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Autore: Kakashi_Haibara    17/04/2018    1 recensioni
L'errore di un padre ha trasformato la vita del figlio in una tempesta senza fine, piena di tormenti e domande.
Ma la luce di una persona allevierà ad Arthur Kirkland il peso della vita, trasformandola in una dolce melodia di colori, proprio come il sole al tramonto.
(Dal IV Capitolo)
- Francis... Tu sei p.. padr- balbettò Arthur non riuscendo nemmeno a finire decentemente la frase per quanto assurda gli suonasse.
- Ti prego, prima di dire qualunque cosa, fammi spiegare! - eppure non c'era nulla da spiegare. La realtà era quella, davanti agli occhi dell’ultima persona che Francis avesse mai pensato di incontrare mentre era insieme ai propri figli.
{FRUK, accenni di Spamano, AusHunPru, GerIta} [FACE Family] (Prologo prescindibile per il momento)
Genere: Drammatico, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prologo

 

Quella sera l'aria era tesa ed inusuale a villa Kirkland.

Arthur poteva capirlo benissimo nonostante fosse solo un bimbo di otto anni. Lo intendeva da come il padre, William Kirkland, un grandissimo e famosissimo uomo d'affari che lavorava ovunque e con chiunque, camminava nervosamente avanti e indietro per il lungo salone del pian terreno della grande villa. Fumava una sigaretta, come era solito fare quando pensava o doveva riflettere in fretta, strisciando i lucidi e costosi mocassini di pelle nera sul pavimento di marmo altrettanto lucido e pulito.

Come di consueto, indossava uno smoking elegante nero. Di solito ad Arthur piaceva il suo outfit così formale, ma quella sera lo inquietava, soprattutto per il fatto che il padre era pallidissimo e che il suo viso era talmente tirato da marcare ancora di più i suoi lineamenti facciali già di per sé duri e severi. I suoi occhi di un colore verde brillante avevano una vena di isteria che sarebbe sicuramente scoppiata se qualcuno gli avesse parlato.

Il bambino non aveva mai visto il padre così agitato: era sempre stato un uomo calmo di natura, persino nelle situazioni più disastrose o movimentate.

Sì. Quella era decisamente una serata inusuale.

Fuori pioveva a dirotto, una di quelle piogge intense ed incessanti, tipiche dell'autunno inglese, che tanto davano fastidio al piccolo Kirkland per il fatto che non poteva giocare a fare il corsaro nel grande giardino della villa.

Per questo motivo erano tutti rinchiusi in un inconsueto silenzio nel salone mentre aspettavano che il lunghissimo tavolo di vetro venisse apparecchiato dai domestici.

La madre di Arthur, Lizabeth Kirkland, cullava con fare frenetico e disattento, più interessata ad osservare il marito che camminava per la stanza, il nuovo arrivato in famiglia, Peter. Anche lei era taciturna, lei che aveva sempre qualcosa da dire, sempre un argomento di cui parlare pur di non piombare in un silenzio stressante, come invece stava succedendo quella sera. I suoi biondissimi e lunghi capelli erano legati in uno chignon ordinato, ad eccezione di una ciocca che era sfuggita dalla retina e che la donna continuava a portarsi dietro l'orecchio.

Arthur era seduto sul pavimento marmoreo e giocava con i suoi soldatini di piombo inglesi, dando ogni tanto un'occhiata a suo padre e al neonato che dormiva beato senza notare la tensione di quella sera. Persino i suoi fratelli maggiori erano silenziosi, cosa assai inusuale, dato che quei tre amavano fargli dispetti di ogni tipo e prenderlo in giro per ogni minima cosa, essendo il più piccolo, ma sempre il più amato in famiglia e quindi provocando l'invidia dei maggiori. Prima dell'arrivo di Peter ovviamente.

Allistor, il più grande, un ventenne in forma, dai capelli rosso fuoco e gli occhi di un verde scuro, era stravaccato su una poltrona di pelle nera. Anche lui stava fumando come il padre e batteva il piede destro sul pavimento, inquieto. Arthur si sarebbe aspettato da lui almeno una battuta sul proprio conto, essendo sempre il primo ad iniziare una guerra con il minore solo per divertimento, ma ciò non avvenne. E se Allistor se ne stava zitto, gli altri due lo seguivano a ruota. Dylan, il secondogenito di quindici anni, era intento ad osservare con i suoi grandi occhi azzurri i pochi domestici che stavano velocemente apparecchiando la tavola. Se anche lui stava intuendo la strana tensione di quella sera, non lo dava affatto a vedere. Era pacato, per niente agitato, ma forse non era una novità. Non si preoccupava mai di nulla, non trasparivano mai emozioni sul suo viso, poteva sembrare quasi apatico da quanto era inflessibile in qualunque situazione.

