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Autore: lady lina 77    15/04/2018    0 recensioni
E se nella scorsa fanfiction mi riagganciavo al finale della S2, ora mi aggancio a quello della S3. Tutto comincia in quella spiaggia dove Demelza, col cuore a pezzi, si concede a Hugh Armitage. E dopo? Se non fosse tornata a casa, cosa sarebbe successo?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Ross Poldark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I bambini avevano reagito ognuno in modo molto diverso alla nascita della sorellina: Jeremy aveva abbracciato forte Demelza e poi aveva dato un bacino sulla fronte a Bella, Clowance l'aveva scrutata per lunghi istanti prima di dire che forse non era così grossa come dicevano e che lei si aspettava una bambina grande come un orso e invece era solo una neonata un pò grassa e decisamente meno bella di lei, Eleanor aveva guardato in silenzio la neonata, aveva cercato di pizzicarle la guancia e poi si era rifugiata fra le braccia di sua madre.

Beh come inizio non c'era male, non scoppiavano dalla gioia e dall'entusiasmo ma non avevano nemmeno espresso il desiderio di abbandonare la sorellina nella neve...

Ross osservò la sua famiglia, tutta riunita sul lettone. E si sentì orgoglioso di quello che aveva creato con Demelza. Aveva una casa accogliente, una moglie che lo amava, dei bambini sani e bellissimi e una famiglia che viveva in armonia e che era stata capace di affrontare una tempesta mostruosa, uscendone più forte di prima.

I bimbi investirono Demelza di domande e lei rispose loro pazientemente, nonostante fosse evidente quanto era stanca. Ross li lasciò fare per un pò, era giusto così ed era un bene che cominciassero a conoscere la loro sorellina, scacciando eventuali gelosie.

Bella, dal canto suo, dopo aver mangiato si era addormentata pacificamente e, incurante del vociare dei fratelli, aveva dormito per la maggior parte del tempo. E quando si svegliò, a metà pomeriggio, Ross decise che era ora che i bambini tornassero da Prudie per lasciare tranquille mamma e neonata che, da come strillava, pareva decisamente affamata. Di nuovo...

Quando i figli furono fuori, nonostante le loro lamentele, Ross sorrise. Si avvicinò a Demelza che stava allattando ed osservò la piccola che sembrava avere una fame mostruosa e succhiava con vigore. "Credo che a Natale si offenderà per il fatto di non poter partecipare al pranzo. Sembra una buongustaia, una che ama il cibo".

Demelza ridacchiò. "Per fortuna non è ancora consapevole di cosa sia il Natale e anche di cosa sia un banchetto, altrimenti finirebbe per divorare noi per il fatto di non poterne fare parte per quest'anno".

Ross tentò di disturbare la poppata della piccola, sfiorandola con l'indice sulla guancia, ma Bella lo scacciò via con la manina. "Ha un gran brutto carattere questa quì, mi sa!" - esclamò divertito.

Trattenendo un ghigno, Demelza alzò il sopracciglio. "Chissà da chi ha preso...".

Ross osservò la piccola. "Da Prudie! Stessa stazza e stesso carattere".

"Smettila, non è vero!".

"Vorresti obiettare, mia cara? Paiono gemelle!".

Demelza scosse la testa, mascherando un sorriso. "Sei peggio dei bambini!".

"A proposito dei bambini..." - la interruppe lui, dandole una leggera carezza sui capelli – "Sei stata brava con loro prima a rispondere a tutte le domande che ti hanno fatto, ma cerca di non stancarti".

"Lo farò, non preoccuparti. Appena Isabella-Rose finisce di mangiare, credo che dormirò un pò".

"Ottima idea".

Con la piccola fra le braccia, lei guardò prima la finestra e poi lui. "Nevica e sta già imbrunendo. Va a Trenwith Ross, o a breve sarà sera".

