forma in cui è scomparso, cui farà da sfondo una delicata riflessione sui sentimenti e sull'esistenza.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Isa, Lea, Roxas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH Birth by Sleep, KH 358/2 Days
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Realm Between'
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The Realm Between ~ 9


Tramonti
 

Mi aveva chiesto di provarci davvero, ma non avrei saputo a chi dei due riferire il significato di quelle parole. Non c’era mai stata una sola volta in cui io non ero stato sincero. Avevo sempre voluto liberarmi dalle catene che ci tenevano imbottigliati in quel mondo insipido, ma avevo la sensazione che per qualche tempo a non volersene andare fosse stato lui, e da quando era salito al comando che avesse cambiato piani.

Roxas era con noi ormai da tre mesi, e come non riuscivo ad abituarmi alla vista del mio cuore lontano non riuscivo con quelle sensazioni di intensa euforia o intenso dolore che mi coglievano di tanto in tanto mentre mi trovavo con lui. Avevo provato le medesime sensazioni quando nel Castello dell’Oblio mi ero trovato a stretto contatto con Sora, ed erano ciò che più avrei voluto conservare del mio rapporto col loro.

Osservavo attentamente Roxas, che nel tempo sviluppava espressioni e locuzioni tipiche dell’essere umano.

Mi confondeva e mi attraeva enormemente al tempo stesso; tornava saltuariamente a farmi riflettere sulla nostra condizione di Nessuno, e mi chiedevo seppure non avessimo diritto di esistere se il nostro cuore potesse reagire anche a distanza. Avrei voluto che anche Isa si associasse con lui; in questo modo avrebbe potuto capire. Ma non avrei mai potuto chiedergli niente del genere; a Roxas pareva addirittura che Sa
ïx lo odiasse. Sapevo che non poteva essere così, Isa non sentiva davvero niente. Ma al fatto che m’intimasse di non avere amici non potevo acconsentire. L’amicizia non è solo qualcosa che sentiamo, può anche semplicemente essere considerata un tipo di legame; esattamente quello che volevo difendere anche con lui.

Mi risultava evidente che Isa teneva molto a ciò che avevamo trascorso insieme; aveva sempre un occhio su come stavano procedendo le cose fra me e Roxas. In fondo al vuoto che il mio cuore aveva lasciato, non potevo evitare di chiedermi per quale motivo lo faceva. Avrei escluso a priori qualsiasi sentimento, e conclusi che sapeva qualcosa della verità dietro al Nessuno dell’Eroe del Keyblade che non voleva rivelarmi.

Mi ero reso conto di aver sbagliato nel seguire le emozioni che Sora e Roxas mi avevano regalato fino a quel momento, proprio quando non avrei potuto permettermi alcunché. Avrei dovuto comportarmi come un freddo calcolatore, liberare la mente dei miei ricordi e considerare il cuore un inutile fardello, eppure questa è la nostra natura. Seguiamo ciò che ricordiamo, ciò che è nostalgico. Per quanto Isa volesse trascinarmi indietro e riportarmi al nostro originario proposito, non avrei più potuto fare a meno di seguire Roxas.

Era tutto un azzardo. Voler capire, voler sentire, voler scavare sempre più a fondo. Se avessi trovato una via più breve per tornare ai sentimenti, attraverso essa avrei guidato Isa fuori da quel modo di pensare.

“Di' un po’, ragazzo. Come consideri la vita?”

Stava seduto al tavolo, con un mazzetto di carte in mano. In quella mattina scura come tutte le altre, il Numero X mi propose un interessante spunto di riflessione. Allora pensai alla mia vita, quella precedente.

“Come qualcosa che oramai abbiamo perduto, suppongo.”

Luxord sorrise. E posizionò sopra alle altre un’altra carta sul tavolo.

“Se alludi alla nostra condizione attuale, è vero. Abbiamo già perso quella partita.”

“Allora è inutile interrogarsi. Quello che facciamo adesso non è vivere.”

“Sei sicuro? Aneliamo ad una condizione migliore. Questo è in sé vivere.”

Mi fermai a riflettere, e mi appoggiai allo schienale della sua sedia.
Si volse verso di me con il medesimo sorriso, e mi porse due carte coperte, che afferrai.

