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Autore: Marian Yagami    02/07/2009    2 recensioni
Questa è la mia prima storia sui vampiri, quindi siate clementi! Un barone solitario e una ballerina leggera come una farfalla. Sono attratti l'uno dall'altra, tuttavia non si sono mai parlati. Poi un giorno accade: si incontrano faccia a faccia. Tuttavia non possono stare insieme: lei è luce, lui è ombra...
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vita

Dimitri

Non conoscevo nemmeno il suo nome, ma ero certo fosse meraviglioso come lei.

Ero stato stregato, e nulla avrebbe potuto rompere quell’incantesimo, nemmeno la più potente delle magie.

Osservarla danzare era un’emozione fortissima, non riuscivo a staccare lo sguardo, tuttavia quella sensazione mi spaventava.

Cosa mi hai fatto, candido giglio, che danzi come una farfalla sopra un fiore, non aspettandosi niente in cambio, e proprio per questo ottenendo tutto?

Tutto, tutto il mio amore hai ottenuto. L’amore di una creatura immonda e demoniaca, che può solo portare distruzione…

Come ogni sera, la ammiravo volteggiare sul palco, seduto nella mia morbida poltrona in velluto; eppure in quel momento non sarei voluto essere li, ma vicino a lei, e sfiorarla, baciarla, sentirla

La sua pelle candida brillava sotto la luce dei riflettori, e i suoi capelli erano come seta, lisci e color cioccolato, legati sulla nuca con dei nastri.

La musica de “Il Lago dei Cigni”, su cui lei muoveva i passi, mi metteva un po’ di malinconia…

 

 

Non mi accorsi neanche che gli strumenti avevano finito di suonare, tanto ero ammaliato da quella visione.

Il teatro proruppe in applausi e ovazioni, mentre tutti i ballerini regalavano inchini e ringraziamenti. Lei stava al centro, e sorrideva radiosa.

Ah, quanto era bella!

Avevo perso totalmente la cognizione del tempo, quando qualcuno richiamò la mia attenzione.

- Signor Barone, la carrozza la attende… - mi disse un cameriere.

- Arrivo. – mugugnai.

Il sipario era calato, e il teatro si stava pian piano svuotando, così, con gesti lenti, mi alzai dalla mia poltrona e mi diressi all’esterno del bell’edificio neoclassico.

Salii in carrozza, che mi riportava a casa, e proprio mentre giravo l’angolo, la vidi.

Usciva dal retro del teatro, con altri ballerini, e per un momento lanciò uno sguardo verso la mia direzione.

Nell’attimo in cui i nostri sguardi si incrociarono ebbi conferma di una cosa: non avrei mai potuto rivelarle il mio sentimento.

Lei era una creatura della luce, io dell’ombra; luce e ombra si respingono, non possono stare insieme, non possono convivere. L’ombra distruggerebbe la luce…

Questo era il pensiero che mi annebbiava la mente da un po’ di tempo, ed era straziante e insopportabile. Era come se il mio cuore, per quanto non battesse più da tanto tempo, fosse dilaniato da mille coltelli e bruciato da fiamme ancestrali…

Avrei voluto non soffrire così tanto, avrei voluto morire, scomparire, semplicemente non esistere più…

Il sussulto della carrozza mi fece tornare alla realtà.

Notai che finalmente ero arrivato al castello, così scesi dalla vettura con uno scatto e mi avviai verso casa con passo veloce.

Entrai in biblioteca e mi sedetti nel divano, cercando di calmare quella sensazione di malessere e infinita tristezza che mi faceva venire voglia di piangere.

Inutile. Non potevo piangere.

Potevo solo tormentarmi e andare avanti.

Le fiamme del camino scoppiettavano allegramente, davanti ai miei occhi, ma io non ne sentivo il calore. Però quel gesto, il gesto di accendere il fuoco, mi rallegrava un po’ l’animo.

I miei servitori sapevano che non avevo bisogno di riscaldarmi, sapevano che ero diverso da ognuno di loro, tuttavia mi volevano bene, e ogni sera si premuravano che io avessi tutto ciò di cui si dovrebbe aver bisogno.

Di scatto mi alzai dal divano.

Non potevo alternare amore e tormento. Avevo bisogno di una distrazione.

Dovevo andare a caccia!

 

 

Gli stretti vicoli dei bassifondi londinesi erano puzzolenti e sporchi, ma per trovare le mie prede erano sempre stati fruttuosi.

