Ore 22:43
Lane si guardò le mani.
Sudavano, sudavano copiosamente.
Tutto il palmo era bagnato, e le punte delle dita erano diventate
fastidiosamente scivolose, tanto che dovette abbandonare la presa sulla
penna,
incapace di tenerla salda. La posò bruscamente sul quaderno,
innervosito, e
sfregò le mani nei jeans per asciugarle.
Sbuffò, sfregandosi piano
le palpebre. Gli occhi bruciavano
da morire anche sotto i suoi stessi polpastrelli, li sentiva tirare e
prudere,
stanchi e secchi, esattamente l’opposto delle sue mani.
Il suo stesso corpo stava iniziando a
tradirlo.
La
concentrazione
l'aveva spudoratamente abbandonato quella mattina e, benché
si sforzasse di
controllare l'emozione, ormai aveva preso coscienza del proprio
fallimento. Da
quando Jay gli aveva promesso di portarlo alla Cava non riusciva a
pensare ad
altro. Cominciò a giocherellare con la penna, senza staccare
gli occhi dal
foglio bianco che aveva davanti. Sentì lo stomaco ripiegarsi
su se stesso tanto
da fargli male e il cuore cominciare a battere veloce nel petto.
Mancava così poco.
Ed era tremendo.
Era tremendo non riuscire a pensare
ad altro, e più ci
pensava più sentiva l'ansia farsi strada nel suo cervello e
martellargli nelle
tempie. Era terrorizzato dalla sua stessa impazienza: non era mai stato
alla
Cava, né aveva mai avuto contatti con scrittori che la
frequentavano. Tuttavia
le storie giravano e inevitabilmente alcuni lavori uscivano da
quell’oscuro
raduno: a scuola era facile trovare diverse cose
degli autori più popolari, ne circolavano costantemente
copie sgualcite e lise
che gli studenti si passavano in classe, in mensa e nel cortile; lui
stesso
aveva contribuito a questa condivisione, distribuendo il materiale che
Jay gli
aveva procurato durante le sue brevi e svogliate visite, dopo averlo
letto
meticolosamente da cima a fondo. Diventare un autore della Cava non era
complicato: non era necessario possedere particolari requisiti,
né conoscere
qualcuno di interno al circolo. Questo lo sapeva, perché era
una cosa che sapevano
tutti. Così come sapeva che in ogni caso nessuno osava
avvicinarsi alla Cava
prima di averci pensato bene, perché l'aria che si respirava
lì dentro era
intrisa di pura e agghiacciante competitività.
Nessun nuovo scrittore era benvisto,
aveva detto Jay.
«Ma tu sei così
bravo, ne varrà la pena» aveva aggiunto poi,
come se questo avesse potuto anche solo lontanamente ridurre la
soggezione che
Lane sentiva nei confronti di quel posto.
Improvvisamente suonò il
campanello. Lane sussultò
lievemente e si asciugò un’altra volta le mani
sulle cosce, senza pensarci. Era
arrivato il momento di alzarsi e uscire dalla bolla di malsano
nervosismo in
cui si era recluso tutto il giorno. Afferrò velocemente una
maglietta bianca
dall'armadio e la infilò, senza badare minimamente a
ciò che faceva, si passò
una mano tra i capelli per dar loro una parvenza di decenza,
scostò per un
secondo la porta dalla parete e prese la giacca. Scese rapidamente le
scale,
infilandola maldestramente, con i gomiti che sbattevano contro il
corrimano.
Lanciò un’occhiata allo specchio appeso alla
parete di fronte, si sistemò
brevemente il colletto e infine aprì la porta.
La prima cosa che Jay fece quando lo
vide fu squadrarlo con
disappunto. Lane gli restituì lo sguardo, soffermandosi sui
suoi capelli
incredibilmente spettinati e sulla sua maglietta, troppo larga per quel
busto
scheletrico.
Poi gettò la sigaretta e
gli chiese dove avesse lasciato il
quaderno e, senza aspettare che rispondesse, gli chiese i soldi per la
benzina.
Lane non disse una parola. Si
cacciò un paio di monete fuori
dalla tasca e gliele mise in mano. Poi si diresse in silenzio verso il
motorino
parcheggiato poco distante, si sedette e si mise il casco.
