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Autore: Old Fashioned    22/04/2018    16 recensioni
Seconda Guerra del Golfo. Clement Boyle e Andrej Vaughan sono due marines e si trovano in Iraq. Vaughan decide di approfittare della libera uscita per andare a comprare dei regali per i suoi, ma preso dall'entusiasmo si infila per sbaglio in un posto che non avrebbe dovuto vedere. Lui e Boyle, il suo inseparabile amico, finiscono per trovarsi prigionieri dei terroristi, con davanti una prospettiva tutt'altro che rosea. Riusciranno a evitare ciò che li aspetta?
Avviso il potenziale lettore che la storia contiene linguaggio volgare.
Prima classificata al contest "Sette colori per sette peccati" indetto da missredlights sul forum di EFP.
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IL VELO




Parte prima

This is the end, beautiful friend…

Il marine Serrano buttò da una parte la pala con cui stava riempiendo di sabbia polverosa un sacco da trincea e disse: “Basta! Già questo è un lavoro di merda. Farlo con quella musica in sottofondo, poi, è peggio che spararsi nelle palle.” Tirò fuori una sigaretta e se l’accese. “Non lo sopporto più,” borbottò poi, espirando una boccata di fumo.

...This is the end, my only friend, the end…

Dalle finestre aperte di una camerata, la canzone rimbombava per tutto il campo.
Il suo commilitone Ayers, che era chinato a tenere aperta la bocca del sacco, guardò in su e replicò: “Datti da fare, dai, non ci tengo a far incazzare il sergente un’altra volta.”
Lo senti?” ribatté l’altro. “È la terza volta di fila che la suona, cazzo. Sempre la stessa. Ma giuro che se non la pianta vado là e gliela suono io, la fine.”
Jim Morrison nel frattempo stava continuando imperterrito a lamentarsi: ...and all the children are insane, all the children are insane…
A quel punto, alle loro spalle si udì una voce profonda proclamare: “Questo stronzo pensa di essere a casa sua.”
I due si girarono e ritennero opportuno non replicare: era comparso il marine Clement Boyle, un mezzo maori di due metri per centotrenta chili di peso, praticante di varie arti marziali, dal carattere notoriamente pessimo e portato allo scatto d’ira.
Questi fissò la finestra aperta della camerata come un toro avrebbe fissato un torero particolarmente molesto, quindi partì a grandi passi in quella direzione.
I due rimasero a seguirlo con lo sguardo fino a che non scomparve all’interno dell’edificio.
Ora lo ammazza,” commentò a quel punto Serrano con un’alzata di spalle. Si mise la sigaretta all’angolo della bocca, raccolse la pala e ricominciò a riempire il sacco.

