Film > Thor
Segui la storia  |       
Autore: shilyss    18/04/2018    8 recensioni
I Nove Regni sono rimastati schiacciati sotto il pugno di ferro di un nemico invincibile: Thanos, il Titano Conquistatore. Coloro che non sono morti nel tentativo di combatterlo, cercano di sopravvivere come possono. Mentre il potere del nuovo signore di aumenta a vista d’occhio, si dice che ci sia qualcuno che lavora nell’ombra per fermarlo. Che si tratti di una vana speranza?
Dal cap. 1: “Thanos aveva preteso la sua vendetta comunque (…) Il destino di un traditore doppiogiochista era inevitabilmente tinto di rosso. Loki Laufeyson non era andato da Thanos nelle vesti di capo di stato, ma col ghigno beffardo di uno che non aveva niente da perdere, come un lupo solitario egoista e crudele pronto a recuperare in fretta il tempo perduto e il prestigio svanito.”
La mia personale visione dell’Infinity War (assolutamente NO spoiler). Seguito delle mie fanfic “Tutte le tue bugie” e "Oltre l'inganno." Non è necessario averle lette.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Sigyn, Thor
Note: Lemon, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'La tela degli inganni'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
2
Quello che è rimasto
 
Anni dopo, Njord mentre agonizzava nel letto avrebbe chiesto perdono a Sigyn. Loki aveva già indossato la divisa e i colori di Thanos abbandonandola, e il vecchio re, prendendo tra le sue la mano bianca e sottile della giovane donna, si sarebbe assunto la responsabilità di averla costretta suo malgrado a una vita infelice. In punto di morte aveva maledetto quell’Ase crudele che lui stesso aveva fatto entrare in casa sua. Affascinato dalle sue abilità, troppo tronfio per comprendere i pericoli derivanti da quell’ambiziosa decisione, non si era fatto scrupolo nel lasciare che Loki vivesse nella sua casa, mangiasse alla sua tavola. Piangendo, aveva chiesto scusa a Sigyn per averle fatto credere che il dio dell’inganno potesse essere tenuto a bada. Che imperdonabile leggerezza era stata, la loro!

Avevano vissuto sotto lo stesso tetto per anni, tanto da credere che, nei loro confronti, il fiero Ase potesse essere se non leale almeno riconoscente, ma non si può far entrare un lupo in casa e pensare di averlo addomesticato solo perché, talvolta, si lascia accarezzare il manto scuro senza azzannare la mano che gli si avvicina. Così Sigyn, che avrebbe dovuto temere Loki e rivolgergli la parola solo se necessario, aveva finito per essere incauta, apostrofandolo ai banchetti, chiedendo la sua opinione sui più disparati argomenti, litigando con lui su qualunque cosa. Il re, che pure si reputava scaltro, aveva ignorato il pericolo rappresentato da quelle discussioni, non accorgendosi affatto di ciò che stava succedendo sotto il suo naso. Avrebbe dovuto avvedersene e scacciare l’infido consigliere, ma la vanità lo aveva bloccato, inchiodandolo contro il suo errore. Senza il dio dell’inganno, Vanheim non avrebbe continuato ad affermarsi come una potenza militare e politica.

L’altro sbaglio era stato lasciare che si sposassero. Sigyn si era risentita profondamente per quella battuta. Gli aveva detto che amava l’Ase; si era innamorata di lui lentamente, vincendo i pregiudizi, cercando dietro il suo sguardo glaciale la tristezza di chi abbia perso qualcosa. In un mondo di ipocriti travestiti da gente perbene, il dio dell’inganno le era sembrato, per paradosso, l’individuo più sincero di tutti. Mentiva, tramava, irretiva, manipolava, ma non si nascondeva dietro a un dito, non giustificava le sue azioni. Persino con lei era stato a suo modo leale, e l’aveva difesa e voluta al suo fianco quando la sua famiglia si proponeva di scacciarla. Glielo ricordò con un tremito offeso nella voce altrimenti chiara.