Jay non era un grande frequentatore
della Cava. Ci andava
perché la sorella era amica di uno che stava sempre
là a fare reading, e lui
doveva accompagnarla ogni volta che voleva, perché gli
pagava la benzina.
Allison prendeva le copie gratuite dei lavori degli scrittori dalla
Cava, le
dava a Jay e lui senza nemmeno guardarle le passava a Lane.
«Non sembri molto uno
scrittore vestito così»
Disse, infilandosi il casco a sua
volta. Lane gli lanciò
un'occhiata spazientita e alzò le spalle. Non voleva perdere
tempo, né dare a
Jay l’opportunità di fargli passare la voglia di
andare.
«C'è Allison
stasera? »
«Per fortuna no»
Lane si passò una mano tra
i capelli e borbottò qualcosa.
«Che hai detto?»
chiese Jay, vagamente irritato.
«Ho detto che senza Allison
non ha senso andare»
«Okay, quindi non
andiamo?»
Calò il silenzio. Jay
accese il fanale del motorino e Lane
si aggrappò alla sua giacca. Le sue mani scivolavano sul
tessuto leggero.
«Hai le mani
sudate» sbuffò Jay, prima di allacciarsi il
casco e fare inversione nella via buia.
*
Arrivarono nel punto in cui iniziava
il corridoio della Cava.
Era un posto fuori mano, squallido e tetro, all'ingresso del bosco. Ad
accoglierli all'entrata c'era un tappeto di siringhe vuote e
opalescenti, che
rilucevano debolmente alla luce della luna. Un terribile odore di fogna
e
spazzatura, mischiato a quello umido del muschio e del fango e delle
foglie
marce, contribuiva a rendere la situazione estremamente scoraggiante.
Jay calpestò le siringhe
senza nemmeno guardarle e gli fece
cenno di seguirlo. Lane lo osservò mentre spariva nel buco
oscuro, incespicando
sulle foglie secche, con una mano bianca contro la fredda pietra nera.
Vide
improvvisamente una fioca luce scintillare nella sua direzione e
sentì una voce
alquanto seccata bisbigliare un «ti sbrighi?».
Sussultò brevemente e si accinse
a seguire l'amico. Posò anche lui la mano sulla pietra: era
umida e fredda.
«Se avessi saputo che non
te ne fregava niente non ti avrei
nemmeno chiesto di venire» disse Jay, tenendo alto il
telefono per cercare di
illuminare più strada possibile.
«Si che me ne
frega» rispose sottovoce Lane. Respirava a
malapena per il senso di claustrofobia che gli procurava il tunnel,
terribilmente stretto, accentuato dal fastidio di non avere nessun
punto di
appiglio durante la discesa.
Poi all'improvviso iniziarono i
gradini. E con essi alcuni
dei primi graffiti. Lane osservò la parete, sorpreso. Il
primo disegno che vide
fu quello di un enorme gufo: era stato realizzato con una vernice
bianca che
luccicava debolmente nel buio del corridoio, così come tutti
gli altri.
«È per questo
che si chiama la Cava del Gufo?» chiese Lane
quasi senza pensare, assorto nella contemplazione del gigantesco
animale. Jay
alzò le spalle.
«So solo che la parete di
sinistra è per i disegni, mentre
questa» disse, battendo piano il palmo sulla parete destra
«è quella delle
firme».
Lane lo fissò, incerto.
Jay gli voltò le spalle e continuò
ad avanzare.
Man mano che procedevano
giù per i gradini cominciarono ad
apparire anche delle scritte, come aveva detto il ragazzo. I nomi di
coloro che
avevano frequentato assiduamente la Cava per anni, che avevano ottenuto
la loro
porzione di gloria all'interno di quella losca bolla sotterranea e
anche fuori,
che avevano speso tutti i loro soldi e il loro tempo per investirli in
qualcosa
che avevano riconosciuto come il proprio futuro.
La vocazione
più
grande, pensò distrattamente, continuando a
scendere lentamente i gradini
senza smettere di guardare la parete delle firme, fremente di
eccitazione. Vide
alcuni nomi che conosceva e sentì uno strano, travolgente
formicolio lungo le
braccia. Sorrise lievemente, senza accorgersene.
«Lane!»
