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Autore: reggina    14/04/2018    4 recensioni
Si dice che i gemelli abbiano un legame misterioso, speciale e invidiabile.
James e Jason , forse incatenati allo stesso destino, imparano da subito di non essere il centro del mondo.
Si guardano le spalle, si proteggono e si difendono l'un l'altro. Sempre.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gemelli, Tachibana/Derrick
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quando finalmente le corsie offrono un senso di calma, di certo solo apparente, e anche il dolore è acquietato grazie alle medicine che stanno assolvendo ai loro compiti come dei bravi soldati, Jason insiste per tenere ancora un po’ di compagnia a suo fratello.

James ha finito la flebo. È sfinito ma lui vuole comunque accertarsi che eviti sforzi, stia tranquillo e che riposi.

“Resto un po’ qua poi appena ti addormenti vado via!”

È rimasto piantato così, immobile, per un po’ di tempo al capezzale del letto e ora si avvicina discretamente alla poltroncina in simil cuoio posando la sua mano su quella di James.

“Va bene Jay. Siediti qui vicino a me: meglio essere storditi dalle tue chiacchiere che dagli antidolorifici!”

È distrutto, supino sotto le lenzuola forse nel momento più vulnerabile della sua intera esistenza, ma ha sempre la battuta pronta.

Jason dal canto suo non vuole compatirlo e non può stranirsi, così decide di iniziare a parlare del più e del meno per regalare al gemello uno spaccato di normalità. James gli fa domande stupide e le sue risposte sono ancora più stupide, si raccontano aneddoti divertenti e ridono, anche se sotto quelle risate rimane nascosta un’ombra.

Alla fine Jamie crolla, addormentandosi con un sospiro, al magico potere della loro routine serale.


Lo desta la luce delle prime ore del mattino, che filtra attraverso le veneziane semiabbassate, interrompendolo nel bel mezzo di un sogno: stava correndo in un campo di calcio assolato, in una giornata caldissima. Correva, correva senza riuscire mai a raggiungere la porta avversaria; la gola secca sembrava andare a fuoco…Piano, piano il sogno si dilegua.

James sbatte le palpebre e finalmente si ricorda dov’è, lasciandosi scappare un’imprecazione irripetibile. Qualcosa gli opprime il ventre, fa caldo e tutta l’umidità della stanza non lo lascia respirare.

Volta la testa sul cuscino e si accorge di Jason, addormentato su quella poltroncina in finta pelle bianca, con la testa che gli ciondola sul petto.

È stata una notte lunghissima anche per lui che l’ha trascorsa rotolando continuamente tra uno sbadiglio e l’altro, fingendo di leggere una rivista settimanale ma, in realtà, controllando ogni gesto, ogni centimetro del corpo di James.

Il gemello si solleva a fatica nel letto, facendo forza sulle braccia, con un fiotto di tenerezza e un moto di affetto per tutti quei gesti di attenzione ma appena si accorge che Jason sta aprendo piano gli occhi, con un mugugno, si lascia riscivolare sul materasso e serra le palpebre, facendo finta di dormire, in quello stesso gioco che facevano entrambi da bambini quando sentivano uno dei genitori avvicinarsi alla loro camera.

Jason non si lascia abbindolare e gli pizzica le dita del piede attraverso le coperte.

“Che rabbia il tuo bel faccino riposato!”

Protesta, con un lungo e sonoro sbadiglio. In realtà gli occhi smorti di James raccontano tutt’altra storia: il suo viso è un vero campo di battaglia e la sua espressione stropicciata è sorella di quella di quando passa le notti fuori a fare baldoria.

“Questa volta me la sono vista davvero brutta fratellino!”

Non serve aggiungere altro con Jason , il suo migliore amico. Basta l’empatia tra due persone che si vogliono veramente bene per capire che è un momento no, che c’è qualcosa che non va come dovrebbe.

Entrambi si sentono un po’ malinconici, giù di corda, tristi in quella stanza tinteggiata di un giallo denso e acceso. Succubi di questo brutto ospedale, un territorio sconosciuto, che cominciano a sentirsi addosso come un vestito sporco.

Il silenzio non è da loro così tocca a Jason cercare di animare questa situazione squilibrata.

“Tra le regole non scritte di un ospedale c’è che ti devi alzare al più presto dal letto. Per non lasciarti andare, per dare un segnale al tuo organismo…”

È il suo modo di spronarlo, di incoraggiarlo, di farlo reagire un po’ di più.

I punti in catgut cromico, il drenaggio da sopportare altre ventiquattro ore, la dieta liquida del giorno dopo sarebbero tutte scuse valide per sottrarsi a quell’invito per giusto motivo. Tuttavia James preferisce fare orecchie da mercante e cambiare discorso.

“Appena torno a casa devo comprare una pettorina per Kin. Sarà una valida alternativa al collare, così Zahra non rischia di strozzarmelo quando lo porta a spasso e lui spinge forte!”

Jason ingoia la delusione per la reazione indifferente di Jamie ma decide di non insistere troppo e di non forzarlo.

“Se non ti interessa quello che dico puoi farmelo presente invece di inventarti queste cretinate!”

Non può tuttavia trattenersi dallo sbottare risentito, soprattutto in difesa della fidanzata.