Il marine Brian Everett era sdraiato sulla sua branda con addosso solo i pantaloni e la maglietta. Teneva le braccia dietro la testa e le gambe accavallate, e si godeva la sua canzone preferita, ovvero The End, dei Doors.
Non era tipo da mezze misure, e quando ascoltava la musica gli piaceva farlo a tutto volume, e insistere finché una certa canzone non finiva per annoiarlo. La consumava, in un certo senso. La acquisiva.
Era un concetto filosofico di cui andava molto fiero.
Quando sentì il trambusto in anticamera, sulle prime pensò a un assalto nemico, e istintivamente abbandonò la posizione rilassata per guardarsi intorno alla ricerca di fucile e scarponi.
Non fece in tempo a reperire nessuna delle due cose: la porta si aprì con tale violenza che rischiò di saltare dai cardini, e nel riquadro comparve la preoccupante mole di Boyle.
La vogliamo piantare?” ringhiò il nuovo arrivato.
Ehi, stavo solo ascoltando un po’ di musica,” ebbe la pessima idea di replicare Everett.
L’altro fece un minaccioso passo avanti, poi disse: “No, la faccenda è un po’ diversa: tu stai rompendo i coglioni a tutti con la tua musica del cazzo.”
Io ascolto quello che mi pare.”
Boyle fece un altro passo avanti. Afferrò lo stereo, lo strappò dal muro con la presa e tutto, e lo lanciò fuori dalla finestra, mandandolo a fracassarsi contro l’edificio che si trovava dall’altra parte del vialetto, poi incrociò le braccia sui poderosi pettorali e lo fissò torvo. “Ascoltala adesso, la tua fottuta musica,” disse.
Senti, frustrato di merda...” cominciò l’altro, scendendo dalla branda con la lenta determinazione di chi è intenzionato a cantarle chiare all’avversario una volta per tutte, “si può sapere che cazzo di problema hai? Quello era il mio stereo.”
Vuoi fare la stessa fine, stronzo?”
Una volta che si fu alzato in piedi, Everett dovette piegare la testa all’indietro per riuscire a fissare negli occhi l’interlocutore. In tono già meno deciso, protestò: “Non ne avevi il diritto.”
E tu non hai il diritto di rompere le palle a tutti con la tua musica del cazzo.”
Questa volta, l’altro non trovò nulla da eccepire. Si limitò a grugnire qualche vaga protesta, poi raccolse gli scarponi e abbandonò la stanza.
Padrone del campo, Boyle si guardò intorno. Dalla branda accanto a quella di Everett, il marine Andy Vaughan aprì un occhio e disse: “Ciao, Clem.”
L’altro rilassò i muscoli e abbandonò le braccia lungo i fianchi, poi premuroso disse: “Scusa, Orange. Ti ho svegliato?”
In tono pacato, l’altro osservò: “Col casino che hai fatto, avresti svegliato anche i morti.”
Scusa,” ripeté Boyle contrito, “mi aveva fatto incazzare.”
Ma sì, ti capisco,” rispose Vaughan tranquillo. Sbadigliò. “Dava un po’ di fastidio con quella musica.”
Un po’ di fastidio? Ma se faceva tremare i vetri!”
Beh, non tanto, in fondo.” L’altro si alzò dalla branda, si stirò come un gatto e propose: “Andiamo in mensa a bere qualcosa?”
Ok.”
Si incamminarono.
Ma come cazzo facevi a dormire?” chiese Boyle strada facendo.
Boh, come si fa a dormire? Ti metti lì e chiudi gli occhi, no?” Poi, dopo una pausa: “Come faccio a spiegarti come si fa a dormire?”
E dai, Orange.” protestò Clem Poi, dopo una pausa: “Un giorno me lo dirai perché tutti ti chiamano Orange?”
Un giorno, magari...”
Birra?”
Ok, birra.”