Njord aveva scosso debolmente la testa adagiata sul cuscino. “Avrei dovuto proteggerti, allora, hai ragione.”
“Ma non l’hai fatto, e senza il dio dell’inganno ora sarei nel Tempio.” Non avrebbe dovuto rivolgersi in maniera tanto dura a suo nonno morente, che respirava a fatica, né difendere a spada tratta Loki Laufeyson. Entrambe le cose erano ingiuste, ma le Norne avevano filato per la giovane donna un destino e un nome che presto avrebbero avuto un loro pieno senso.
“Doveva rimanere qui, proteggerti a costo della sua vita. Invece se n’è andato per morire lontano non per te o per i suoi figli né per Vanheim, ma per se stesso e, forse, per Asgard. Ti ha abbandonata, bambina mia, e vi rinnegherà tutti per salvare la pelle. Ecco quanto ti è costato sposare Loki Laufeyson. Sarai sola per sempre.”

Sigyn aveva indietreggiato, colpita da quelle parole come da uno schiaffo. Asgard non esisteva semplicemente più: era crollata sotto i colpi di Surtur e di Thanos. Gli Asi sconfitti avevano raggiunto i confini di Vanheim con gli occhi carichi di orrore e gli abiti laceri e sporchi. Un fiume di derelitti si era riversato sulle strade lustre e lastricate di mattoni degli altezzosi Vanir. Sigyn aveva comandato che fossero accolti e protetti, in virtù dell’antica alleanza tra il suo popolo e quello governato dalla casa di Odino. Così aveva affermato dicendo di parlare a nome di Njord, suo nonno, troppo malato per potersi affacciare al balcone. Era una bugia, ovviamente, la prima di molte che la donna avrebbe detto. L’anziano sovrano soffocava nel proprio letto stroncato dalla malattia, ma si era opposto con forza all’apertura delle sue frontiere per accogliere gli Asi esuli e fuggiaschi: gli avrebbero portato guai, come aveva finito per fare, anni prima, il loro principe dal sorriso obliquo e affascinante che, una sera, aveva bussato alla sua porta. L’anima che stentava a lasciare il suo corpo non gli lasciò la pietà che si incontra spesso sulla soglia della morte, tutt’altro. Njord si lasciò invadere il cuore dalla paura e dal rancore. Una leggenda antica dei Vanir raccontava come, negli ultimi istanti di vita, i moribondi potessero talvolta godere di un breve e fugace sguardo attraverso il tempo: ad alcuni le Norne concedevano di osservare il filo di Urd, ad altri brevi tracce della giovane e impietosa Skuld*. Non sempre lo squarcio offerto era consolante, anzi. La vecchia storia sosteneva tutt’altro, parlava di grida mute e disperate e amari rimpianti che velavano lo sguardo degli sfortunati condannati a vedere il loro retaggio. Forse Njord trascorse così le ultime ore che gli erano state concesse, volando con la mente sulla devastazione inesorabile di un mondo che aveva provato a proteggere e difendere per tutta la sua lunga vita, anche a costo di consegnarlo all’ingannatore.


Ma Sigyn non poteva e non voleva lasciare che il popolo di Asgard venisse massacrato dalle retrovie del Titano o vagasse per i Nove Regni e oltre; forse, nel suo cuore, aveva sperato che in mezzo alla massa cenciosa e piangente si nascondesse anche il suo furbo marito in compagnia di Thor. Si era sbagliata, ovviamente, ma non per questo fu meno solerte nel far assistere gli alleati sconfitti e piegati. Era come se, aiutando quell’insieme di uomini, donne e bambini, potesse dare una mano a Loki e al dio del tuono, persi chissà dove, vivi senz’altro. Nessuno li aveva visti cadere sul campo di battaglia, con gli elmi fracassati e le armature intrise di sangue. Erano stati portati via vivi, sulle loro gambe, e qualcuno era persino disposto a giurare che fossero saliti sulla nave di Thanos con aria fiera e sprezzante. Non era un racconto del tutto vero: troppi dettagli cozzavano tra loro, ma Sigyn scelse ugualmente di credere a quella storia perché suo nonno stava morendo e lei non aveva il modo né il tempo, di piangere o disperarsi per il dio dell’inganno.

Sentendola impartire tutt’altro ordine, Njord scelse di accomiatarsi per sempre da lei con poche parole spezzate, non prive di amarezza. “Sarai regina. Già lo sei. Ricopri questo ruolo con orgoglio e ricorda: tornerà, ma non sarà quello di un tempo.”
“È il padre dei miei bambini, è mio marito,” ribatté Sigyn con forza. “Lo ha fatto perché Thanos altrimenti ci avrebbe uccisi tutti come mosche.”

