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Autore: daniga    20/04/2018    0 recensioni
Due occhi dorati. Un segreto doloroso. Una scelta da cui dipendono le sorti dell'universo.
Genere: Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Say Something I’m Giving Up On You

 

 

Amarillo

30 dicembre, ore 21:07

 

 

La città scorreva veloce. Le luci si mescolavano ai fiocchi di neve sempre più grossi. Era come osservare la tela di un pittore un po’ troppo moderno.

Una morsa mi strinse il cuore. M’immaginai di essere a casa, avvolta in una coperta, a chiacchierare con Derek e a bere un tè, prima di andare a letto. Mi strinsi le braccia intorno al corpo e cercai di darmi un po’ di calore.

Una coperta mi piombò in grembo. «Copriti».

La osservai per un paio di secondi, indecisa se accettarla o meno. «Potresti alzare il riscaldamento», borbottai.

Mi lanciò un’occhiata sufficiente. «È rotto».

Ignorai il sarcasmo. Un invitante tepore mi stava pervadendo. Mi ero promessa di non fraternizzarci, ma sapevo che quella convivenza forzata sarebbe durata più di quanto avessi voluto. E in più, il freddo era troppo pungente. Una coperta non avrebbe fatto male a nessuno.

Slacciai la cintura, mi avvolsi con la stoffa e la riallacciai. Avrebbe dovuto proteggermi, ma mi fece sentire in trappola.

Ritornai nel mio silenzio e lasciai vagare i pensieri. Sapevo già dove sarebbero andati, ma non potevo fermarli. Le parole di Derek mi avevano lasciata nello sconforto più totale.

Mai prima di allora avevo provato tanta paura per la sua partenza. Ogni volta ero sicura del suo ritorno. Doveva, altrimenti avrei rischiato di finire in una casa famiglia, ma ora… Il problema non si poneva più. Fra meno di tre ore sarei diventata maggiorenne e anche se gli fosse accaduto qualcosa, lo avrei solo perso.

Un terrore che non avevo mai scordato mi avvolse. Mi si mozzò il respiro e dovetti ricacciare giù il nodo che avevo in gola. Mi aggrappai alla coperta per non affondare nel vuoto freddo che avevo nel petto.

«Ritornerà». La sua voce assunse un tono dolce.

Lo fissai sospettosa. Stava forse cercando di tirarmi su il morale?

Guidava con una mano sola. L’altro braccio era poggiato alla portiera e sfiorava il volante con le dita di tanto in tanto. Le luci della città gli carezzavano il viso bello e rilassato.

Lo invidiai. Avrei voluto rilassarmi anche io, ma con tutti quei pensieri in testa era quasi impossibile.

«Fidati di lui».

Distolsi lo sguardo e annuii, riluttante. Anche Derek me lo aveva detto, prima di andarsene.

«Fidati di me, sorellina», mi aveva sussurrato abbracciandomi. «Tornerò, te lo prometto».

Sapevamo entrambi che era una promessa vuota. Non ero più una bambina, e per quanto avessi voluto crederci, il terrore rimaneva. Si nascondeva in un angolo, in attesa di dilagarsi.

L’auto si fermò.

Guardai al di là del vetro.

Un distributore della benzina ricambiò il mio sguardo. Dietro, un negozio ricoperto di graffiti più o meno osceni era più buio della notte. Aveva l’aria di essere abbandonato da decenni.

Il mio accompagnatore spense il motore e uscì. L’aria fredda entrò nell’abitacolo, ma non fu quello a farmi rabbrividire. Sapevo dove ci trovavamo.

Mi affrettai a slacciare la cintura e uscii anche io. Ignorai l’aria gelata e gli bloccai la strada.

«Chiudi la portiera. Farà un freddo cane».

Incrociai le braccia e non mi mossi. Il mio sguardo sprizzava scintille. «Non siamo a casa».

Lui alzò le spalle e mi passò di fianco.

Lo presi per un braccio. Una scossa elettrica mi attraversò dalla testa ai piedi. Il formicolio ritornò e aumentò quando i suoi occhi si fissarono nei miei. Le parole mi morirono sulle labbra.

Aveva avvicinato il viso al mio, a una distanza pericolosa. L’oro nelle sue iridi divenne scuro e profondo. «Torna in auto».