§

Arroventate dalla calura del primo pomeriggio, le baracche di Camp Courage sembravano tremolare nell’aria torrida e immobile. I vialetti di terra battuta si erano trasformati in miraggi, e pareva che in fondo a ognuno di essi ci fosse un'invitante pozza d'acqua. Le lamiere degli automezzi erano così calde da ustionare.
Orange, biondo rossiccio, occhi azzurri e pelle refrattaria all’abbronzatura, tirò fuori un tubetto di Protezione 50 e se ne applicò una generosa quantità sul naso spellato e sulla fronte, poi inforcò un paio di occhiali da sole. “È un po’ caldo, oggi,” commentò. Porse la crema a Clem. “Vuoi?”
L'altro lo fissò critico. “Per fare dieci metri all’aperto?”
Uhm. Ripensandoci, sei un mezzo maori, quindi non ne hai bisogno. E poi sei talmente grosso che me la consumeresti tutta.” Si rimise in tasca il tubetto.
Raggiunsero l’aula briefing, fuori dalla quale era affisso un cartello che recitava: Seminario di cultura islamica, a cura della professoressa Irene Simmons.
Nella sala stavano entrando solo maschi.
I due presero posto, e poco dopo la porta venne chiusa. Un proiettore da diapositive si accese, e dalla porta riservata agli ufficiali fece il suo ingresso una procace mora con una quarta naturale e lunghe gambe affusolate.
La giovane donna salutò l’uditorio e con voce flautata annunciò: “Oggi parleremo dell’arte islamica.”
Come vorrei che invece mi parlassi dell’arte di fare i pompini...” mormorò qualcuno, stando ben attento a non farsi sentire dalla docente.
La professoressa prese una di quelle canne che si usano per indicare.
Sì, puniscimi, maestra...” sussurrò un altro. Seguirono delle risatine soffocate.
Imperterrita, o forse solo serenamente ignara, la docente cominciò a disquisire di arte omayyade, mostrando immagini della grande moschea di Damasco.
Orange era piuttosto soddisfatto della scelta artistica, perché le moschee erano generalmente dotate di minareti, e quando la Simmons alzava quella sua bacchetta per indicarli, le tette si comportavano in maniera interessante.
Per un po' rimase a scrutarle, cercando di capire se fossero naturali o rifatte, ma non riuscì a raggiungere un verdetto. Diede un colpetto col gomito a Clem e sottovoce gli chiese: “Secondo te sono vere?”
Cosa?”
Le cupole della Simmons.”
Il mio minareto pensa di sì.”
Il solito milord.”
Sei stato tu a cominciare.”
La docente nel frattempo stava mostrando una costruzione di pietra chiara.
Ehi, quella l'ho già vista,” sussurrò Orange. “È poco fuori città.”
...e questo è il mausoleo di al Mansour, risalente all'ottocento dopo Cristo.” disse la Simmons. “Come potete vedere, il monumento è stato realizzato sulle fondamenta di una costruzione più antica...”
Qualcuno alzò la mano.
La docente smise di spiegare, si voltò in quella direzione e disse: “Sì...?”
Signora, cosa c'è dentro?”
L'altra gli fece il sorriso della mamma che spiega al bambino che non può aprire il coniglietto per vedere come mai si muove e respira. “Non è aperto ai non musulmani,” rispose candidamente. “È un luogo sacro per la loro religione.”
Ma allora, signora, potrebbero esserci dentro anche dei terroristi?”
È un luogo sacro,” ripeté l'altra, dando l'idea di considerare la risposta perfettamente esaustiva.
Orange si voltò verso il compagno: ormai lo conosceva, e sapeva perfettamente che un discorso come quello della Simmons aveva il potere di scatenare la più feroce delle sue incazzature. Allungò una mano per toccargli il braccio, ma prima che il gesto riuscisse a giungere a compimento, Boyle saltò in piedi e chiese: “Quindi, signora, siccome quello è un luogo sacro, noi non ci possiamo entrare?” I suoi occhi fiammeggiavano in modo inquietante.
La docente rimase con la canna a mezz'aria, vagamente intimidita dalla mole del marine. In tono suadente rispose: “È un luogo di culto. Per rispetto alla loro religione, abbiamo scelto di non violarlo.” Fece una pausa, poi, con il sorriso indulgente di chi sta ascoltando le preoccupazioni fuori luogo di una vecchia signora un po’ isterica, soggiunse: “L'Islam è amore.”
Non l'avesse mai detto.
Clem letteralmente strabuzzò gli occhi, poi con voce tonante replicò: “Beh, lasci che le spieghi, signora, che qui siamo in guerra, altro che amore del cazzo! E mentre noi stiamo qui a farci le seghe sul rispetto e sulla tolleranza, quegli stronzi ci violano il culo tutti i giorni, per usare parole sue, e noi non possiamo fare un cazzo, perché arrivano certi idioti dalle Università, e dopo aver passato il tempo a farsi canne e a scrivere cazzate sulla pace e sul rispetto, vengono qui in Iraq, dove ci facciamo il culo tutti i giorni, a dire le imbecillità di chi non ha mai sentito un colpo di fucile in vita sua! Venga un po' a portare a spasso le sue tette in una missione di pattugliamento, signora, poi riparliamo della pace e del rispetto!”
A quel punto si scatenò l'inferno: tutti saltarono in piedi, alcuni volenterosi afferrarono Clem per le spalle e cercarono senza successo di portarlo fuori, ma la maggior parte cominciò ad acclamarlo, a ripetere spezzoni della sua requisitoria e a urlare slogan patriottici. Volò anche qualche sedia.
Entrarono nella stanza quattro MP, ma a quel punto tutta la conferenza era già piombata nel caos e nessuno prestava più attenzione alle pur pregevoli tette della docente, e meno che mai all’arte omayyadi. L'unico che manteneva una calma olimpica era Orange, che sedeva tranquillamente e contemplava la diapositiva proiettata sul muro, ovvero una planimetria del famoso mausoleo.
Si alzò adagio, e schivando i commilitoni raggiunse la cattedra. La professoressa stringeva a due mani la bacchetta, con l'aria di una dama vittoriana capitata in mezzo a una masnada di marinai ubriachi. Il marine esibì un sorriso soave e disse: “Signora?”
L'altra lo fissò come si potrebbe fissare un pompiere in un incendio. “Sì, soldato?”
Forse è meglio che io la accompagni fuori, signora.” Le porse il braccio con la galanteria di un gentiluomo della Virginia.

