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Autore: Tenue    15/04/2018    14 recensioni
[Storia partecipante al contest "Asylum" indetto da Haykaleen sul forum di Efp]
Non accade spesso, e non accade a tutti, ma succede che a volte delle persone si ritrovino in un posto senza sapere come ci siano arrivate, in cui si risvegliano come da un lungo sonno e non sappiano dire chi sono e dove sono, in cui si sentono un corpo senza una storia dietro.
Possono esserci diverse spiegazioni: c’è chi ha allucinazioni, chi soffre di amnesia; c’è chi sta sognando o c’è chi magari è stato drogato. Alcuni hanno semplicemente bevuto e da ubriachi possono essere arrivati ovunque, ma ci sono anche persone che hanno il cervello un po’ andato, qualcosa dentro la loro testa che non funziona proprio a dovere, che le ha fatte arrivare lì, senza un motivo apparente.
Ci sono tanti motivi per cui una persona si sveglia sola e senza alcun ricordo, in un luogo che non riconosce subito, ma se qualcuno glielo chiede, Axel Jenkins risponde che soffre di amnesia.
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non accade spesso, e non accade a tutti, ma succede che a volte delle persone si  ritrovino in un posto senza sapere come ci siano arrivate, in cui si risvegliano come da un lungo sonno e non sappiano dire chi sono e dove sono, in cui si sentono un corpo senza una storia dietro.
Possono esserci diverse spiegazioni:  c’è chi ha allucinazioni, chi soffre di amnesia; c’è chi sta sognando o c’è chi magari è stato drogato. Alcuni hanno semplicemente bevuto e da ubriachi possono essere arrivati ovunque, ma ci sono anche persone che hanno il cervello un po’ andato, qualcosa dentro la loro testa che non funziona proprio a dovere, che le ha fatte arrivare lì, senza un motivo apparente.
Ci sono tanti motivi per cui una persona si sveglia sola e senza alcun ricordo, in un luogo che non riconosce subito, ma se qualcuno glielo chiede, Axel Jenkins risponde che soffre di amnesia.
Ci sono volte, parecchie volte, in cui si trova in un luogo senza saperne il perché. Solo, apre gli occhi e si ritrova lì, su quella strada grigia circondata da palazzi in mattoni rosso scuro, che sa di aver sognato una notte. Solo che non sta sognando ancora.
Era sveglio, in piedi, e mentre probabilmente stava facendo qualcosa ha chiuso occhi ed è comparso lì. Aveva sognato quel posto tre anni prima e da allora continua a ritrovarselo davanti sempre più spesso e pian piano impara a conoscerne ogni dettaglio, anche se all’inizio fatica sempre un po’ a riconoscerlo.
C’è un ospedale dietro di lui, mentre davanti ha una larga e lunghissima strada deserta. Sembra una via di periferia, ai lati ci sono edifici che gli ricordano molto le case popolari, un supermercato e un sacco di rampe e scale: che siano scale anti incendio, i gradini in un parco là vicino o le rampe per i carrelli, nota di essere sempre circondato da infinite salite e discese. Tutte rigorosamente grigie. L’unico colore presente un po’ più vivace è il rosso scuro dei mattoni.
Comincia sempre a camminare un po’ in avanti e solo dopo pochi metri ritrova sempre lo stesso edificio: l’hotel dalle pareti gialle. Non è un giallo particolarmente abbagliante, nonostante sia uno dei pochi colori presenti, ma non è nemmeno sbiadito. È un giallo adatto al contesto.
L’hotel è un vecchio edificio degli anni 70, con poche finestre. Sembra deserto e sembra reale, pur non essendo né uno né l’altro.
Ci sono altre quattro o cinque persone con lui, che lo seguono da prima, ma lui non se n’è accorto. Non se ne accorge mai.
Si rende contro della loro presenza solo quando si avvicina all’hotel, supera i quattro gradini, il piccolo spiazzo d’erba ed infine arriva all’entrata.
Appena entra, le persone con lui lo fanno salire nella loro camera senza una parola.
Axel in qualche modo non è mai spaventato dalla loro presenza, è solo un po’ nervoso, come nei suoi sogni.
La camera sembra incredibilmente piccola, quasi sproporzionata. È lì che iniziano a parlargli.
 