Invece Colin aveva capito eccome la situazione e lo dava a vedere fin troppo bene. Qualcosa non andava, qualcosa stava turbando il loro padre e sicuramente non poteva essere un fatto positivo. Era seduto sul tavolo di vetro, sul lato che non veniva apparecchiato, e dondolava convulsamente le gambe magroline. Gli occhi, di un colore insolito, tra il verde e l'azzurro, erano incollati al pavimento e non sorrideva. Non sorrideva affatto, cosa assolutamente rara per lui che era un ragazzino con un perenne sorriso sbarazzino stampato sul volto. Sentiva che il padre era turbato per qualcosa, ma non si spiegava come mai stesse in silenzio, invece che rivelare alla sua famiglia il perché di quell'agitazione. L'ansia saliva ancora di più se pensava che in dodici anni della sua breve esistenza non aveva mai visto suo padre ridotto così.

Dopo un paio di minuti di puro silenzio, intervallato soltanto dal rumore delle scarpe di William e Allistor, l'unica donna della famiglia decise di rompere il silenzio.

– Perché non ci sediamo a tavola? Altrimenti la cena si fredda... – la sua voce era un lieve sussurro, forse per paura di far innervosire ulteriormente il marito. Ma fortunatamente, lui non sembrò irritato. Si limitò ad annuire, sedendosi a capotavola.

I ragazzi fecero lo stesso, prendendo i loro soliti posti. Nessuno però sembrò avere molta voglia di mangiare.

L'ultima a sedersi fu Lizabeth, che, una volta messo il neonato nella sua culla, portata eccezionalmente per quella sera in sala, si sedette a destra del marito elargendo un sorriso tirato ai propri figli.

Passarono altri silenziosi minuti, che al piccolo Arthur parvero ore, scanditi dal battito delle lancette del grande e vecchio orologio da parete in legno.

Allistor a quel punto si esasperò, scaraventando letteralmente la forchetta sul suo piatto e battendo un pugno sul tavolo, rivolto al padre. – Allora, si può sapere cosa sta succedendo?! – sbraitò assottigliando lo sguardo. Era sempre stato un ragazzo facilmente incline all'ira, ma quella sera la sua impazienza era salita alle stelle.

Il padre non si scompose, ma gli diede ad intendere che era innervosito da quella reazione con uno sguardo lacerante che Arthur sembrò quasi sentire su di lui. – Non sta succedendo proprio niente e non voglio che manifesti questi modi così bruschi, lo sai, Allistor. – Il tono era calmo, ma faceva trasparire una lieve irritazione nella voce.

I due si scontrarono con lo sguardo in una lotta muta, nessuno dei due sembrava voler cedere, ma alla fine fu Allistor a dover abbassare lo sguardo, incoraggiato dalle parole preoccupate della madre che gli intimava di smetterla e di continuare a mangiare.

Ad Arthur gli si stringeva lo stomaco dall'ansia. Non aveva mai visto Allistor così arrabbiato con il padre, lui che lo venerava pressapoco pari ad un dio. Era quasi tentato di lasciare a metà il suo piatto a causa di quel dolore allo stomaco, ma temeva una sfuriata del padre, che sicuramente non voleva ricevere, quindi diede altre forchettate alla sua carne seppur controvoglia.

Sperava tanto che nessuno volesse più entrare nell'argomento a lui ignoto che però al capofamiglia dava tanto fastidio, ma le sue preghiere purtroppo non vennero ascoltate. Infatti la madre prese la mano del marito, visibilmente preoccupata. – William, caro, se c'è qualcosa che ti turba dovresti dircelo, siamo la tua famiglia e ci stiamo seriamente preoccupando per te. – cercò con lo sguardo quello dei figli per trovare qualche segno di appoggio. Di risposta tutti e quattro annuirono, chi poco convinto, chi invece con energia, poiché davvero preoccupati, come Colin ed Arthur.