Deglutì. Aveva cercato di non pensarci ma sapeva di dover andare e sapeva anche che Demelza glielo avrebbe ricordato. "Sei sicura?" - chiese. Aveva paura che ne soffrisse e soprattutto provava il terrore che le succedesse qualcosa mentre era via. Aveva appena partorito ed Elizabeth era morta di parto, un'associazione di idee e avvenimenti che lo facevano impazzire dalla paura...

Demelza, quasi intuendo i suoi pensieri, gli prese la mano e la strinse, intrecciando le dita con le sue. "Io sto bene, non preoccuparti. Starò quì buona buona a letto assieme a Bella, al caldo. E i bambini sono con Prudie e Garrick, è tutto a posto".

Ross sospirò, arrendendosi all'evidenza. Poi si chinò e, dopo averla baciata sulle labbra, si mise il mantello poggiato sulla sedia, sulle spalle. "Mi raccomando!".

Demelza sorrise dolcemente. "Starò a letto, lo giuro".

"Brava, dormi un pò" – le disse, accomiatandosi da lei.

Scese al piano di sotto e, dopo aver intimato a Prudie di occuparsi dei bambini e di non svegliare Demelza, uscì per dirigersi verso Trenwith.

Una strana ansia e un dolore profondo lo invasero, mentre procedeva nella neve che, a fiocchi radi ma costanti, gli sferzava il viso. Durante la giornata i suoi pensieri erano stati interamente occupati da Demelza e dall'arrivo di quel piccolo uragano di nome Isabella-Rose, ma ora...

Ora solo, in mezzo alla brughiera e alla neve, il pensiero di quella morte e di cosa poteva rappresentare per lui, faceva male.

Elizabeth era stata la sua giovinezza spensierata, l'età dei sogni e priva dei problemi, il credere di avere il mondo ai propri piedi e tutto il tempo per conquistarlo.

E ora se n'era andata, per sempre...

Elizabeth era stata la sua ossessione, il suo primo amore e colei che rappresentava il suo più grande errore le cui conseguenze lo avrebbero dilaniato per il resto della sua vita. Aveva rappresentato i suoi sogni di ragazzo, l'amarezza del giovane uomo e ora era un ricordo di un tempo ormai finito da tanto. Era stata importante per lui, era stata colei che gli aveva insegnato la potenza dei sentimenti e che in un certo senso lo aveva preparato a vivere e conoscere l'amore vero, quando l'aveva trovato in Demelza.

E ora era morta, ancora nel fiore degli anni e congelata per sempre in quella sua bellezza che sarebbe stata eterna e non avrebbe conosciuto vecchiaia...

Camminava e mille ricordi di affastellavano in lui senza sosta. Ricordi di una vita troppo breve, il pensiero a bambini che sarebbero cresciuti senza mamma e la consapevolezza che lei, a carissimo prezzo, aveva pagato quell'errore madornale occorso in una notte folle che Ross, se avesse potuto, avrebbe volentieri cancellato.

Ma non poteva farlo e sia lui che Elizabeth avevano pagato a loro modo quell'azzardo: lui aveva perso per due lunghi anni la donna che amava e lei la vita, forse nel disperato tentativo di nascondere con un colpo di spugna le conseguenze di quell'errore.

Arrivò a Trenwith che era quasi buio, oltrepassò con sguardo torvo il portone e le porte di quella casa che rappresentava la sua infanzia e che ora non gli apparteneva più e gli appariva gelida ed estranea e poi, attraverso le scale, andò diretto al piano di sopra. Evitò di guardarsi attorno perché quell'ambiente ormai cupo e privo di appigli al glorioso passato della sua famiglia, in ogni angolo gli ricordava suo padre, suo zio, Francis, zia Agatha, l'infanzia, le cene di Natale e i suoi giochi coi cugini di quando era bambino. Non esisteva più nulla di quel mondo, Trenwith era persa e con Elizabeth morta e Geoffrey Charles lontano, anche ciò che rimaneva del suo casato era sfumato. Per un attimo pensò a Valentine e al fatto che, forse, in qualche modo anche lui apparteneva al casato dei Poldark, ma poi scacciò quel pensiero e decise che mai più vi si sarebbe soffermato. Qualunque sangue scorresse nelle vene di quel bambino, Valentine era di George. Sarebbe cresciuto con i valori dei Warleggan, col cognome dei Warleggan e sarebbero stati per sempre due estranei. Un figlio – e questo glielo aveva insegnato la piccola Ellie – è colui che cresci a ami. Non basta, non serve un semplice legame di sangue, in certi casi...