-Oggi ci riconosci?- la  ragazza coi capelli corti e biondi, senza perdere tempo, gli inchioda addosso i suoi occhi freddi, senza distogliere lo sguardo un solo secondo. Axel sembra esserne quasi intimorito.
-Per quanto andremo avanti così?- S’intromette un'altra voce. Axel si gira per vedere un ragazzo con le braccia coperte da tatuaggi. Si sporge in avanti per vedere bene quegli assurdi disegni che gli sembrano fin troppo familiari. Anche il suo viso è certo di averlo già visto, quell’espressione corrucciata e il labbro roseo leggermente sporgente appartengono a qualcuno che conosce.
A distoglierlo dai suoi pensieri è la donna accanto a lui, una signora anziana che lentamente si porta in avanti –Lasciategli un attimo di respiro.-
-Io ne ho abbastanza, dovremmo dirgli la verità.-
-No!- grida un’altra voce ancora –Come credi di sopravvivere ad un altro trauma?! Tutto collasserà di nuovo.-
-Ma di che state parlando?- Chiede Axel all’improvviso, squadrandoli uno ad uno.
La ragazza bionda si alza in piedi –davvero non sai dove ti trovi?- Il suo sguardo sembra quasi ferito. Poi si avvicina ad Axel, fino ad arrivargli a pochi centimetri dalla faccia -Davvero non ci riconosci?-
Axel Jenkins non ha mai amato il contatto fisico. E nemmeno le persone che gli si avvicinano troppo. Ma prima che possa anche solo levarsi quella ragazza da davanti, la vista gli si sfoca e lui torna cosciente.
 
 
-Come andiamo oggi, Jenkins?- la voce del suo medico lo riporta del tutto alla realtà.
Axel sbuffa una risata non appena riconosce chi gli sta parlando –Odio quando mi chiami così, mi fai sentire un vecchio.-
Il medico sorride e si avvicina al letto del suo paziente sedendosi sulla sedia di plastica accanto a lui. -Hai ragione, hai ragione.-
-E poi ci conosciamo da un sacco di tempo, Jasper.- dice sottolineando bene il suo nome. Ci manca solo che si diano del lei e si chiamino per cognome.
Il medico si passa una mano tra i lisci capelli neri, portandoseli indietro –Circa un anno.-
-Appunto, quindi chiamami Axel -
Jasper Lloyd è un medico strano. Per quanto possa sembrare banale dirlo, non ci sono molti altri modi per definirlo. A volte Axel ha l’impressione che anche in lui ci sia qualcosa che non vada.
Il paziente si sistema meglio sul suo letto, mettendosi seduto, poi socchiude di poco gli occhi e osserva Jasper ghignando. –E poi non è molto corretto portarmi nei ripostigli dell’ospedale a fare le cosaccie se poi mi chiami per cognome.-
Jasper ride e distrattamente prende a sfogliare i fumetti che ha poggiati sul comodino.
-Lo fai per sembrare professionale?- Continua Axel mentre s’infila una mano tra i capelli per tentare di sistemarli. Ogni volta che si sveglia se li trova pettinati in modo diverso.
-Secondo te?-
Axel scuote le spalle.
Jasper è dannatamente bravo a mentire. Axel sa che ha una doppia faccia, una meravigliosa doppia faccia, talmente diversa da quella che mostra di solito alle persone da risultare inquietante.
È un bravo medico, eccezionale. E sa parlare bene, tanto che tutto l’ospedale si fida ciecamente di lui. Sembra normale, ma è persino più intelligente di quello che appare.
-Voglio andarmene da qui- dice improvvisamente il ragazzo.
-Certo- risponde Jasper con sorriso sarcastico –Così poi ti ritroviamo investito sulla strada perché “ti sei risvegliato lì”.-
Axel s’imbroncia e il medico lo trova davvero adorabile.
Avrebbe davvero una gran voglia di prenderlo lì senza tanti complimenti, ma utilizzando un attimino di razionalità non gli sembra una grande idea.
-Dovremmo andarcene da qui.-
-Jenkins_-
-Axel- lo interrompe –Non me ne frega niente della tua bella messa in scena. Non fraintendermi, hai fatto un gran bel lavoro con la tua personalità, sembra quasi che tu sia una persona normale per davvero. Ma vali di più e lo sappiamo entrambi, in questo posto noi non dovremmo proprio starci.-
Il medico sospira, puntando lo sguardo ai suoi piedi.
-Non posso lasciarti andare… non stai bene. Saresti un pericolo per te e per gli altri.- Cerca di sembrare razionale.
-Oh, andiamo!- Axel esplode e fissa il medico con gli occhi spalancati. Se non lo conoscesse bene, Jasper direbbe che si è arrabbiato, ma sa bene gli sarebbe passato in meno di cinque minuti. –Ho solo qualche attacco di amnesia.-
-Qualche?-
-Si insomma… sto bene. Se devo essere sincero non capisco perché ci stiate mettendo tanto a guarirmi.- Axel si fa improvvisamente serio. –Jasper, perché non avete ancora guarito la mia amnesia? Non avete ancora capito da cosa è causata?-
Jasper sorride di nuovo, ma è un sorriso strano, uno di quelli che fa quando sta nascondendo qualcosa. Li fa sempre, di continuo, quando vuole fare il bravo medico che ha tutto sotto controllo. –Non si tratta di questo. È che il tuo caso è… complicato.-
Poi si morde il labbro inferiore, e Axel sa che lo fa perché gli da fastidio mentire a lui. –La tua mente fa resistenza Axel, ai farmaci, a tutto.-
Axel si stringe nelle spalle –Come vuoi.- si butta sul letto e chiude gli occhi.
-Mi fido di te.- continua poi ghignando in sua direzione –Piuttosto… ti andrebbe di far cadere nuovamente la tua maschera di bravo dottore e portarmi nello sgabuzzino?-
Jasper guarda avanti a sé per un istante, poi si riscuote e si avvia verso la porta -Ho dei pazienti-
-Certo, dottore.- Axel si sporge in avanti e lo saluta con la mano mentre si sforza di non ridere.
 
