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Autore: Kakashi_Haibara    17/07/2018    1 recensioni
L'errore di un padre ha trasformato la vita del figlio in una tempesta senza fine, piena di tormenti e domande.
Ma la luce di una persona allevierà ad Arthur Kirkland il peso della vita, trasformandola in una dolce melodia di colori, proprio come il sole al tramonto.
(Dal IV Capitolo)
- Francis... Tu sei p.. padr- balbettò Arthur non riuscendo nemmeno a finire decentemente la frase per quanto assurda gli suonasse.
- Ti prego, prima di dire qualunque cosa, fammi spiegare! - eppure non c'era nulla da spiegare. La realtà era quella, davanti agli occhi dell’ultima persona che Francis avesse mai pensato di incontrare mentre era insieme ai propri figli.
{FRUK, accenni di Spamano, AusHunPru, GerIta} [FACE Family] (Prologo prescindibile per il momento)
Genere: Drammatico, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1

Solo Ottobre

 


Quel giorno pioveva.

Ma non era una novità: in Inghilterra pioveva sempre.

Ottobre però era il mese che odiava di più in assoluto. Arrivava l'autunno che si portava dietro giornate di freddo e piogge perenni alternate ad altre soleggiate ed inspiegabilmente calde.

Non sapevi più nemmeno come vestirti! E Arthur odiava non sapere.

A dir la verità, odiava molte cose – e persone –, ma l'autunno si piazzava sul podio nella sua classifica delle cose odiate.

Preferiva di gran lunga l'estate. L'estate della sua bellissima, amatissima e ammiratissima Inghilterra. Certo, pioveva sempre anche in quella stagione, ma non era una pioggia insistente accompagnata dal vento rigido che porta solo il tanto odiato raffreddore, era più che altro una pioggerellina leggera e gradevole, che ti punzecchiava il viso senza ostinazione, come se volesse accarezzarti.

Ma purtroppo non era estate e quella che aveva davanti al suo naso, al di là della finestra della sua aula di scuola, non era la pioggerella estiva che tanto desiderava.

Lo scrosciare incessante dell'acqua che batteva sui vetri si sentiva ovattato in tutta l'aula accompagnato soltanto dalla voce stridula della vecchia insegnante di letteratura inglese e dal mormorio, che per il momento ignorava, di qualche suo compagno che si era stufato di ascoltare la lezione e che aveva preferito iniziare a chiacchierare con il vicino di banco.

Arthur non sapeva esattamente da quanto fosse immerso nei suoi pensieri, ma gli piaceva. Era tutto così calmo nella sua mente, un posto in cui regnava la quiete totale, ignorando del tutto il mondo esterno, quello reale che tanto lo annoiava.

– Kirkland, tieni gli occhi sulla poesia! – lo richiamò dai suoi pensieri la voce gracchiante della sua professoressa.
Il ragazzo staccò i suoi occhi verdi dalla finestra, annuendo seccato. – Sì, Mrs. Collins. – rispose acidamente. Odiava essere interrotto, sia quando parlava che quando pensava, quindi quella risposta fu più che gentile da parte sua.
L'insegnante fece finta di non aver sentito il tono brusco del giovane studente e continuò con la sua barbosa analisi della poesia di un certo John Donne.

Arthur odiava profondamente letteratura inglese e tutto ciò che riguardava l'arte o che comunque non era pratico e matematico. Non le capiva proprio quelle cose! Non avevano alcun senso logico e doveva scervellarsi per capire il significato di una stupida poesia scritta da un autore sicuramente depresso e con manie suicide.
Quelli scrivevano i loro sentimenti. Ma cosa poteva fregargliene dei sentimenti di qualcun altro? Specialmente se morto secoli prima? Non lo riusciva proprio a capire.
Suo malgrado, si sforzò di restare attento, dopotutto non voleva ritrovarsi una bellissima F scritta in rosso nel suo futuro compito, purtroppo assegnato per la settimana successiva.