§

Clem si mise in spalla l'M4, che addosso a lui sembrava poco più un fucile giocattolo, e si aggiustò l'elmetto dotato di videocamera. Poi si voltò verso il compagno e chiese: “E quindi, zitto zitto te la sei portata fuori?”
È il motto non ufficiale di noi marines, amico,” rispose fiero Orange. “Improvvisare, adattarsi e raggiungere lo scopo.”
Ma che paraculo,” commentò l'altro scuotendo la testa. “Mentre noi ci prendevamo a cazzotti con gli MP, tu ti sei portato via Miss Tette.” Tacque per qualche secondo, poi s'informò: “Allora, sono vere o finte?”
Non lo so, abbiamo parlato di arte islamica.”
Clem fissò l'amico come se dubitasse della sua salute mentale. “Eh?”
Arte islamica. Omayyadi, selgiuchidi...”
L'altro scosse di nuovo la testa, questa volta con rassegnazione. “Tu sei malato,” sentenziò alla fine.
Così parlando salirono sull'Humvee e si sistemarono sui sedili. “Dove si va oggi?” chiese Clem a voce alta.
Mercato,” rispose l'addetto alla guida.
Merda, odio il mercato,” imprecò il marine, che nei vicoli stretti e debordanti di mercanzie dei suq si impigliava ovunque.
L'auto si mise in movimento, attraversò i cancelli di Camp Courage e cominciò a percorrere le strade polverose e intasate di macchine strombazzanti della città.
Boyle per un po' rimase a guardare fuori, poi chiese: “Senti, ma ti chiamano Orange per il colore dei capelli?”
L'altro fece un sorrisetto. “No, non per quello.”
E allora perché?”
Un giorno te lo dirò.”
Clem alzò le spalle. “Fanculo. Non mi interessa.”
Orange rispose con una risatina, poi disse: “Comunque, l'incontro con Miss Tette è stato interessante. Lo sai che secondo la tradizione quel posto sarebbe collegato alla città da un tunnel?”
Il mausoleo di al Capone?”
Al Mansour. Comunque sì, quello. Ma sembra che non ne sia rimasto nulla. In realtà era un canale che serviva da collettore per le sorgenti che si trovavano sulle colline.”
Boh.”
Portava l'acqua in città.”
Avrebbe fatto meglio a portare della birra.”
Nel frattempo si stavano avvicinando alla zona del mercato, e già la folla cominciava a ingombrare le strade. Passavano donne velate con ceste in equilibrio sulla testa, ragazzini che si trascinavano dietro capre riluttanti, o vecchi che spingevano asini carichi di cesti di paglia. Uno di essi si fermò al ciglio della strada, e quando li vide passare tirò fuori da una tasca sdrucita un cellulare di ultimo modello.
Clem scattò: “Ehi, che cazzo fa quel bastardo?” ringhiò minaccioso.
Orange gli mise una mano sulla spalla. “Sta telefonando.”
Quello è un fottuto detonatore!”
Prima che chiunque fosse in grado di fermarlo, Clem era già scattato fuori, con una rapidità impensabile data la sua mole, e aveva atterrato l'uomo sul marciapiede. Indignata e spaventata, la folla faceva capannello e lanciava invettive.
Scese dall'Humvee il caporale Whilkes, che si avvicinò con un sospiro al marine e sentenziò: “Tu sei un incidente diplomatico vivente, Boyle.” Gli batté una mano sulla spalla per convincerlo a mollare la presa.
Clem non si mosse. “Quello ha un detonatore,” insisté caparbio.
Vista la difficoltà di spostare Boyle quando non voleva essere spostato, Whilkes disse: “D'accordo. Ora chiamiamo gli artificieri e poi se ne occuperanno loro, d'accordo?”
Il telefonino lo tengo io finché non arrivano.”