William strinse i pugni e rispose alla moglie con una punta di acidità, tipica di ogni membro della famiglia Kirkland. – Ho detto che non c'è niente di cui preoccuparsi, sei sorda? – ringhiò irritato, ma vedendo gli sguardi insistenti ed ansiosi di Lizabeth e dei suoi figli, si pentì di aver utilizzato quel tono così brusco.

Fece un lungo sospiro, passandosi una mano sui capelli neri cosparsi di gel. Prima di parlare deglutì appena e strinse la mano della moglie. – Credo... Io credo di essermi messo nei guai, amore mio. E questo potrebbe mettere in mezzo anche voi. – per la prima volta la sua sicurezza e la sua calma vacillarono, dando spazio nel suo viso ad un pizzico di paura.

Lizabeth impallidì e il labbro inferiore cominciò a tremarle.

William non diede né a lei né ad Allistor il tempo di replicare, che subito continuò. – Ho ricevuto una telefonata oggi pomeriggio. Completamente muta. Credo di aver capito di chi si tratti... E' tutto legato all'ultimo lavoro che ho compiuto insieme ad un mio collega, me lo sento. Mi dispiace, ho messo in pericolo anche voi con ciò che ho fatto... – la sua voce tremava appena e i suoi occhi verdi non avevano il coraggio di incontrarsi con quelli dei suoi familiari.

Arthur non capì di cosa stesse parlando e non fu l'unico. Anche i suoi fratelli e sua madre avevano lo sguardo confuso e non sapevano cosa dire. Fu Allistor, ovviamente, a parlare per primo, scattando in piedi e facendo in questo modo cadere a terra la sedia rumorosamente.  – Cosa significa che hai messo in pericolo anche noi, eh vecchio?! – era davvero infuriato e ad Arthur fece quasi paura. – Sei solo un semplice uomo d'affari, non ti puoi mettere in pericolo! Che cosa mai potresti aver fatto per essere così preoccupato?! –.

Ma lo sguardo del padre non lo rassicurò affatto. Gli si leggeva negli occhi che era seriamente dispiaciuto e pentito per qualunque cosa avesse fatto.

Stette per parlare quando l'allarme del cancello principale della villa rimbombò per tutta la stanza. Era un suono che avvertiva se vi era movimento in quell'area. E sicuramente a quell'ora della sera e soprattutto in quel giorno di pioggia era insolito che ci fosse qualcuno al cancello.

Arthur si irrigidì di colpo. Tutto ciò era davvero strano. Il padre parlava di un lavoro probabilmente finito male e l'allarme casualmente scattava? No, non era decisamente una casualità.

Cercò conforto negli occhi del padre, ma ciò che vide fu solo un lampo di terrore il che lo fece quasi andare nel panico.

Per la prima volta in quella serata, Arthur parlò. – Papà... Non è lui, vero? – chiese il piccolo, preoccupato.

A William si strinse il cuore a vedere il suo bambino così impaurito. Si alzò avviandosi verso lo schermo che proiettava le immagini riprese dalle telecamere del cancello. Guardò ogni immagine attentamente, tentando di scorgere ogni minimo movimento nel buio della sera, ma non gli sembrò di vedere niente. Solo nell'ultima immagine in basso a destra intravide ad un certo punto una figura vestita di nero che si dirigeva velocemente verso la villa.

Si voltò preoccupato verso i suoi familiari che lo guardavano confusi ed intimoriti. Non perse tempo. Si avvicinò rapidamente al tavolo prendendo poi in braccio il piccolo Arthur e riferendosi agli altri tre figli. – Presto, seguitemi, devo mettervi al sicuro prima che arrivi. Lizabeth, prendi Peter e speriamo non si svegli. Fate il più piano possibile e non fiatate. – disse tutto questo con voce agitata, facendo però intendere che non voleva essere contraddetto.

Strinse a sé Arthur e attraversò di corsa il salone, dirigendosi verso il retro della villa, seguito a ruota dai tre maggiori e la moglie, la quale stringeva tra le sue calde braccia il neonato che ancora dormiva.

Arrivati in fondo ad un lungo corridoio, talmente buio, impolverato e silenzioso che era chiaro capire che nessuno ci aveva più fatto visita da un bel pezzo, vi era un tappeto che William scostò velocemente, mostrando così una botola. Si inginocchiò facendo leva con forza e riuscendo dopo vari tentativi ad aprirla. Vi era una scala a pioli che scendeva nell'oscurità. Arthur cinse forte le braccia attorno al collo del padre. Non sopportava il buio e quella situazione gli metteva più paura. Ma William non si fece intenerire dal gesto del piccolo e cominciò a scendere imperterrito, tenendo stretto con un braccio il bambino per non farlo cadere. Arthur si accorse che la cavità non era poi così profonda.

