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Autore: Pareidolia    22/04/2018    1 recensioni
Un'entità sconosciuta si ritrova a viaggiare tra diversi corpi in diverse dimensioni, alla disperata ricerca della propria identità. A guidarlo, creando intervalli tra i cambi di corpo e dimensione, saranno delle misteriose visioni dalle immagini ricorrenti.
Genere: Erotico, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Una stanza d’albergo, spoglia. Muri dipinti d’un rosa tenue, tendente al bianco e un televisore spento. Luce pallida e spenta, posata piano sul letto ordinato e largo, sul tavolino in legno graffiato e pieno di polvere, sull’unico armadio della camera, vuoto come la mia mente in quel momento. Nel riflesso della luce sui mobili la sporcizia fissa sul vetro creava strane ombre fragili; minuscoli puntini scuri che si moltiplicavano su ogni superficie.
Una dolorosa fitta mi colpì la testa con la stessa forza di un camion a tutta velocità che investe un pedone ma la sensazione contribuì parecchio a svegliarmi del tutto.
In un primo momento pensai con terrore di aver solo sognato la foresta  e, quindi, di non averci mai messo piede. Tutto ciò che apparteneva a quel luogo ormai non era che un ricordo appena sfumati fra tanti altri, eppure l’atmosfera della stanza non si avvicinava minimamente a quella della città. Là l’odore dei tubi di scappamento delle auto colmava l’aria di ogni singolo spazio, persino di quelli chiusi e i dettagli erano sfumati dall’abitudine, dall’eccessivamente ripetitiva routine quotidiana. Lì dentro, però, non c’era altro che silenzio e un odore che non conoscevo ma che mi sembrava vecchio.
Dopo aver osservato con attenzione le macchie che coprivano i muri e il soffitto un tempo color crema e ora nero e gonfio d’umidità, abbassai lo sguardo verso le mie mani, scoprendole diverse da quelle che avevo sempre visto. Mi parvero più giovani e magre, come non erano mai state durante gli anni che avevo vissuto.
Osservai per qualche attimo un brandello di carta da parati ormai ammuffita che giaceva a terra, poco distante da un mucchio di pezzi più grossi e altrettanto rovinati. Proprio mentre il mio sguardo era intrappolato da quel piccolo frammento, un suono echeggiò nell’aria. Un gemito sottile, simile a un sussurro che viaggiava nell’atmosfera nel tentativo di farsi udire da qualcuno e quel qualcuno, forse l’unico, ero io. Non appena udii il gemito sentii l’impulso di alzarmi e mi voltai verso la porta che conduceva al corridoio dell’albergo.
Appena, però, mossi il primo passo, mi accorsi di uno strano peso sotto al braccio destro e, scostando un poco la giacca del completo grigio scuro che indossavo, scoprii sotto l’ascella una fondina di pelle marrone nella quale stava una pistola. Afferrandola ne osservai le decorazioni semplici ma eleganti, il metallo lucido e chiaro della canna, leggermente graffiato verso la punta e l’impugnatura ruvida e spessa. Non ero affatto abituato a quel peso nella mia mano eppure, in quel momento, stringerla mi parve la cosa più naturale del mondo.
Rimisi l’arma nella fondina e tornai a concentrarmi sulla porta.
Su di essa, una superficie ormai grigiastra e rovinata come tutto il resto dell’ambiente, era stata attaccata con uno strato di scotch una mappa del piano ben precisa. Ad ogni stanza era stato assegnato un numero da uno a dieci, preceduto dalla lettera F. Un totale di dieci stanze della stessa grandezza di quella in cui mi trovavo io, si affacciavano su un lungo corridoio che portava a delle scale.
Incuriosito, ruotai la maniglia della porta e la tirai, affacciandomi sul corridoio che scoprii essere anch’esso devastato dall’abbandono e dal passare del tempo. La carta da parati era stata quasi interamente strappata dai muri, i quali erano neri e gonfi d’umidità proprio come quelli della stanza. Il soffitto era in parte crollato e dai buchi sparsi un po’ ovunque gocciolava acqua proveniente dal tetto a causa della pioggia che iniziava a cadere sull’edificio.
