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Autore: summer_time    16/04/2018    2 recensioni
L'Unione ambisce da quando è nata al Soldato d'Inverno, una leggenda vivente ma nascosta a tutti: addestrato a sopravvivere, a combattere, a uccidere ma soprattutto ad obbedire, sarebbe la risorsa militare perfetta per avere finalmente il controllo totale e assoluto sui territori e sui pianeti. Le più alte cariche lo bramano ognuna per sè, una guardia silenziosa e letale capace di simulare un omicidio per suicidio; l'Esercito lo chiede per sè, una macchina da guerra instancabile e sempre operativa, in grado di allenare nuove reclute; il Museo Generale lo vuole per sè, un umano ancora in vita dopo la Quarta guerra Mondiale, dopo la criogenesi a lunga durata, dopo la distruzione più totale, portatore di antiche culture.
Ma il Soldato è stato problematico fin da subito e la sua mente non è cambiata: che provino pure a manipolarlo, a tentare di sedurlo, a controllarlo. Il Soldato non si è spezzato una volta, non lo farà mai, se credono di averlo in pugno e di comandarlo a loro piacimento si sbagliano: è così che vuole far credere, osserverà ogni dettaglio, stringerà alleanze, vedrà tutti i punti deboli. E poi attaccherà.
Genere: Avventura, Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Dicono del Soldato d’Inverno che la sua voce sia come il miele, densa e soave mentre il suo sorriso splenda tra le tenebre.
Dicono del Soldato che canti mentre sgozza i suoi nemici e che il ghigno sul suo volto faccia tremare i mostri e la luce.

Pianeta Madre Terra. Millesettecentosessant'anni dopo la fine della Quarta Guerra Mondiale e cinquecento anni dopo la nascita dell’Unione.

Kurt avrebbe giurato di sentire il cuore della ragazza - del Soldato, quella bambina era il Soldato doveva ricordarselo – pompare così forte da spezzare il silenzio tombale dell’intero pianeta: era spaventata, terrorizzata e la sua paura si rifletteva nei suoi occhi grigi come il metallo; anche la sua posizione corporea indicava tutto il suo nervosismo: il corpo teso fino allo spasmo, era vicino alla scrivania e le mani ne artigliavano il legno con forza. Azzardò un passo nella sua direzione, voleva rassicurarla, voleva farle capire che non volevano farle del male e che non era in pericolo – almeno se non si fosse ribellata: sapeva bene la futura fine del Soldato e nel profondo non poteva biasimare un suo possibile sentimento di libertà. Eppure il suo tentativo fu interpretato dal soggetto dei suoi pensieri come un attacco: girando la testa di scatto e facendo alzare alcune ciocche castane, ora lo fissava, squadrandolo indecifrabile senza quasi sbattere le palpebre. Passavano i secondi e Kurt si sentì esposto al giudizio del Soldato, sentendosi enormemente a disagio: nessuno lo aveva mai guardato come stava facendo lei, così a lungo, così nel profondo come a volergli strappare la verità dal suo animo.

 Un ronzio meccanico attirò però l’attenzione del gruppo: con una lentezza esasperante un piccolo proiettore stava scendendo dal soffitto, attivato probabilmente dall’apertura della capsula di criogenesi; un fascio luminoso azzurro uscì dal vetrino, modificandosi in seguito all’avvio di un messaggio pre-registrato: una figura olografica maschile si materializzò tra loro e il Soldato fino a che la sua fisionomia non fu completamente distinguibile. Era un uomo con un camice lungo e un cartellino attaccato alla taschina all’altezza del cuore; portava un grosso anello sul pollice e non sembrava molto vecchio.

“Messaggio registrato a fine della Quarta Guerra Mondiale. Parla il Dottor Smith, responsabile e coordinatore del progetto Ghiaccio attuato dall’ex NATO per fermare la guerra, cui scopo principale era la creazione, l’addestramento del Soldato D’Inverno e la sua preservazione.”

Kurt sentì il suo mentore trattenere il fiato: incredibilmente l’ologramma parlava perfettamente la loro lingua, nonostante i secoli che li separavano. E sembrava che pure la ragazza capisse le sue parole.