Ci volle ancora una buona mezz'ora, poi il pattugliamento del mercato poté cominciare.
La voce di quello che aveva fatto Boyle si era sparsa, e la gente manteneva una circospetta distanza dal gruppo di militari.
Si erano lasciati alle spalle il suq degli alimentari, dove le bancarelle di spezie multicolori si alternavano a quelle che esponevano quarti di capra appena macellata, ed erano entrati nel suq degli abiti: dappertutto c'erano stoffe di ogni genere, coperte, jalabiya per uomo, ma anche per donna, ricamate e variopinte, chador scuri, kefiah, ma anche abiti di foggia occidentale, perlopiù provenienti dall'Estremo Oriente, jeans, magliette di improbabili squadre di calcio e altro ancora.
A un certo punto, Orange si fermò e disse: “Guarda lì.”
Clem si voltò nella direzione indicata, ma non notò nulla di particolarmente interessante.
Il velo,” gli fece notare l'altro.
Di veli dovevano essercene in esposizione almeno duecento. “Quale velo?” chiese Clem.
A mo' di spiegazione, Orange disse: “Mia nonna è russa, se mi chiamo Andrej è colpa sua, e quando va in chiesa a fare i suoi riti si mette sempre un fazzoletto in testa.” Annuì convinto, poi soggiunse: “Io dico che quello sarebbe perfetto per lei.”
Clem continuava a vedere solo un assortimento di stoffe dai colori improbabili. “Ma quale?”
Quello là, no?” rispose l'altro, col tono di dire la cosa più ovvia del mondo. Fece un passo avanti, poi con la canna dell'M4 sollevò il lembo di un velo di seta nero con dei disegni viola intenso.
Per me porta rogna,” sentenziò Clem.
In quel momento, dall'interno del negozio si affacciò un uomo di mezz'età, baffuto, con una jalabiya bianca e la taqiyah in testa. Questi si inchinò con fare untuoso e chiese: “Vuole comprare?”
Orange stava già per mettere mano al portafoglio quando la voce del caporale Whilkes lo richiamò all'ordine. “Stasera.” gli assicurò allora il marine. “Finito il servizio, torno qui a comprare quel velo, tienilo da parte.”
Sì, signore,” rispose l'uomo rivolgendogli un altro inchino.
Stasera!”
Si persero nella calca del mercato.
Sei il solito cretino,” brontolò Clem quando si furono allontanati.
L'altro lo fissò ostentando un'aria offesa. “Perché?”
Digli anche in quale baracca di Camp Courage dormi, già che ci sei, e a che ora esci in mutande a pisciare.”
Sei un paranoico.”
Un paranoico?” ringhiò Boyle. “Ehi, stronzo, guarda che qui siamo in guerra. Questi sono nemici.”
Nessuno è nemico, quando gli dai dei dollari.”
Beh, tu gli hai detto che torni qui stasera, finito il servizio. Secondo me ci troverai dieci fotticammelli pronti a farti la festa.”
'Fotticammelli' o 'fotticapre' era il termine con cui di solito Boyle si riferiva agli indigeni di sesso maschile.

Proseguirono con il pattugliamento. Nel frattempo avevano abbandonato il suq degli abiti, e stavano attraversando quello degli oggetti per la casa: vassoi in rame battuto si alternavano a piatti di plastica provenienti dalla Cina, ornati di fiori di pesco e pagode; recipienti tradizionali in alluminio erano esposti accanto a cestini di plastica fucsia o verde acido. Assortimenti di bicchierini da tè dalle pesanti decorazioni dorate brillavano ai rari raggi di sole che penetravano attraverso la copertura del mercato.
Orange prese un piccolo recipiente a imitazione del cristallo baccarat, lo rigirò per leggere l'etichetta che aveva sul fondo e disse: “Ovviamente made in China.” Lo rimise a posto.
Sei peggio di una donna,” grugnì Boyle.
Sono un uomo facoltoso e di buon gusto,” lo corresse Orange, citando i Rolling Stones. Sollevò un sopracciglio con aria di degnazione.
Clem stava per rispondere quando una voce aspra attirò la sua attenzione. Si voltò in quella direzione e vide un uomo di circa cinquant'anni, ossuto, scuro, con un'appuntita barba bianca, che inveiva contro una donna, e intanto la strattonava per un polso.
La donna, completamente velata di nero, piagnucolava e faceva deboli tentativi di liberarsi.
Ehi, che fa quel pezzo di merda?” ringhiò Boyle, ergendosi in tutta la sua altezza. Tese i muscoli.
Orange gli si parò davanti. “Sta fermo, Clem. È il loro modo di dirsi ti amo.”
Ti amo, un cazzo. Non vedi che le sta facendo male? A una donna? Non si toccano le donne!” Poi, rivolto all'uomo: “Ehi, stronzo, che cazzo ti credi di fare?”
Il tizio lo guardò con l'aria di non capacitarsi di quell'intromissione, poi riprese a inveire contro la compagna.
Non si toccano le donne!” latrò allora Boyle, quindi partì a testa bassa, e prima che chiunque si fosse reso conto di quello che stava succedendo, aveva già attaccato al muro l'indigeno. La donna cercava di colpirlo con i pugni, e intanto diceva cose dal suono poco gentile.
Clem si voltò verso il commilitone, e stupefatto domandò: “Ma perché sta picchiando me?”
Serafico, Orange gli rispose: “Te l'ho detto che sono abituati così.”
Fotticammelli di merda, loro e le loro donne.”
Andiamo, dai.”
Ma tu hai visto che quella strega ha picchiato me?”
E dai, si vede che è una di quelle a cui piace prenderle.” Lo spinse in avanti. “Ora muoviamoci, se non perdiamo gli altri.”