Camminavo nell’ombra come un gatto, e al minimo rumore mi mimetizzavo per non farmi scoprire.

Un accattone dormiva all’angolo di una strada semi-nascosta.

Era lui. Era il mio cibo per quella notte.

Mi avvicinai, senza il minimo rumore, e lo misi seduto. Strano, non si accorse di niente. Si accorse, invece, di quando i miei canini brillanti gli trapassarono la pelle del collo, in cerca di quel meraviglioso nettare color rubino, che mi deliziava la lingua e placava il mio dolore.

L’uomo cercava di spingermi via, ma io sentivo i suoi pugni sul mio torace come il solletico di una piuma… Non gridava nemmeno.

Mi staccai all’improvviso.

L’uomo mi guardò, anche se dubitavo mi avesse realmente visto in faccia, poi si alzò in piedi e, barcollando, scappò via terrorizzato.  

Non avevo mai commesso un omicidio.

Da quando avevo iniziato a nutrirmi di sangue, non avevo mai ucciso nessuna delle mie vittime. Bevevo solo il necessario, solo la quantità che mi  permetteva di sopravvivere.

Certo, chi sarebbe mai venuto a conoscenza della morte di un barbone, solo, senza famiglia e abbandonato?

Avevo comunque un profondo rispetto per gli umani, essendolo stato anch’io, d’altronde.

Non avrei mai potuto uccidere qualcuno; avrei aumentato il disgusto che provavo nei miei confronti.

Mi ripulii la bocca, e tornai a casa mia.

 

 

La sera seguente tornai al teatro. Dovevo andarci. Era l’unico modo per poterla vedere.

Avevo deciso che l’avrei ammirata da lontano. Tutto il mio profondo amore sarebbe rimasto sepolto nel mio cuore, senza vedere mai la luce.

Quando nella sala si diffusero le prime note, e lei, timidamente, entrò in scena, ebbi un tremito.

Vederla mi dava sempre quella sensazione.

Perché dovevo soffrire così?

Lei danzava, incurante degli sguardi del pubblico, trasportata da una magica scia di passione, con quell’espressione felice in volto che mi faceva fremere.

La danza era tutta la sua vita…

Vita, vita effimera! Avevo imparato troppo tardi quanto era preziosa, e ora non mi era concessa alcuna possibilità di tornare indietro…

Mi sentivo come quel barbone: solo, abbandonato, condannato alla solitudine per tutta l’eternità.

 

 

La musica svanì, come trasportata via dal vento del nord, e io mi ritrovai, sconvolto, seduto sulla solita poltrona.

Dovevo andarmene, non resistevo più. Dovevo andar via per mai più ritornare.

Non sarei più riuscito a guardarla, il mio cuore sarebbe esploso per tutto l’amore e il dolore che conteneva.

Con furia, scesi l’enorme scalinata che conduceva all’uscita.

Poi, accadde qualcosa che non avevo previsto, qualcosa che mi ridusse in briciole e mi spezzò l’anima.

Era lei. Ma la ritrovai davanti.

Mi bloccai a metà gradino. Stavo per svenire.

Lei incedeva silenziosa, a testa china. Non mi aveva notato.

Quando alzò lo sguardo, fui folgorato dalla bellezza dei suoi occhi: grandi, dolci, di un profondo color ambrato.

Anche lei si bloccò, a pochi passi da me.

Si strinse le mani al petto, imbarazzata. Le sue guance si tinsero di rosa scuro.

Accidenti! Mi faceva impazzire!

Pensai che dovevo fuggire, ma in quel momento lei fece una cosa che mi sconvolse.

Mi sorrise.

Gli angoli della sua morbida bocca si curvarono dolcemente, e il suo viso si illuminò.

Dovetti reggermi al corrimano, altrimenti sarei caduto di sotto.

Lei mosse un passo, facendo per proseguire.

Non so cosa mi prese in quel momento, sicuramente una pazzia, perché la mia mano si mosse velocemente, e la bloccai per un polso.

Lei si voltò, e mi fissò interrogativamente.

Ebbe un brivido, forse a causa della mia pelle fredda, ma non ebbe paura. Semplicemente era incuriosita.

- Aspetta… - sussurrai. – Come… qual è il tuo nome? – le chiesi.

Lei mi si avvicinò di nuovo. La nostra pelle era ancora in contatto.