Il suo tono non ammetteva repliche. Avrei fatto come diceva, ma qualcosa nelle sue parole mi infastidì e la mia testardaggine non si fece pregare a uscire. Gli lasciai il braccio e accorciai la distanza fra le nostre facce, fino a sentire il suo fiato sulla pelle. Ignorando il rimescolamento che avevo nello stomaco, lo guardai severa. «I patti erano diversi».

«Ho deciso di cambiarli».

Alzai un sopracciglio e trattenni un insulto. «E perché, di grazia?»

«Mi andava di farlo». E non mi risparmiò il suo solito sorriso di scherno.

Lo avrei ammazzato con le mie stesse mani, se non fosse stato tanto più alto e forte di me. Era l’essere più fastidioso che avessi mai conosciuto. Sarei impazzita a rimanere con lui.

«Bene, va anche a me di cambiarli», sibilai allontanandomi. «Puoi andare dove ti pare, ma scordati che io venga con te».

Gli voltai le spalle e presi la direzione dalla quale eravamo arrivati. Era un’idiozia, specie perché ero a piedi e lontana chilometri da casa, ma non lo avrei seguito. Ero stata a quel gioco abbastanza.

Mi acciuffò per il cappuccio, quasi strangolandomi.

Dovetti indietreggiare, ma subito scattai in avanti per liberarmi.

Un rumore secco riempì la notte.

Rimasi senza parole per alcuni istanti. Non riuscivo a crederci. «Me l’hai rotto!», esclamai furiosa e mi voltai, obbligandolo a lasciarmi andare.

Si strinse nelle spalle. «Avevi solo da non andartene».

Che disgraziato.

«Sono libera di fare ciò che voglio».

Il suo sorriso ritornò. Incrociò le braccia sul petto e mi lanciò uno sguardo divertito. «Assolutamente».

Aprii bocca per ribattere, ma proseguì il suo discorsetto. «Ma ricorda che le chiavi le ho io, e a meno che tu non voglia farti la strada a piedi, ti conviene smettere di fare i capricci e tornare in auto».

Strinsi le mani a pugno. Aveva ragione, dannazione. Non potevo vagare per la città di notte. Eravamo nella periferia ovest e la sua fama non era delle migliori. Non avrei trovato aiuto fra quegli edifici malmessi e poco invitanti. Ero più al sicuro con Mr. ti-porto-dove-voglio.

Con gli occhi che sprizzavano scintille, me ne tornai all’auto e ci salii.

«Ottima scelta».

Chiusi la portiera con forza. Mi sentivo in trappola, altro che al sicuro. Ripensai a ciò che mi aveva detto Derek per legarmi le mani.

«Ti prego, Mel, vai con lui. L’ho promesso a mamma e papà di proteggerti a qualsiasi costo».

Come potevo dirgli di no? Sapeva bene che nominandoli non mi avrebbe dato scelta. Anche se per legge potevo benissimo starmene da sola e continuare a vivere la mia normale esistenza, non potevo farlo per lui. Lo avrebbe preoccupato a morte e non poteva lasciarsi distrarre da nulla. Specie quando doveva andare in missione.

Perciò avevo sospirato ed ero rimasta con quel tiranno odioso. Eravamo entrati nel ristorante, ma mi ero rifiutata di toccare cibo. Non tanto per la testardaggine, ma quanto per la mancanza di appetito. Cosa che mi capitava solo una volta l’anno, nell’anniversario della morte dei miei.

Poggiai la testa al sedile e chiusi gli occhi. Era disarmante la facilità con la quale la vita veniva gettata alle ortiche. Quella mattina mi ero svegliata nel mio letto e quella notte chissà dove avrei dormito.

Cosa aveva in mente?

Mi ero preparata a vivere con la sua squisita presenza in casa, ma era dall’altra parte di Amarillo. Era evidente che volesse prendere il deserto.

Rabbrividii. Le possibilità erano pressoché infinite. Per la prima volta mi sentii infinitamente piccola di fronte all’immensità del pianeta.

Una melodia proruppe nell’abitacolo.

Sobbalzai e mi resi conto che era la suoneria di un cellulare. Mi osservai intorno e capii che proveniva dalle mie spalle. Una luce passava attraverso la tasca di uno zaino.

Sapevo di star per fare una cosa non tanto onesta, ma non avevo tempo per farmi degli scrupoli. Lanciai un’occhiata furtiva all’esterno e, non vedendolo, mi allungai e presi il cellulare.