°°°
 
Byron Hughes è sempre stato un paziente piuttosto riservato.
Non ama parlare di sé, tanto meno a dei medici. La cosa che forse odia di più in assoluto è quando si ritrova a conversare con le voci nella sua testa senza accorgersi di essere di fronte ad altre persone, che puntualmente lo guardano allibiti.
“Andate via!” grida “Non guardatemi, Cristo, non guardatemi!”
In pratica, non odia il suo essere “strano”, ma detesta quando altre persone osservavano i suoi comportamenti insoliti. Odia essere guardato.
Tuttavia Byron fa una piccola eccezione. Passa solitamente i giorni a rimanere chiuso in se stesso, a tenere la bocca chiusa anche per giorni e a comunicare solo ed esclusivamente con le voci che sente dentro di sé, eppure il medico che lo ha in cura lo rasserena in qualche modo.
Jasper Lloyd è una persona gentile ed estremamente delicata, sia quando lo visita, sia quando gli parla.
“Soffro di amnesia.” Ha detto Byron al suo terzo giorno di ricovero. Per tre giorni non aveva fiatato, né accanto delle urla isteriche di sua madre, né quando la donna se ne era andata. Jasper ha sempre provato una sorta di tenerezza verso quel ragazzo di circa venticinque anni che passa il tempo facendo strambi disegni su un block notes ingiallito, con gli occhi scuri nascosti da occhiali dalla spessissima montatura nera.
“E… non senti anche delle voci, per caso?” Gli aveva chiesto piano Jasper. Byron lo aveva guardato, con gli stessi occhi di un bambino; un bambino che ha passato la notte sveglio, impaurito dai mostri sotto al suo letto, e che finalmente vede una persona che non gli fa paura.
“Si, ma quelle non devi toccarle.” Aveva mormorato.
“Va bene. Lavoreremo sul resto. Faremo con calma, andrà tutto bene.”
Byron improvvisamente aveva preso a respirare più lentamente, la sua espressone si era rilassata e il suo viso era parso un po’ meno quello di un bambino spaventato. Da quel giorno, aveva cominciato a parlare normalmente.
 