- Mi chiamo Etain. – disse.

 

 

Etain

 

Il punto dove la sua mano mi bloccava sembrava prendere fuoco.

Era strano, perché in fondo, la sua pelle era gelida.

Stava succedendo davvero? Stava succedendo proprio a me?

Avevo sempre sognato quel momento, da quando lo avevo visto la prima volta osservarmi durante un mio spettacolo.

Non avevo più dimenticato quel viso, quello sguardo. Era un principe!

- Etain… - mormorò, con la sua voce sensuale. – È un nome bellissimo. –

Abbassai lo sguardo, non riuscendo a sostenere il suo.

Ma perché gli ho sorriso? È stato un riflesso incondizionato… Forse è stata l’emozione di ritrovarmelo davanti!

- Significa “eden”. – dissi io.

- Allora è fatto su misura per te. – continuò lui.

Il mio cuore stava per esplodere, me lo sentivo.

- E lei, come si chiama, signore? – chiesi. Sapevo che era un nobile, ma non ne conoscevo il nome.

- Io sono il Barone di Bloodless Hill, il mio nome è Dimitri. –

In quel momento, mi resi conto che così non poteva andare. Cosa mi aspettavo? Un saluto era un saluto, e basta.

Pensavo forse che sarebbe cambiato qualcosa nella mia vita?

Avrei continuato a vivere come al solito, solo, il mio progetto di suicidio sarebbe stato rimandato.

Già, volevo togliermi la vita, perché ormai non avevo più ragioni per cui lottare.

Per cosa avrei dovuto lottare? In fondo non mi era rimasto più niente. C’ero solo io, e nulla più...

Però... ripensandoci... mi era rimasto qualcosa... il meraviglioso sguardo di un uomo, che poi tanto uomo non era...

- Etain, vorresti venire una sera a danzare nel mio castello? – mi chiese lui all’improvviso.

Spalancai gli occhi.

Non potevo credere a ciò che mi chiedeva.

Sembrava un po’ esitante, ma i suoi occhi erano fermi e sicuri.

- Sarebbe un onore per me. – risposi, facendo un piccolo inchino.

- Ti prego! – esclamò lui, prendendomi anche l’altra mano. – Non fare riverenze e non darmi del lei! Chiamami semplicemente Dimitri! –

 

 

Corsi come una forsennata fino al mio camerino, dove mi accasciai sulla poltroncina.

Respiravo affannosamente, e mi tenevo il petto.

Il mio stomaco si era stretto in una morsa, e non intendeva sciogliersi.

Avrei voluto sfogarmi, gridare forte…

La sera successiva avrei danzato solo per lui, per il mio meraviglioso principe.

Poi, un pensiero mi colse. E se invece era sposato? Se voleva farmi danzare per allietare una delle sere della moglie?

Precipitai nuovamente nello sconforto, tornando a meditare sul suicidio, ma la forte emozione provata poco prima, e la disperazione, mi fecero cadere in un sonno profondo.

 

 

La sera seguente, una carrozza sfarzosa, guidata da tre coppie di cavalli neri venne a prendermi.

Imbarazzata, vi salii, e sprofondai in uno dei sedili, morbidi, di seta rossa.

Ero emozionatissima all’idea di rivederlo, ma anche estremamente terrorizzata all’idea che avesse una sposa bellissima.

Se fosse stato così il mio cuore si sarebbe spezzato irrimediabilmente, e niente sarebbe bastato a rimetterlo a posto, niente.

Tutto l’amore che provavo per il mio bel principe, sarebbe stato spazzato via come sabbia del deserto, e non sarebbe rimasto altro che un guscio vuoto, il mio corpo.

 

 

Giungemmo presto al castello, e il cocchiere mi aiutò a scendere.

Esitai.

- Tutto a posto, signorina? – mi chiese.

Gli sorrisi, annuendo, ma in realtà ero tesa e nervosa.

- Signore, posso farle una domanda? – dissi io.

Il cocchiere era ben disponibile a rispondermi.

- Il Barone, per caso ha una moglie? –

L’uomo scoppiò in una fragorosa risata e io non sapevo se rallegrarmene o disperarmi.

- Il Barone? Sposato? Ma chi mai ha inventato una simile idiozia?  -

Tutta la disperazione e il tormento che avevo maturato svanì come neve al sole, e anche a me venne da ridere.