Si riscosse al suono della voce di
Jay che lo chiamava, a
venti metri da lui. Quasi si mise a correre. Man mano che si faceva
più vicino
sentiva delle voci concitate, delle risate, farsi sempre più
chiare.
Qualche secondo dopo si
trovò davanti ad un rettangolo
luminoso, all'interno del quale spiccava la sua sagoma, con la schiena
appoggiata
alla parete.
Jay sorrise debolmente e gli tese la
mano. Automaticamente
portò la mano ai jeans per asciugarla prima di dargliela, e
si sorprese nel
trovarla secca come la sua gola. Deglutì nervosamente.
Nel momento in cui prese la mano di
Jay per arrampicarsi
fuori da quel buco infernale il suo cuore cominciò a battere
all'impazzata.
È
reale, esiste
davvero e io ci sono dentro.
La prima cosa che notò
è che c'era davvero molta gente.
Jay si stava trattenendo
più del previsto vicino all'entrata
per scambiare due parole con persone che lui non aveva mai visto in
vita sua.
Rideva apertamente, stringendo tra le dita una sigaretta. Poi, dopo
averla
agitata per un po’ a mezz’aria, se la
ficcò tra le labbra e la accese con un
solo fluido movimento, facendo scivolare un attimo dopo l'accendino in
tasca.
Si passò piano una mano tra i capelli, tirando una profonda
boccata, e fece
scivolare via il fumo grigio dalle labbra rosse che spiccavano in modo
quasi
innaturale sulla sua pelle pallida.
Vide che stava comprando qualcosa,
gli stavano passando
della roba e lui ringraziava con un gran sorriso, il meraviglioso gran
sorriso
sociale che gli invidiava da una vita.
Poi si girò e se ne
andò verso Lane, che si rese conto di
averlo fissato imbambolato tutto il tempo. Vide la sua sfavillante,
bianchissima, migliore maschera morire molto rapidamente sulle sue
labbra.
«Hai usato i miei soldi
della benzina per comprarti la droga»
disse Lane, infastidito, sfregandosi le mani che stavano ricominciando
a
bagnarsi. Jay gli sorrise, per davvero stavolta, e gli
sfiorò lievemente una
guancia.
«Non ho cenato
oggi» disse, nel tono forzatamente ironico e
leggero che Lane detestava.
Nell'udire quell'informazione il
ragazzo roteò gli occhi e
si scostò, troppo irritato e imbarazzato dalle circostanze
per lasciarsi andare
a simili gesti.
Jay per tutta risposta fece
lampeggiare un sorriso
vittorioso nella sua direzione, e senza lasciargli il tempo di
replicare gli
fece cenno di seguirlo.
Tutto questo
è reale.
Si gettarono in mezzo al popolo della
Cava.
*
La Cava era una vera e propria arena
di pietra nera.
Non esisteva soffitto: il cielo era
l'unica cosa che
sovrastasse le sue altissime pareti, e non riusciva a distinguere il
bordo
della conca, che sembrava fondersi alla perfezione con il buio della
notte.
Alcuni alberi erano riusciti a mettere radici nel terreno irregolare e
chiazzato di verde, troppo selvatico e trascurato per sembrare un vero
prato, e
lì si ergevano, nella loro imperturbabile esistenza, a
metà tra lo spettacolare
e tetro trionfo della natura e – Lane non sapeva
più dove volgere lo sguardo perché
c’era davvero troppo da guardare – la strabiliante
manifestazione di umanità
che sfavillava, letteralmente, davanti ai suoi ingenui occhi di
spettatore.
Non esistevano spazi liberi: dovunque
si voltasse, Lane
vedeva luce e caos.
C'erano stand in legno
dall’aria precaria, tappeti sporchi e
consumati di tutti i colori, panche, tavoli, tende, bancarelle
affollate e
rumorose. In ogni angolo c'erano persone che parlavano, ridevano,
discutevano,
camminavano, correvano, litigavano, urlavano, compravano droga e altri
interessanti gingilli e facevano casino. Niente aveva un senso, niente
aveva un
ordine o un criterio.