Ma la sua concentrazione scemava in continuazione a causa di un brusio che si insinuava nel suo orecchio destro. Cercò in tutti i modi di ignorarlo, ma, dopo ben cinque minuti di chiacchiere continue, non ne poteva davvero più, la sua pazienza stava diminuendo precipitosamente e si voltò di scatto verso i diretti interessati con uno sguardo omicida: erano Francis Bonnefoy e il suo fidato amico Antonio Fernandez Carriedo, due idioti megalomani che parlavano incessantemente ad ogni lezione. Si chiedeva come mai i professori non li avessero ancora separati, sarebbe sicuramente stata l'idea migliore sia per la classe che non avrebbe più avuto quel fastidiosissimo parlottio di sottofondo sia per Antonio che, dopotutto, non era un asso a scuola e stare attento alle lezioni una volta tanto non gli avrebbe fatto sicuramente male. Per Francis invece era diverso, nonostante non stesse per niente attento durante tutte le lezioni, riusciva a prendere voti decenti. Forse era per questo che non lo richiamavano mai.

Ecco perché era una delle persone che non sopportava di più al mondo e si posizionava anche lui sul podio, più precisamente al secondo posto, insieme all'autunno, piazzato al terzo posto. Andava bene a scuola nonostante fosse completamente assente con la testa, infatti aveva sempre uno sguardo pensoso, come se avesse cose più importanti della scuola a cui pensare. Arthur sperava soltanto che i suoi non fossero tutti pensieri perversi, come le sue stupide battute.

Ma non erano ovviamente solo quelle le ragioni per cui non lo sopportava.
Innanzitutto era francese, una cosa che assolutamente non gli andava e che non gli sarebbe mai andata giù . Dopotutto si sa che inglesi e francesi non vanno d'amore e d'accordo. In più il suo orribile accento era talmente fastidioso che Arthur gli avrebbe tappato la bocca con un sasso pur di farlo stare zitto. Aveva una sorella, Monique Bonnefoy, ma il suo accento a confronto con quello del fratello era molto più grazioso. Anzi, grazioso è un aggettivo fin troppo gentile. L'accento di Monique era... Meno insopportabile!

Per continuare la lista delle cose che più odiava di Francis, vi erano i suoi capelli biondi e mossi tagliati lunghi fino alle spalle e tenuti talmente bene che Arthur avrebbe scommesso che alla mattina stava a pettinarli per un'ora intera. Odiava i suoi profondi occhi blu che sembravano letteralmente leggerti e scrutarti l'anima, per questo ti sentivi a disagio, nudo davanti a lui.

Poi lo urtava seriamente il suo carattere: parlava sempre con nonchalance e un tono melenso da dare il voltastomaco, in più flirtava con tutti i possibili studenti della scuola, femmine o maschi che fossero. Chiunque sosteneva fortemente che fosse un bel ragazzo. Il suo fisico da ballerino di danza classica, spruzzato da una valanga di Chanel N°5, lo aiutava a far cadere ai suoi piedi gran parte degli studenti, completamente vulnerabili alla sua innata bellezza. “Perfetto”. Era questo l’aggettivo che usavano.

Infine aveva sempre un sorriso malizioso stampato in faccia e ogni volta che ti rivolgeva uno sguardo, finiva col farti l'occhiolino. Odioso. Davvero odioso.

– La volete piantare voi due oche?! – sibilò nervosamente per non farsi sentire dall'insegnante e il resto della classe.
Interrotti, si voltarono a guardarlo con un'espressione stupita sul volto. Probabilmente non si aspettavano che qualcuno gli parlasse in modo così brusco.
Francis ridacchiò con la sua solita fredda risatina da nobili dei salotti parigini che vedeva nei film e che gli metteva il nervoso ogni volta. Suonava così falsa. Ora che ci pensava gli ricordava il gracidio di una viscida rana. – Guarda come si arrabbia l'inglesino! – disse, facendo il finto sorpreso con il puro intento di dargli fastidio, riferendosi poi ad Antonio, mentre continuava a ridacchiare. – Hai notato che il suo enorme sopracciglio destro quando si arrabbia trema? –.

Lo spagnolo di tutta risposta rise divertito, come suo solito. La sua risata era solare e piena di allegria. In effetti Antonio sorrideva sempre, in ogni occasione. Non l'aveva mai visto senza quell'espressione gioiosa sul viso. Il più delle volte gli dava seriamente fastidio: cosa aveva da ridere e sorridere per tutto?