A metà della scalinata, fu costretto a fermarsi.

George Warleggan, con sguardo torno, gli venne incontro scendendo lentamente gli scalini. "Ross, la tua educazione è e rimane sempre pessima. Ci si fa annunciare, quando si entra in casa di qualcuno. Soprattutto in certe circostanze".

Ross scosse la testa. Santo cielo, pure in un'occasione del genere il suo nemico non perdeva l'occasione di fargli la guerra. Era il tempo del dolore, quello... E sperava che George lo capisse e lo vivesse... "Non devo farmi annunciare, questa è una dimora della mia famiglia".

"La tua famiglia non vive più quì. Non è rimasto nessun Poldark a Trenwith" – disse George, scandendo le parole.

"Questa casa appartiene e Jeoffrey Charles Poldark ed entrerà in suo possesso appena avrà l'età giusta" - gli rispose, rendendosi conto di quanto ridicola ed irreale fosse quella conversazione fra loro.

George parve non accorgersene. "In questo momento è in viaggio. Sta tornando da Londra e comunque sono il suo tutore. Ciò che è suo, è mio".

Ross decise di lasciar cadere l'argomento. Che cosa importava di Trenwith, davanti alla morte di una giovane donna che lasciava tre orfani? Nulla, proprio nulla... "Non sono quì per discutere di questo. Sono venuto solo a fare visita e a porgere le mie condiglianze. Mi dispiace davvero per quello che è successo, è una tragedia".

George aspettò un attimo a rispondergli e, quando si decise a farlo, fu interrotto dal pianto disperato di un bambino e dai rimbrotti di una domestica.

Una donna di mezza età comparve davanti a loro, tenendo per mano un bambino di circa sei anni dalla folta chioma nera e piena di riccioli. A Ross non ci volle molto per riconoscerlo, era Valentine... Aveva gli occhi gonfi di ogni bambino che piange la morte della madre e le sue guance erano rigate da lacrime che non accennavano a fermarsi. Indossava abitini eleganti e raffinati, era perfettamente pettinato e sembrava un piccolo lord ma nulla in lui faceva presagire la spensieratezza dell'infanzia.

George, con sguardo torvo, osservò il bambino. "Che hai da piangere? Siamo IN-LUTTO! Tua madre è morta e le si deve portare rispetto in silenzio!".

Ross sussultò, colpito dalla durezza sia delle parole che del tono di voce. Era un bambino che cercava solo un abbraccio e suo padre... perché George era SUO padre... sembrava avere in mente tutto tranne quello. Pensò a Nampara, agli abbracci che lui e Demelza davano ai loro bambini, alla pazienza portata quando Ellie non voleva dormire, al modo dolce e gentile in cui sua moglie tranquillizzava i loro figli dalle loro paure e non poté non provare una profonda pena per quel bambino che, sicuramente, non conosceva nulla del genere. Elizabeth era stata una brava madre per Jeoffrey Charles ma Ross sapeva anche quanti guai gli avesse procurato la nascita di Valentine e di certo questo doveva averla lasciata fredda nei confronti del bambino. Ma era pur sempre una buona madre e ora Valentine, senza di lei, si trovava da solo a fronteggiare il clima di odio e sospetti alimentato da suo padre nei suoi confronti...

Un bambino, solo, costretto a pagare le conseguenze degli errori altrui...