Le venne in risposta un rantolo beffardo. “Tornerà, ma maledirai quel giorno e quello in cui è sopravvissuto alla rabbia del Titano.”
Njord morì con questa oscura profezia sulle labbra, boccheggiando a causa dei polmoni devastati, invocando l’aria che non riusciva a respirare, con impressa negli occhi la paura. Sigyn si era lasciata cadere sulla sedia posta accanto al capezzale del nonno, coprendosi con le dita tremanti la bocca che già tentava di soffocare un singhiozzo: le ultime frasi che aveva scambiato con l’uomo che l’aveva cresciuta, erano state piene di rancore verso suo marito cui lei aveva risposto piccata, offesa. Non si sarebbero rappacificati mai più, in questa vita, e forse nel Regno di Hela avrebbe dovuto dargli ragione.

 Se ci fosse stato accanto a lei Loki Laufeyson col suo piglio spiccio di mancato re, le esequie di Njord sarebbero state più solenni e pompose, la sua incoronazione magniloquente: invece, il vecchio sovrano di Vanheim fu calato in fretta nella sua tomba di pietra e lei si fece posare la corona sul capo nel corso di una cerimonia sobria e breve. Non tolse l’anello quando tutti i Vanir le prestarono omaggio: lo fece dopo, davanti a Loki che le suggeriva di firmare la resa senza condizioni a Thanos e la rinnegava una seconda volta ad alta voce. La prima, lei lo sapeva da tempo, era avvenuta quando l’Ase indossava ancora le sue insegne e aveva addosso l’odore di Asgard che bruciava. Il dio dell’inganno l’avrebbe osservata sfilarsi lentamente l’anello fabbricato dai Nani con le pietre intagliate dagli Elfi, cesellato con cura maniacale sotto la sua supervisione; un gioiello stupendo che le aveva ornato l’anulare per più di dieci anni e che ora Sigyn gli restituiva, in silenzio.

Non erano soli, del resto: decine di paia d’occhi li spiavano, in quel momento. L’Ase aveva accettato l’anello facendolo sparire in fretta in una delle tasche interne della giubba, ma a Sigyn non erano sfuggite le labbra serrate, la mascella contratta, gli occhi chiari di un’indefinibile sfumatura carichi di un’ombra che ne velava la trasparenza. In quel momento aveva capito come, forse, Loki avrebbe rimpianto per sempre lei e quello che avevano creato insieme, ma anche che servire Thanos lo avrebbe condotto a una morte violenta e inevitabile.
 
***

 
Quanto tempo era passato, dal giorno in cui Vanheim si era assoggettata? Quasi due anni. Sigyn si alzò dal letto che li aveva visti riunirsi, seppur per breve tempo, rassettandosi l’abito nero, provando a chiudere il corsetto slacciato che le lasciava scoperta la pelle bianca del seno. Il trucco scuro presentava diversi sbavi, i capelli erano un groviglio di ciocche spettinate. Loki la raggiunse, infilò le dita nella massa bionda e arruffata, con l’altra mano l’attirò a sé cingendole la vita sottile.

Sigyn chiuse gli occhi. Le sue mani che la sfioravano, il suo odore, il tono leggermente sarcastico che condiva sempre la sua voce roca, le erano mancati in maniera disperata, assoluta. Il dio dell’inganno non era mai stato prodigo di baci e carezze, a meno che non volesse fare l’amore con lei. Allora la cercava, la ghermiva. Durante il giorno, era Sigyn a cercare il contatto fisico con lui. Entrava nel suo studio perennemente avvolto nel caos più totale per portargli una tisana o qualcosa da mettere sotto i denti, girava attorno alla sua scrivania e lo abbracciava cingendogli le spalle, si sedeva sulle sue ginocchia per scoccargli un bacio sul collo, la guancia, le labbra.

“Va’ via, Vanir appiccicosa!” si lagnava lui aggrottando la fronte, mortalmente seccato dall’interruzione, ma Sigyn era certa che desiderasse quelle premure, perché l’Ase adorava essere al centro dell’attenzione del suo prossimo. Lei se ne andava tutta imbronciata, fingendo di essere profondamente sdegnata per il comportamento selvaggio e barbaro del marito, ma tutto questo succedeva prima di Thanos e della corona di Vanheim: una vita fa.
 