Centinaia di vecchie lanterne ad
olio, di quelle che era
convinto non esistessero più, erano sparse ovunque, con le
loro fiamme calde e
tremolanti, e gettavano ombre dorate e luminose su qualsiasi cosa,
facendo
luccicare le foglie degli alberi e i capelli dei ragazzi in maniera
quasi
romantica. Alcune erano state appese ai rami degli alberi, altre
appoggiate
alle superfici dei banconi, in mezzo ai fascicoli e ai fogli stampati
di
fresco, altre ancora erano stette nel pugno di giovani volenterosi, che
sgusciavano come lucciole in mezzo alla folla, tenendole alte come per
proteggerle.
Lane era in estasi. Si accorse di
stare sorridendo
apertamente solo quando Jay gli diede un colpetto sulla spalla,
invitandolo ad
avanzare nella calca.
«Tutto questo è
folle» mormorò tra sé, sovrapponendo
per un
attimo la praticità alla meraviglia
«prenderà fuoco qualcosa»
Inaspettatamente, Jay
scrollò le spalle.
«Non ci sono prese di
corrente qui» disse, alzando le
sopracciglia «non possono fare altrimenti»
Lane gli lanciò
un’occhiata di rimprovero.
«Questo lo so»
disse, riportando lo sguardo sulla
moltitudine brulicante, distinguendo appena i volti gli uni dagli altri
e
aggiunse «spero che almeno abbiano qualche
estintore»
Jay scosse la testa, sorridendo
appena.
«Smettila di pensare a
queste stronzate e goditi l’atmosfera»
gli disse, alzando appena la voce per sovrastare il chiasso
«è il motivo per
cui quelle fottute lanterne sono qui»
Lane lo seguì con lo
sguardo mentre si accingeva ad avanzare
ancora di più nel fiume frenetico di persone, consapevole di
doverlo seguire.
«Jay!»
Si voltarono entrambi. Vide il volto
di Jay accigliarsi
improvvisamente.
Allison avanzava verso di loro,
più sorridente che mai. I
riflessi delle fiamme danzavano animatamente sui suoi ondeggianti
capelli
rossi, abbaglianti come fuoco contro il tessuto bianco del suo vestito
– scelta
strana, pensò Lane, che mai l’aveva vista
abbigliata in quel modo – e i suoi
occhi vagavano da un ragazzo all’altro, brillando sotto
quella luce calda e
gialla. Sembrava la personificazione della gioia.
«Ciao» disse Jay,
atono. Nonostante le lanterne
illuminassero anche il suo volto cereo, i suoi occhi rimasero scuri e
freddi.
«Ciao Allison»
disse Lane a voce bassa, lasciando che lei lo
stringesse in un breve abbraccio.
«Jay mi ha detto che ti
avrebbe portato ma non avevo idea
che sareste venuti oggi» esclamò, evidentemente
deliziata dalla presenza del
ragazzo.
«Io invece non avevo idea
che oggi ci saresti stata tu»
ribatté Jay.
Allison lanciò
un’occhiataccia al suo gemello, poi rivolse a
Lane uno dei suoi sorrisi delicati e lo afferrò
frettolosamente per il polso,
cominciando a farsi largo tra le persone.
Non provò nemmeno a
divincolarsi. Lanciò un’occhiata
terrorizzata all’amico, lasciandosi trascinare attraverso le
zolle di terra
asciutta ed erbosa e i tappeti rovinati.
«Guarda che non ti posso
riportare a casa stanotte» urlò
Jay, che era rimasto qualche passo indietro rispetto a loro.
«Non fa niente»
gridò la sorella di rimando, e poi aggiunse,
abbassando il tono e rallentando il passo «almeno ti sei
deciso a portarlo qui»
«In realtà era
lui che non voleva venirci» rispose il
ragazzo, palesemente sulla difensiva, raggiungendoli in pochi passi.
Lane era troppo impegnato a sentirsi
a disagio per prestare
attenzione alla discussione fra i due fratelli. Voleva andare ovunque e
da
nessuna parte. Una parte di lui era incredibilmente eccitata anche solo
all'idea di avere i piedi poggiati sul suolo della Cava,
l’altra invece stava
letteralmente impazzendo per la presenza di così tanta
gente, che lo urtava e
lo spintonava e lo guardava come se fosse totalmente fuori posto
lì, tra loro,
anime elevate e atipiche. Gli tornarono in mente le parole che Jay gli
aveva
rivolto fuori da casa sua.