– Smettila di fare l'idiota, Bonnefoy. Sto cercando di seguire la lezione! – esclamò brusco Arthur stringendo forte la penna che aveva in mano per il nervoso. L'avrebbe ficcata dritta in fronte a quel dannato francese se solo avesse potuto senza finire in galera.
Quello di tutta risposta, come se non avesse minimamente ascoltato le minacce dell'inglese, si sporse il più possibile verso di lui, quel tanto che bastava per arrivare a pochi centimetri dal suo viso. Aveva i suoi profondi occhi blu puntati su di lui e lo mettevano seriamente a disagio. – Sei sicuro di non essere geloso per il fatto che io non parli anche con te, chéri? – Chiese con un tono decisamente irritante per le orecchie dell'inglese.
Lo spinse lontano da sè, senza preoccuparsi di essere troppo brusco. Odiava quando quel mangia lumache si comportava in quel modo. Ma non si vergognava neanche un po' ad essere così “aperto” con tutti?
– Smettila subito, stupida rana! La prossima volta ti stacco quella dannata lingua a morsi! –.
Il francese si limitò a ridacchiare e a fare spallucce, per niente toccato dalla minaccia del ragazzo, e si voltò di nuovo verso Antonio per scambiarsi ancora qualche stupida battuta.
Arthur odiava molte cose, già, ma più di tutti odiava quel dannato francese. E se lo sarebbe dovuto sorbire per tutto l'anno.
Sapeva che non avrebbe resistito a stare vicino a lui per un anno intero. Sarebbe stato un anno odioso.
Per il resto della lezione tentò in tutti i modi di stare attento alle parole della professoressa, ma dall'ultimo banco sentiva solamente il chiacchiericcio incessante dei due compagni alla sua destra, il che lo rese nervoso.
Non che di solito non lo fosse, ma quel giorno lo era sicuramente mille volte di più.
Ed era solo ottobre.

 

 

 

Il suono della campanella che annunciava l'ora del pranzo lo liberò dalla noiosissima lezione di letteratura inglese e dai discorsi senza alcun apparente senso logico dei suoi due vicini di banco.

Arthur restava sempre in classe a mangiare il proprio pranzo portato da casa (non si sarebbe mai sognato di mangiare troppo spesso il terribile cibo della mensa scolastica! Il suo era decisamente più buono, anche se Francis sosteneva fermamente il contrario).

Di solito invece Francis ed Antonio scendevano in mensa per mangiare insieme all'ultimo membro del trio di rompiscatole, Gilbert Beilschmidt, un tedesco albino dell'altra sezione, chiassoso e dalla risata talmente sguaiata che ogni volta rimbombava in ogni angolo della scuola.

Come richiamato dai suoi pensieri, appena suonata la campana, Gilbert fece capolino nell'aula con la sua risata assordante, sbattendo rumorosamente la porta.

– Andiamo a mangiare che ho una fame tremenda! – urlò senza avere la minima intenzione di tenere un tono di voce moderato e consueto al luogo. – Se non ci muoviamo ci beccheremo la fila! –.

Antonio rise di gusto a quell'entrata scenica. – Anche io muoio di fame! Spero non finiscano subito i panini con i pomodori! – esclamò tirando fuori dal portafoglio la tessera per il pranzo.

Chiunque avrebbe scommesso che fosse spagnolo: nonostante abitasse in Inghilterra da quasi tutta la vita, il suo accento non ne voleva proprio sapere di andarsene. Probabilmente in famiglia parlavano spesso nella loro lingua nativa. Anche lui era un bel ragazzo muscoloso, dalla pelle ambrata e gli occhi di un verde brillante. Era carino, peccato fosse irritante come i suoi due amici.

Gilbert scoppiò in una risata ancora più forte di quella di prima che spaccò i timpani di Arthur. – Tranquillo che non finiranno! Sono talmente disgustosi che rimarranno in quel frigorifero per altri trent'anni! Hey! Perché stasera non mangiamo insieme qualcosa di buono nel nuovo ristorante italiano del centro? – chiese di punto in bianco spostando lo sguardo da un amico all'altro.

Antonio divenne improvvisamente tutto rosso, mentre Francis scosse la testa dicendo che quella sera avrebbe dovuto lavorare.