E ora, decisioni e buoni propositi erano svaniti, evaporati. “Come posso non chiedermi cosa ti farà il Titano, Loki? Come faccio a ignorarlo? Quello che hai deciso di fare è…”

“Zitta.”
Sigyn obbedì deglutendo. Era il dio dell’inganno che le stava parlando, nell’accezione più oscura e cupa del termine, e lo stava facendo in una delle molte basi militari di Thanos.

“Non pronunciare né dire ad alta voce niente, di tutto questo,” le soffiò sul collo.
Lei annuì con un cenno breve del capo e lui la sciolse dalla sua stretta.  “Mostrameli,” sospirò improvvisamente con un tono stanco, rassegnato quasi. “Non posso tenerli, ma guardarli sì. Tu glielo dirai.”

Sigyn meccanicamente si riallacciò il nastro che le stringeva il corsetto, rovistò in una delle borse del suo bagaglio e trasse da una tasca un insieme di fogli arrotolati, stretti da un nastro. Glieli porse, e l’Ase scorse i disegni tracciati con mano infantile dal suo erede più giovane, lesse rapidamente le righe vergate con una grafia rotonda e femminile da Sonje. A Sigyn sembrò che il marito perduto piegasse appena l’angolo della bocca nel principio di un sorriso, sfogliando le carte stropicciate e colorate. Forse era stata egoista, decise. Loki Laufeyson era bravo più di chiunque altro a mentire, tramare e ingannare, ma la sua maschera non era inscalfibile. C’erano delle crepe sottili ma profonde, in lui, come i segni d’espressione che ne accentuavano la bellezza selvaggia e feroce, di guerriero. Il dio dell’inganno non era in una posizione facile, e certo non aveva bisogno di pensare ai figli generati e poi abbandonati, perché aveva scelto di dedicare la sua esistenza al raddrizzamento di una stortura che lui stesso aveva causato. Lo aveva deciso quando ancora gli occhi gli bruciavano per il fuoco che aveva corroso fin nelle fondamenta la bella e inespugnabile Asgard, ora distrutta.

Sonje non gli avrebbe mai perdonato di averli abbandonati, Vali a stento ricordava il suo viso: questo era il prezzo da pagare per un’alleanza che era stato costretto ad accettare tutte e due le volte. Quando, caduto oltre il Bifrost, il Titano lo aveva individuato e fissato con curiosa attenzione, Loki non si era chiesto quale sarebbe stato il prezzo della sua sottomissione: era irragionevole, farlo. L’alternativa oscillava tra vivere e morire, niente di più, e all’Ase era sembrato assolutamente evidente come la prima ipotesi fosse preferibile alla seconda. Del resto non aveva niente da perdere, allora.

Odino lo aveva guardato penzolare oltre il Bifrost senza concedergli nemmeno in quel tragico momento, il beneficio della comprensione, la soddisfazione di una lode. Non gli aveva riconosciuto l’estrema devozione che tributava all’imponente e somma Asgard, alla sua Casa, e aveva permesso che precipitasse, o forse Loki aveva lasciato di sua spontanea volontà la presa su Gungnir, la lancia di suo padre, e Thor aveva gridato tentando, in un ultimo, disperato gesto, di afferrarlo, ma invano. Non aveva importanza. L’incoronazione del fratello era un ricordo ormai lontano, sbiadito, amaro come poche cose al mondo.

Il penultimo foglio lo fece impallidire. Sollevò gli occhi chiarissimi sulla moglie in una domanda che rimase muta, ma non per questo perse la sua potenza né il suo significato. Era niente più che un biglietto accartocciato, e le poche rune frettolose che c’erano scritte sopra non avrebbero rivelato niente a uno sguardo esterno e inconsapevole. Erano in codice, ma rappresentavano comunque un problema.
“Questa è stata una terribile imprudenza,” sibilò a denti stretti. “Voi non vi rendete conto di quello che avete appena fatto.”

“Dovevi sapere. Non c’era altro modo,” spiegò Sigyn avvicinandoglisi.  Loki le restituì con un solo gesto le lettere dei bambini, evocò una runa e imprecando a bassa voce diede fuoco al pezzo di carta incriminato.