“La vita è un gioco. Ogni giorno si mette qualcosa in palio, si vince e si perde. Però quel ragazzino che è arrivato da poco, Roxas, non la vedrà mai come te. Più tempo le nostre lancette segnano, più siamo propensi a rischiare, e privi della lucidità che ci permetterebbe di concentrarci perdiamo più spesso. Ecco perché la nostra mano conta sempre meno carte da giocare. Ma fino alla fine, non possiamo evitare di voler vincere.”

Voltai le due carte, e notai che rappresentavano l’estrema vincita e l’estrema perdita. Mi concentrai su quest’ultima, e immediatamente compresi quanto il vecchio aveva ragione; mossi gli occhi sull’altra, e mi chiesi cosa avrei potuto avere ancora da guadagnare.

“Ci sono ancora tante sfide che non posso permettermi di perdere.”

“Allora sei ancora giovane.

Concluse, dandomi l’impressione che sapesse davvero qualcosa riguardo a come s’inganna la vita.

Continuavo ad osservare quei simboli nella mia mano. Insomma, proprio quando avevamo cominciato a pensare che potevamo considerare un dono la perdita del mio cuore, perché grazie ad essa avremmo potuto lasciare quel luogo in cui saremmo sempre stati soggiogati dalla volontà di qualcun altro, la mia esistenza aveva voluto giocare con me lasciando che seguissi dei sogni, e così ero entrato in competizione con lei.

Bell’affare.

“Buongiorno.”

Demyx salutò con il suo sitar al seguito, e mentre si sporgeva verso il frigorifero mi sorrise bonariamente; pensai che aveva superato la questione Vexen, che in fin dei conti sarebbe stato meglio scordare.

“Non lavori neanche oggi?”

“Lavoro, lavoro. Sono solo venuto a rinfrescarmi l’ugola.”

“Hai ragione, Numero IX. Stressarsi eccessivamente riduce lo zelo.”

Luxord terminò il suo solitario, e pareva insolitamente fiero di aver vinto il suo gioco.
Come aveva detto Roxas, sembrava divertirsi quando aveva successo.

“Insomma, nessuno dei due vuole lavorare.”

Mi lasciai sfuggire un sorriso, uno di quelli veri. Capitava di rado che fossimo tanto affiatati.
Più frequentemente capitava che qualcuno pensasse di rovesciare l’Organizzazione. Come me e Saïx, del resto. Non era sempre bello mentire, ma d’altro canto sarebbe stato l’unico mezzo per vincere.

“Sai, ultimamente sembri più allegro.”

Demyx si avvicinò a me sorseggiando un intruglio colorato, e rispondi piegando lievemente il capo.

“Lo credi anche tu?”

“Chi altro lo pensa?”

“Avete già scialacquato troppo del vostro tempo.”

Come previsto, ecco a ruota degli scansafatiche il vendicatore delle missioni inconcluse, che seguitava con fresca ironia a prendersi gioco di tutti loro. Presomi distante dagli altri mi disse che di lì a poco sarei dovuto tornare nel Castello dell’Oblio. Capii che non erano ordini diretti di Xemnas, ma qualcosa di furtivo legato ai suoi reali obiettivi; nemmeno Saïx capiva quali. Vero era che Xemnas cercava qualcosa in quel castello, e che le sperimentazioni che Vexen vi stava conducendo avevano probabilmente a che fare con esso. Tentai ancora una volta di liberare la mente e di abbandonare qualsiasi effimera sensazione, perché se avessi rimuginato su una sola di esse avrei potuto associare un vago senso di colpa al ricordo del fatto che avevo eliminato Vexen e Zexion per garantirci il successo. Sentivo, comunque, che nelle istruzioni di Saïx c’era qualcosa di più . Cercava di allontanarmi da Roxas, era come se mi stesse chiedendo di tradirlo.

~


Il giorno dopo annunciarono che avremmo avuto una giornata libera. Nel salone trovai Roxas, intento a cercare qualcosa che gli permettesse di occuparla in attesa della nostra serata insieme. Non aveva cognizione di cosa fosse una vacanza, e quando gli spiegai che non avrebbe dovuto lavorare sembrò sorpreso, ma profondamente smarrito. Quanto a me, avrei voluto dormire per non fermarmi a riflettere.