°°°
 
Axel ha sempre avuto la pessima abitudine di fare sempre quello che vuole, in particolare se esistono regole che dovrebbero impedirglielo.
In quanto paziente di psichiatria non ha il permesso di uscire dalla sua stanza senza autorizzazione, ne tanto meno di girovagare per le vie del quartiere dell’ospedale, ma considerato che ha voglia di stare un po’ all’aria aperta non ci ha pensato due volte a sgattaiolare fuori.
Indossa la sua vecchia camicia nera a righe e i suoi inseparabili occhiali da sole, in quel modo esalta appieno il suo bell’aspetto e riesce così a scroccare un sigaretta da un gruppo di ragazzine appena uscite da scuola.
Cammina lentamente, facendo qualche tiro di tanto in tanto, ma proprio non riesce a godersi appieno quell’attimo di libertà all’aria aperta. Il problema è la ragazza che cammina accanto a lui guardandosi in giro.
-Potresti, per favore, andare a farti un giro?- Mormora Axel esasperato –Per conto tuo.- Sottolinea.
Jennifer alza le spalle –Mmh no.-
Axel sospira esasperato e si passa una mano tra i capelli –Mi spieghi perché diavolo mi stai seguendo?-
La ragazza non risponde e si avvicina invece alla vetrina di un negozietto dell’usato. Il ragazzo si appoggia alla parete lì vicino, osservandola e finendo di fumare la sigaretta. Si guarda un po’ intorno, notando che con l’arrivo di marzo le giornate si sono fatte un po’ più luminose e calde. Quel clima lo mette quasi di buon umore.
-Hey.- lo chiama Jennifer.
-Che vuoi adesso?-
-Stai bene?-
-Cosa?- Axel la guarda confuso, era sovrappensiero, ma non gli sembra di aver cambiato espressione facciale.
Non fa in tempo a chiedersi a cosa la ragazza potesse essersi riferita che tutto improvvisamente gli sembra fuori posto.
Si guarda intorno e nota di non essere più nel quartiere di prima. È in una biblioteca.
Impreca, è successo di nuovo. Per l’ennesima volta si trova in un posto senza sapere come ci sia arrivato.
-Fottuta amnesia- sibila sottovoce, odia non riuscire a ricordare.
Si accorge di essere seduto ad un lungo tavolo e accanto a lui ha altre quattro persone intente a leggere. Anche lui ha un libro davanti, che stranamente non sembra il suo genere.
-Non lo trovi divertente?-
Axel alza lo sguardo e incontra il viso di Jennifer, che era sicuro di non aver visto prima.
-Quando sei arrivata tu?-
Jennifer alza le spalle e Axel si sente improvvisamente a disagio.
Due delle persone accanto a lui si sono girate a guardarlo e si ricorda improvvisamente che Jennifer probabilmente non reale. Infondo, compare per lo più nei suoi sogni.
Axel si alza di scatto, ripone il libro in uno scaffale a caso ed esce in fretta dall’edificio, conscio che la ragazza lo avrebbe di sicuro seguito.
-Dove stai andando?- Si sente infatti urlare dietro.
-In ospedale.- risponde voltandosi verso di lei. Appena ha la certezza di non essere visto e sentito da nessuno le si avvicina. –Tu sai qualcosa, non è vero? Della mia amnesia e dei miei sogni ricorrenti.-
-Tu non soffri di amnesia.-
-No, adesso non iniziare anche a prendermi per il culo. Dimmi perché mi succede, perché ho questi enormi vuoti di memoria? E perché riesco a… a vederti, se tu non esisti?- Chiede, cominciando ad essere veramente spaventato.
-Continui a chiedermelo, ma tanto so che non mi crederai.- Risponde Jennifer.
-Dimmelo e basta, se sai qualcosa, devi dirmelo.-
-Bene.- Jennifer sa che non dovrebbe farlo.
E Axel perde i sensi.
 
°°°
 
Byron si guarda attorno spaesato. La luce del sole lo colpisce improvvisamente in faccia e si volta stropicciandosi un occhio. Si accorge di non avere gli occhiali e si chiede perché diavolo era uscito dalla sua stanza senza. Poi si alza di colpo e sente una stretta a livello dello stomaco.
Cosa ci fa fuori dalla sua stanza?
O fuori dall’ospedale.
Byron raramente esce e infondo non è nemmeno certo di poterlo fare. O di sapere come fare.
Cerca di calmare il suo respiro, dopotutto non è la prima volta che, a causa della sua amnesia, ha dei vuoti di memoria così grandi. Tuttavia ogni volta ne resta terrorizzato.
Deve a tutti i costi trovare un posto che lo faccia sentire al sicuro.
 