“Sono il dio dell’inganno, ma l’onnipotenza non mi appartiene ancora. Non qui, soprattutto. È per questo che ti sei arrischiata a venire in questo posto?” le domandò sarcastico, ma il tono della sua voce non riusciva affatto a mascherare delle note di inquietudine e nervosismo così palesi ed evidenti, che strinsero il cuore di Sigyn in una morsa. Loki poteva anche non dirle cosa stesse esattamente rischiando, ma lei poteva immaginarne la conclusione senza sforzo. Una morte orribile non è necessariamente la peggiore delle sorti possibili, alla corte di Thanos.
“Anche,” ammise in un sussurro.

“È stato un errore. Come la concessione che ti ho fatto,” sospirò l’Ase lanciando un’occhiata alla toletta dove spiccava l’atto con cui, in virtù dei poteri conferitigli da Thanos, autorizzava Vanheim ad importare di nuovo l’acciaio dei Nani**.

“Come tutta l’ultima ora, del resto,” gli fece eco lei sfiorandogli un braccio, sorridendo appena. Loki vibrò appena a quel contatto, come se il gesto lieve e appena accennato di Sigyn potesse rilassargli i muscoli tesi, perennemente all’erta.

Ad ogni modo la donna aveva ragione, ovviamente, ma i Vanir non potevano più sopportare di rimanere senza materie prime. L’economia stentava a ripartire, senza quel metallo robusto e indistruttibile. Sigyn era la regina di Vanheim e il suo compito principale era quello di pensare alla sua gente e alla sua famiglia. Aveva chiesto udienza in maniera formale, attendendo paziente per più di un mese che le fosse accordato il permesso di recarsi in quel quartier generale sperduto e inospitale. Quanto aveva battuto il suo cuore, quando era finalmente arrivata nella desolata landa su cui sorgeva il palazzo asettico espropriato dai soldati del Titano? Troppo, decisamente.


Era stata condotta in quella stanza da una serie di subalterni che non avevano perso occasione per scrutarla con sfacciata attenzione, non necessariamente perché la trovassero bella o attraente, ma perché cercavano di indovinare se quel bugiardo di Loki potesse davvero averla amata, un tempo. Forse tanto interesse era dovuto anche al desiderio di fare paragoni con qualcun’altra.

“Lingua d’Argento arriverà stasera, vi ha invitata a cena,” le era stato annunciato, e Sigyn aveva annuito con un cenno distratto del capo, cogliendo l’occasione dovuta all’intervallo di tempo che la separava dalla serata ancora lontana per cambiarsi d’abito, sottolineare il suo sguardo con una polvere nera, sistemare l’acconciatura in un modo che sapeva lui avrebbe apprezzato. Maledicendosi si era fatta bella per Loki anche se non doveva, commettendo l’errore di desiderare che lui la fissasse con occhi ammirati, sebbene avesse lasciato Vanheim decisa a ottenere la firma che le serviva e ad andarsene senza nemmeno voltarsi indietro.

Perché era passato più di un anno da quando aveva smesso di avere sue notizie, e quelle che le erano arrivate di straforo erano incerte, ambigue, inquietanti, dolorose. Ma quel subalterno insolente e mellifluo aveva osato appellare l’Ase con quelle due parole che anche lei aveva usato in passato, e Sigyn era stata gelosa di Loki in una maniera straziante, assoluta, totale. Lei lo chiamava Lingua d’Argento quando litigavano ai banchetti e si amavano sotto le coperte. Con la voce carica di dispetto, desiderio o divertito compiacimento, sfiorandogli i capelli neri e le spalle asciutte e nervose, aveva soprannominato così quell’uomo che era stato suo e a cui lei apparteneva ancora, per sempre, fino alla fine del tempo. Non se lo era inventato Sigyn, il termine Lingua d’Argento, ma se ne era appropriata: si sentì spogliata di un diritto, defraudata, tradita. A cena mascherò il dolore dell’abbandono sotto un sorriso ampio e una conversazione frizzante, bevendo e parlando come se nulla fosse successo e il suo cuore battesse libero da ogni ombra. Loki era lì, davanti a lei, magnifico e magnetico più di quanto ricordasse. La accolse sorprendendosi, anche se sapeva perfettamente che l’avrebbe vista. Lasciò che Sigyn intravedesse il suo stupore, raccogliesse il principio del suo sorriso laterale ammirato, ghignante.