Il ricordo della nostra ultima giornata libera era ancora capace di farmi sussultare, sebbene avessi deliberato che mai più lo avrei lasciato entrare così a fondo. Se avessi avuto un cuore avrei sentito l’immensa sofferenza che mi sarebbe derivata da quel mio tentativo andato a vuoto di recuperare qualcosa con lui, e quella rimanenza che ogni tanto ne sentivo non avrei potuto che associarla in qualche modo alla sua presenza, alla sua persona o al fatto che entrambi non avevamo potuto esprimere sentimenti a riguardo, o al fatto che eravamo disperati e che dunque, nella nostra disgrazia, avevamo deciso di unirci.

Lo incontrai nel salone, mentre rimuginava su qualcosa adagiato sul divano, e prima di ritirarmi nella mia stanza mi sedetti accanto a lui ringraziando di non avere un cuore.

Il pensiero vagava naturalmente al fatto che lui potesse aver dimenticato.

“Come passerai questa giornata?”

Non mosse nemmeno gli occhi, ma non mi arresi; non capivo se fosse un tentativo di allontanarmi allo stesso modo di tutti gli altri che erano venuti prima. La spinta verso la nostra amicizia era comunque più forte di qualunque altra motivazione, e decisi di non darla vinta al suo muso lungo per l’ennesima volta.

“Vorresti tornare sulla torre?”

“No. Xemnas mi ha dato da fare.”

“Ma è la giornata libera.”

Voltò lo sguardo, e mi guardò come se qualcosa mi fosse sfuggito.
Come se avesse voluto dirmi che non esistevano giornate libere.

“Tu, piuttosto, dovresti prepararti per partire.”

Ricordo solo che spostai gli occhi sul pavimento senza colori. Tutto, in quella stanza, era senza colori. Solo io mi sentivo macchiato di ogni tono. Il nero, lo scarlatto, il grigio del mio senso di colpa, il colore dei suoi occhi, e pensare di dover tornare in quel luogo ancora più bianco mi provocava un vago senso di nausea.

“Isa…”

“Saïx.”

Non replicai a quella che mi era parsa l’ennesima farsa.
Sapeva che non avrei mai potuto dimenticare il suo nome.

“Se scoprissimo qual è il vero intento di Xemnas e non funzionasse, esisterebbe un altro modo?”

“Quando sarai lì, scruta ogni cosa.”

Uno degli angoli delle mie labbra si allargò in un lieve sorriso.
Dunque era quello il significato delle parole ‘provarci davvero’.

Ed era qualcosa che gli altri non dovevano sapere.

“Cosa vorresti fare, una volta che avrai ottenuto indietro il tuo cuore?”

Mentre rifletteva, per un attimo mi sembrò di rivedere la persona ch’era un tempo.

“Vorrei tornare a casa.”

Sentii una morsa comprimermi il petto anche se, realmente, non potevo sentire alcun sentimento.

“Anch’io.”

“Lea.”

Il sorriso sincero che aveva colorato il mio viso svanì. Non lo corressi, e presi a fissarlo chiedendomi se si fosse accorto di come mi aveva chiamato. Saïx non finì mai la frase. Mi addormentai chiedendomi cos’avrebbe voluto dirmi. Non provavo niente, solo un disperato senso di vuoto, e al posto di un’emozione c’era solo l’agitazione per un qualcosa che non c’era. Quella sera raggiunsi Roxas sulla torre dell’orologio.


“Come trascorrevi le tue vacanze estive?”

Gli avevo raccontato di quando vivevo come un normale ragazzino della sua età. Gli dissi che ero un po’ come quei ragazzi che si rincorrevano nella piazza. Vivevo alla giornata, senza pensieri. Facevo quello che mi andava. Ero felice. Mi ascoltava sorridendo dolcemente, e non potei fare altro che sorridere a mia volta.

“Avevo un amico.”

A questa notizia sorrise ancor più di prima, pareva entusiasta.

“Facevate insieme i compiti?”

Frizionai i capelli con fare imbarazzato. A dirla tutta, ero imbarazzato davvero.