Per un attimo sentì l'impulso di prenderlo in braccio e portarlo via da lì, ma fu solo un attimo. Poi tornò alla ragione e alla triste realtà: chiunque fosse, Valentine non era suo... Voleva salvarlo come aveva voluto salvare tanti altri suoi amici in difficoltà ma non se ne sentiva padre. Nonostante tutto, George non avrebbe mai permesso alcun legame fra loro... Mai si sarebbero conosciuti e mai avrebbe potuto essere qualcos'altro, oltre che un vicino di casa, per lui.

Valentine tirò su col naso, imponendosi un contegno che a sei anni non poteva avere. "Mamma mi ha promesso, ieri sera, che mi avrebbe letto la fine della storia che mi stava raccontando. Me l'aveva promesso e le promesse vanno mantenute!".

George divenne rosso di rabbia. Non capiva che era quello non era un capriccio ma un grido di dolore di un bambino che cercava un modo per riavere accanto sua madre. "TUA-MADRE-E'-MORTA!!! Come puoi essere tanto pessimo da pensare a una fiaba? Vattene in camera e medita sul tuo oltraggioso comportamento! Tua sorella Ursula, che è una neonata, è molto più assennata e sensibile di te".

La cameriera prese di forza il braccio del bambino, trascinandolo via prima che George desse in escandescenze. Il piccolo si dimenò ma alla fine fu costretto a cedere a quella punizione ingiusta e crudele...

Ross guardò George e nel suo animo sentiva dolore. Oltre alla rabbia, era il dolore nel volto di Valentine che lo aveva colpito. "E' solo un bambino che ha perso la mamma".

"E io sono un uomo che ha perso la moglie!".

Dovette mordersi il labbro per non rispondergli a tono e mancare così di rispetto alla memoria di Elizabeth. "Posso vederla?" - chiese solo, tagliando corto.

Gli occhi di George si assottigliarono. "Certo. Scommetto che conosci più che bene la strada che porta alla camera da letto".

Ross, questa volta, non riuscì ad alzare lo sguardo perché sapeva che, se lo avesse fatto, si sarebbe tradito. E avrebbe messo ancora più nei guai Valentine. La paternità di quel bambino doveva rimanere solo un sospetto o la sua vita futura sarebbe stata ancora più infernale. "Ci metto un attimo" – disse solo, superandolo.

Percorse gli scalini che gli mancavano, con la morte nel cuore. E quando entrò in quella camera da letto ogni istante con lei, ogni momento di quella notte di follia che aveva portato a quella valanga che aveva travolto tutti, scorse davanti ai suoi occhi. Si sentì in colpa... Cosa aveva fatto? Ad Elizabeth, a Demelza, a Valentine e a se stesso?

E ora, ora come poteva, seppur in parte, rimediare?

Come poteva...?

Si avvicinò al letto, le lenzuola erano ancora macchiate di sangue ed Elizabeth aveva il volto marmoreo della morte. Sembrava di porcellana, una porcellana fine che pareva sul punto di rompersi.

Un dolore forte e acre emanava dal suo corpo, come se fosse morta da giorni e non da ore. Dwight aveva ragione, il corpo di quella donna tanto amata in passato si stava disfacendo per qualche strano, letale veleno che aveva ingerito... Entro pochi giorni nulla sarebbe rimasto di lei, tanto eterea e bella, tanto sognata in gioventù e tanto ammirata in società...

Era morta e non avrebbe potuto più essere felice, non avrebbe più potuto abbracciare la sua bambina e i suoi figli sarebbero stati soli. Si chinò, pensando a quanto doveva essere stata disperata quando aveva capito che era alla fine. Provò pietà per la piccola Ursula che mai avrebbe potuto godere della vicinanza della mamma e il pensiero andò a Bella che, invece, in quel momento dormiva felice fra le braccia di Demelza, come se non avesse bisogno d'altro.

Si chinò, dandole un bacio di addio sulla fronte. "Mi dispiace... E ti giuro che troverò il modo per riparare, almeno in parte, il torto che hai subito... Troverò il modo, te lo prometto! Per te e per i tuoi figli".

Gli rispose il silenzio della morte...