Le concesse la fredda cortesia che si accorda a un ospite di riguardo e si sedette di fronte a lei senza smettere un solo istante di fissarla, ma non lasciò che cenassero da soli. Volle degli ospiti, al suo tavolo: un numero sufficiente di testimoni che avrebbero riferito a Thanos come la giovane regina dei Vanir avesse chiesto a uno dei suoi generali più brillanti, l’autorizzazione a finalizzare un trattato commerciale e, nel farlo, avesse civettato platealmente. Era una tattica, una strategia, un sottile e abile piano che lui aveva avallato e lei stava mettendo in atto quasi inconsapevolmente; tutti avrebbero visto il loro gioco di sguardi, avvertito il desiderio che li confondeva, colto la volontà di piacere, carpito il bisogno di ottenere un favore.  

Avevano parlato a lungo di temi leggeri, forse persino vacui, condendo di tanto in tanto le frasi pronunciate con frecciate ammiccanti, pungenti, estremamente divertenti. Sigyn avvampava a ogni sguardo o battuta. A malapena era riuscita a toccare cibo. Sentiva che il suo stomaco si era chiuso, contratto, e il cuore non smetteva di martellarle nel petto. Per le Norne, dall’altro lato del tavolo aveva Loki, il suo Loki che non vedeva da più di un anno e che l’ultima volta aveva cacciato via da Vanheim, perché non poteva spezzarle il cuore e rischiare di farsi ammazzare a quel modo. Le aveva sibilato il suo piano all’orecchio e lei era rimasta impietrita, immobile nel buio, in un angolo del palazzo dei Vanir che entrambi sapevano nascosto da sguardi e orecchie indiscrete, scoperto quando ancora erano amanti, un vita prima. Di fronte alle sue proteste accorate l’aveva zittita con un bacio rude, strappato. Sigyn ricordava di aver provato a divincolarsi debolmente. Maledetto Loki. Le mani che avrebbero dovuto allontanarlo perché se n’era andato e si sarebbe fatto ammazzare, avevano smesso di scostarlo per stringerlo invece contro il suo corpo da troppo tempo solo. Con la nuca e la schiena premute contro il muro freddo l’aveva sentito alzarle la gonna, scostarle la biancheria, farla sua.
Sì, a Vanheim, Loki l’aveva rinnegata una seconda volta davanti a Thanos, per poi cercarla e spiegarle e fare l’amore con lei, avendo premura di tapparle la bocca con una mano per non far udire a terzi i loro sospiri affannati. Poi le aveva dato di nuovo l’anello che lei solo pochi minuti prima gli aveva restituito, e Sigyn, indossandolo sulla lunga collana d’ametista che portava sempre al collo, gli aveva detto che era troppo rischioso vedersi.


Questo succedeva un anno prima, e ora lei gli sedeva davanti e sorrideva, riconoscendo con dolorosa precisione il modo elegante con cui impugnava le posate e tagliava la carne, individuando prima che si servisse quali piatti avrebbe scelto di gustare, tenendosi strette le parole che gli avrebbe voluto dire. Ti ho giurato fedeltà e amore, anima mia, e ora vorrei dirti che mi sei mancato da star male e raccontarti delle uniche cose che contano oggi, adesso che, finalmente, sei qui: Sonje e Vali che ti assomigliano e ti cercano e sono sicuri che tornerai. Hanno più fiducia in te di quanta non ne abbia io – per questo tradimento perdonami, amore mio –, ma ho paura di quello che vuoi fare e di come intendi metterlo in atto. Invece devo sorriderti e parlare d’altro, di cose che non ci interessano affatto. Ci sono un paio di segni in più sul tuo viso e il tuo sguardo è stanco e cerchiato di nero, ma sei sempre il mio Lingua d’Argento.

Durante la cena le loro dita si erano quasi sfiorate più di una volta, ed entrambi erano rimasti scossi da quel contatto; in silenzio si erano guardati corteggiandosi. Dopo che ogni portata fu servita e assaggiata, l’Ase si era offerto di firmare immediatamente la concessione in favore dei Vanir. In piedi, leggermente chino sul tavolo di una stanza allestita in fretta a suo studio privato, aveva letto con le sopracciglia aggrottate la richiesta redatta dai Vanir divenuti abili mediatori grazie ai suoi passati insegnamenti. Dall’altra parte del tavolo, Sigyn aveva osservato la sua figura alta ed elegante, soffermandosi sui dettagli delle insegne di Thanos indossate con apparente noncuranza. Senza aggiungere una parola, l’Ase aveva firmato e siglato il documento e glielo aveva restituito facendo attenzione a non toccarla, perché non c’erano più ospiti da ingannare o stupire, in quel momento: erano soli, e per l’universo intero ogni vincolo era stato annullato con non uno, ma due ripudi.
La regina di Vanheim poteva cadere nell’errore, come donna, e lasciare che l’uomo che l’aveva abbandonata facesse di nuovo l’amore con lei, ma non era ammissibile che incespicasse due volte nello stesso sbaglio fatale. Per tutta la sera aveva guardato l’Ase dal sorriso affascinante che l’aveva legata a sé per poi abbandonarla. Gli aveva giurato fedeltà e amore finché la morte non li avrebbe separati, domandandosi se davvero Hela potesse spezzare il legame che unisce due spiriti e far cessare l’amore.