“La lingua è stata adeguata a quella riscontrata al vostro arrivo dai sensori; perdonerete la scarsa qualità dell’ologramma ma è il massimo che possiamo fare con le tecnologie attuali. Se siete arrivati fin qui, avete trovato il Soldato e lo avrete anche risvegliato: come da istruzioni dovrete lasciargli qualche giorno di riposo dopo lo scongelamento, prima di poter anche solo pensare di utilizzare le sue abilità; inoltre in questi giorni il Soldato recupererà interamente la sua memoria che al momento potrebbe risultare incompleta data la prolungata criogenesi: siate pazienti e non sommergete il Soldato di domande a cui non può rispondere, potrebbe causargli solo un aumento di paura nei vostri confronti; vi prego inoltre di portare entrambi i contenitori sigillati nel vostro abitacolo: essi contengono oggetti personali e l’armamentario del Soldato e devono necessariamente seguire il loro proprietario.”

Kurt puntò lo sguardo sulla ragazza nel mentre l’ologramma parlava: se le informazioni erano corrette probabilmente non si ricordava un granché della Quarta Guerra, forse aveva ricordi più legati al suo addestramento e alla sua scelta come candidata. Anche se dall’espressione sulla sua faccia non sembrava.

“Siate pazienti e il Soldato sarà fedele. Siate precisi sugli obiettivi e sulle missioni da portare a termine e il Soldato eseguirà il lavoro in modo eccellente. Non pugnalate il Soldato alle spalle o vi troverete come il nostro collega Maximoff: sotto tre metri di terra a decomporsi.
Un ultima cosa. Soldato stai per scoprire un nuovo mondo, nuovi mondi si spera e con essi una nuova organizzazione politica, sociale ed economica: dovrai adeguarti e per essere sicuri che tu abbia un appoggio bancario solido e cospicuo, ti abbiamo lasciato aperto il conto che avevi creato, dando indicazioni di versare delle somme di denaro ogni anno; ora dovrai solo trovare la banca che contiene i tuoi soldi. Buona fortuna.”

Così com'era venuto, l’ologramma sparì senza ulteriori cigolii meccanici. E ora ogni sguardo era puntato sulla figura della ragazza, il soggetto della loro missione, l’El Dorado del suo mentore e di tutto il polo scientifico dell’Unione. Kurt si sentiva lacerato: da un lato era eccitato come un bambino, James aveva avuto ragione, aveva avuto sempre ragione alla faccia di quegli stronzi del Consiglio, avevano trovato il Soldato, lo avevano addirittura svegliato dal suo sonno e questo non poteva che spianargli la futura carriera – con una scoperta così importante nessuno avrebbe rifiutato un suo parere da esperto. Dall’altro lato però si sentiva quasi colpevole per la sorte di quella ragazza: non poteva neanche immaginare lo sconforto di non conoscere anima viva in un Universo che la voleva o al loro servizio o morta, la disperazione di doversi guardare le spalle ogni secondo e il doversi adattare e il conoscere ogni singola nuova cosa creata. Forse non avrebbero dovuto neanche svegliarla, avrebbero dovuto lasciarla a dormire, congelata. Una non-morta.

“Soldato.”

La voce del capitano Fuq spezzò l’innaturale silenzio e la tensione accumulata e Kurt lo ammirò per il suo sangue freddo ma la parte difficile doveva ancora venire: dovevano convincere il Soldato a fidarsi di loro, almeno il necessario a farla uscire ed entrare nella navetta. Il capitano aveva comunque la piena attenzione della ragazza e Kurt lo ringraziò anche per aver tolto il suo sguardo da lui.

“Io sono il capitano Fuq, membro dell’Esercito dell’Unione, capitano della nave spaziale militare Cristallina e anche della navetta di spedizione che ci hanno portato qui. Loro sono gli scienziati che ci hanno guidato fin qui – ti hanno trovato e salvato: il loro coordinatore è il Dottor James Kçasip, l’uomo alla mia sinistra mentre loro sono la sua squadra di specialisti. Siamo qui per una missione di recupero, il tuo recupero.”

La ragazza non rispose subito e nei pochi minuti che intercorsero, l’intero gruppo pensò seriamente a dei danni collaterali della criogenesi a lunga durata: Kurt poteva immaginare i pensieri di entrambi i suoi compagni di spedizioni, addirittura se si impegnava anche quelli di James e del capitano Fuq. Tutti collidevano in un’unica risposta: il Soldato è stato danneggiato dalla conservazione.