Il gemito si fece sentire ancora, diffondendosi nel fievole vento stantio che colmava il corridoio. Proveniva dalla mia destra, più precisamente dalla rampa di scale che si trovava oltre le file di stanze, le cui porte socchiuse facevano intravedere ciò che stava all’interno ma si trattava solo di uno spettacolo che già avevo visto. Fra quelle stanze e quella in cui mi eroi svegliato non c’era alcuna differenza. Gli oggetti presenti erano gli stessi, nelle stesse posizioni. Persino le macchie sui muri e sul pavimento disegnavano gli stessi movimenti liberi e misteriosamente affascinanti. Tante copie di una sola immagine che si ripetevano e ripetevano ancora, all’infinito, mentre lentamente avanzavo lungo il corridoio che pareva non avere alcuna fine.
Più i miei passi si inseguivano attraverso l’intero percorso e più la rampa di scale, una parvenza distante e minuscola, si faceva lontana.
Eppure, il corridoio cambiava continuamente. Non un solo centimetro era anche solo lontanamente simile a quello successivo. Cambiava il colore dell’intonaco, i frammenti di carta da parati che venivano debolmente staccati dal vento e vibravano nell’aria fredda, i fori lasciati da vecchi chiodi ormai scomparsi e le sagome più chiare di dipinti finiti chissà dove. Era come se ad ogni passo mi trovassi in un luogo differente, completamente estraneo a tutti gli altri che componevano l’intero luogo.
In certi punti delle pareti erano ancora appesi grossi dipinti dall’aspetto antico e vagamente distorto. I colori ad olio con cui erano stati realizzati sembravano bloccati in un costante processo chimico che li portava a sciogliersi per poi solidificarsi, mescolandosi costante e creando forme innaturali. Era così che paesaggi vasti e abitati solo dalla natura diventavano fantasmi dai colori accesi e surreali; volti femminili si trasformavano in creature deformi e rossicce; corpi dalle forme armoniose si contorcevano in sagome opache e contorte.
Un mondo in costante mutamento, che non smetteva mai di muoversi, cambiare, spostarsi e che al tempo stesso rimaneva immutato in alcuni dettagli. Non avevo idea di dove fossi finito ma la curiosità e la paura si facevano più presenti e forti, insieme alla consapevolezza che non mi trovavo nemmeno nel mio corpo.
D’un tratto il pavimento cominciò a tremare e, insieme a un rumore profondo e lungo che sembrava un urlo disumano, l’intero corridoio iniziò a muoversi, arrotolandosi su se stesso e deformandosi. Mutando in un enorme scivolo, il corridoio si inclinò verso il basso e la rampa di scale divenne un tunnel che ora, invece di allontanarsi, si faceva vicino mentre scivolavo lungo il pavimento coperto dal rossastro tappeto sgualcito. Caddi verso l’oscurità che inghiottiva le scale ormai appiattite, verso un baratro in cui non riuscivo a vedere niente ma solo a percepirne gli spazi stretti e gelidi. Non toccai terra per molto tempo e, a un certo punto, nemmeno ebbi più l’impressione di stare cadendo ma solo di trovarmi sospeso in un vuoto nero e immateriale, pervaso soltanto da aria fredda e dall’odore di muri mangiati dall’umidità. Un odore talmente intenso che dopo alcuni secondi cominciò a farmi provare un forte senso di nausea, prima che la discesa finisse e cadessi sul pavimento di una stanza nuova.