E arrendendosi a ciò, dopo averle dato un ultimo sguardo, si avviò verso la porta. Chiuse l'uscio e con esso l'ultimo appiglio alla sua gioventù e al ragazzo che era stato e che non esisteva più.

Nel corridoio, ad attenderlo, rivide George. La casa era avvolta nel silenzio, la piccola Ursula probabilmente dormiva accudita dalle balie e Valentine aveva smesso di piangere. Erano soli... "E' terribile. So che non mi crederai mai, ma mi dispiace per te e per tutto questo. Come sta la piccola?".

"Bene, è una Warleggan ed è forte. Pure tu, da quel che si dice in giro, sei diventato padre oggi".

Ross sorrise amaramente. "Le voci corrono, a quanto pare...".

George proseguì. "Ma tu hai sposato una popolana e si sa, quelle son fatte solo per sfornare figli. Come le vacche, non muoiono di parto...".

Ross sentì l'impulso di prenderlo a pugni ma si trattenne. Demelza si sarebbe arrabbiata da morire, nonostante tutto, e poi... E poi George gli faceva solo pena in quel momento. "Mia moglie sta bene e anche mia figlia. Del resto non mi importa, so di essere un uomo fortunato. E ora, credo che tornerò a casa".

George alzò il braccio, poggiando la mano contro il muro e sbarrandogli la strada. "Fermo!".

"Cosa vuoi?".

George si avvicinò, fino ad essere viso a viso. Indicò con la mano la porta della camera matrimoniale dove c'era Elizabeth e lo fulminò con lo sguardo. "Non so ancora come sia successo, né perché. Il tuo amico Enys non mi ha dato risposte certe su cosa sia successo ad Elizabeth ma io SO che tu c'entri! Non mi importa come, non mi importa nulla se non del fatto che la sua morte è anche opera tua!".

A quelle parole, impietrito, Ross rimase in silenzio. Come controbattare a lui e ai mille sensi di colpa che si affollavano nella sua mente?

George, con un ghigno, si allontanò, lasciandogli libero il passaggio. "Te la farò pagare! Ideerò un modo, ma te la farò pagare!".

Ross scosse la testa, superandolo. "Tua moglie è morta, pensa a lei e a ciò che ti ha lasciato. Non perdere tempo dietro a vendette che non ti restituiranno nulla di ciò che hai perso".

Scese le scale, ma la voce di George lo raggiunse alle spalle.

"Me la pagherai, hai capito Ross Poldark?".

Sì, aveva capito che doveva guardarsi alle spalle. Pur nel dolore della perdita, George avrebbe mantenuto la sua promessa. E prima o poi lo avrebbe colpito... Aveva fatto di quella guerra fra loro la sua ragione di vita e non avrebbe perso l'occasione per un'altra battaglia.

Ma Ross quella sera non voleva pensarci. Aveva solo voglia di andare a casa, dalla sua famiglia, ad abbracciare i suoi bambini e sua moglie ed accendere con loro le candele dell'albero di Natale.

Solo questo contava... Prendere in braccio Bella e coccolarla, sentire Demelza raccontare la fiaba di Natale a Clowance ed Ellie, intagliare gli animaletti di legno da regalare a Jeremy, dare un bacio a alla sua donna...

Questa era la sua vita, la vita che faticosamente aveva riconquistato... E non avrebbe permesso a nessuno di distoglierlo da tutto questo.

Quando arrivò a casa era ormai buio e la neve aveva iniziato a cadere in maniera decisa. Faceva freddo e il tepore del camino fu come una manna dal cielo per lui.

I bambini, con Prudie, erano in cucina. Ross sentì le loro risate appena varcata la soglia e, quando li raggiunse, li trovò sporchi di farina dalla testa ai piedi.

"Papà!" - esclamò Jeremy, correndogli incontro – "Stiamo facendo i biscotti di Natale con le forme dei personaggi del Presepe".

Ross si avvicinò al tavolo dove Prudie, più sporca dei bambini, si dilettava ad intagliare la pasta frolla con forme che, almeno nelle sue intenzioni, dovevano ricordare la natività. "Quando avrete finito, il bagno ai bambini lo farai tu, vero?".