“Immagino di non avere scelta.”

Era una voce delicata con delle note ancora giovanili; inoltre la pronuncia della lettera “r” era – non sapeva neanche lui come definirla – più morbida rispetto al linguaggio standard. Poi un pensiero gli fece accapponare la pelle: lei era rimasta congelata per secoli, come diamine faceva a conoscere la loro lingua comune così bene? La sua domanda fu posta anche da Jhosha tramite i suoi sibili ma prima che James potesse anche solo incominciare a tradurre il complicato linguaggio dei Chiroptera per il Soldato, la ragazza fugò i loro dubbi.

“Vi capisco, non chiedetemi come non ne ho idea. O forse lo so, ma non lo ricordo.”
Il suo tono era così carico di amarezza e malinconia che a Kurt dispiacque il destino di quella povera ragazza: non avrebbe fatto cambio con la sua vita neanche per tutto l’oro dell’Unione, essere addestrato, mandato nella più sanguinosa guerra del pianeta, congelato e quindi catapultato in un mondo sconosciuto. No grazie.

“Beh quindi che facciamo?”

“Ora provvederemo a portare fuori le due casse ermetiche come da istruzioni – Hool puoi pensarci tu cortesemente? E ti aiuteremo a indossare la tuta protettiva, che funge sinceramente anche da uniforme standard per ogni membro dell’equipaggio e andremo alla navetta: partiremo il prima possibile. Io sono il Dottor Kçasip ma chiamami tranquillamente James mentre lui è il Dottor Kurt Hollander e lei la Specialista Jhosha: sono così elettrizzato all’idea di conoscerti di persona, sono cresciuto sentendo le storie leggendarie sulle tue azioni. Avrei così tante domande da porti ma capisco che tu ora ti senta spaesata perciò spero di parlare con te in un secondo momento.”

“Oh. Certo, immagino di non poterlo evitare: almeno così io potrò chiedere a lei cosa è successo dopo. Io sono Beatris comunque, non il Soldato.”

Se rimase colpita da quella presa di posizione, Jhosha non lo diede a vedere: dopo averle stretto la mano destra, unantica usanza degli umani andata perduta, la Chiroptera andò a recuperare i suoi strumenti sparsi per tutta la piccola stanza per riporli nei loro contenitori, sotto lo sguardo curioso della ragazza. Il sorriso di James se possibile si allargò ancora di più mentre riempiva le orecchie del Soldato – no non del Soldato, aveva un nome quella ragazza ed era Beatris, doveva ricordarselo, non sarebbe stato gentile chiamarla con il suo soprannome – delle meraviglie della tuta protettiva e di come si sarebbe sentita avvolta in un abbraccio caloroso: James però avrebbe dovuto immaginare le infinite risorse della ragazza, di Beatris. Semplicemente chiedendo la composizione del materiale, lasciò che la tuta – quella apparentemente composta da semplice microfibra - che indossava si trasformasse in un esatta copia della tuta tanto elogiata da James: e la faccia del suo mentore fu talmente buffa da farlo scoppiare in una risata mal contenuta. Beatris si girò verso di lui sorridendo leggermente mentre, come impazzito, il Dottore più anziano farfugliava parole quasi incomprensibili, tastando il tessuto della tuta della ragazza.

“Impossibile, è impossibile: questo materiale è stato sintetizzato solo di recente non sarebbe possibile riprodurlo senza sapere la loro composizione chimica.”

“In realtà me l’ha detta lei grazie al nome scientifico e quindi preciso che ha usato: ho solamente scomposto le desinenze e figurato le molecole presenti, il lavoro lo hanno fatto le particelle quantiche all’interno del tessuto della tuta che indosso. Possono infatti diventare qualsiasi materiale io voglia, assumere lunghezza, spessore e tutte le altre proprietà senza alterarsi o perdere efficacia nel tempo; possono anche auto-ripararsi senza limiti di danni.”

Sia lui sia James la guardarono, estasiati da quella scoperta: Beatris non avrebbe avuto bisogno di alcun armadio per i vestiti, tutto quello che le occorreva era indossare quella semplice tuta e desiderare il vestito più adatto. Sua sorella sarebbe impazzita per averla, avrebbe venduto l’anima al diavolo in cambio di uno strumento del genere, lei maniaca della moda.