“Durante l’estate gli insegnanti ci riempivano di compiti, era davvero noioso. Non ero uno che ci teneva particolarmente; il mio amico invece sì e mi riprendeva sempre, perché avevo la brutta abitudine di non finirli per tempo. Ogni sera salivamo su una torre proprio come questa. Senza gelato. Guardavamo la luna.”

Il mio discorso si fermò per un momento, e Roxas si sporse per potermi guardare meglio in viso.

Mi resi conto di avere ancora della nostalgia per quei giorni. Come se avessi avuto un cuore, quando parlavo del principio della nostra amicizia il mio sorriso calava gradatamente come la luce al tramonto.

“A lui piaceva molto. Diceva che io ero il sole, e lui si sentiva l’opposto di me.
  Salivamo sulla torre al tramonto e restavamo fino a sera.”

“Parlavate delle cose più stupide?”

“Il tempo scorreva senza che dicessimo niente. Quando hai un cuore che parla, non ti servono le parole.”

“E questo amico ce l’hai ancora?”

Per la prima volta aveva finito il gelato prima di me.
Mi mostrò fiero il suo bastoncino vuoto, e sorrisi di nuovo.

“Perché me lo chiedi?”

“Mi piacerebbe conoscerlo.”

Il mio gelato cominciava a sciogliersi. Non avevo la forza di addentarlo per avvertire soltanto più freddo.
Osservavo quei ragazzini che facevano ancora baccano, e realizzai che Roxas mi faceva sentire come allora.

“Sai, Roxas… Adesso non è più tutto come prima.”

Roxas non avrebbe mai potuto comprendere cosa significasse avere qualcosa di prezioso. Non aveva mai avuto niente del genere. Senza un cuore non puoi dare valore a qualcosa. Fu in questo modo che glielo spiegai e parve capire, anche se non fino in fondo riguardo al motivo per cui le cose che consideriamo preziose possano dimostrarsi una debolezza. L’amore è un sentimento importante, è un sentimento potente. Lo ricordavo bene. Non che io volessi eludere le sue domande. Semplicemente volevo smettere di ricordare.

Quando non puoi provare amore, sei solo vuoto dentro.

È una debolezza quando prende tutto di te.

Roxas non aveva tanti amici, ma qualche tempo più tardi disse di avere paura di potermi perdere.

Non avevo mai pensato che si potesse perdere qualcosa pur non avendo diritto di esistere.

Volevo solo tornare come prima, ad essere ed avere.


“Credo tu abbia trovato il modo migliore di comunicarlo, Roxas.”

Gli dissi, di fronte ad un altro di quei tramonti. Aveva detto di essere davvero spaventato, e nel profondo volevo credergli. La sua espressione non contraddiceva le sue parole, come quelle di tutti quanti noi.

“Ricordi il mio amico delle vacanze estive? In realtà, la nostra amicizia si è spenta.”

Sebbene facesse male, mi pareva quasi di scorgerci nel sole, sulla torre del Giardino Radioso.

“Non so di chi è la colpa, e non m’importa. A volte ho paura; paura di svegliarmi e di non vederlo più.

  Qualcosa me lo ha portato via, e penso di non poterci arrivare. Se anche glielo spiegassi, non capirebbe.”

“Perché dici così?”

Aveva nuovamente finito il gelato per primo, ma aveva sul volto un’espressione diversa. Tenevo molto a Roxas. Era un amico vero. Si preoccupava per me, anche quando parlavo di cose ormai trascorse.

“Perché per lui non esiste amicizia, da quando non ha un cuore.”

“Il tuo amico è un Nessuno?”

“Sì.”

Alzò lo sguardo, e pareva stesse ragionando su chi poteva essere tra i Nessuno che conosceva.
Lo vedevo assorto, e sul mio viso si dipinse un altro vero sorriso che non notai immediatamente.
Me ne accorsi solo quando lui tornò a guardarmi negli occhi e sorrise a sua volta.

“Non potresti semplicemente farti avanti per primo?
  Quando ancora non potevo parlare, tu dialogavi con me.
  È stato allora che ho capito l’importanza delle parole.”

Poi il profondo azzurro nei suoi occhi si riflesse nei miei.
Il suo sorriso riempì il mio cuore di un’infinita dolcezza.