°°°
 
Axel si volta di scatto, incontrando gli occhi di Jennifer.
-Sei sicuro che tutto ciò che conosci sia davvero reale? Che quello in cui credi non sia un enorme menzogna? Pensaci bene, lo hai detto tu stesso che ti sembra di passare parte della tua vita incosciente, di avere enormi vuoti di memoria- la ragazza inclina leggermente la testa e lo osserva affilando gli occhi. Sembra così dannatamente arrabbiata.
-Io soffro di amnesia.-
Mentre pronuncia quelle parole, Axel si accorge di essere tornato nel luogo del suo sogno, nella camera d’albergo piccola e sproporzionata.
-Ah davvero? Ti sembra solo questo? E questo luogo, in cui spesso ti svegli senza apparente motivo, ti sembra forse un sogno? O hai l’impressione che sia reale?-
-Non capisco dove vuoi arrivare.- Scuote la testa Axel.
-Il punto è… non ti sembra che un luogo fin troppo irreale, un sogno, ti  sembri invece così… vero? Hai mai l’impressione di essere… irreale anche tu?-
Axel si alza di scatto, facendo quasi cadere la sedia su cui era seduto. Si allontana da Jennifer, dapprima piano, poi comincia a correre. Scende le scale, passa nell’atrio e esce in strada. Corre lungo la via completamente dritta e senza fine, ma si accorge ben presto che non ha idea di come uscire di lì. Di solito succede e basta, si risveglia. Ma ora? Non può controllare quando uscire da quel posto e non appena lo realizza, Jennifer ricompare al suo fianco.
-Axel.- lo chiama, mantenendo lo sguardo basso –Tu lo sai… chi è Byron Hughes?-
A quel nome Axel corruga le sopracciglia. Il nome gli è familiare, ma non ricorda esattamente dove lo abbia sentito.
-Io… non ricordo.-
Jennifer gli si avvicina, sorridendo lievemente.
-Eppure Byron si ricorda bene di te.- Dice dolcemente -La cosa divertente è che… in un certo senso… lui non sa che esisti, eppure sa tutto di te, sai? Quasi come se… uno di vuoi due non sia reale…-
Axel aggrotta le sopracciglia -Questo è impossibile.-
-Eppure è così, Axel.- continua Jennifer, dapprima pazientemente, poi cominciando a storcere la bocca come se cercasse le parole giuste, come se si stesse arrabbiando.
-L’inconscio sa la verità eppure non riesce ad arrivare a te, e nemmeno a Byron. A me sì. L’inconscio mi rivela tutto, eppure non ho voce in capitolo!-
-Che stai dicendo?- Sbotta Axel, confuso ed irritato dalle parole di Jennifer che non riesce a comprendere.
-Io sono solo una voce, Axel! Solo una voce! Però so tutto, e non voglio restare qui senza fare niente, mentre Byron muore!- Comincia ad urlare la ragazza, abbassando di poco la testa e guardandolo dal basso verso l’alto, fissandolo con i suoi occhi verde chiarissimo sotto alle folte sopracciglia bionde -E tu lo stai uccidendo.-
-Io non so chi cazzo sia Byron!- Urla Axel, ormai al limite della sua pazienza.
-Certo che sai chi è, bastardo! Condividete lo stesso fottuto corpo!-
Axel si blocca di colpo, fissando il vuoto. –E’ impossibile.- ripete, mentre tiene lo sguardo basso. Le sue spalle si alzano ed abbassano lentamente, a causa del respiro pesante.
-Axel… era il nome di un personaggio dei fumetti che Byron amava alla follia.- parla la ragazza dopo un attimo di silenzio, con tono quasi normale, come se non avesse urlato fino a poco prima.
-Cosa…-
-E il tuo cognome? Jenkins?- Jennifer sbatte le palpebre un paio di volte, per poi tornare del tutto alla normalità. Avrebbe parlato, in quanto semplice voce nella testa di qualcuno, ha deciso che nulla le importava più, avrebbe parlato, perché l’unica cosa a cui tiene davvero è Byron: infondo era nata per quello. Per questo continua a parlare –Non è un caso che il tuo cognome sia questo, così come non è un caso che io mi chiami Jennifer. Jenkins… assomiglia a Jennifer, no? E lo sai chi è Jennifer?-
-Smettila ti prego_-
 
Un rantolio soffocato, uno spasmo muscolare e il corpo di Axel Jenkins si mette dritto a sedere sul suo letto d’ospedale.
Si guarda intorno spaesato e ritrova accanto a lui il suo medico, che lo sta ormai fissando da più di un’ora. Lo sta ascoltando parlare da solo da più di un’ora.
-Jennifer è stata la tua prima cotta…- si schiarisce la voce –La prima cotta di Byron Hughes.-
-Io non sono Byron Hughes.- risponde atono.
Jasper abbassa lo sguardo. Schiocca la lingua, guarda altrove e poi prende a torturarsi le mani; con le unghie prende a graffiare il dorso della sua mano, lievemente. Era una brutta abitudine che aveva preso da studente, non riesce a farci niente –Bhe… in quanto a persona… a personalità non sei…-
-Non sono Byron Hughes.- ripete nuovamente, calcando bene le parole.
-Ma in quanto a corpo siete la stessa persona.- dice di getto il medico –Tu e Byron. Siete la stessa persona. Tu soffri di disturbo dissociativo dell’identità, il che significa che ci sono più identità che convivono nello stesso corpo, senza avere coscienza l’una dell’altra.-
Axel si stende sul letto stancamente e comincia a ridere piano –Quindi… Byron è una delle mie personalità, giusto? Come le altre, come Jennifer?- chiede, per poi mordersi nervosamente il labbro inferiore.
-No.- Risponde Jasper, mantenendo sempre lo sguardo a terra –Tu sei una delle molteplici personalità di Byron Hughes. Quella che ha preso il sopravvento quando il cervello di Byron è collassato. Tra tutte le personalità tu eri l’unica in grado di reggerne il peso, l’unica che era stata creata proprio per compensare ciò che Byron non aveva, ma che ha sempre voluto…forza, determinazione…-
-Questo non ha senso…-
-Byron scriveva molto e ogni tratto della sua personalità era rappresentata da un personaggio. Ce n’erano moltissimi, ma quando a causa di un trauma lui è collassato, si sono salvati solo quelli che erano vicini a te, quelli che facevano parte della stessa storia, che avevano lo stesso scopo e lo stesso messaggio. Tu hai preso il controllo grazie all’inconscio di Byron che ti suggeriva ciò che dovevi fare. Tu sei Byron, la parte più forte di lui che non sapeva di avere.-
-No, no… io… io mi chiamo Axel Jenkins e sono un paziente di questo ospedale, sono registrato con questo nome e io… io… soffro di amnesia…-
-Tu sei ricoverato come Byron Hughes, e soffi di disturbo dissociativo dell’identità.-
 