«Io sono di là
con alcuni amici di scuola, se volete venire
a fare due chiacchiere prima che cominci il reading»
Allison indicò un punto
assolutamente indefinibile
dell'arena e si allontanò in quella direzione, lasciandoli
di nuovo soli.
«Mi spieghi
perché non hai portato il tuo quaderno?»
borbottò
Jay, accendendosi un'altra sigaretta, dando a malapena segno di
accorgersi
della frenesia intorno a sé.
«Perché non mi
andava»
«Sei un cretino»
Il ragazzo scrollò le
spalle, liquidando l’insulto con
apparente leggerezza.
«Non porterò mai
niente qui, e tu lo sai»
Vide il suo volto accigliarsi
impercettibilmente, per poi
ritornare immediatamente al suo stato originario di noia e apparente
apatia.
«Vedremo»
borbottò solamente, affondando le mani nelle
tasche. Lane non rispose.
Va bene
così.
*
Lane era seduto per terra su un
logoro tappeto marrone
insieme ad Allison e ad altre quattro persone che non aveva mai visto
in tutta
la sua vita, proprio nel mezzo della Cava, mentre davvero un sacco di
gambe
camminavano noncuranti intorno a loro. Jay li aveva mollato per andare
a farsi
una canna da qualche parte in santa pace.
Supponeva che anche questi
sconosciuti fossero più o meno
della stessa età dei gemelli. Non avrebbe mai immaginato che
l'amico di Allison
che leggeva pubblicamente le sue poesie sul corpo femminile potesse
avere
ventitré anni.
«Lo so, per te è
strano» disse il ragazzo, il primo
scrittore della Cava che Lane avesse avuto il piacere – si fa
per dire - di
conoscere di persona «da come se ne parla in giro, la Cava
sembra un posto per
ragazzini, o comunque per persone che vanno ancora a scuola. Ma
c'è qualcosa in
questo ambiente che ti trattiene, mi capisci? Una volta che ci sei
dentro, è
per sempre»
Questo qua
è
completamente andato, pensò Lane, annuendo alle
sue parole per far vedere
che aveva capito. Nessuna delle storie che aveva sentito sulla Cava si
poteva
considerare positiva. Tutti dicevano che aveva il suo fascino e che
avere
successo là significava avere successo anche fuori, nella
vita vera, come
scrittori veri, ma ottenere un posto di rilievo, reale, concreto e
intoccabile
lì dentro richiedeva uno sforzo immane.
Fortunati
eletti,
pensò di nuovo, cercando di ignorare il suo stomaco che si
contorceva
dolorosamente.
«Io so di persone che non
hanno concluso niente qua dentro»
disse Allison, bevendo un sorso dal suo bicchiere di birra, facendo
scattare le
sopracciglia in alto in modo eloquente «se Lane deve unirsi
al giro tanto vale
che sappia tutto»
Il suo amico si girò a
guardarlo con interesse.
«Non avevo idea che
scrivessi anche tu» disse, e Lane vide
il suo sguardo mutare, farsi glaciale e allo stesso tempo
più vivace.
«Si, a volte»
rispose semplicemente. Non si stava affatto
divertendo. Fece scorrere rapidamente lo sguardo sulla massa in
movimento
intorno a sé, sperando di individuare la figura familiare di
Jay in qualche
angolo remoto.
«Poesia o prosa?»
«Prosa»
«Ah»
sospirò in tono annoiato «allora non è
il mio campo, mi
dispiace»
Poi si voltò verso
Allison, guardandola con gli occhi
carichi di consapevolezza, nei quali brillava una minuscola luce di
volgarissimo biasimo.
«Comunque, gli inetti non
ce la fanno mai» dichiarò,
rispondendo evidentemente alla sua affermazione di poco prima.
Lane rimase muto come una tomba. Si
sentiva terribilmente a
disagio, aveva bisogno di allontanarsi da quel gruppetto male assortito
e di
andare a fare un giro rilassato tra gli stand, cercare qualcosa che
davvero lo
colpisse e portarselo a casa. D'altronde era lì
principalmente per questo
motivo. Ma non poteva scivolare via con una scusa e sputare in quel
modo
sull’aiuto di Allison, assolutamente no.
Aveva bisogno che Jay tornasse
subito. Asciugò i palmi sul
tappeto senza farsi vedere.