“Fantastico, semplicemente fantastico, sono senza parole. Che stupido, avrei dovuto immaginare che possedessi risorse non comuni e a noi ancora sconosciute: sono semplicemente estasiato dal futuro, non vedo l’ora di scoprire cosa ancora ci farai riscoprire. Davvero è il giorno più bello della mia vita. Vieni, usciamo da questa stanza, è tempo che tu veda la nostra navetta e ti riposi in un vero letto: il capitano ha convenuto con me di metterti in una camera separata rispetto a noi o al resto dell’equipaggio in modo da farti sentire più sicura.”

Beatris annuì e seguì docilmente il suo mentore. Kurt avrebbe giurato di sentire dei leggeri commenti man mano che salivano in superficie, da parte della ragazza ovviamente, eppure le sue orecchie non riuscivano a distinguere i suoni, le parole, tutto gli sembrava così effimero da sfuggirgli. E quando provò a fare il cavaliere, dicendo che bastava si aggrappasse alla corda e che l’avrebbero semplicemente tirata sù sulla superficie, si guadagnò un’occhiataccia da Beatris valente più di mille parole: non degnandolo di un secondo sguardo, si arrampicò con l’agilità di un gatto fino alla sommità della corda; la seguì immediatamente, scacciando dalla sua mente pensieri poco gentili sul suo conto ma la punta di ostilità nei confronti della ragazza, per come l’aveva trattato, sparì nel vedere i suoi occhi grigi quasi in lacrime di fronte alla desolazione a cui era ridotto il suo pianeta: il grigio della terra spaccata si apriva davanti a loro e il vento, ora arido e caldo, sbuffava incessantemente contro il perimetro abitativo a eterno rammento. Vide Beatris inginocchiarsi e toccare la terra spaccata dalle crepe, incredula, sbriciolarla tra le dita fino a formare una sabbietta fine e grigia, monocroma come il resto della vita sulla Terra.

“Una volta c’era il verde delle piante e il blu dell’acqua. C’erano il marrone delle montagne, il bianco della neve e l’arancione della sabbia dei deserti, il rosso dei tramonti e il giallo delle luci della città; c’era rumore, un sacco di rumore sia dell’uomo sia della natura. Ora è tutto grigio e tutto spento. È tutto morto. Tutto tranne me ed è la cosa più triste.” Sorrise mesta, guardando poi James. “Ma immagino ci siano molti altri pianeti bellissimi e pieni di vista da esplorare.”

Il suo mentore non disse nulla ma vide il dispiacere nei suoi occhi: lasciò che accompagnasse da solo il Soldato – no, Beatris - nella sua nuova stanza, voleva rimanere un po’ da solo a pensare a come sarebbe stato il pianeta nell’era da cui proveniva la ragazza, così pieno di colori e di suoni, pieni di umani e di vita animale. Chissà come si doveva sentire sapendo che lei era l’ultima del suo tempo.

҉҉҉

L’avevano portata in una stanza dai colori neutri, arredata in modo essenziale ma comunque gradevole: probabilmente non era destinata a uno dei membri dell’equipaggio ma a ufficiali o comunque personale di una certa importanza; piacevolmente constatò la presenza delle due casse ermetiche ordinatamente disposte contro il muro e di un vassoio con delle pietanze fumanti: lo osservò con occhio critico ma non vide nulla di strano nel piatto di spaghetti con polpette e pomodoro, sperava che almeno il cibo fosse rimasto come prima, sua nonna sarebbe morta di dolore se l’avesse vista in quelle condizioni e per di più senza un buon piatto di tagliatelle a tirarle su di morale.

Congedò il Dottor Kçasip con gentilezza, chiudendosi poi a chiave nella stanza: per ora non voleva altre visite, doveva ancora riprendersi del tutto e se fosse dipeso da lei non sarebbe più uscita da quelle quattro mura. Però ora aveva del tempo per vedere cosa le avevano conservato e riuscire a capire come recuperare più in fretta la memoria: se provava a ricordare c’erano dei flash di allenamenti massacranti o di scontri a fuoco oppure di visite in una stanza bianca ma mai un quadro ben definito della situazione. Sperava almeno che la sua lei del passato fosse stata abbastanza furba da nascondere possibili aiuti alla lei del futuro. Decise di aprire la prima cassa ed esaminarne il contenuto.