Jasper alza lentamente gli occhi –Hai riconosciuto subito gli occhi di Jennifer, vero? Byron parla sempre di lei…-
Axel si rimette seduto e cerca di calmarsi e regolarizzare il respiro –Byron è ancora… vivo?-
Jasper sorride –Certo, è solo non resta cosciente a lungo. Lui non sa che spesso prendi il controllo del suo corpo, non se ne rende conto. Eppure cede spesso, si addormenta e ti lascia il controllo, molto più spesso di quanto vorremmo a dire il vero, forse perché inconsciamente sa che c’è qualcuno che assume il controllo del suo corpo e della sua mente, che fa ciò che lui non riesce a fare.-
-Capisco…-
-Axel…-
-Se guarite Byron… io non… Io sono la sua malattia vero? Io sono una persona estranea, una malattia.-
-Non lo sei, sei una sue personalità di cui non ha coscienza. Tu sei Byron.-
-No, io non lo sono!- Urla Axel –Io sono una malattia, l’orrida conseguenza di un cervello malato che è collassato su se stesso!-
-Axel…-
-Io sono Axel Jenkins e sono una malattia, ma sono cosciente, dannazione.-
Jasper si alza allarmato, avvicinandosi al corpo di Axel. Il monitor mostra che il suo battito sta accelerando velocemente.
-Axel, devi calmarti adesso…-
-Non voglio più essere cosciente.- comincia a mormorare ininterrottamente –Non voglio. Non voglio essere cosciente. Io non esisto, quindi non voglio essere cosciente in un corpo non mio.-
-Axel, tu sei una personalità_-
-No! Io sono un’altra persona!-
Jasper si allontana di poco dal corpo del ragazzo, incapace di fare qualsiasi cosa.
Non ricorda bene cosa sia successo dopo, le immagini di fronte a lui sembrano sfocarsi tra loro. Il corpo di Axel che si alza, le grida, gli infermieri che lo sedano; sente le gambe tremargli, non riesce a parlare, dentro di sè sa solo che una cosa del genere non gli è mai capitata. Mentalmente si dice “Ecco, adesso dovrò andarci io da uno psicologo” e gli fa davvero piacere sapere che per pura difesa, il suo cervello riesca a ragionare con ironia, giusto per non fargli capire quanto quella situazione lo metta a disagio e lo renda terribilmente triste. Non sa spiegarsi come, per minuti interi, lui resta lì, anche dopo che il corpo di Axel viene riadagiato sui cuscini, incosciente. Lui si avvicina, molto lentamente, perché, di suo, il suo corpo probabilmente nemmeno avrebbe voluto saperne di muoversi, e si siede accanto al ragazzo. Gli prende una mano, e abbassa lo sguardo su di lui. In quel momento non indossa gli occhiali, perché Axel, al contrario di Byron non crede di averne bisogno, e comunque, i suoi occhi non ci vedono poi così male. Gli occhiali sono lì, sul comodino. E Jasper si chiede se quel ragazzo si sia mai domandato il perché fossero lì, se non credeva fossero i suoi.
Si chiede se Axel sia davvero una persona a sé, o se sia invece solo il risultato di un trauma, il personaggio di uno scrittore che viene alla luce, nella realtà. Chi è Axel Jenkins?
Gli scosta una lunga ciocca di capelli dagli occhi, dolcemente, e posa poi la mano sul viso. Il viso di Byron.
Si avvicina di poco, poggia la testa sul suo petto e ne ascolta il battito cardiaco. Così rilassante, così calmo. Il battito cardiaco di Byron Hughes.
Jasper sa cosa vorrebbe fare. Vorrebbe tanto baciare le sue labbra, quasi muore a tale pensiero. Perché dannazione, quel paziente che era entrato prepotentemente nella sua vita circa un anno prima lo aveva sconvolto, lui e i suoi atteggiamenti menefreghisti e arroganti, lui e il suo distacco dalle persone che considerava comuni e banali, lui e Byron, la persona che metà della sua vita la passava incosciente perché un ragazzino timido e diffidente si riprendeva il suo corpo.
Ha imparato ad amare ogni sua singola parte.
Lo adora, non può farci niente. Forse perché da lui ha imparato qualcosa.
Forse perché ora la vita superficiale che aveva prima gli appare come la prigione che era, di cui non si era nemmeno reso conto. Forse perché ora anziché passare le serate in casa con le sue belle cosette di lusso, ad ammirare tutti i benefici materiali che comportava il suo mestiere, passa il tempo steso su un letto d’ospedale con un ragazzino ad ascoltare canzoni rock degli anni 70 o a leggere fumetti vecchi di almeno dieci anni.
E pensa soltanto, a come la sua professionalità gli sia scivolata tra le mani e sia caduta chissà dove, appena gli tornano in mente i momenti rubati nel ripostiglio dell’ospedale, mentre quel ragazzo appoggiato al mobile dietro di lui gli si aggrappa contro e gli dice che si sente in estasi e che non capisce neanche più dove si trova.
“Voglio scappare con te” gli dice “Trasgredire tutte le regole che posso, non ce la faccio più. Voglio andare in un posto dove non esistono cose come la società, voglio mandare a fanculo il tuo capo ogni volta che ti risponde come se fossi stupido. Voglio gridare, Dio, voglio solo gridare al mondo che fa schifo.” E si perde poi, perché Axel non riesce proprio a stare zitto in momenti come quelli. Nemmeno durante il sesso. Ma a Jasper infondo non interessa.
Lo adora, davvero.
Ora sta lì, con quel suo paziente, con quel ragazzo di cui si prende cura ormai da un anno e non fa niente se non accarezzarlo di tanto in tanto. Non può baciarlo, in quel momento gli sembra assurdo. Non può. Perché ora ha realizzato che non è più solo Axel.
Così si scosta dal suo corpo, si alza dal letto e si avvia verso la porta.
Ha altri pazienti, pazienti di cui non è innamorato.
Si volta prima di uscire, osservandolo ancora una volta. Osservando quelle dannate labbra.
Le dannate labbra di Byron Hughes.
 