§

Orange entrò nella palestra dove Clem si stava allenando e disse: “Andiamo?”
L'altro appoggiò il bilanciere e lo fissò serio. “Andiamo, dove?” Prese l'asciugamano che aveva al collo e si terse il sudore.
A comprare il velo.”
Boyle sbuffò. “Ma perché non lo chiedi alla Barral, che è una donna?”
Sì, figurati, una donna. Quella là deve avere il clitoride più grosso del mio cazzo.”
Allora chiama Miss Tette, no? Tra una discussione di arte islamica e l'altra, andate a comprare il fazzoletto per tua nonna.”
Orange assunse un'espressione di nostalgia e sospirò: “L'hanno spostata a Camp Freedom. Hanno detto che qui creava turbative.”
Troppe tette?”
L'altro gli diede un pugno sul pettorale. “No, troppi cretini che non sanno tenere la bocca chiusa quando è il momento. Allora, andiamo?”
Sono sudato.”
Ci sono cinquanta gradi, sta sudando anche la fotografia del Presidente appesa nella mensa.”
Devo farmi la doccia.”
Aspetterò.”
Sai che sei un bel rompicoglioni, Orange? E non mi hai ancora detto perché ti chiamano Orange.”
Ti do un indizio: il soprannome completo è Agent Orange. E adesso va a lavarti, se no il tizio chiude il negozio.”

Ti chiamano Agent Orange perché fai morire le piante?”
Oh, che palle. Ma lo sai che quando ti ci metti sei più insistente di un testimone di Geova?”
Stava calando la sera. Le viuzze del mercato, che durante il giorno erano apparse come pittoreschi caleidoscopi di colori e odori, si stavano trasformando in viottoli scuri, stranamente larghi rispetto alla calca della mattina, e fiancheggiati da botteghe sbarrate. Solo nel suq delle stoffe qualche bancarella resisteva ancora, e gli abiti e i foulard superstiti ondeggiavano lievi nella brezza.
Orange avanzò rapido, guardandosi intorno come un furetto capitato in un pollaio. Girandosi sopra la spalla, chiese al compagno: “Tu ti ricordi dov'era?”
Per me questi fottuti posti sono tutti uguali.”
Certo che sei costruttivo, eh?” rispose Orange continuando ad avanzare nei vicoli. Si fermò a un crocicchio, scrutò i dintorni e disse: “Mi sembra di riconoscere il posto, andiamo di qua.” Si infilò in una viuzza col pavimento di terra battuta.
Clem lo seguì grugnendo cose indistinte.
L'intuizione di Vaughan si rivelò giusta, e i due raggiunsero il negozio dei veli, unico ancora aperto in una strada altrimenti buia e deserta. Un paio di ragazzotti stavano togliendo la merce dall'esposizione, la ripiegavano e la mettevano via. In piedi sulla soglia, l'uomo coi baffi sovrintendeva all'operazione.
Ehi!” lo chiamò il marine da lontano, agitando il braccio per attirare la sua attenzione. “Ehi, hai visto che sono tornato?”
L'uomo non parve per nulla felice di vederlo. Fece un sorriso stentato e si agitò a disagio.
Orange lo raggiunse insensibile al suo turbamento, guardò l'esposizione ormai smontata per metà e chiese: “Il mio velo?”
L'altro si inchinò con fare servile. “Quale velo, signore?”
Quello che ti avevo detto di tenermi da parte.” Scrutò l'interno della bottega. “Dov'è, qui dentro?”
Io non...”
Beh, lascia stare: ti faccio vedere io quale voglio,” rispose Orange, e risolutamente entrò nel negozio. Il venditore fece l'espressione di chi ha appena visto cadere le chiavi della macchina nuova in un tombino e gli si precipitò dietro.
Vaughan nel frattempo aveva cominciato a guardarsi intorno come un bambino in una pasticceria. Il negozio era molto più grande di quello che appariva dall'esterno, ed era pieno di stoffe di ogni genere. Vi regnava un odore strano, che un po' gli ricordava quello del laboratorio di chimica del college. Di veli ce n'erano alcune migliaia, ma non vedeva quello viola e nero che aveva adocchiato la mattina.
Dov'è?” chiese.
Si palesò alle sue spalle il venditore, che aveva sul braccio alcune stoffe. “Pashmina?” propose. Spiegò uno dei foulard, e gli mostrò che pur essendo quasi due metri per due, passava agevolmente attraverso un anello.
Orange assisté educatamente alla dimostrazione, ma scosse la testa e disse: “No, grazie. Non è quello che cerco.”
Seta? Qualità migliore!” L'uomo gli mostrò dei veli lucidi e cangianti, dai colori che ricordavano le ali dei coleotteri, ricamati d'oro. “Stesso prezzo di quello, per te.”
No no, non va bene per mia nonna. Voglio quello là.”
L'altro lo abbandonò per frugare in un baule dall'aria antica, poi tornò alla carica: aveva in mano un velo di seta nera intessuta d'argento, con lunghe frange intrecciate. La stoffa aveva un aspetto corposo, opulento, letteralmente colava tra le mani dell'uomo come un materiale fluido. I fili di metallo scintillavano debolmente sotto le luci, dando l'impressione di un brillio diffuso, come quello che produce il sole radente sulla neve ghiacciata. “Stesso prezzo!” proclamò l'uomo.
Orange scosse la testa. “Ma no, ce la vedi mia nonna con questo in testa?” Senza attendere risposta, si addentrò nelle stanze ingombre di stoffe. “Ho capito: me lo cerco io!” proclamò scomparendo nel magazzino.