- Nessuno! Nessuno ha detto questo, stia tranquillo! – dissi al cocchiere. Risi davvero di gusto, sollevata e felice, al punto che quasi mi veniva da piangere!

- Venga, la accompagno dentro! – continuò il cocchiere, e mi prese sotto braccio.

 

 

Il castello era immenso. Se all’esterno ricordava Versailles, all’interno era l’esatta copia del Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo.

I soffitti affrescati facevano da cielo a stanze riccamente arredate, a saloni da ballo, a camere per gli ospiti.

Rimasi di stucco quando entrai nell’androne principale e vidi le due enormi scalinate curve che salivano al piano superiore.

Tutta la bellezza del palazzo, però, si portò in secondo piano, quando vidi che da una scala scendeva l’uomo che avrebbe potuto vanificare la mia intenzione di suicidio.

- Dimitri… - mormorai.

Lui mi si avvicinò, e io arrossii come il giorno prima al teatro.

Mi prese una mano e se la avvicinò alle gelide labbra. La sfiorò appena, ma io sentii lo stesso un forte fremito percorrermi tutta l’anima.

- Benvenuta. – disse in un soffio.

Io quasi mi sciolsi.

- Grazie… - risposi io. – È magnifico qui… -

Dimitri mi sorrise. Mi sorrise! Avrei potuto anche morire, a quel punto, perché mi aveva fatto il più bel regalo che potessi immaginare.

- Andiamo? – mi disse, prendendomi sotto braccio.

Solo in quel momento mi ricordai che ero andata li per danzare.

Mi condusse in un bel salone, dove si trovava un grande palco in legno di cedro.

Da un lato invece si trovavano tanti strumenti diversi: pianoforte, clavicembalo, violoncello, flauti e tanti altri.

- Se vuoi cambiarti, ti ho messo a disposizione alcuni abiti e delle scarpette da ballo. – mi disse Dimitri, e aprì una porta che dava su un’altra stanza.

Vi entrai, e notai che era una stanza guardaroba.

La camera era completamente stipata di manichini e stampelle, che reggevano meravigliosi abiti da ballerina. L’unico elemento di arredamento era un divano sul fondo della stanza, su cui erano poggiate alcune paia di scarpette da ballo di diverso colore, e un sacchetto, che conteneva un paio di nastrini per capelli, esattamente identici a quelli che usavo durante i miei spettacoli.

Rimasi davvero meravigliata, non me lo aspettavo proprio!

Gli abiti erano tutti stupendi, e alla fine decisi di indossarne uno bianco, con alcuni dettagli verde chiaro.

Mi legai i capelli con i nastri bianchi che poi indossai le scarpette, bianche anch’esse. Mi stupii, aveva indovinato la misura esatta.

Uscii timidamente dalla stanza, e feci qualche passo avanti.

Dimitri non si era accorto di me, e così potei osservarlo per un attimo.

Aveva in mano un violino, e con l’archetto, solleticava dolcemente le corde, forse per accordarlo.

Ero incantata da quella visione.

La sua espressione concentrata mi faceva restare senza fiato, e quella sensazione strana allo stomaco era tornata.

Si voltò all’improvviso, accorgendosi in quel momento che ero pronta.

Rimase immobile a fissarmi, poi disse: - Sembri un angelo… -

Io arrossii, e mi misi le mani sul viso.

- Scusa, ti ho imbarazzata? – mi chiese lui, e io mi scoprii il volto, trepidante.

Annuii, sorridendo.

Lui mi tese una mano, che io accettai, e mi portò fino al palco, dove mi aiutò a salire.

- Suonerò io. – disse.

Io respirai profondamente. Avevo il respiro corto, e non doveva essere così. Se volevo ballare al meglio dovevo concentrarmi.

Feci qualche esercizio di riscaldamento, poi dissi a Dimitri: - Sono pronta. –

Mi misi sulle punte, pronta ad cominciare, quando accadde.

Iniziò a suonare.

Quella musica non aveva niente di umano! Era un qualcosa sconosciuto alle persone.

Era la voce degli angeli! 

Sulle note di quella musica divina mi misi a danzare, rapita, come in trance, mi colmava, e io non potevo farne a meno, quella musica doveva essere mia!

Sentivo lo sguardo di Dimitri che mi seguiva, e io lo ricambiavo, grata a lui per avermi fatto conoscere quella melodia angelica che mi trasportava, e mi distruggeva al tempo stesso.