Il nome Mynnie campeggiava sul display. Non ebbi il tempo di rispondere perché la chiamata si fermò e lo schermo si spense.

Lo riaccesi, ma rimasi delusa. Era bloccato, naturalmente. Tentai di indovinare il pin, ma riuscii a bloccarlo per un minuto.

Imprecai e mi guardai di nuovo intorno. Poteva tornare da un momento all’altro. Non volevo farmi scoprire, ma dovevo capire cosa avesse in mente.

L’aggeggio vibrò e si illuminò ancora. Era arrivato un messaggio e l’anteprima mostrava parte del contenuto.

“Tutto pronto. Dimmi quando sei ad An…”.

Dannazione. Doveva proprio interrompersi sul nome della città?

Trattenni una seconda imprecazione e lo misi a posto giusto in tempo.

La portiera si aprì e il mio protettore/rapitore si sedette al volante. Mi porse un qualcosa di nero. «Mettila nel cruscotto».

Non fu necessario chiedergli cosa fosse. Derek ne aveva una simile. «Che vuoi farci con una pistola?»

«Proteggerci le chiappe, uccellino», mi rispose mettendo in moto. Bloccò le porte e ripartì, verso il deserto e lontano da casa.

 

 

***

 

 

Da qualche parte sulla Mother Road

30 dicembre, ore 22:13

 

 

La luce dell’alba filtrava attraverso i rami. Gli uccelli stavano cominciando a cinguettare e l’acqua del torrente creava un sottofondo rilassante.

Chiusi gli occhi e inspirai profondamente. Il profumo della lavanda mi avvolse e mi inebriò. Sorrisi, rendendomi conto di essere finalmente felice.

«Siete più splendente del sole stesso, mia Signora».

Aprii gli occhi e il mio sorriso si allargò. «Guerriero, mi lusingate».

Un paio di iridi dorate ricambiarono il mio sguardo. Indossava un’armatura color rame e in cinta portava una spada che sapevo mi avrebbe protetta da qualsiasi minaccia.

La mia guardia si distese al mio fianco, a rispettosa distanza, e si perse a osservare il cielo schiarirsi.

Arricciai le labbra in una smorfia. Odiavo gli schemi imposti dalla società. E per ricalcare la mia opinione, mi strinsi a lui e poggiai la testa sul suo petto.

«Qualcuno potrebbe vederci», disse con tono divertito.

«Siamo gli unici a conoscere questo posto», ribattei stringendomi di più.

Mi avvolse con le sue braccia forti e un calore piacevole si diffuse nel mio corpo. «Ribelle come sempre».

Lo guardai negli occhi e gli feci una linguaccia.

«E testarda», aggiunse facendomi scivolare sotto il suo corpo.

Cercai di spingerlo via, ma mi bloccò le mani con la sua, grande e segnata da anni di combattimento. Il cuore perse un battito.

Mi stava fissando con uno sguardo carico di significati.

Rabbrividii, consapevole di avere la stessa luce negli occhi. Non lo allontanai più quando si chinò, le sue labbra quasi sopra le mie. Aspettavo quel bacio da tanto.

Mi svegliai di scatto e la notte ricambiò il mio sguardo. L’album dei Metallica era finito e un ronzio mi stava riempiendo le orecchie. Una voce ovattata mi riportò del tutto al presente.

Azzardai un’occhiata all’oggetto del mio sogno. Stava parlando al telefono che avevo cercato di sbloccare prima, un leggero sorriso sulle labbra.

Il mio cuore accelerò il battito. Perché diamine avevo fatto un sogno del genere? Dovevo essermi fumata il cervello.

Un’idea mi lampeggiò in testa. Ero quasi certa che l’interlocutore fosse la Mynnie del messaggio. Non potevo essere sicura che fosse una donna, ma conoscendo il soggetto sapevo che fosse così. Chiusi gli occhi e feci finta di dormire. Stando attenta a non farmi notare, mi tolsi la cuffia dall’orecchio di destra. Forse avrei capito dove fossimo diretti.

«Come ai vecchi tempi».

Il tono dolce e nostalgico mi fece rimescolare lo stomaco. Andiamo, non ero mica gelosa. Eppure, il bruciore era inequivocabile.

«E va bene, lo farò», disse ridendo.

Mi morsi le labbra per stare zitta. Non potevo farmi scoprire.

«No, siamo già fuori. A circa due ore e mezza da Albuquerque».

