Se
qualcuno ti
tradisce una volta è un suo errore, se qualcuno ti tradisce
due volte è un tuo
errore.
Aoko si alzò con uno sbadiglio. Si sentiva stranamente rilassata.
Appena ebbe riacquistato un po’ di lucidità riconobbe la camera in cui si trovava e ricordò il perché.
Suo padre stava male; la sera prima era andata da lui per preparargli la cena ma poi, vedendo che non c’era verso di fargli abbassare la temperatura, si era risolta a dormire lì in caso avesse avuto bisogno d’aiuto nel cuore della notte. Si stiracchiò ed andò in cucina a preparargli la colazione.
Mezz’ora dopo andò a svegliare suo padre. Notò con sollievo che stava già meglio, il riposo gli aveva fatto bene. Lo accompagnò a tavola e gli raccomandò di non sforzarsi troppo, poi uscì.
Era sabato, quindi niente lavoro per lei (Kaito non era così fortunato); aveva però appuntamento con un’amica per visitare insieme una mostra d’arte contemporanea.
Non aveva visto neanche metà delle sale che le arrivò una chiamata. Riconobbe il numero e si preoccupò. Non riceveva chiamate da Saguru Hakuba molto spesso.
«Pronto?»
«Aoko? Sei a casa?»
Il tono preoccupato del detective la spaventò. «No, io… Perché? È successo qualcosa?»
«Speravo me lo dicessi tu. Kuroba mi ha scritto che oggi non verrà a lavoro, ho pensato stesse male, ma non risponde al telefono».
Aoko trattenne il fiato. Come sospettava, c’entrava Kaito; ma se in un primo momento aveva temuto che avesse commesso qualche sciocchezza, ora si preoccupò per la sua salute. Non aveva sue notizie dalla mattina precedente, in effetti.
«Torno subito a casa e controllo. Grazie per avermi avvisata», disse.
Chiuse la chiamata poco dopo e si girò verso l’amica con un sorriso malinconico.
«Perdonami Kikyo, non posso restare».
Trovò Kaito sdraiato scompostamente sul divano. Dormiva e, notò allarmata, tremava.
Recuperò una coperta e gliela poggiò sopra; a volte sembrava più un bambino che un adulto, pensò con un sorriso. Le si spense subito, però. I bambini sono innocenti, Kaito non lo è più da anni, si trovò a pensare con amarezza.
Sospirò. Non riusciva proprio a superare la delusione che le aveva inflitto. Sapeva che lui se ne accorgeva, sapeva che ne soffriva moltissimo. Si odiava per questo. Ma non poteva farci nulla: l’ombra del passato era sempre in agguato, sempre pronta a ricordarle che Kaito, il suo Kaito, le aveva mentito una volta e poteva farlo nuovamente. Sempre a sussurrarle di stare in guardia.
Era un peso opprimente con cui vivere.
Lo sguardo le si riempì di tristezza mentre fissava il petto del ragazzo alzarsi ed abbassarsi regolarmente. Non avremo sbagliato tutto? Non possiamo continuare così…
Cacciò in fretta quel pensiero. Era l’ultima cosa che le servisse. Non poteva lasciare Kaito, l’aveva promesso a lui e a sé stessa.
Anche se al momento stavano male, l’idea di abbandonarlo le pareva insopportabile.
Lui doveva avere pensieri simili, perché nonostante tutti i problemi tiravano avanti.
A un tratto il dormiente emise dei suoni inarticolati; poco più di un bisbiglio, ma sufficiente a riscuotere la Nakamori.
Kaito le sembrò sofferente; decise di preparargli da mangiare. Forse aveva anche lui l’influenza.
Il ragazzo si risvegliò solo qualche ora dopo, verso le tre del pomeriggio.
Aoko aveva passato il tempo leggendo, ma appena si accorse del movimento sul divano chiuse il romanzo che le aveva tenuto compagnia e sorrise all’indisposto.
«Come ti senti?» domandò.
Kaito la guardò ad occhi spalancati. «Aoko…» mormorò. Aveva uno strano tono.
«Ti ho preparato un brodo, vuoi che te lo scaldi?» propose lei alzandosi.
«Mi dispiace…»
La voce rotta di Kaito la bloccò. Sembrava sul punto di piangere.
Gli si sedette accanto, preoccupata. «Che ti succede? Hai la febbre?» chiese, avvicinando le labbra alla fronte del ragazzo per sentirgli la temperatura.
Lui si ritrasse di scatto. Aoko si accorse che stava tremando.