- Etain! – esclamò all’improvviso Dimitri, abbandonando il violino da una parte e correndo verso di me.

Perché si era fermato? Perché non continuava a far parlare ancora il suo violino?

- Etain, tutto bene? – mi chiese.

Certo che andava tutto bene! E allora perché avevo le guance bagnate di lacrime?

Mi guardai intorno, e mi accorsi di essere seduta sul palco, in lacrime.

Che stupida!

- Si. Va tutto bene. – dissi, mentre davo libero sfogo alle lacrime.

- Ma perché piangi? – mi chiese, preoccupato.

Io risi, pur continuando a piangere. – È la tua musica! È… la musica degli angeli! –

Anche Dimitri rise, e con un gesto rapido mi prese in braccio, come una principessa.

- Che… che fai? – mormorai, asciugandomi le lacrime.

Lui mi zittì dolcemente, e mi portò verso la stanza guardaroba.

Tolse tutte le scarpette dal divano, poi mi ci fece sdraiare.

- Hai il battito accelerato, stai sdraiata. Vuoi dell’acqua? – mi disse.

- No aspetta! Non ce n’è bisogno! – esclamai, mettendomi seduta.

Eravamo vicinissimi.

- Ti sei già ripresa? – mi disse Dimitri, sedendosi di fianco a me.

Annuii. – Mi dispiace… -

- Ma che dici? – fece lui. – Sapere che la mia musica ti ha emozionata fino a questo punto mi colma di gioia! –

Io sorrisi.

Eravamo davvero tanto vicini. Forse troppo.

Posò la sua mano forte sulla mia guancia. Il freddo della sua pelle mi confermava l’idea che avevo teorizzato: lui, come la sua musica, non era umano.

Stranamente non mi spaventava, semplicemente non mi importava.

I  suoi occhi si posarono sulle mie labbra. Chissà cosa stava pensando…

Mi avvicinai lentamente, come fece anche lui, e in un attimo ci fondemmo nel bacio che avevo da sempre atteso.

Intrecciai le mie dita tra i suoi capelli corvini, attirandolo a me sempre di più.

Come avrei fatto da allora in poi? Non sarei più potuta sopravvivere senza di lui, senza i suoi baci.

Ci staccammo improvvisamente.

- Che cosa sto facendo! – esclamò lui, prendendosi la testa tra le mani.

Io non capivo. Era tutto così perfetto! Avevo trovato finalmente la ragione della mia vita, era lui!

- Perché dici così? – dissi, alzandogli il viso all’altezza del mio.

- Non possiamo stare insieme, noi… - mormorò lui.

L’espressione di dolore che aveva in viso mi lacerava.

- Non è vero… - cercai di replicare io, ma Dimitri chinò il capo sconsolato.

- Non si può, Etain, noi due siamo esseri opposti! –

- Non mi importa! – ribadii. – Purché io possa restare con te mi va bene tutto! –

Dimitri mi fisso confuso.

- Vuoi… vuoi restare con me? – mi chiese.

Annuii scuotendo la testa. – Lo voglio più di ogni altra cosa al mondo! –

Per un attimo parve ritrovare la felicità di prima, ma in un istante scomparve di nuovo.

- Ma noi… potrei farti del male, e non voglio che tu corra questo rischio! –

Stavo per rimettermi a piangere.

Chinai la testa all’indietro, scoprendo il collo.

- Fammi diventare come te, così non correrò rischi. – gli dissi. Tremavo.

- Tu… tu sai? – disse Dimitri. Tremava anche lui.

Mostrai di nuovo il collo.

Con mia sorpresa, lui trattenne una risata.

- Sei proprio sicura? Sei certa di voler passare tutta l’eternità insieme a me? –

Mi avvicinai a lui e gli presi il viso tra le mani.

- Io mi volevo suicidare, non avevo più ragioni per continuare a vivere, ma adesso ne ho trovata una! Sei tu, la mia ragione! È stato vedendoti al teatro che sono riuscita ad andare avanti!-

Lo fissai intensamente negli occhi scuri.

- Io ti amo! - gli dissi, cercando di fargli capire quanto il mio cuore traboccava d’amore per lui.

Dimitri si irrigidì, poi si voltò piano.

- Anche io ti amo. Ti amo Etain, ti amo! –

Non ci credevo! Non credevo che tutto quello che desideravo si stava avverando!