°°°
 
Il medico si siede stancamente sul divanetto della saletta comune. Da due giorni non rivede il suo paziente con il disturbo dissociativo dell’identità. E da due giorni non riesce a dormire.
-Fanculo…- sibila a denti stretti. Si prende un attimo per chiudere gli occhi e respirare lentamente, poco dopo però si alza di scatto e si precipita fuori dalla stanza. Supera velocemente un paio di corridoi, per poi entrare nel secondo padiglione dell’ospedale. Sale le scale in fretta e cammina fino al reparto di psichiatria, poi cerca la stanza giusta nel lunghissimo corridoio bianco latte.
Non appena mette piede dentro la camera osserva rassegnato la scena che aveva già rivisto un paio di volte un anno prima.
Byron è sotto al suo letto, rannicchiato su se stesso. Non si muove.
Poco dopo Jasper nota che sta ascoltando musica da un piccolo mp3, attraverso le cuffiette. Ha gli occhi fissi in un punto indefinito, sembrano calmi.
Lui, in generale, sembra calmo.
-La vuoi sentire una canzone?-
Chiede improvvisamente il ragazzo, senza però muovere gli occhi dal punto di prima.
Jasper lo guarda sorpreso, poi inaspettatamente, chiude la porta della camera e si stende per terra accanto a lui.
I suoi capelli neri scivolano lentamente verso il pavimento, sfiorandolo. Byron si toglie un auricolare e gli lo porge. –Axel dice che i tuoi occhi gli piacciono molto.- gli dice mentre il medico si infila la cuffietta.
-Davvero?- sorride lievemente –Ti ha parlato?-
-Più o meno.- risponde –ma è stato due giorni fa. Ora non lo sento più.-
-Come?- chiede Jasper, confuso.
-Mi hanno cambiato i farmaci.- Spiega vagamente. Poi Byron lo fissa negli occhi, con sguardo triste, ferito –Le nuove medicine hanno allontanato le voci.- mormora –Ora sono solo.-
Jasper si protende verso di lui –Non sei solo.-
-Axel continuava a chiedermi di te. Io ora non riesco più a sentirlo, ma so che dentro di me lui ti cerca ancora. Tu non sai quanto, quanto si senta bene in tua compagnia. Ogni volta che lo sfiori, ogni volta che gli parli, lui sente una sensazione piacevolissima. E quella sensazione… è rimasta impressa, Jasper. E io la sento. Lui era innamorato, e tu devi farlo tornare.- Byron inspira piano. In quel momento non si sente più indifeso come lo era prima. Rilassa il suo corpo e si mette a pancia in su, fissando il sotto del suo letto, come se fosse una cosa naturale.
-Lui amava i tuoi occhi, Jasper.- Byron guarda nuovamente i suoi occhi grigio verdi. –E lo so perché anche quel dettaglio è rimasto impresso qui.- mormora toccandosi la fronte.
Poi fa partire la musica e Jasper non ha il tempo di dire qualcosa, decide di rimanere in silenzio, prestando piuttosto attenzione alle parole della canzone.
-Ascoltale, Jasper.- gli dice Byron –Perché io non ho più voglia di parlare.-
Byron dunque tace, e Jasper effettivamente non lo sente più dire niente. Ha preferito di nuovo che fosse qualcun’altro a parlare per lui.
Non mi riprenderò questa volta, sussurrava la voce del cantante, questa solitudine mi sta uccidendo.
 