Riaprii gli occhi in quella che sembrava essere la hall dell’albergo. Una sala larga e spoglia, occupata solo da un bancone in legno, due poltrone abbastanza lunghe in mezzo alle quali stava uno stretto tavolino fi cristallo impolverato e una serie di quadri appesi alle pareti. Dieci dipinti in tutto, ritratti vecchi e realizzati ad olio su una tela che ormai era parecchio rovinata da graffi profondi. Le cornici erano attraversate da crepe che parevano incisioni nella roccia. L’aria era silenziosa, eppure mi sentivo osservato. Voltandomi verso il bancone, dove un attimo prima non c’era nulla, intravidi due figure che poco a poco divennero nitide. Due anziani mi osservavano. L’uomo sorrideva, la donna sembrava, invece, molto triste.
-Benvenuto. Desidera ordinare una camera?- Domandò l’uomo senza smettere di sorridere.
-Abbiamo camere di ogni tipo. Camere vuote, camere piene, camere per l’amore e camere per i pensieri. Abbiamo anche camere in cui è il silenzio a fare compagnie e altre in cui il rumore tiene svegli durante la notte. Che tipo di camera desidera?- Continuò la donna, il viso teso in un’espressione appesantita e malinconica.
Rughe mollicce e pesanti decoravano i loro volti come fossero maschere di gomma sciolta e, facendo estrema attenzione ai dettagli, potei scorgere con precisione i punti in cui la pelle si staccava, lasciando intravedere qualcosa sotto. Gli occhi si muovevano con rapidi schizzi a intermittenza verso direzioni ben distanti da me, come se altre decine di persone fossero presenti nell’enorme stanza eppure là regnava il vuoto.
Dietro le loro spalle svettava una lunga fila di ganci per le chiavi delle stanze ma ognuno di essi era vuoto. Uno soltanto, arrugginito e storto, aveva sopra una chiave minuscola e perfettamente scintillante.
-Ordinare una stanza? In realtà io arrivo proprio da una di quelle ai piani superiori.-
-Al piano F, sì. Eppure, siamo sicuri che lei ora desideri una stanza differente, non è così? E’ normale voler provare una stanza diversa. Prima o poi ognuno desidera spostarsi in uno spazio differente.- Disse l’uomo fissandomi dritto negli occhi, nonostante più volte il suo sguardo schizzasse altrove all’improvviso.
Senza dire nulla l’anziana afferrò la chiave appesa al gancio e me la porse. L’espressione sul suo viso parve farsi ancor più triste di prima mentre mi fissava negli occhi senza distogliere lo sguardo nemmeno per un singolo istante. Deglutendo a fatica afferrai la chiave e la osservai attentamente. Nella mia mano sembrava grande quanto un chicco di riso, quasi. Su di essa era stato incisa la scritta F-00, sigla che indicava la stanza che quella chiave apriva.
Non appena il mio sguardo tornò sui due anziani, l’uomo indicò verso la sua sinistra, là dove una porta che fino a poco prima era un muro ora si stava lentamente aprendo.
 Intimorito dagli sguardi senza più alcuna espressione dei due iniziai quindi a muovermi verso la porta, cercando di ignorare gli occhi silenziosi dei dipinti che ora mi seguivano attraverso la stanza. Superai la spessa porta di legno, la quale mi si chiuse alle spalle con un sonoro scricchiolio e guardai il corridoio che si estendeva davanti a me. Immerso nella penombra e scarsamente illuminato da alcune lampade impolverate, appariva tetro e spaventoso.
Avanzando a passi lenti e cauti, iniziai a scorgere una figura piuttosto alta che come me procedeva piano nell’oscurità. Un uomo con addosso un elegante completo scuro e una maschera a coprirgli il volto spellato in più punti, ridotto ormai a un ammasso rossastro di muscoli e sangue. Quando si voltò a guardarmi, le pupille in parte nascoste dall’ombra dei fori della maschera mi osservarono dal basso verso l’alto mentre la sottile e lunga candela che teneva nella mano sinistra illuminava tutto il mio corpo.
-Un nuovo ospite.- Sussurrò. Una voce che sembrava il soffio del vento più sottile e dolce, cadenzato da vaghe note femminili che risuonarono come un’eco lontano e antico nella mia mente. I movimenti di quella strana figura erano automatizzati, mossi, forse, da un qualche meccanismo nascosto sotto al completo maschile.