"Certo signore" – rispose la serva con fare distratto.

Ross ne era quasi commosso. Finalmente sembrava assorta in un lavoro... "Ne avete fatti tanti di biscotti" – disse, accarezzando i boccoli biondi di Clowance.

La bimba lo abbracciò, aggrappandosi come suo solito alla sua vita con fare da ruffiana. "Sono per il dopo cena. Così anche mamma e Bella potranno mangiarli".

Ross rise. "Beh, mamma ne sarà contenta ma credo che Bella, benché ne sarebbe sicuramente felice, non potrà assaggiarli".

Ellie, seduta sul tavolo fra farina e pasta frolla, lo guardò storto. "Pecché?",

"Perché non ha i denti".

"Pecché?".

"Perché è piccola e mangia solo il latte della mamma".

"Pecché?".

Ross sudò freddo, non ne sarebbe uscito vivo da quella conversazione. Baciò la bimba senza risponderle e poi si rivolse a Prudie. "La signora?".

"Lei e la piccola dormono. Sono stata in camera poco fa a mettere della legna nel camino ed erano entrambe nel mondo dei sogni".

Ross sospirò rinrancato. Sua moglie si stava dimostrando ragionevole... "Bene, vado da lei. Voi finite i biscotti, FATE UN BAGNO e solo quando sarete puliti e in ordine, potete venire il camera dalla mamma".

I bambini annuirono e Ross si sentì orgoglioso di loro. Forse era la magia del Natale, il calore del camino, le loro risate, l'armonia che regnava in casa o forse non era nulla di tutto ciò, ma si sentiva immensamente fortunato e fiero di ciò che aveva costruito, della famiglia che aveva reso Nampara una vera casa facendo apparire ancora più fredda e spettrale Trenwith e dell'uomo e della donna che lui e Demelza erano diventati. Erano cresciuti insieme e solo ora capiva quanto questo fosse meraviglioso...

Salì in camera e trovò sua moglie ancora addormentata. Demelza dormiva avvolta in morbide coperte, con Bella sul suo petto. Si sedette sulla poltrona per non disturbare il loro riposo ma dopo alcuni minuti la piccola emise un vagito e Ross sapeva che Demelza si sarebbe svegliata per questo. Da sempre, da quando era giovanissima ed avevano Julia, pur nel sonno sapeva percepire il più piccolo movimento dei loro figli.

E infatti Demelza aprì gli occhi poco dopo, osservando subito, d'istinto, la bambina che però sembrava voler dormire ancora qualche minuto.

"Ben svegliata, hai dormito parecchio e oggi, fra Prudie che pare aver trovato la voglia di lavorare e tu che mi ascolti e stai a riposo, posso definirmi commosso" – disse, dalla poltrona.

Demelza lo fissò, poi guardò fuori dalla finestra accorgendosi che era ormai sera. "Ho dormito parecchio, credo".

"Hai dormito il giusto" – rispose Ross, alzandosi e mettendosi sul letto accanto a lei. "Come va?".

"Bene, mai stata meglio. E tu Ross? Sei tornato ora da Trenwith?".

Lo sguardo preoccupato che lei gli rivolse, lo turbò. E decise di tranquillizzarla. "Mezz'ora fa".

"Come è andata?" - chiese Demelza, stringendo Bella a se.

Ross sospirò, accarezzandole i capelli. "E' andata nel classico modo in cui deve andare quando si va a far visita a una persona morta. Penoso... Ogni cosa a Trenwith è penosa".

Demelza si appoggiò a lui. "Ti senti bene? L'hai vista?".