«Non capisco cos’hai, ma mangiare ti farà bene, vedrai» mormorò, confusa. Kaito non la stava neanche guardando, teneva lo sguardo ostinatamente basso.
Sembrava un’altra persona.
Negli ultimi anni i loro rapporti erano cambiati, certo, e a volte erano più tesi di altre.
Ma sebbene si fosse incupito, non si era mai comportato in questo modo. Non riusciva a capire cosa avesse.
Forse sono stata troppo dura con lui..?
«Kaito, se mi aiuti a capire cos’hai io…»
Si fermò; lui aveva alzato una mano. Continuava ad evitare il suo sguardo.
«Ti devo dire una cosa», sussurrò. Le ci volle un grande sforzo per dare un senso ai suoni sconnessi che aveva emesso. Era sempre più preoccupata.
Non aveva mai, mai visto Kaito così serio.
Che voglia… lasciarmi?, ipotizzò. Non sapeva come sentirsi a quell’idea.
«Mi stai facendo preoccupare», disse. «Se vuoi dirmi qualcosa, fallo e basta, ti prego».
Non sapeva come sentirsi, ma avvertiva come un nodo allo stomaco.
Qualsiasi cosa stesse per succedere, sperò finisse in fretta. Non poteva affrontare ciò che non conosceva.
Vedendo che lui non si decideva a parlare, l’anticipò. «È perché ieri non ti ho avvisato che avrei dormito da mio padre? Mi dispiace, è sembrato così spontaneo, mi è passato di mente».
Lo vide sgranare gli occhi - sempre rivolti al pavimento -. Quella notizia lo… stupiva?
Si sforzò di sorridere. «Dove pensavi che avessi passato la notte?» chiese, cercando di sdrammatizzare.
L’espressione di Kaito divenne ancora più cupa. Prese a tremare ancora di più.
Il suo sorriso sparì. «Sul serio, Kaito, stai male. Qualsiasi cosa sia, potremo parlarne dopo, quando ti sarai ripreso» insisté. Recuperò la coperta, che era caduta quando lui si era tirato su, e gliela poggiò sulle spalle. «Resta qui», gli ordinò. Poi si alzò e andò decisa in cucina.
Lui non disse niente per fermarla, ma ad Aoko sembrò che lui la fissasse per tutto il breve tragitto.
Ignorò la sensazione di disagio che l’aveva invasa e scaldò rapidamente il brodo di pollo preparato in precedenza.
Quando tornò in salotto, Kaito si era avvolto nella coperta ed era intento a fissare il muro con sguardo vuoto. Gli si avvicinò porgendogli una ciotola piena di brodo caldo.
«Prendila, ti farà bene».
Kaito non si mosse. «Non la merito», mormorò.
Aoko sospirò. Non l’aveva davvero mai visto così. Forse la loro situazione l’aveva stressato più di quel che pensava.
Posò il brodo sul tavolino in mezzo alla stanza e spostò una sedia per metterglisi davanti.
«Senti. A proposito di noi due…»
Non poteva continuare a vederlo così.
Finalmente, Kaito si voltò verso di lei. La guardò. Aoko dovette trattenere un’esclamazione di sgomento.
Non aveva mai visto uno sguardo così vuoto. Negli occhi di Kaito non c’era niente.
Le tornò alla mente un ricordo di molti anni prima. Erano ancora alle medie, lui le aveva fatto uno dei suoi soliti scherzi e lei lo stava rincorrendo dappertutto per punirlo. Dopo quindici minuti di estenuante inseguimento era riuscita a metterlo all’angolo, minacciandolo con il bastone di una scopa. Non aveva mai osservato la sua faccia così da vicino prima di allora; anche in quella situazione, Kaito scherzò: «Se volevi baciarmi bastava dirlo, Aoko!». Lei era arrossita, chiamandolo “BaKaito”, ma non si era allontanata. Era rimasta ad osservare i suoi occhi, incantata. Erano bellissimi, così pieni di vita. Era stato allora, perdendosi in quegli occhi, che aveva capito di essersi presa una cotta per il suo amico di sempre. Una cotta che non le sarebbe mai davvero passata.
Sentì gli occhi pizzicarle. Come avevano fatto a ridursi così?
«Sono stato con Akako».
Cosa?
«Stanotte».
Kaito non distolse lo sguardo, continuava a guardarla senza farlo davvero. Sembrava catatonico.
Aoko non capiva. «Che significa?»
Kaito rise, una risata stanca. Nervosa.