Il padre lo posò a terra per aiutare Colin, il più magro e fragile tra i figli, a scendere. Dopo che fecero lo stesso anche i due maggiori, aiutò Lizabeth con il piccolo Peter.

– Che cos'è questo posto? – chiese lei con un filo di voce, spaventata e preoccupata per la sorte dei suoi figli e del marito.

William le accarezzò dolcemente il viso, accennando un sorriso teso. – E' una villa antica, questo tunnel serviva per sfuggire alle bombe durante la Seconda Guerra Mondiale. Alla fine del tunnel c'è un'uscita, lontana dalla villa, percorrete la strada e fuggite. – sussurrò indicando un punto imprecisato nell'oscurità.

Arthur strinse le braccine attorno alla gamba del padre. – Vieni anche tu! –  esclamò con le lacrime agli occhi.

Colin gli diede man forte, probabilmente per la prima volta in tutta la sua vita. – Sì, papà, fuggiamo insieme, ti prego! – tremava più di tutti e probabilmente stava già versando qualche lacrima. Non era mai stato un bambino coraggioso come i suoi fratelli e se ne vergognava da morire.

L'uomo sentì che tutta la sua sicurezza si stava pian piano affievolendo e si impietosì alla visione dei suoi figli così spaventati.

Prese tra le mani il viso bagnato di lacrime di Colin e appoggiò la propria fronte su quella piccola e calda del figlio. – Sei un ragazzo forte, non dubitarlo mai. Io non posso venire con voi, ma farò il possibile. – nonostante il tono dolce, dava a vedere di avere fretta. Spostò lo sguardo cercando quello di Dylan. Sapeva benissimo che suo figlio si mostrava sempre indifferente in ogni situazione, ma poteva scommettere che non avrebbe retto tutta quella tensione. Come da conferma ai suoi pensieri, nonostante il buio, riuscì ad intravedere il secondogenito tremare. Lo abbracciò il più forte possibile, ricambiato dal giovane che dava l'idea di non volerlo più lasciare. – Prendi Arthur e non lasciarlo mai fino a che tutto questo non sarà finito, siamo intesi? – William non ne fu sicuro, ma gli sembrò che il figlio avesse annuito.

Con rammarico, sciolse l'abbraccio e andò a stringere forte le spalle di Allistor. In quel momento non poté non pensare al fatto che loro due fossero davvero molto simili. Il figlio si era costruito una maschera di cera sul viso pur di non mostrare la sua paura. – Tocca a te, d'ora in avanti prenditi cura della mamma e dei tuoi fratellini, per favore. Se non vuoi farlo per me, allora... – con sua sorpresa, Allistor gli cinse forte le braccia attorno al collo, lasciando così a metà la sua frase. Sentì le labbra del figlio premute sulla sua spalla pronunciare qualcosa, che purtroppo non sentì.

In quel momento si udì un forte sparo che rimbombò per tutta la villa fino a quel momento silenziosa e il portone principale che si apriva, lentamente. William capì di doversi muovere ed estrasse la pistola dalla tasca della giacca, lasciando interdetti i propri figli. Non avrebbero mai pensato che loro padre potesse avere una pistola.

L'uomo fissò nel buio Lizabeth, notando quasi impercettibilmente che anche il suo sguardo era puntato su di lui. Le accarezzò i capelli ed il viso con entrambe le mani, notando che era completamente bagnato dalle lacrime. Avvicinò le proprie labbra a quelle della moglie sussurrando parole di scuse.

Lei singhiozzò, accarezzandogli la guancia con le dita fragili e sottili. – Cosa hai fatto, William? Perché? – la sua voce era rotta dal pianto e l'uomo si lasciò sfuggire una lacrima. La baciò nuovamente, diede anche un bacio sulla fronte del suo piccolo Peter, che probabilmente non avrebbe mai visto e ricordato il viso del suo papà e si voltò, intento a risalire la scala, ma sentì l'orlo dei pantaloni tirato da qualcuno e una vocina che lo chiamava singhiozzante. – Papà, non andare! Io ti voglio qui con me! – era Arthur, che ormai non aveva più retto la situazione ed era scoppiato in un pianto disperato, contagiando anche Dylan e Colin.