Dentro conteneva gadget e armi varie: riusciva a distinguere due fucili da cecchino completi, almeno sei pistole con silenziatore, un arco con frecce, una decina di coltelli e pugnali di varie dimensioni, bombe fumogene, una corda militare, un teaser, un tirapugni, una daga finemente lavorata sulla lama, giubbotti antiproiettili, svariate protezioni e munizioni, un acciarino, una bussola e un bracciale in metallo. Beatris lo prese incuriosita, un po’ stonava con tutte le armi presenti e lo indossò: sgranò gli occhi e per poco non emise un urletto di sorpresa quando il bracciale si scaldò a contatto con la pelle del polso, sciogliendosi fino a fondersi con essa. Non sentiva dolore quindi sperava che fosse programmato per questo: avrebbe altrimenti detto addio a un’importante e ancora ignoto strumento.

Avvio programma. Code name: Lion.

Beatris sgranò gli occhi alzandosi di scatto in piedi: aveva sentito una voce robotica, che già la stessero controllando? Non aveva ancora mangiato nulla e non aveva indossato niente di loro, non si era fatta neanche toccare dai due scienziati, come avevano potuto inserirle un cip?

Salve Beatris, io sono Lion, il tuo assistente informatico privato. T' informo che ero contenuto nel bracciale al titanio che hai correttamente indossato perciò no, non sei pazza.

“Oh bene, credo.”

Inizializzazione e configurazione in corso, accesso a connessioni disponibili. Appena mi configurerò, saprò aiutarti nel migliore dei modi nel sistema informatico dei dati. Tutto quello che devi fare è chiedere: non ho problemi di memoria e puoi ordinare anche attraverso il pensiero, in caso di pericolo.

“Ok. Ehm, che altre abilità hai?”

Sono esperto in hackeraggio di qualsiasi sistema e posso funzionare per un periodo di trenta minuti senza connessione. Posso gestire più ricerca contemporaneamente e posso farti vedere video agendo direttamente sulla tua corteccia celebrale; posso registrare audio e video o farti accedere a qualunque di essi in qualsiasi momento.

“Utile. Quindi ora sei una parte di me in pratica?”

Si, Beatris.

“Almeno non sono più sola.”

Scrollando le spalle, la ragazza mise il coperchio sulla prima cassa, accingendosi ad aprire la seconda: se la prima conteneva le armi, in questa doveva esserci tutta la sua roba. Infatti, aprendo il coperchio, si trovò catapultata nel passato: erano presenti album con dentro foto di lei, della sua famiglia e dei suoi amici; tutti i suoi accessori come collane e orecchini, le sue adorate penne colorate, quaderni dove scrivere, fotocamere, un kit medico e alcune medicine per malesseri generali, un nuovo mp3 completo di cuffie e caricabatteria con dentro – e questa volta emise un gridolino di felicità – un milione di canzoni; sul fondo scorgeva anche boccette di profumi e saponette mentre dei suoi vestiti non c’era traccia: la tuta che indossava avrebbe dovuto fungere, almeno per un po’, da guardaroba.

Sospirò amareggiata, alzandosi per prendere il vassoio: gli spaghetti ora erano tiepidi ma Beatris li mangiò lo stesso, sorprendendosi per la sua voracità: chissà da quant’è che non faceva un vero pasto o che non faceva una reale dormita. Si scoprì improvvisamente stanca e provata, il letto a una piazza le sembrava l’oggetto più comodo e invitante nella sua esistenza: abbandonò il vassoio e il piatto sopra il tavolino dove li aveva trovati, dirigendosi verso il materasso e comandando alla tuta di diventare un pigiama, uno di quelli comodi ma non troppo pesanti. Si addormentò presto, ben sapendo che si sarebbe risvegliata in una brutta realtà.




 

ANGOLO AUTRICE

Nel scorso capitolo, il prologo, non ho ricevuto alcuna recensione il che mi ha lasciata un po’ titubante sul fatto di continuare o meno la storia. Spero che almeno questo sia stato più interessante: altrimenti non saprei se considerare la storia come un fallimento o meno.

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