Arthur era interdetto, lavorava anche! Come faceva allora a studiare e prendere bei voti? Non lo invidiava, ovviamente, figuriamoci! Lui, un inglese, invidiare un lurido francese? Mai! Semplicemente non lo trovava logicamente possibile. Dove lo trovava il tempo? Per di più Francis proveniva da una famiglia benestante, non aveva affatto bisogno di lavorare per ricevere soldi.

Arthur addentò il suo sandwich cercando di non pensarci troppo o sarebbe diventato ancora più nervoso. Con una smorfia notò che il pane era completamente bruciato.

Il sorriso di Gilbert scemò in una smorfia di delusione. - Hai ragione... Beh! Per una volta potresti darti una pausa, no? -

Francis rise scuotendo la testa. Era una risata sincera, completamente diversa a quella che rivolgeva ad Arthur. Probabilmente stava davvero bene con i suoi due inseparabili amici.

Antonio intervenne, appoggiando gentilmente le mani sulle spalle degli altri due. – Allora facciamo domani sera! Staccherai prima dell'ora di cena, giusto? Io e Gilbert potremmo comprare la cena per tutti e mangiarla a casa tua, Francis. –

– Perfetto! Ma non comprate schifezze! Solo una cena degna del mio raffinatissimo palato francese! –. Uscirono tutti e tre dall'aula facendo risuonare le loro risate in tutto il corridoio.

Arthur quasi invidiava la loro amicizia. Era così sincera e spontanea. Lui invece non aveva mai avuto amici proprio perchè era lui stesso a non volerli. In più non sarebbe mai riuscito ad essere così spontaneo con qualcuno e gettare via la maschera di compostezza, freddezza e rigidità che si era creato e che era impenetrabile persino per i suoi familiari.

Quei tre invece si volevano bene come se fossero fratelli. Così diversi, ma così uniti. Tutto il contrario di Arthur ed i suoi fratelli di sangue: a momenti non si parlavano neanche.

Forse l'amicizia del trio era tanto salda per il fatto che si conoscevano ormai da molto tempo. Francis ed Antonio erano amici sin dalle elementari ed erano di un anno più grandi di Gilbert ed Arthur. Francis poco prima di frequentare il suo quarto anno si era ritirato dalla scuola per motivi di salute (o almeno così si diceva in giro) ed Antonio si era fatto bocciare apposta per non rimanere senza il suo amico. Un'azione stupida secondo Arthur, ma mostrava sicuramente un grandissimo segno di affetto.

Gilbert, che si era unito ai due ragazzi durante gli anni delle medie dopo una bravata compiuta da tutti e tre, di cui Arthur, fortunatamente, non conosceva i dettagli, aveva sperato di poterli avere nella stessa sezione, ma sfortunatamente per l'inglese se li era beccati lui.

Risvegliatosi dai propri pensieri, Arthur si accorse di essere rimasto solo in classe e di aver già finito il suo disgustoso pranzo.

Per un attimo, senza il rumoroso trio di fianco a lui, provò uno strano senso di solitudine, che scacciò subito scuotendo velocemente la testa.

Non si sentiva solo. Non gli era mai pesato il fatto che non avesse ancora amici o una fidanzata. Anzi, preferiva quella situazione. Non doveva fingere di essere sincero ed esternare i propri sentimenti con un possibile “amico” o in perfino una relazione.

Sì. Gli andava bene così.

 

 

 

Erano solo le sei del pomeriggio, ma ormai il sole era calato da un pezzo. La pioggia della mattina aveva lasciato delle grandi pozze d'acqua sull'asfalto della cittadina.

Arthur camminava per il vialetto che conduceva alla villa di famiglia con la borsa di scuola a tracolla e sulla spalla il grande borsone che conteneva tutto il necessario per la lezione di karate che praticava ogni giorno a scuola dopo l'orario scolastico.

Quel giorno fu particolarmente pesante. L'istruttore Adnan non diede neanche un attimo di pausa ai suoi allievi ed Arthur sentiva letteralmente le sue gambe cedere ad ogni passo a causa degli sforzi compiuti. Per di più sentiva ancora le rumorosissime risate di Gilbert ed Antonio rimbombargli nella testa. Esatto, non solo se li sorbiva durante le lezioni o le ricreazioni, ma persino nelle attività pomeridiane!