William dovette prendere tra le mani tutta la propria forza di volontà per non piangere. Si inginocchiò di fronte al bimbo e gli accarezzò la testa, scompigliandogli i capelli. – Sei un piccolo ometto, Arthie. Sei forte ed intelligente e devi esserlo sempre anche in futuro! Sono davvero molto orgoglioso di te, vedrai che andrà tutto per il meglio. Ti voglio bene. – gli baciò la piccola fronte dolcemente ed infine si alzò.

Diede un ultimo e veloce sguardo alla sua famiglia che doveva assolutamente proteggere, salì le scale e chiuse la botola, correndo di nuovo nel salone.

Arthur udì i suoi passi che si facevano via via più lontani. Non poté resistere: salì le scalette e sollevò lievemente la botola. Non riusciva a vedere granché, solo l'ombra del padre in fondo al corridoio.

Ad un certo punto una voce rauca e tagliente come la lama di un grosso coltello da cucina, sconosciuta alle orecchie di Arthur, rimbombò per tutta la sala. – Kirkland!! Come sono felice di aver trovato così facilmente la tua casa! Bella villa, sai? – la risata fragorosa dell'uomo si insinuò invadente nelle orecchie del bambino. – Ma non sono venuto qui per questo e tu lo sai. Voglio uccidere la tua dolce famiglia come tu e quello sporco di un tuo amico avete fatto con la mia!! – il tono della sua voce era disperato e pietoso.

Colin emise un gemito a sentire quelle parole. E nessuno poteva biasimarlo, mai si sarebbero aspettati una frase simile sul conto del loro padre.

La voce acida di William rispose all'uomo. – E' stata l'unica cosa da fare per farti smettere, Winter! Non serve a niente vendicarti! Verrai arrestato! – quel discorso pareva giusto per perdere tempo e l'uomo chiamato Winter lo capì benissimo, tanto che scoppiò a ridere non curante delle parole dell'altro uomo.

– Non mi incanti, Kirkland. Allora, dove tieni i mocciosi e la tua bella moglie? Voglio farti vivere le stesse atrocità che ho dovuto subire io per colpa tua! – l'eco della sua orribile e gracchiante voce risuonò fortissimo per tutta la casa, seguito da un lungo silenzio.

La sua voce così alta e malvagia, però, svegliò il neonato, il quale emise un gemito che si trasformò piano piano in un pianto innocente.

Purtroppo l'uomo lo sentì, come anche William, che impallidì dal terrore.

Winter scoppiò in un'altra disgustosa risata. – Direi che la sorte è dalla mia parte stasera! Proviene dal corridoio, no? –.

William vide passarsi davanti agli occhi le orribili immagini della sua famiglia uccisa (o peggio) e divenne cieco dalla rabbia. Si scaraventò contro l'uomo buttandolo a terra e uno sparo squarciò l'aria, facendo ammutolire tutti coloro che erano sotto la botola.

Soltanto quando diversi attimi più tardi l'orribile risata di Winter si insinuò nuovamente nelle orecchie di Arthur, il bambino cacciò fuori un urlo straziante. – Papà!! – fece per uscire dal nascondiglio, ma Dylan prontamente lo afferrò per i fianchi e lo prese in braccio, stringendolo forte a sé.

– Presto, andiamo!! – gridò terrorizzato Allistor, il quale intanto aveva preso tra le braccia Colin, svenuto per il trauma. Cominciò a correre con tutte le forze che aveva in corpo e si sentì sollevato quando notò che anche la madre e Dylan con in braccio Arthur lo stavano seguendo. 

Gli si gelò il sangue quando sentì ancora quella risata molto più vicina del previsto. All'interno del tunnel completamente immerso nell'oscurità. Solo allora si bloccò, girandosi di scatto.

Il cuore gli batteva talmente forte che gli pareva di poter sentire l'eco del suo rimbombo all'interno del tunnel. No. Non era il suo cuore. Erano passi.

Allistor era completamente paralizzato dalla paura. Non capiva perché non riuscisse più a muoversi e scappare per portare in salvo la sua famiglia. Stringeva a sé il corpo del suo fratellino, cominciando a sentirlo sempre più pesante.