Loki avrebbe detto che la morte alla fine spezza ciò che incrocia nel suo cammino. Ogni cosa finisce, anche nelle terre degli Asi e dei Vanir che alcuni popoli chiamano con ammirazione dèi: l’istinto di sopravvivenza, alla fine, ci costringe ad alzarti ogni mattina, a guardare il mondo che ci circonda. L’amore non svanisce, si trasforma, forse resta nascosto in qualche piega dell’anima coperto dalla nostalgia, ma è giusto che chi resta vada avanti e si consoli come può.

I voti li aveva pronunciati con un filo di esitazione quando era davvero poco più di una ragazza, ma come aveva predetto Njord, lui era tornato per non restare: Sigyn doveva solo assicurarsi che firmasse il patto necessario affinché Vanheim non facesse la fine di Asgard e poi andarsene via, senza voltarsi. Suo marito aveva bisogno di tutto tranne che di lei, in quel mondo alla rovescia creato dal Titano, perché Loki era così, si adattava velocemente a qualsiasi realtà apprendendo in fretta accenti, modi di dire, abitudini. La sua lingua sciolta non aveva problemi nel tessere immediatamente nuovi rapporti, infinitamente superficiali dal suo punto di vista, ma presenti e reali per la sua vittima. Sapeva affascinare, e non aveva mancato di farlo di nuovo nemmeno alla corte di Thanos. Lei lo sapeva, glielo aveva visto fare quando era poco più di una bambina.

Sotto i polpastrelli di Sigyn, l’autorizzazione a commerciare di nuovo con i Nani fabbricanti di gioielli pareva scottare.

“Lascia che vada via, adesso” aveva implorato, spezzando l’incanto di quella farsa stupenda: nessuno dei due poteva ignorare ancora a lungo le cose condivise e perse, ed entrambi erano consapevoli di come la macchina messa in moto quando Thanos aveva reso noti all’universo intero i suoi progetti fosse ormai pronta, e appresso a lei il piano volto a fermare il conquistatore.

L’Ase le aveva risposto che era troppo tardi per partire e le avrebbe permesso di lasciare la base solo all’alba; si era offerto di scortarla nelle stanze che aveva fatto preparare apposta per lei, in cui Sigyn si era preparata vinta dall’ansia e dalla nostalgia. Il tragitto lo fecero in silenzio, come se qualsiasi parola potesse spezzare il delicato equilibrio che entrambi si ostinavano a mantenere, ma sulla soglia della camera da letto, il dio dell’inganno non poté resistere all’impulso di baciarla sulle labbra semplicemente perché non era più sua.

Aveva bisogno di assaggiarle le labbra morbide, ristabilire un possesso che era venuto meno, calmare il desiderio che li aveva avvinti a cena, sentirsi vivo come da mesi non era più; la corte marcia del Titano si era fatta asfissiante, gli incarichi che riceveva erano malloppi amari difficili da ingoiare anche per lui, che era un guerriero degli Asi che combatteva da prima ancora che gli spuntasse la barba. Sigyn non doveva essere là, si ripeté mentalmente strappandole*** la spallina del vestito nel tentativo di spogliarla di quel magnifico abito nero, ma l’autorizzazione affinché lei potesse raggiungerlo in quello schifo di posto era venuta da qualcun altro che si era azzardato a parlare a nome suo; forse l’odiosa intrigante era diventata sospettosa o qualcuno voleva vedere se fosse vero, che della regina dei Vanir, a lui, non interessava nulla. Si erano baciati abbandonandosi al caos, e non avevano smesso quando era passato un drappello di guardie curiose e sogghignanti. Così era andata.
 