«Facevi bene a non fidarti di me, Aoko. Hai sempre fatto bene».
Dopodiché le raccontò tutto.
Lei restò immobile per tutta la durata del racconto.
Quando questo finì, lei si alzò ed uscì di casa. Senza prendere la borsa o la giacca, senza sapere dove andare, semplicemente uscì.
Non si fermò finché non arrivò alla piazza davanti alla stazione.
Di fronte a lei svettava imponente la torre dell’orologio; aveva dei bellissimi ricordi legati a quel luogo. Era lì, ad esempio, che aveva incontrato Kaito per la prima volta.
Solo allora lasciò le lacrime libere di scorrere.
Stava piangendo di nuovo, stava piangendo per colpa di Kaito. L’aveva ferita ancora.
Non era arrabbiata, solo triste.
Se era successo era colpa di entrambi, lo sapeva bene. Forse più sua.
Kaito non si era comportato bene con lei, ma lei non era stata da meno… per tutti quegli anni gli aveva fatto pesare il suo errore, aveva cercato di rimediarvi in ogni modo.
L’aveva incatenato al suo passato, a quel singolo evento.
Si
sfogò così,
piangendo in silenzio di fronte alla torre.
Alla
sua ombra
si sentiva sempre protetta. Non avrebbe saputo spiegare
perché.
Rimase
lì per
qualche ora. Passato il primo momento di disperazione le si schiarirono
le
idee.
Il
problema, si
rese conto, non era tanto - né solo - il tradimento.
Di
problemi ne
avevano tanti, l’aveva sempre saputo, ma ignorarli era stato
così semplice.
Così comodo.
Ripensandoci
ora, a mente snebbiata, era stata così stupida.
Le
veniva da
ridere al pensiero che, dopo anni passati a sospettare di ogni sua
azione,
Kaito l’avesse effettivamente tradita proprio
l’unica volta che il dubbio non
l’aveva nemmeno sfiorata. Ironico.
Si
bloccò
improvvisamente.
Era
vero, il
pensiero che Kaito potesse aver passato quella notte da
un’altra parte non le
si era presentato.
Forse
perché
l’unica verità che non aveva mai messo in
discussione era che Kaito l’amava.
In
fin dei
conti, si tradisce solo ciò che si ama. Ma non era quello il
punto: come faceva
prima di scoprire il suo segreto, Aoko si era fidata.
Kaito
avrebbe
potuto benissimo mentirle, anzi, non dirle niente: lei non avrebbe mai
scoperto
il suo segreto, con tutta probabilità. Ripensando a quel
pomeriggio,
gliel’aveva anche detto: “Stanotte ho dormito da
mio padre, scusa se non ti ho
avvisato”.
Kaito
sapeva che non poteva scoprirlo.
Allora
perché
le aveva raccontato tutto?
Aveva
confessato
di sua spontanea volontà, senza pressioni. Aveva rifiutato
il cibo dicendo di
“non meritarlo”.
Un’altra
lacrima, solitaria stavolta, le solcò la guancia.
Kaito
era stato
sincero con lei, ma avrebbe potuto
non esserlo.
Si
accorse di
provare un altro sentimento, qualcosa di diverso dalla tristezza. Non
era
delusione.
Era…
senso di
colpa.
Si
sentì
terribilmente in colpa per come l’aveva trattato tutti quegli
anni. Per non
essere stata in grado di amarlo come meritava, per averlo tenuto
costantemente
sotto controllo.
Kaito
aveva
sbagliato e doveva espiare, d’accordo… ma era
davvero quello il modo giusto di
farlo? L’impressione di aver sbagliato tutto
l’assalì, di nuovo.
La
provava
decisamente troppo spesso.
Si
asciugò le
lacrime e si alzò, decisa a tornare a casa.
Decisa
a
risolvere… se fosse stato possibile. Se l’avesse
voluto anche lui.
Le
veniva quasi
da ridere. Lui l’aveva tradita, ma a sentirsi in colpa era
lei… non qualcosa
che succedesse tutti i giorni.
Si
era ormai
fatto buio. L’orologio l’avvisò che
erano le undici di sera.
Affrettò
il
passo, sperando che in tutto quel tempo Kaito non avesse fatto niente
di cui
dovessero pentirsi entrambi.
NdA
Ciao! Grazie per aver letto :)
Il prossimo capitolo sarà anche l'ultimo.
Cosa pensate che succederà?
Come vi è sembrata la reazione di Aoko? Spero di averla resa bene...
Be', vi saluto.
Alla prossima!
Mari