Riusciva a sentire alla sua destra Dylan che ansimava per la fatica e i singhiozzi di Arthur, probabilmente ancora abbracciato a lui, e poco dietro di lui il piccolo Peter che piangeva senza sosta tra le braccia di sua madre.

Solo quando sentì nell'oscurità più totale la presenza di qualcuno davanti a sé, dovette raccogliere tutte le sue forze per non svenire dal terrore. Chi non sarebbe stato terrorizzato in una situazione simile, debole e disarmato?

– Ah, che aura forte che emani, giovane Kirkland. – ora quella voce poteva sentirla chiaramente a qualche metro davanti a sé. Era sicuro che stesse ghignando.

– Cosa hai fatto a papà, brutto orco?! Te la farò pagare! – esclamò ad un certo punto Arthur esasperato.

– Sta' zitto, Arthur! – gridò allarmato Allistor.

L'uomo rise di gusto e lo sentì fare qualche passo nella direzione dei suoi due fratelli, ma il maggiore lo bloccò parandosi davanti a lui.

– Arthur... Siete proprio divertenti voi ragazzi, è un vero peccato dovervi uccidere. – fece una lunga pausa, come se stesse pensando al da farsi. Poi ricominciò a parlare con un tono ancora più inquietante. – Ma ormai il vostro papà non c'è più e non posso torturare la sua famiglia davanti a lui per farlo soffrire atrocemente... Quindi aspetterò. Oh, sì, non vedo l'ora di vedere quando voi diventerete padri per poter uccidere la vostra famiglia come vostro padre ed il suo lurido collega hanno fatto con la mia e compiere finalmente la mia vendetta! – sbottò in un'altra risata sguaiata prima di avvicinare le proprie labbra all'orecchio di Allistor e sussurrare. – Ed ora correte o ammazzo a caso uno di voi. –.

Il rosso non se lo fece ripetere due volte. I suoi piedi scattarono tornando a correre verso l'uscita, seguito da Dylan e la madre.

Non si fermò. Non aveva la minima intenzione di fermarsi. Avrebbe portato in salvo i suoi fratelli e sua madre, anche a costo di perdere la vita, se quell'uomo si fosse ripresentato di fronte a lui.

L'ultima cosa che sentirono prima della fine del tunnel fu ancora quell'orribile risata del mostro che nessuno di loro avrebbe mai scordato.

Dopo aver corso per almeno cinque minuti buoni, arrivarono finalmente alla fine del tunnel. Fece uscire fuori tutti ed infine salì anche lui insieme a Colin, ancora privo di sensi.

Guardandosi intorno si accorse di essere immerso da un campo di granoturco bagnato dalla pioggia e molto lontano dalla villa, al sicuro, ma che sarebbe stato meglio mettere qualcosa di pesante su quella botola che li aveva appena portati all'esterno, per sicurezza. Fece sdraiare per terra il fratello minore e spostò un pesante masso sopra la botola di legno.

Ansimò per qualche attimo, sotto shock e con ancora l'adrenalina al massimo. Solo quando realizzò cosa fosse successo si accasciò a terra, abbandonandosi in un pianto disperato, che fino a quel momento aveva trattenuto.

Anche Dylan era a terra che piangeva e stringeva al petto il piccolo Arthur, il quale per tutto il tempo non aveva smesso di singhiozzare.

Sua madre abbracciava forte Peter che piangeva per tutto quel movimento inatteso.

Allistor si avvicinò singhiozzante a Colin per accertarsi che non stesse troppo male. Per sua fortuna, respirava ancora e sembrava solo svenuto. Si sdraiò di fianco a lui, abbracciandolo più forte che poté, lasciando che la pioggia cadesse completamente sul proprio corpo.

In quel momento di silenzio, rotto soltanto dal pianto e dai singhiozzi della sua famiglia, Arthur stava fissando irato la villa, la propria casa, promettendosi che un giorno l'avrebbe fatta pagare a quell'uomo. Non gli importava cosa avesse fatto suo padre a lui, Arthur non avrebbe permesso che la facesse franca.

Si ripromise che, una volta cresciuto e diventato più forte, gliela avrebbe fatta pagare. Avrebbe scoperto la verità, anche sul conto di suo padre, per dimostrare che quell’uomo aveva torto e che William Kirkland non era un assassino. Non sarebbe più stato il bambino debole ed impotente. Suo padre credeva in lui. Avrebbe riscattato il suo nome.