In piedi davanti al negozio, Clem scrutava dentro con aria sospettosa. Un paio di volte aveva anche lanciato occhiate torve ai ragazzini che stavano portando dentro le stoffe, giusto perché fosse chiaro che non si fidava affatto di loro, del loro capo e in generale di tutti gli iracheni.
Da fuori vedeva intanto Orange – il noncurante, fiducioso e pacifico Orange – che guardava stoffe e scuoteva la testa peggio di una carampana di Beverly Hills che fa shopping.
Poi a un certo punto non lo vide più.
Assunse la sua tipica postura da toro che carica, quindi salì i tre gradini che lo separavano dalla porta e risolutamente entrò. Uno dei ragazzini provò a pararglisi davanti pigolando che il negozio era chiuso, lui si limitò a spostarlo come avrebbe fatto con una tenda. “Orange?” chiamò guardandosi intorno. “Orange?”
Qui!” giunse una voce flebile dalle profondità del negozio.
Clem si mosse in quella direzione, scavalcando pacchi di bisht tradizionali in tutte le sfumature di nero e marrone, tavoli per tagliare le stoffe e manichini semivestiti. “Dove sei?”
Qui, vieni. Li ho trovati. Li ho...” Vaughan tacque all'improvviso.
Orange!” esclamò allora Boyle, di colpo preoccupato, allungando il passo per raggiungerlo. “Orange!” E poi, al protrarsi del silenzio: “Andrej!”
La scena che gli si parò davanti agli occhi era la seguente: un uomo era alle spalle di Vaughan, gli teneva un braccio intorno al collo sbilanciandolo all'indietro, e intanto gli puntava una pistola alla tempia. Nella stanza c'erano altri due uomini, a loro volta armati.
Clem si immobilizzò. Udì un tramestio alle proprie spalle, e un attimo dopo percepì la ben nota sensazione della canna di un'arma che gli veniva premuta fra le scapole.
Una mano gli sfilò la pistola dalla fondina.
Fece mente locale: forse avrebbe potuto disarmare con un calcio quello che gli stava puntando l'arma alla schiena, ma di sicuro non sarebbe riuscito ad arrivare in tempo al suo compagno. Oppure forse, se si fosse buttato in avanti avrebbe potuto deviare il braccio di quello che stava minacciando Orange, ma probabilmente ci sarebbe rimasto secco. Si rassegnò ad alzare le mani. “Tu e il tuo velo del cazzo,” non poté fare a meno di ringhiare. “Te l’avevo detto che portava rogna.”
Un colpo col calcio del fucile in mezzo alla schiena gli strappò un gemito di dolore.


   
 
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