Sentivo. Sentivo qualcosa.

“Se ora parlassi anche con lui, sono certo che si esprimerebbe.”

Era un miscuglio di nostalgia, serenità e dolore.

“Tenterò, Roxas.”

~

Nei giorni seguenti io e Roxas affrontammo una marea di discorsi, più o meno stupidi; divenimmo migliori amici. Tentai anche di parlare con Saïx, ma ancora una volta non volle essere sincero. Pensai che il percorso da lì a dirgli come mi sentivo nei suoi confronti sarebbe stato difficile, e rinunciai.

Mi risentii a causa del fatto che stava facendo preoccupare Roxas con tutti quei segreti e che in qualche modo ce l’aveva con me, come se non avesse ancora afferrato qual era il mio temperamento.

Un giorno non troppo lontano, però, mi ritrovai al Castello dell’Oblio e appresi la verità su Naminé. Il Progetto Replica era stato portato avanti più di quanto credessi prima che io riuscissi a fermarlo eliminando Vexen e Zexion, e grazie alle abilità di quel Nessuno speciale collegato a Sora erano state create diverse Repliche. Xemnas avrebbe voluto servirsene per i suoi scopi. Non mi era chiaro a cosa servissero tutte quelle bambole, ma capii che Saïx aveva voluto mettermi in guardia da quella che si trovava più vicina a Roxas di quanto le sarebbe dovuto essere concesso. Così stava scritto in quei rapporti segreti. Ricordo che anelai ardentemente che l’oblio colpisse anche me, in modo da poter ricominciare da capo una terza volta, con Isa.

Il giorno seguente venni assegnato ad una missione proprio con Roxas. Ci recammo in un mondo nel quale lui disse di aver volato. All'inizio non volevo crederci, ma incontrammo una ragazza, una fata molto piccola. Su richiesta di Roxas rilasciò una speciale polvere magica, e in un battito di ciglia era già in volo. Lo osservavo ammirato, e quando mi invitò a fare la stessa cosa mi mostrai scettico.

“Non si può volare senza desiderarlo ardentemente.”

“Allora ti basta desiderarlo! Non ti piacerebbe poter ammirare il tramonto dall’alto?”

Mi indicò la distesa del sole di mezzogiorno che splendeva alto sopra le nostre teste.
Avrei voluto fondermi con lui, il mio elemento, per poi guardare giù e sentirmi libero.

Roxas mi spronò a crederci; credetti in lui che era il mio migliore amico, e mi sollevai anch’io in volo. Completammo la missione in pochissimo tempo e ci fermammo ad assaporare la libertà. Quella che provavo era una sensazione fantastica; sentivo di poter arrivare fino al cielo, di potermi slegare, di poter fuggire.

Allo stesso modo del sole, anche la luna da quell’altezza mi sarebbe parsa più vicina. Roxas era accanto a me e sorrideva, mentre mi tendeva la mano. La tenni stretta, e sorridendo non avrei saputo dire a cosa davvero guardai in basso. Da diverso tempo non sentivo quella stretta al petto di quando si vorrebbe piangere.

Mi sembrava di essere il vecchio Lea, catapultato in un mondo nuovo. Tutto era come sarebbe dovuto essere.

 “Avevo ragione io.”

Dissi sommessamente. Roxas si volse verso di me, e sorrise al mio sorriso. In quel momento era passata ogni cosa. La nostra amicizia perduta, le mie colpe, quelle di Isa, le catene, l’oscurità, il bianco della prigione.

“Non serve un cuore per desiderare ardentemente qualcosa. E il desiderio è l’espressione dell’anima.”

“Ma che discorsi fai in un momento come questo?”

Roxas rise delle mie parole, pur essendomi venuto vicino per ascoltarle. Scossi la testa e strinsi la sua mano.

Per la prima volta da quando mi conosceva mi vide davvero felice.

 

“Roxas, saliamo ancora più in alto.”


~


Quella sera il gelato era più buono del solito. Non avevo smesso un attimo di tenergli la mano.