-Mi scuso, spero di non averla spaventata. Io sono Le Noir, maggiordomo dell’albergo. Le è stata assegnata la camera F-00, giusto?-
-Sì…sì, esatto.- In quel momento l’essere che avevo davanti mi parve molto più alto di prima e fui costretto ad alzare lo sguardo per vederne il volto coperto dalla maschera.
-Ottimo. Mi segua, allora.- Detto questo si voltò e, illuminando la strada con la candela, mi guidò verso a una rampa di scale che si estendeva verso sia verso i piani superiori che verso quelli inferiori. I gradini per quelli inferiori, però, erano bloccati da una porta di ferro chiusa con un lucchetto parecchio voluminoso e un foglio di carta sulla superficie metallica proibiva l’accesso ai clienti.
-Comprendo la sua curiosità, ma là sotto non c’è nulla che possa interessarle, mi creda. Mi segua, adesso, la condurrò subito verso la sua stanza.- La voce di Le Noir mi parve piatta, rispetto a prima. Seppur ancora fosse abitata da quella nota femminile che ne rendeva incomprensibile il sesso, il tono era diventato di colpo freddo e severo, forse addirittura spazientito in qualche modo dal solo fatto che avessi gettato lo sguardo su quella porta.
Seguii quindi l’enorme figura lungo gli scalini in legno affiancati da un corrimano in ebano scuro e segnato dal tempo. Ad ogni pianerottolo corrispondeva un’alta finestra che, però, si affacciava su una città sbiadita e scura, immersa nella nebbia e nella pioggia che incessantemente scrosciava su ogni superficie. Provai una strana malinconia gettando lo sguardo oltre quei vetri in parte coperti da tende bianche e sottili.
Salimmo in silenzio fino al sesto piano, dodici rampe di scale in tutto. Il corridoio, però, non era nemmeno lontanamente simile a quello che avevo percorso in precedenza. Nonostante fosse malmesso e disordinato, pieno di polvere e col tappeto che ne percorreva il pavimento pieno di buchi, qui erano stati disposti, mantenendo la stessa distanza fra loro, cinque tavolini con sopra un vaso ciascuno, vuoto. Le stanze avevano porte in legno ancora intere e su ognuna stava la propria targhetta numerata.
La F-00 era la prima stanza. Le Noir si avvicinò ad essa e allungò la mano libera verso di me. Subito compresi cosa volesse e misi nella sua mano la chiave della stanza. Con un gesto rapido aprì la porta, senza togliere la chiave dalla serratura e, dopo aver sistemato la maschera sul viso producendo uno strano rumore viscido, mi fece segno di entrare.
-Aspetti, ho una domanda da farle.- Mi affrettai a dire, sempre più abituato a quella voce che non mi apparteneva.
-Mi dica pure, sono qui per questo.-
-Questa era l’unica chiave rimasta, quindi ci sono altri…ospiti, nell’albergo?- Mi fissò per qualche istante senza rispondere, il suo respiro creava minuscoli sbuffi di vapore che si dissolveva all’istante.
-Ogni stanza è occupata, sì. Deve sapere che questo albergo è particolarmente richiesto, il che significa che è per lei una grande fortuna aver trovato una stanza libera. Ora, però, credo lei sia curioso di vederla, questa stanza, o mi sbaglio?- Deglutii senza nemmeno rendermene conto, guardando oltre la soglia l’arredamento della camera. A una prima occhiata mi sembrò ordinato e pulito, di gran classe. Un odore intenso e misterioso viaggiava nell’aria priva di qualsiasi tipo di rumore. L’intera stanza sembrava morta da tempo, abbandonata a una dimensione differente e buia, priva di luci e suoni.
La porta si chiuse alle mie spalle senza alcuna parola di saluto e io, incuriosito e spaventato, mi ritrovai nuovamente solo.
   
 
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