Smisi di respirare. Cosa diavolo ci facevamo lì?

«Alle nove. Mi fermerò al motel di sempre. Preferisco non abbassare la guardia, almeno fino ad Anchorage».

Per poco non mi venne un colpo. Anchorage? Sperai vivamente di aver sentito male. Non mi stava portando in Alaska, vero?

«No, è con me». Abbassò la voce. «Sta dormendo».

Almeno non si era accorto che lo stessi ascoltando.

«No, non sa nulla. Non posso dirglielo». Una nota di dolore gli spezzò la voce. «Non voglio perderla. Se fallisco, è la fine».

Fine? Perderla? Cos’era questa storia?

Avrei voluto chiedergli spiegazioni, ma così facendo mi sarei tradita. Perciò rimasi muta e continuai a fingere di dormire. La mia mente, però, era un ammasso di pensieri senza senso. Ero più confusa che mai, soprattutto dalla sua intenzione di portarmi al Nord.

Non aveva aggiunto altro, probabilmente perché aveva chiuso la chiamata. Un paio di minuti dopo, l’auto si fermò e il motore si spense.

Il motel di sempre, immaginai. Aspettai che uscisse per potermi svegliare, ma mi venne un mezzo infarto.

Mi stava accarezzando una guancia.

Quel contatto mi turbò profondamente. Mi stupii dell’autocontrollo che stavo avendo, ma non reagire era quasi impossibile. Specie perché dentro avevo un tornado di emozioni.

«Ti proteggerò anche questa volta, anche se dovessi morire», mi sussurrò e mi posò un bacio sulla fronte. Poi, il suono della portiera che si chiuse riempì la notte.

Aspettai un paio di minuti, dopo i quali spalancai gli occhi. Cosa diavolo gli era preso? Non era lo stesso ragazzo che mi chiamava uccellino e che era fastidioso oltre ogni limite. Era stato di una dolcezza disarmante. Un dolore da mozzare il fiato mi strinse il cuore.

Mi passai una mano sul viso e la sentii bagnata. Stavo piangendo, e non ne capivo la ragione. Era come se il mio corpo non mi fosse più appartenuto.

Due colpi sordi mi disturbarono i pensieri.

Mi voltai verso il finestrino e incontrai i suoi occhi. Colsi una nota diversa nelle sue iridi dorate. Qualcosa che prima non avevo visto.

«Andiamo», mi disse dopo avermi aperto la portiera.

Mi asciugai le lacrime, imitando il gesto di strofinarmi gli occhi dopo un risveglio forzato, e uscii. «So aprirmela anche da sola», sibilai. L’unica arma che mi era rimasta era la mia lingua tagliente, perciò l’avrei usata senza remore.

Alzò un sopracciglio e ignorò il mio tono battagliero. Recuperò il suo borsone e un secondo dal bagagliaio.

Impallidii. «Dove l’hai preso?»

Sorrise. «Penso che tu lo sappia». Prese qualcosa dalla tasca del cappotto e me lo porse.

Mi ritrovai in mano il mio passaporto. Ero troppo sorpresa per ribattere.

«Ho sonno». Detto questo partì verso l’edificio. La luce blu dell’insegna lo illuminava.

«Sei entrato in casa mia!» Lo raggiunsi di corsa.

«Quando?», gli chiesi, immaginando già la risposta.

Superò le porte scorrevoli. Si fermò davanti al banco della reception. Una signora sulla cinquantina mi sorrise.

«Mentre eri al cimitero».

«È illegale, lo sai?»

«Tecnicamente no, se per entrare ho usato le chiavi».

Gli improperi mi morirono sulle labbra. Portai automaticamente la mano alla tasca e constatai che le chiavi non c’erano.

Me le sventolò sotto il naso. «Dovresti stare attenta a ciò che perdi quando cadi».

Il ricordo di un bagliore dorato mi mozzò il respiro. «Eri tu al cimitero!»

Non annuì, ma il suo sguardo affermò la mia supposizione.

Rabbrividii. Altro che al sicuro, ero nelle mani di uno psicopatico.

«Buona notte», ci augurò la donna, cordiale.

«Anche a lei, Cindy», rispose Mr. ti-seguo-ovunque-peggio-della-tua-ombra. Sparì su per le scale.

Prima di seguirlo, decisi che me ne sarei scappata quella notte stessa. Ne andava della mia stessa vita.

  
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