“Allora è vero che in tutti i luoghi del mondo i fratelli litigano! Perché, giovanotto, a meno che tu non ti sia sdoppiato o io ci veda doppio direi che questo è tuo fratello!”

Il dottor Parker è sulla quarantina o poco più e ha un’aria così cordiale e simpatica da attirare subito l’attenzione dei ragazzi.

Jason scatta in piedi pronto a defilarsi, arrossendo di brutto: è consapevole di aver trasgredito l’orario di visite ma il medico non è così fiscale e, per questa volta, decide di chiudere un occhio.

Non esiste il clone di nessuno e l’occhio clinico dell’uomo ha già capito che quei ragazzi, come tutti i gemelli, sono diversi anche nell’essere identici. E per quanto possa esserci sintonia ognuno ha la sua storia, la sua vita.

“Allora James, ieri l’anestesia ha avuto l’effetto di un calice di champagne a stomaco vuoto!”

“Facciamo anche due!”

Con un portablocco in mano, il dottor Parker fa cliccare di continuo la penna a sfera e intanto sfoglia quella che immagina sia la sua cartella clinica e scribacchia qualcosa.

“Come ti senti oggi?”

Nervoso, stanco, impaurito

Meglio che si concentri: per qualsiasi cosa lo stia valutando , vuole un buon voto. Vuole tornare a casa.

“Secondo lei come sto?”

Chiede di rimando il suo paziente, con un po’ di sfrontatezza che mette in imbarazzo Jason.

“Bene. Tutto considerato direi che non c’è male!”

L’uomo nel suo camice verde acqua sorride, è quieto. Parla come se quella fosse la situazione più normale del mondo e infatti anche James si calma un po’.

Finora quelle battute sono state una pezza d’appoggio, una boccata d’ironia per alleggerire l’ansia e proseguire un discorso ben più serio con più tranquillità. Il dottor Parker, infatti, intuisce che c’è un’unica domanda bloccata nella gola del ragazzo.

A Jason fa uno strano effetto vedere il gemello che si impappina, ammutolisce e diventa piccino, piccino.

“Vuoi che aspettiamo i tuoi genitori?”

La mascella di James si serra ma gli occhi non fissano nulla, ricacciando indietro la paura.

“C’è mio fratello con me!”

Jason non si è scollato da lui per tutta la notte, per consolarlo, per dargli il suo sostegno .La sua sola presenza lo rassicura, lo fa sentire a casa, e gli basta allungare la mano per sentirne il calore.

Con lui al suo fianco può reggere qualsiasi cosa anche se i movimenti dell’altro sono irreali e lo distraggono al punto che dimentica di non essere a suo agio ed ha una sensazione di rilassamento.

“Il tumore era maligno per oltre il 70%!”

James studia gli occhi color caffè nero del dottor Parker. Dopo essere sopravvissuto a tutto questo pensava di essere praticamente invincibile ma non è preparato a ricevere ancora brutte notizie.

La stretta di incoraggiamento , così ferrea, del fratello sul suo braccio gli da conforto.

“Alla fine però abbiamo vinto noi! Siamo riusciti a rimuovere tutti i focolai di linfonodi residui invasi da cellule estranee!”

Nonostante una vertigine di gioia, un pezzo di sole, James mantiene una postura rigida e dignitosa. Improvvisamente Jason gli avvolge un braccio intorno alle spalle, accogliendolo nella stretta del suo petto solido.

Non sa come fa a soffocare il grido di gioia che gli sale in gola ma l’entusiasmo del suo sguardo incontra il trionfo negli occhi di suo fratello.

E anche il dottor Parker se la ride quando i piccoli Derrick rispolverano la loro esultanza, un brand quando facevano faville nelle nazionali giovanili giapponesi: pollici e indici tesi all’infuori, le altre dita chiuse, fanno mulinare le mani su e giù per due volte.


Con il cuore alleggerito e con una marcia in più, adesso James decide di dar retta alle parole dell’anestesista, a quelle di Jason, che gli dicevano di cercare di camminare per riattivare l’ambaradan.

Che bello vederlo in piedi! Trascina i piedi con quelle ciabatte volutamente molleggiate.

Che bello vedere la determinazione dietro il suo sorriso! Jason lo sostiene per un braccio e non lo lascerà cadere per nulla al mondo.

Sono arrivati anche i genitori e Lydia a fare il tifo per i suoi piccoli traguardi e la ragazza capisce benissimo che quell’andatura scattante è tutta scena. Lo sta facendo apposta, lo sta facendo per loro.

Ed è un balsamo vederlo tornare con naturalezza verso la poltrona.

“Sono una mamma fortunata: con due figli meravigliosi su tutti i fronti!”

Le parole commosse di Sumire inteneriscono tutti e in quel reparto degli uomini rotti, a cui non funzionano dei pezzi e sanno che ne perderanno altri, si allarga il più sottovalutato dei sentimenti: il sollievo.

Da lì in poi è tutta una raccolta di scherzi, battute e frasi simpatiche tanto che tocca a James, stanco e sciupato ma abbastanza sereno, ricordargli che l’orario di visite è scaduto.

“Devo trovare un modo di sbarazzarmi di voi! Adesso andate altrimenti chiamo l’infermiere e gli dico che mi state facendo stalking!”

   
 
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