***
 
E ora, il letto sfatto testimoniava come entrambi avessero finito con l’ignorare la ragione e il buonsenso. Le ceneri del biglietto furono gettate nel caminetto spento.

“Come tutta l’ultima ora, del resto,” gli sfiorò il braccio Sigyn, “ma non me ne pento, non riesco, anche se dovrei.”

“Mi hai sedotto, stasera,” ghignò l’Ase osservando brillare la catena d’oro e i due pendenti che pochi minuti prima aveva sfiorato con le sue labbra ironiche. “Hai fatto di tutto perché arrivassimo a questo punto. Sei stata scorretta. Avevi detto che non avremmo mai più dovuto incontrarci così,” le ricordò girandole attorno come per osservare meglio la sua figura snella e quasi troppo sottile – colpa di quella corona troppo pesante che le gravava sul capo e del Titano –, “e invece.”

Lei accennò un sorriso lieve. “Ho imparato dal migliore,” gli ricordò.

Loki accennò un mezzo sorriso laterale e breve. “Avrei voluto insegnarti la prudenza. Non mi è riuscito,” constatò con un velo di rammarico nella voce.

“Ne avrai l’occasione, ma non credo che ti riuscirà,” lo sfidò Sigyn carezzandogli la guancia appena ispida, mettendosi in punta di piedi per raggiungere con la sua bocca le labbra beffarde dell’ingannatore. L’alba era lontana, il biglietto distrutto nient’altro che polvere dentro a un camino e lei, se anche avesse compreso il criptico messaggio, non era in grado di dargli un senso, e queste furono le uniche consolazioni che Loki Laufeyson scelse di concedersi, per quella notte. Il giorno dopo avrebbe dovuto capire cosa era successo e chi avesse permesso a Sigyn di raggiungerlo, ma soprattutto, gli sarebbe toccato dare una risposta al messaggio cifrato che aveva ricevuto, spostare da una parte all’altra l’ago della bilancia. E forse, per tutto questo, non era ancora pronto.
 

Non chiuse occhio, quella notte, e non perché lei si era addormentata stringendoglisi contro. Doveva elaborare una risposta da dare al messaggio cifrato, spostare da una parte all’altra l’ago della bilancia.


Continua…
Cari Lettori presenti e silenziosi,
Grazie per il tempo che mi avete dedicato arrivando fino a qui, e un caloroso grazie di cuore a quanti hanno inserito la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite e che commenteranno/hanno commentato.
La Fatina dell’Ispirazione sprigiona su di me la sua magia grazie a voi! Vi sarei infinitamente grata se mi lasciaste un pensiero di qualsiasi tipo su queste mie paginette. Non pensate di dovermi scrivere necessariamente venti righe di testo super profondo e descrittivo o che non mi accontenterei di una semplice frase. Vi giuro che sono molto alla mano e mi farebbe tanto piacere se mi dedicaste ancora qualche secondo. Detto questo, a presto! (Mercoledì, ma io fossi in voi passerei pure domenica…)
 
NOTE E SPIEGONE DELL’AUTRICE
*Ho tratto ispirazione per questo dettaglio della visione prima della morte da un bellissimo e drammatico libro-testimonianza di Antonia Arslan, La masseria delle allodole.
**Nell’ultimo capitolo di “Oltre l’inganno,” come ricorderanno quelli che seguono anche quella storia (non è obbligatorio eh) Loki ha iniziato a trattare per ottenere l’acciaio da questi famosi Nani. Perché? Per realismo.
***Allora, al 99,99% di voi lettori questa nota sarà utile come un frigorifero al Polo Sud perché avrete sicuramente già capito tutto, ma io la aggiungo lo stesso, non fosse altro che per il rating arancione: il nostro “eroe” è un po’ rude, qui. Tappa la bocca di Sigyn nel flashback ambientato a Vanheim, strappa la spallina del suo vestito con un gesto brusco dopo la cena nella base periferica di Thanos. Nel primo caso, lo fa per essere certo che nessuno senta i sospiri concitati della moglie (ex?), nel secondo, si fa prendere un po’ troppo dalla foga del momento. In entrambe le circostanze, Sigyn è assolutamente consenziente. Lotta tra il dolore per essere stata abbandonata e l’amore – che certo non si spegne a comando – per l’uomo che ha sposato e di cui è innamorata. 

 
   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Thor / Vai alla pagina dell'autore: shilyss