«Quanti anni hai,
Lane?»
Gli chiese sempre lo stesso ragazzo,
che nel frattempo aveva
mandato giù qualcosa con la birra di Allison.
«Diciassette»
rispose automaticamente.
Il tizio senza nome alzò
le sopracciglia, ma prima che
potesse dire qualsiasi cosa Lane sentì la voce di Jay
chiamarlo in lontananza.
Grazie a dio,
pensò confusamente, sentendo il sollievo espandersi caldo e
rassicurante nel
suo petto.
Si alzò rapidamente,
mormorò un «grazie a tutti per il
vostro tempo» e, lanciando ad Allison un timido sguardo
carico di sincera
riconoscenza, corse via.
Non appena raggiunse Jay si accorse
che non era solo. Stava
parlando con una ragazza.
«Lane» disse,
passando un braccio intorno alle sue spalle «lei
è Sam, frequentavamo Chimica insieme. Sam è una
che conosce bene questo posto,
non come quel coglione là» indicò con
la testa l'amico di sua sorella, con
un’espressione di totale disgusto dipinta sul volto.
Sam ridacchiò e Lane
sorrise piano.
Notò che era davvero
graziosa. Lei gli porse la mano e lui
la prese, approfittando di quell’attimo per osservare
rapidamente il suo viso.
I suoi occhi grandi e scuri lo
fissarono con gentile
curiosità. Aveva le ciglia pulite e straordinariamente
lunghe, e ne era
assolutamente consapevole, ci avrebbe scommesso, visto il modo in cui
le
sbatteva quando si accorgeva che Jay la stava guardando.
La sua pelle era di un colore
straordinario. Catturava la
luce e riluceva, dorata e ipnotica, come se fosse fatta di
chissà quale
materiale prezioso, e il suo sorriso vi spiccava, inverosimilmente
candido,
perennemente stiracchiato sulle labbra carnose.
Lanciò
un’occhiata di sottecchi a Jay. Sembrava
completamente assorbito dalla sua ennesima sigaretta.
La ragazza si ravviò un
ricciolo scuro dietro l’orecchio e
cominciò a parlare come se venti secondi di conoscenza
fossero stati
sufficienti a metterla a proprio agio.
«Allora, te lo spiego in
breve. La Cava è come un'arena da
combattimento. In questo posto, come puoi vedere, ci vengono davvero
tante
persone. Ogni giorno. Alcuni sono interessati solamente a fumare, bere,
ascoltare qualche stronzo che legge le sue poesie e a procurarsi
qualche copia
gratuita di un lavoro decente. Ma il vero pericolo della Cava sono gli
altri
scrittori. Mi è parso di capire che tu scrivi racconti, no?
Ecco, se sei
interessato a ritagliarti il tuo posto qui devi iniziare a capire
già da adesso
che non hai nessun nascondiglio e nessuna protezione. Nella Cava non ci
sono
regole. Non è una libreria abusiva né un teatro.
La Cava è un trampolino di
lancio, un ambiente letterario che può essere sia molto
piacevole che molto
spiacevole. Qua nessuno ti da soldi per niente, se vuoi qualcosa devi
mettere
tutto di tasca tua. La cosa bella della Cava è proprio
questa: coloro che sono
più motivati a spendere soldi per mettere in circolazione
copie dei loro lavori
sono i più bravi e vengono sempre apprezzati. Gli sfigati
che non sono capaci
di scrivere due parole di fila non durano niente qui, per questo ti
consiglio
di pensarci bene prima di lanciarti in una cosa simile. Poi devi sapere
che gli
stand sono per gli scrittori che lavorano in gruppo, quindi non
metterti mai
contro di loro, sono praticamente un branco di bestie selvagge. I
tappeti sono
i posti peggiori perché rischi sempre di essere calpestato e
non riesci nemmeno
a sentire la tua stessa voce. I posti migliori in assoluto sono i
gazebo»
Indicò una fila di gazebo
colorati, allineati sul lato
dell'arena opposto al loro.
«Io di solito sto in quello
viola»
Lane, che era rimasto ad ascoltare
affascinato le parole
della ragazza, annuì automaticamente e le chiese d'impulso:
«Tu scrivi?»
Jay spostò lo sguardo da
lui a lei. Lei rise e si grattò la
nuca, spostando i capelli sulla spalla.