Dimitri mi amava! Amava proprio me!

Mi avvicinai, sorridente, e lo baciai con passione.

Lui rispose a quel bacio, stringendomi in un abbraccio e al tempo stesso infuocato.

Le sue labbra si spostarono dalle mie, scendendo lungo la linea della mandibola e arrivando fino al collo, dove pulsava la vena.

Chiusi gli occhi. Sapevo ciò che doveva succedere, ma non ne ero spaventata.

- Non pensare al dolore, pensa solo che dopo avremo tutta l’eternità da passare insieme…- disse lui, e io gli cinsi il torace con le braccia.

Ero tranquilla, perché stavo con lui.

I suoi denti premettero contro la mia pelle, sempre più forte, finché la lacerò.

Trattenni un grido, mentre Dimitri beveva il mio sangue, cercando di fare il più in fretta possibile per non farmi soffrire.

Poi, non seppi quanto tempo era passato, si staccò, baciandomi sulla ferita da lui stesso causatami.

Mi sentivo strana.

Avevo la vista annebbiata, e il mio corpo aveva una percezione diversa della realtà.

Sembrava che tutto andasse molto più a rallentatore.

Vedevo le pieghe dei miei abiti muoversi lentamente, sentivo suoni impercettibili come l’aria che filtrava dagli spifferi delle finestre.

Sbattei le palpebre.

Ora vedevo un po’ meglio, non più annebbiato, ma era davvero molto… bizzarro.

La cosa che mi stupì di più era che riuscii a vedere i granelli di polvere sul pavimento.

- I tuoi camerieri non si danno tanto da fare… - dissi, scherzando, a Dimitri, ma quando lo vidi non riuscii più a parlare.

Era come se fino ad allora avessi guardato quell’uomo avendo davanti un velo grigio.

Ora che avevo la vista, come la chiamavo io, potevo vederlo in tutta la sua bellezza e straordinarietà.

Era un dio sceso sulla Terra, era una creatura modellata dagli angeli, la creatura più incredibile e stupenda che si fosse mai vista.

- Sei bellissimo! – mi uscì dalle labbra, inconsciamente.

Lui rise, ed io ebbi un colpo al cuore che, mi accorsi, era fermo.

Dimitri mi sciolse i capelli dai nastri, e me ne legò uno al collo, facendo un bel fiocco, per coprire i buchi dei suoi canini, che si erano già cicatrizzati.

L’altro fiocco lo legai io al suo collo.

- Ora potremmo restare insieme per tutta l’eternità. – disse.

- Già, avremmo tutta l’eternità per amarci! – risposi, baciandolo.

Rise di nuovo.

– Perché non iniziamo subito? – mi propose, spingendomi dolcemente sul letto, e iniziando a slacciare il mio corsetto.

Mi sentivo ancora un po’ intontita dalla trasformazione, ma anche piena di nuove energie e sensazioni che prima non avrei potuto nemmeno immaginare...

Lo lasciai fare con calma concentrandomi sulla forte percezione che avevo delle sue mani forti che accarezzavano il mio corpo.

Mentre le sue labbra si fondevano nuovamente con le mie compresi una cosa, una cosa molto importante che forse anche Dimitri aveva capito: non esistono persone buone o cattive, ma solo persone che attuano delle scelte.

Sono le nostre scelte che ci guidano durante la vita, e la mia scelta era stata quella di seguire quella creatura meravigliosa anche oltre la vita, per tutta l’eternità. 

 

 

 

 

Oh, che emozione! Questa è la mia prima fan fiction sui vampiri...

Non avendone mai scritta una sono un po’ sulle spine...

La storia è ambientata  verso la metà dell'800, e si svolge tra Londra e una zona di mia invenzione che dovrebbe trovarsi nei pressi della città.

Però, che dire, adoro sia Dimitri che Etain, forse perché sono così fragili, anche teneri però!

Volevo precisare una cosa che purtroppo non ho potuto spiegare durante la storia, perché raccontata in prima persona.

Ho un po’ personalizzato la questione della vampirizzazione...

Allora... per vampirizzare è necessario bere più del 70% del sangue della vittima, per questo il vagabondo non è stato trasformato, mentre Etain  invece si.

Bene, spero che questa storia vi sia piaciuta, e spero anche di tornare presto a scrivere di vampiri! Alla prossima! ^^

 

  
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