 

 

– Mi dispiace, nell'arco di chilometri non abbiamo trovato nessuno che corrisponda al cognome “Winter”, aru. – annunciò a Lizabeth Kirkland l'ancora giovane investigatore Yao Wang che ormai da tre giorni, quelli trascorsi dalla morte del padre di Arthur, si stava occupando del caso della famiglia Kirkland.

Ad Arthur piaceva molto l'investigatore cinese: all'apparenza poteva sembrare gracile e sensibile, ma per quel caso aveva tirato fuori una tenacia eccezionale, che il bambino non aveva mai visto in nessun uomo prima d'ora. Metteva tutta la sua anima nel suo lavoro e nonostante la giovane età, solo vent'anni, era già salito al rango di investigatore della centrale di polizia della città. Era famoso per la sua mente estremamente acuta.

Quel giorno pareva più fiacco del solito, la sua rigidità era quasi inesistente per la stanchezza, la coda di cavallo era stata fatta molto velocemente, diversamente dal solito che invece era ben curata, e le grandi borse sotto agli occhi color nocciola erano ben visibili.

Erano tutti e tre seduti sulle poltrone del salone, lo stesso in cui era avvenuto l'omicidio di suo padre.

Quei pochi giorni erano stati molto confusi per il bambino.

Il dolore per la morte del padre persisteva ancora, ovviamente, ma si era ormai trasformato in pura rabbia, che manifestava non mangiando e avendo un atteggiamento brusco con chiunque. Per questo motivo sua madre aveva preferito portarlo quotidianamente da una psicologa che potesse aiutarlo a superare la morte del padre.

Anche Colin era sottoposto alle sue stesse sedute, ma dal letto dell'ospedale della cittadina: il trauma per la morte del padre lo aveva portato ad un breve coma di due giorni. Dopo essersi svegliato, però, non sembrò stare affatto bene moralmente, quindi la dottoressa consigliò alla povera signora Kirkland di lasciargli fare qualche seduta con un bravo psicologo, al fine di farlo riprendere.

Allistor e Dylan sembravano stare meglio dei fratelli. Dicevano costantemente che non avevano affatto bisogno di uno psicologo e che si sarebbero ripresi da soli.

Quindi Arthur in quei tre giorni vide soltanto la madre, la psicologa e l'investigatore che giornalmente veniva a riferire alla famiglia i procedimenti della polizia.

Ma le notizie che portava non erano mai positive per Arthur. Non si conosceva ancora l'identità dell'uomo che aveva ucciso il suo papà e le telecamere del giardino non avevano favorito un'identificazione facciale.

Si conosceva soltanto, grazie al proiettile ancora nel petto di William Kirkland, l'arma che era stata usata, mai ritrovata: una pistola semiautomatica Beretta M9.

Arthur non avrebbe mai dimenticato quel nome. Era l'arma che aveva portato via da lui il suo adorato padre, il suo punto di riferimento, il suo appoggio.

Quella fatidica sera non sarebbe mai stata dimenticata da nessun componente della famiglia Kirkland.

 

 

 

Spazio dell’Autrice:

Salve a tutti, cari lettori!

Questa é la prima storia a capitoli che scrivo e sono emozionata! Ho sempre desiderato pubblicare le idee su Hetalia che avevo in mente (e sono talmente tante che in una sola vita non potrei mai pubblicarle tutte) e con un po’ di impegno (e tempo libero, che non ho, ma dettagli) riuscirò a concludere questa fanfiction.

Seppur il tema del prologo sia cosi cupo ed infelice, il resto della storia dovrebbe essere più leggero. Solo verso la fine comincerà a riprendere le tematiche del prologo. Ma, nonostante si ambienti nell’universo della scuola e quindi più piacevole e delicato, la trama di sottofondo sarà sempre legata al prologo.

Spero abbiate capito, ma soprattutto spero che queste cose non vi facciano stare male o disgusto (faccio presente che non appoggio assolutamente la vendetta con le armi). In ogni caso, metto il rate arancione.

(Nota: Allistor=Scozia, Dylan=Galles, Colin=Irlanda. I due genitori e "Winter" non sono nessuna nazione in particolare, i primi sono di mia invenzione, il secondo è il Generale Winter che è stato nominato a volte da Russia sia nell'anime che nel comic.)

Grazie a tutti per aver letto, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, ci rivediamo al prossimo capitolo!

 
   
 
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