Annuì, non voleva nasconderle nulla, aveva imparato dagli errori passati. "Fa uno strano effetto, sai? E' giovane, bellissima, ha tre figli che cresceranno senza madre e ha lasciato tutto nelle mani di George. Ha fatto male vederla così, senza vita, il suo corpo che sembrava volersi consumare prima del tempo... In un certo senso lei rappresentava la mia gioventù e il passato, dei momenti ormai lontani e chiusi ma pur sempre vivi. Ora non c'è davvero più nulla. Tu sei il mio presente e il mio futuro, lei faceva parte dei miei ricordi di ragazzo, assieme a tanti altri che se ne sono andati... E' difficile dire cosa ho provato, ma credo che sia qualcosa di molto simile a quello che hai provato tu quando hai visto Hugh Armitage morto".

Demelza alzò lo sguardo su di lui. In lei c'era comprensione e un muto desiderio di condividere il suo dolore. "Pena, come dici tu! Hugh aveva tutta la vita davanti come Elizabeth... E ogni loro sogno si è infranto. Non ho provato dolore per me, quando ho visto Hugh morto. Ho provato dolore per lui e per quello che non sarebbe mai diventato".

Ross annuì. Era in un certo senso la medesima sensazione, anche se nel suo caso, a tutto ciò, si aggiungevano tanti sensi di colpa che non sapeva ancora come fronteggiare. "Ho visto Valentine, a Trenwith. Con George... Santo cielo Demelza, è orribile come si comporta con quel bambino e io ho dovuto stare impotente ad osservarli, senza poter muovere un dito".

Demelza deglutì. "George sospetta che Valentine non sia suo".

"Lo so. A un certo punto ho provato la voglia di prendere quel bambino per portarlo via da quell'inferno ma poi sono rimasto fermo e zitto. Non potevo farlo...".

Demelza osservò Bella che, sonnolenta, si sfregava gli occhietti. "Avresti dovuto farlo, invece".

Ross spalancò gli occhi. "Portarla quì? E saresti stata d'accordo?".

Lei sospirò. "George non te lo avrebbe mai permesso, non ammetterà mai davanti a nessuno che c'è la possibilità che stia crescendo un figlio non suo e che Elizabeth l'abbia tradito. Ma se per qualche motivo assurdo lo avesse permesso, avresti davvero dovuto portar via da lì quel bambino".

"Per portarlo quì?".

Demelza sorrise, inaspettatamente. "Lo avrei accettato. E amato! Avrei imparato a farlo come tu sei riuscito a farlo con Eleanor".

Rimase stupito da quelle parole e non voleva che lei si sentisse in dovere di fare una cosa simile. "Tu non mi hai imposto Eleanor! Io ho scelto di renderla mia".

"E tu non mi imporresti Valentine! Sono io che scelgo di averlo quì, se le condizioni fossero favorevoli. Ma non succederà mai e le mie sono solo parole vane. Ma credo ci sia qualcosa che tu puoi fare per lui, per farlo sentire meno solo ed essere un punto di riferimento".

"Cosa?". Voleva senire cosa aveva da dire perché forse proprio Demelza avrebbe potuto dargli la soluzione per tener fede alla promessa che aveva fatto poco prima sul letto di morte di Elizabeth.

Demelza annuì, mentre Bella apriva gli occhietti e si metteva subito alla ricerca del suo seno. "Essere per Valentine ciò che sei sempre stato per Jeoffrey Charles. Uno zio, un punto di riferimento, un amico... Qualcuno da cui correre quando ne hai bisogno, per sfogarti e trovare supporto. Non importa se Valentine sia tuo o no, la cosa che importa è che il sospetto lo rende un bambino solo e bisognoso d'amore. E quì potrà trovarlo, se lo vorrà e ti farai conoscere da lui".

Ross la baciò sulle labbra. "Ti amo e non so cosa farei senza di te".

"Ti amo anch'io. Ti ho sempre amato, Ross. Il mio cuore non è mai appartenuto a Hugh, lo sai, vero?".

"Lo so" – sussurrò, commosso. Tentò di baciarla ancora ma Bella, fra loro, protestò. Era affamata e lui la stava disturbando.

Ross osservò la piccola. Santo cielo, era davvero nata per mangiare, era proprio molto... "Come hai fatto a fare una bambina così?".

"Così come?".