Ormai praticavano tutti e tre quel corso da molti anni, ma l'inglese pensava che negli ultimi tempi quei due fossero diventati ancora più chiassosi. Erano eccezionali nelle arti marziali, ma davvero troppo rumorosi per i suoi gusti.

Per fortuna era già venerdì, pensò. Aveva due giorni di completo riposo.

No, forse non completo. Doveva mettersi assolutamente a studiare per il test di letteratura inglese. Il solo pensiero gli fece venire ancora più mal di testa.

Tirò un grande sospiro di frustrazione. L'unica cosa che voleva in quel momento era riposare, avrebbe pensato a studiare il giorno seguente.

Finalmente varcò l'enorme cancello di ferro della villa. Ad accoglierlo ci fu King, il pastore tedesco che avevano preso qualche anno prima come cane da guardia. Arthur si inginocchiò per accarezzargli il muso, mentre quello si dimenava e scodinzolava per la felicità. Almeno qualcuno era felice di vederlo, disse tra sé e sé Arthur con una vena di tristezza.

In effetti, non c'era nessuno in casa che potesse essere felice di vederlo proprio perché il weekend la villa diveniva più deserta del solito. I suoi fratelli tuttavia non stavano a casa neanche durante la settimana. Allistor spesso andava a dormire nel suo appartamento a Londra, dove lavorava in occasioni speciali. Dylan e Colin invece facevano di tutto pur di non restare in quella villa: uscire a cena, andare a qualunque festa possibile, dormire a casa di amici o delle fidanzate. Arthur pensava che facessero tutto questo pur di non vederlo. Finivano sempre per litigare quando si incontravano, quindi a lui andava più che bene.

Gli dispiaceva molto invece non vedere in giro sua madre o il suo fratellino Peter, probabilmente l'unico con cui aveva un legame più “affettuoso”. Purtroppo la madre lavorava spesso a Londra o a Brighton, quindi non sapeva esattamente quando sarebbe tornata, mentre Peter probabilmente era a dormire da un amichetto, come ogni venerdì.

Arthur si guardò intorno chiudendosi il portone della casa alle spalle. Il salone era talmente buio e silenzioso che gli mise i brividi. Si affrettò ad accendere più luci possibili pur di non dare spazio alla sua immaginazione di vedere cose inesistenti, ma comunque spaventose, nascoste nell'oscurità.

Troppi ricordi lo assalivano in quel salone. Bruttissimi ricordi.

Si stravaccò sulla poltrona posta davanti al camino spento. Era davvero triste, quella casa. Troppo grande per contenere quelle poche persone che qualche volta ci abitavano.

La testa continuò a girargli senza sosta, non riusciva nemmeno a pensare da quanto gli faceva male e, senza accorgersene, si addormentò.




Spazio dell'Autrice:

Bentornati miei carissimi lettori!

Innanzitutto ringrazio tantissimo coloro che hanno aggiunto la storia tra le seguite, preferite e a colei che ha recensito. Purtroppo siete davvero tanti e non posso elencarvi tutti qui. Ma in ogni caso sappiate che sono davvero felice.

Poi volevo scusarmi per aver aggiornato la storia dopo così tanto tempo, ma non ho avuto abbastanza tempo per correggere il capitolo tutto in una volta ed ogni volta che lo prendevo in mano mi sembrava sempre o troppo lungo o troppo corto o pieno di errori. in ogni caso, fatemi sapere se ho commesso eventuali errori!

Nel primo capitolo della storia facciamo finalmente conoscenza di altri personaggi importanti della storia. Arthur ci va pesante con gli insulti contro Francis, non cambierà mai! Nemmeno in questa fanfiction XD So che può sembrare scontato il Best Friends Trio, ma io lo adoro da morire e non potevo non aggiungerlo!

(Nota: Sadiq Adnan è l'attuale nome di Turchia, in questa fanfiction l'istruttore di karate di Arthur, Antonio e Gilbert. Mrs Collins invece non è nessun personaggio particolare,è di mia invenzione)

Spero che questo capitolo di introduzione e descrizione vi sia comunque piaciuto, mi piacerebbe sentire cosa ne pensate! Noi ci rivediamo alla prossima! Bye bye, Aru! :3

 

   
 
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