«Ti pare che starei qui a
dare consigli alla concorrenza se
fossi stata una scrittrice con un gazebo?»
«Scusami, ho parlato senza
pensare» borbottò Lane, mentre
Jay soffiava fra i denti una breve risata canzonatoria.
«Non ti preoccupare. La
scrittrice nel gazebo viola è una
mia amica. A volte mi invita a fumare con lei. Se hai già
letto qualcosa che
proviene da qui allora forse ti è capitato per le mani
qualcosa di suo. Si
chiama Zoey, ma probabilmente la conosci come...»
«Hyena»
«Esatto»
Lane non riusciva a muovere un
muscolo. Se ne stava lì, con
gli occhi spalancati, a fissare Sam, mentre lei gli sorrideva con aria
comprensiva e Jay lo guardava storto.
Era sicuro di sembrare un idiota. La
portata della notizia
l’aveva sopraffatto, il cuore aveva iniziato a sbatacchiargli
nel petto come un
uccello in gabbia e non riusciva – santo Dio, proprio non ci
riusciva - a
contenere la sua incredulità. Quella sensazione vibrante di
entusiasmo, di
emozione allo stato puro stava rapidamente prendendo il controllo del
suo
cervello, rendendolo consapevole del fatto che ciò che non
aveva nemmeno osato
sperare fino a un minuto prima stava per accadere davanti ai suoi
occhi,
proprio a lui.
«Tu mi stai
dicendo» disse infine, passandosi una mano tra i
capelli, senza sforzarsi di trattenere la sua goffa, estatica
ammirazione «che
conosci la scrittrice migliore di tutta la Cava?»
«Si, diciamo di
si» rispose la ragazza, sorridendo
lievemente alla vista della sua reazione.
Guardò Jay. A malapena si
accorse di stare trattenendo il
respiro.
«Vuoi conoscerla? Ti ci
porto subito se vuoi» aggiunse,
cercando di riconquistare l’attenzione di Jay con le sue
maestose ciglia.
Vide l’amico roteare gli
occhi, ma sapeva benissimo che
anche lui era curioso di vedere la Hyena di cui parlavano tutti a
scuola.
«È bella come
nelle foto?» chiese Jay, scettico.
Sam scrollò le spalle, ma
annuì.
«Come se il suo aspetto
cambiasse qualcosa» borbottò Lane,
mentre una mano invisibile gli stringeva convulsamente lo stomaco. Si
sentiva
un grandissimo idiota per aver reagito in quel modo incontrollato
davanti ad
una sua amica. Sentiva di stare sguazzando in una pozza di appiccicosa
e
ingenua curiosità, affondandovi inesorabilmente, ma non
poteva fermarlo, non
poteva fermarsi.
«Andiamo a conoscere
l’élite di questo posto, allora» disse
Jay, lanciando una breve occhiata eloquente a Lane «speriamo
che non ci mangino»
Dalla bocca di Sam uscì un
grazioso sbuffo divertito.
«Non sono affatto come ve
li immaginate» disse, e un ultimo
bianchissimo sorriso lampeggiò nella direzione di Jay. Poi
la ragazza si voltò
e cominciò a camminare in direzione dei gazebo.
La seguirono con lo sguardo per
qualche istante.
«Ti sei accorto che stava
cercando di sedurti tutto il
tempo, vero? » borbottò Lane, cercando di non
farsi sentire dalla diretta
interessata.
Jay alzò le spalle.
«Andiamo, o rischiamo di
perderci» disse semplicemente,
afferrandogli il polso e tirandoselo dietro, prima di tuffarsi di nuovo
in
quella rumorosa mandria di anime.
Note autrice
Mi scuso per eventuali errori di
battitura, è il primo
progetto serio in cui mi cimento ed è molto importante per
me, quindi ogni tipo
di recensione (soprattutto critiche costruttive) è ben
accetta anzi, vi prego,
criticate tutto ciò che potete. Ci tengo a fare un buon
lavoro e a migliorare
come autrice, se qualsiasi dettaglio della storia risulta confuso o
scritto
male – sotto qualsiasi punto di vista – segnalatelo
senza problemi. In ogni
caso, spero che questo capitolo vi piaccia e che vi invogli a seguire
la storia.
A presto, F.