In cima alla torre il sole non era così caldo come in quel mondo, ma il mio animo lo era ancora, e quando avevo comunicato ad Isa che la missione era stata conclusa mi aveva visto entusiasta. Le altezze, le torri, il giorno e la notte, avevo cominciato ad amarli per merito del mio amico delle vacanze estive. Ne parlai a Roxas, che sdraiato in direzione del tramonto accanto a me ascoltava contento. Lo carezzavo gentilmente tra i capelli, e seguitavo ad osservare il cielo. Non avrei mai voluto che quel giorno finisse. Di tanto in tanto Roxas si appoggiava a me e sonnecchiava sulla mia spalla. Quel volo aveva spossato entrambi, ma avrei voluto farlo ancora. E, com’era naturale, avrei voluto portarci anche Isa. La luna avrebbe meritato dal pontile di quella nave, ma ancora di più a pochi metri dal muro invisibile tra i mondi. Una scoperta fantastica.

Tenevo una mano sollevata in direzione del cielo, mentre l’altra estremità cingeva Roxas che riposava sereno. Le nuvole rossicce e di color arancio attraversavano la distesa ad una velocità impressionante, e in quell’atmosfera pacata e serena per qualche momento chiusi gli occhi anch’io.
 

“Lea… Quando perderò la mia luce, tu verrai a salvarmi?”

Sorrideva al tramonto, in una delle poche giornate in cui si era rivolto a me.

 “Lo sapevi? La luna non brilla di luce propria. Il sole la illumina.
Tu sei come il sole; irradi chi ti sta intorno.”

Voltandosi verso di me, sorrise teneramente. Sollevai le spalle, e attesi il seguito.

“Quando esaurirò il riflesso della luce che avrò avuto da te, potresti tornare a portarmene un po’.
In questo modo, la nostra amicizia non si spegnerà mai.”

Mi sporsi lievemente dal bordo per vederlo in viso. Non era come le altre volte.
Mi faceva presagire che qualcosa sarebbe potuto accadere, per cui avrei potuto non vederlo più.

“Ti senti bene?”

“Se mi perdessi in un luogo buio, sei l’amico che chiamerei.”

“Non dire queste cose, è angosciante.”

“Verrai?”

I suoi occhi mi scrutavano fin nel profondo, mentre suo sorriso si era già spento. Alle volte, sapeva scherzare.
Quella volta, credo che il desiderio che dicesse sul serio derivasse direttamente da me.

Mi porse il dito all’estremità della mano destra, proponendomi una promessa.
Anche il mio sorriso si spense per un attimo, ma tornò a splendere non appena accettai.

“Ma in che modo dovrei salvarti?”

“Ricordami della tua luce.”

 

Quando aprii gli occhi non fu semplice tornare al presente. Nell’aria v’era il soave profumo di una promessa sbiadita nel tempo. Quella stretta al petto non voleva abbandonarmi, e allora mi venne in mente cos’altro non è possibile fare senza un cuore. La mia mano protesa verso il cielo era in realtà protesa verso il mio amico da salvare. Ma ero privo di luce, non avrei potuto fare niente. Avrei dovuto rafforzare il mio cuore.

Roxas mi sentì inviare un sospiro al cielo, e si sollevò per darmi un po’ della sua luce, o il suo riflesso.

“Cosa fai?”

“Evoco il mio Keyblade.”

Guardò attentamente la mia mano, e lo vidi vagamente spaesato.

“Hai un Keyblade?”

“No, ma ne vorrei uno.”

“Non è difficile.”

Sollevò una mano allo stesso modo, e nell'aria si materializzò il suo.
Unii la miamano alla sua nell’afferrarlo al centro. Forse perché non c’ero abituato, era pesante.

“Il Keyblade è un’arma particolare. Apre i cuori, chiude i mondi. Dona la luce.
  Per esseri oscuri come noi, forse non c’è altra speranza.”

“Non serve un cuore per averne uno?”

“È così.”

Chiuse la mano, e il Keyblade scomparve quando rimase solo la mia a tenerlo.
Si voltò tenendosi appoggiato sulle braccia, e congiunse le mani di fronte al viso.

“Chissà perché io ho la capacità di evocarne uno, pur non avendo un cuore.”

“Perché tu sei speciale.”