°°°
 
Il corpo del medico, semi nascosto dalla penombra della stanza, sembra rilassato, eppure lo sguardo dell’uomo tradisce una sorta di insicurezza, come se dentro di sè sia conscio di aver appena fatto qualcosa di sbagliato.
Gli occhi di Byron, al contrario, lo fissano con insistenza, come a volerlo rassicurare. “Hai fatto la cosa giusta” sembrano dire.
Sono le cinque del mattino e nessuno dei due è riuscito a dormire quella notte. Il magazzino del secondo piano è quasi del tutto buio fatta eccezione per il debole raggio di luce polveroso che filtra dalla finestra e che va ad illuminare il viso di Byron e i suoi occhi quasi lucidi.
Jasper lo afferra per i fianchi e lo fa sedere sul mobiletto dietro di lui, che gli circonda la vita con le gambe. Prende ad accarezzargli i capelli, decisamente più lunghi rispetto di quando lo aveva visto per la prima volta.
-Byron?- lo chiama ad un certo punto, incerto.
Il ragazzo tuttavia continua a guardare altrove e non si muove minimamente, anche se un piccolo sorriso divertito compare sulle sue labbra.
-Axel?- riprova il medico, un po’ più sicuro. Il ragazzo finalmente si gira verso di lui –Sì?- risponde sorridendo.
-Come sta Byron?- gli chiede mentre la sua mano scende ad accarezzargli delicatamente la pelle del collo.
Axel si stringe le spalle –Sta bene, dorme. Credo che infondo sia quello che ha sempre voluto, starsene in santa pace a dormire, senza paranoie. È un po’ come dici tu, è una delle personalità che viene fuori di tanto in tanto, ma che non è fatta per stare tutto il giorno ad interagire con il mondo reale. Sta meglio lì dov’è.-
Jasper fa un sorriso, sperando che finalmente quel ragazzo abbia interiorizzato le sue parole. –E quindi tu cosa sei?-
-Io sono Byron.- risponde, tenendo lo sguardo fisso sugli occhi del medico –Sono una parte di lui, il che significa che sono lui tanto quanto lo è Byron. Solo che io sto bene fuori e sono fatto per questo. Me lo ha detto anche lui.- Poi si abbassa per lasciargli un veloce bacio sulle labbra –Siamo due modi diversi di vedere le cose della stessa persona, solo che io mi chiamo Axel.- Mormora ad un centimetro dal suo viso. Adesso ha capito ed è come se si fosse tolto un peso.
Jasper addolcisce il suo sguardo a quelle parole e lo stringe di più a sé. Perché è davvero felice che lui abbia capito chi è.
È vero, lui e Byron hanno lo stesso corpo, lo stesso cervello, sono la stessa persona.
Però lui è Axel.
 

 
 

Salve^^
Questa storia è stata scritta per il contest "Asylum" e il mio pacchetto prevedeva che scrivessi qualcosa riguardo al disturbo dissociativo dell'identità; mi sono informata il più possibile e spero di non aver scritto cavolate, in ogni caso sentitevi liberi di segnalarmi gli errori, conoscendomi se avrò sicuramente fatti T.T
Grazie mille per aver letto <3


 
 
 
  
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