"Così grassa! Santo cielo, somiglia davvero a Prudie e ci costerà una fortuna mantenerla!".

Demelza lo fulminò con lo sguardo, mentre ogni traccia di dolore per quanto successo a Trenwith pareva svanire nell'aria. "Non è grassa, è giusta".

"Pesa quasi quattro chili e mezzo. Quante volte ha mangiato da quando è nata stamattina?" - chiese, osservando la piccola che faceva la sua poppata e pareva vorace come un lupo che sbrana la sua preda.

"Dieci".

Spalancò gli occhi. "Dieci? Le verrà mal di pancia!".

Lei rise. "Prova a spiegarglielo! E smettila di dire che somiglia a Prudie, credo sia anche permalosa".

Ross annuì. Permalosa e dal carattere deciso! Una vera, piccola Poldark in erba! Santo cielo, si sarebbero divertiti da matti loro due! "Comunque ci è venuta proprio bene! Pensa se non avessi insistito per fare l'amore con te, quel giorno...".

Credeva che Demelza gli avrebbe risposto a tono, ma il suo sguardo si addolcì mentre gli accarezzava la guancia con la mano. "Devo ringraziarti per averlo fatto".

Ross si chinò su di lei, baciandola sulla fronte. "E io devo ringraziare te per aver dato un'altra possibilità a questa nostra disastrata famiglia".

Calò il silenzio, un silenzio sereno e tranquillo. Demelza si poggiò sul petto di Ross e la piccola continuò a mangiare tranquilla. "Ross?" - disse, dopo un pò – "Non ti sembra davvero strano e in un certo senso triste che la nascita di Bella corrisponda al giorno della morte di...".

"NO!". Ross la bloccò, deciso. Poi si chinò a baciare la testolina della bimba che, distratta da quel gesto, alzò lo sguardo su di lui allungando la manina per prendergli un ciuffo di capelli. "Questo per noi non è un giorno di lutto e mai relazionerò la nascita di mia figlia a una morte. Questo sarà il giorno del suo compleanno e per me sarà solo questo! Sarei un pessimo padre se facessi altrimenti e Bella non me lo perdonerebbe. E avrebbe ragione!".

Demelza lo baciò sulle labbra, un bacio lento e sensuale, il bacio di una donna profondamente innamorata. E in quel momento, i bimbi irruppero nella stanza coi loro pigiamini, puliti, pettinati e con un vassoio pieno di biscotti.

"Mamma, abbiamo portato il dolce!" - esclamò Jeremy.

Demelza allungò la mano verso di loro e i tre bambini corsero, saltando sul lettone. Ross gli fece posto fra lui e Demelza, facendo sedere le bimbe sulle sue gambe. Era un momento magico, più magico del Natale. Ed era tutto perfetto... "E questo cosa sarebbe?" - chiese, prendendo dal vassoio un biscotto dalla forma strana.

Clowance si imbronciò. "Ma papà, è la stella cometa!".

Demelza rise e Ross si accigliò. La forma era talmente strana... "Pensavo fosse l'asinello".

Ellie allungò la mano verso il vassoio, prendendo un altro strano biscotto. "Quetto è l'anisello".

"Che è quasi uguale al cavallo!".

Ellie si imbronciò. "NNNOoooo! Blutto il cavallo".

Ross scosse la testa. "Oh, amerai i cavalli, un giorno".

Ellie prese il biscotto, spingendoglielo in bocca per farlo stare zitto. E vedendo la bambina serena, allegra, l'amore che i suoi bambini respiravano e che regnava in quella casa, Ross decise di seguire il consiglio di Demelza.

George gli aveva promesso vendetta e sapeva che in qualche modo avrebbe trovato la strada giusta per procurargli dei guai ma a Ross non importava di alcuna ritorsione. Avrebbe allungato la mano e sarebbe diventato amico e zio di Valentine, togliendolo dal buco nero di solitudine e dolore in cui era sprofondato senza colpa e che lo stava annientando.

Sì, lo avrebbe fatto! A qualunque costo!



  
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