Mi guardò come se avesse già sentito quella frase. Quando abbassai nuovamente lo sguardo si preoccupò ancora per me, ma io lo guardai ancora sorridendo, ed era come se dentro di me risuonasse ancora quella promessa.

“La tua amicizia è importante per me, Roxas. Potresti prestarmi la tua luce ancora per un po’?”

Esistere o non esistere, non m’importava più. Persino nell’oscurità più profonda è possibile trovare la luce.


Il mondo che avevo visitato quel giorno era come quello in cui avrei voluto portare il mio amico di un tempo.
Un luogo dove saremmo potuti tornare bambini, colmarci della luce. Essere liberi. Non crescere mai più.



Note dell’autrice:

Questo capitolo si apre con il Giorno 96, ed anche nel gioco originale non abbiamo notizie dei nostri beniamini fino al Giorno 117. La seconda giornata libera della storia coincide con il Giorno 118, durante il quale Roxas scrive sul suo diario che non ha ancora consegnato ad Axel il bastoncino con su scritto ‘Hai vinto!’; non potrà farlo ancora per molto tempo, in quanto il giorno dopo Axel partirà nuovamente per il Castello dell’Oblio. Tornerà nel Giorno 149, ed il centocinquantesimo è quello durante il quale si ambienta la scena sulla torre nella quale Axel parla per la prima volta a Roxas del suo amico delle vacanze estive.

Proprio il giorno successivo Roxas e Xion si separeranno per la prima volta, ma questo Lea non può ricordarlo, nonostante ricordi invece di come Roxas abbia un modo di preoccuparsi per gli altri che ricorda molto quello di Sora, di un umano. Il Giorno 171 è quello in cui Roxas parla con Xaldin dell’amore nel Castello della Bestia, e nel quale chiede ad Axel cosa sia una volta sulla torre; qui avrei voluto inserire una scena nella storia, di poco precedente a quando Axel avrebbe rivelato nel gioco a Xion che i suoi ricordi non gli erano mai serviti a molto, ma ho scelto di non nel dubbio che fosse o meno un ricordo sepolto per Lea.

Axel prova realmente a seguire il consiglio di Roxas, e parla con Saïx della verità su Xion durante il Giorno 172; scena peraltro nella quale Saïx dice ad Axel di non essere mai sincero a sua volta, come un rimprovero – ossia il modo in cui dice la maggior parte delle cose. Nello stesso giorno Xion cade addormentata, e solo quando si sveglierà Axel scoprirà la verità su Naminé (194). Il capitolo termina nel Giorno 195, con la missione nell’Isola che non c’è e con la conseguente scena sulla torre.

Se nel capitolo avete scorto qualche hint AkuRoku, non avete sbagliato, era tutto calcolato. Axel e Roxas sono teneri, ma vedo Roxas più come un ragazzino che sta scoprendo il mondo piuttosto che come uno che Axel potrebbe irretire. È diverso dal legame che nella mia storia Axel ha cercato di creare con Saïx. Quello serviva a risolvere qualcosa, a creare un legame per forza; quello con Roxas, invece, è un rapporto autentico.

Ciò nonostante nel mio immaginario non è difficile che tra loro si creino scene dolci come quella che ho portato alla fine del capitolo.

In fondo l’AkuRoku è sempreverde, per questo mi sono impegnata caldamente a scriverne anch’io.

Un’altra delle motivazioni della rottura tra Lea e Isa è sicuramente che Lea non parla con Isa di quello che avverte quando è con Roxas. Sa
ïx non potrebbe capire. Quando Axel si sente improvvisamente nostalgico, sente anche che oramai sono troppo distanti perché tra loro possa nuovamente esserci quel rapporto. In più il fatto che l’altro sembra trattenere diversi segreti lo indispone, perché sembra sempre che voglia intimargli di smettere di associarsi con Roxas, ed arriva un momento in cui Roxas diventa il suo migliore amico e Lea non può più non associarsi con lui. Così è anche nei confronti di Xion, dalla quale in realtà nasce la riluttanza di Lea. Saïx si rivolge a lei come ad un fantoccio, una bambola, una cosa, e Axel non capisce perché.

Ci accingiamo a raggiungere la fine di questa storia, quindi vi do appuntamento al prossimo capitolo.

   
 
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