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Autore: lady igraine    23/04/2018    0 recensioni
Demian ha quasi sedici anni, è armato della tragicità di un adolescente e dell’esperienza di vita di un uomo fin troppo intraprendente. La sua esistenza è in costante bilico tra un morboso amore per la propria famiglia, afflitta dal dramma della malattia terminale della madre, ed un mondo più oscuro, di amici poco raccomandabili che gli permettono di sfogare i sentimenti più ombrosi e repressi della sua anima. È in questa fase che lo incontra Arianna, infantile, irrequieta e altrettanto problematica ragazza, dotata di un instancabile sorriso che cela più malinconie e segreti che gioie. Sono tre, i mesi decisivi, quelli che, nel bene e nel male, lasceranno un segno indelebile nelle loro vite.
***
La coscienza era una bestia oscura che divorava da dentro, lasciando sempre l’impressione di facciata che tutto andasse bene.
"Le persone, da fuori, sembrano indistruttibili, perfette come bambole di plastica che non si possono rompere. È il dentro che è una fregatura, un agglomerato di marciume infilato a forza tra gli organi, da qualche parte"
La sua coscienza era terribile più di tutto, le toglieva molte cose, una ad una, con la noncuranza con cui un bambino strappa i petali ad una margherita
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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À Demian

Capitolo dodicesimo

Non perdonarmi




«Volevi sembrare un ragazzaccio di strada, di quelli che fumano, si drogano e gozzoviglino tutto il giorno? No, perché se l’intento era questo ci sei riuscito perfettamente!»

Non sapendo che ribattere, Demian si passò una mano sul collo e rimase in silenzio. Arianna lo squadrava con aria critica, gli girava intorno e sembrava tanto un avvoltoio sopra una carcassa malmessa. Aveva spulciato ogni anfratto del suo armadio e gli era toccato scendere a compromesso con la realtà: il suo guardaroba era quello che era. Nessun abito elegante, niente di vagamente formale, il nulla assoluto. Una camicia non sapeva cosa fosse, di giacche non ne aveva mai comprate ed era già tanto se le sue magliette non erano di qualche concerto rock o non avevano stampe gotiche.

Era andato sul semplice, una maglietta monocromatica… ovviamente nera, giusto per non far risaltare troppo il suo incarnato pallido.

«Loro, per esempio, sono proprio necessari?» Arianna accennò ai guanti senza dita. Demian si grattò la testa sopra il berretto nero, attanagliato da un crescente senso d’inadeguatezza.

«Non sono fatto per queste cose»

Poteva anche sembrarle una scusa, una pessima giustificazione, d’altro canto non sapeva come spiegarle che lui era un teppista di strada, di quelli che fumano, si drogano e gozzovigliano tutto il giorno. Non aveva il coraggio di dirglielo, non voleva che lei potesse malgiudicarlo, per quanto si rendesse conto che, più che un mal giudizio, il suo sarebbe stato un semplice constatare la realtà. I jeans larghi e rotti, il berretto nero, la felpa con il cappuccio sollevato e il giubbino di pelle, contribuivano a renderlo un cliché banale e prevedibile del teppistello inquieto, non esattamente il bravo ragazzo che le figlie presentavano ai genitori.

 

È un fallimento.

E pensare che ho pure evitato il gel

 

Arianna si concentrò sul teschio grottesco che decorava la felpa e aggrottò le sopracciglia «Non so perché, ma non ti facevo tipo che ascoltava questo genere di musica»

Ci mise qualche istante a collegare l’immagine alla sua osservazione, quando realizzò gli venne da ridere «Infatti non la sopporto. Il teschio però è figo» sfoderò il suo miglior ghigno provocatore ed Arianna rimase spiazzata, ma in un secondo dissimulò scrollando le spalle e rispose con l’espressione più sorniona e meno impressionabile che Demian avesse mai visto.

«Banale» ammiccò. Poi, rapita da un pensiero suo, giocò con le labbra. Doveva essere una riflessione irragionevole, per forza. Lei sapeva fare solo quel tipo di pensieri, Dem ne era quasi del tutto certo.

Pensieri che lui non era in grado di concepire.

Alla fine di quel complesso cameo di espressioni, si mise a ridere «Sarà divertente. Farai venire loro un infarto!»

«Se vuoi posso cambiarmi ancora» borbottò rassegnato. Non che nutrisse speranze di un miglioramento, ma iniziava a vergognarsi per quel suo essere disastroso. Fortunatamente, Arianna non sembrava veramente preoccupata. Scrollò le spalle, lo prese per mano e lo trascinò fuori casa dopo aver lasciato una veloce carezza a Lalami, che già li guardava come la stessero abbandonando su un’autostrada.

«Andiamo a piedi?» si ritrovò a chiedere con una certa sorpresa, perché la ragazza, con piglio particolarmente deciso, stava tirando dritto ignorando il suo motorino.

«Ah, sì. Come credi che sia venuta? Ho scoperto che praticamente abitiamo a un paio di chilometri di distanza. non avrei mai immaginato che fossi del paese vicino!» tese le braccia al cielo e si stiracchiò come un gatto, l’espressione serena di una bambina felice «E poi l’aria è così fresca stasera. Non ha un profumo buonissimo? Mi fa venire voglia di camminare per ore a vuoto. anzi, sai cosa?» lo afferrò per la manica e lo scosse, per passargli l’improvvisa ondata di entusiasmo «Avrei voglia di andare sull’altalena!»

Arianna lo lasciava fondamentalmente senza parole, per cui la fissò confuso, a bocca appena schiusa senza riuscire a ricavarne un suono. Era davvero una bambina, aveva qualcosa d’incontaminato, di qualcuno che il mondo reale non l’aveva conosciuto. Ingenua, sciocca, furba, dannatamente diabolica: non poteva inquadrarla. Riusciva ad essere una cosa e contemporaneamente il suo opposto, aveva aspetti così antitetici nella propria persona da risultargli eccessivamente complessa. Era la prima volta che di fronte a qualcuno si ritrovava completamente spiazzato e il dubbio lo assillava.

 

Possibile che sia davvero candida come si mostra?

Quanto c’è di reale in lei?

 

Inspirò ed espirò profondamente l’aria fredda e corroborante della sera. Arianna aveva ragione, con le strade deserte ed un assoluto silenzio, con la sola luce dei lampioni a bagnare l’asfalto e a tratteggiare le sagome delle case e degli alberi, si creava un’atmosfera sospesa e surreale, in cui si rilassava perfettamente.

«A volte mi piace, uscire di notte e fare lunghe passeggiate. Mio fratello lo odia, ma alla fine mi accompagna sempre. Sai quanto è bello quando anche le strade principali sono vuote e puoi muoverti come vuoi? ti sembra di essere l’unica persona al mondo»

Le sorrise discretamente, accompagnato dall’abituale senso di disagio che non riusciva mai del tutto a scacciare, nonostante quella sensazione di quiete totale riuscisse a percepirla. Capiva cosa intendesse, con il cielo terso si vedevano anche le prime stelle.

O forse erano satelliti, non faceva molta differenza. Ai suoi occhi restavano abbozzi di vita proiettati nel tempo per giungere a loro dopo millenni, fotografie di un passato così remoto che in confronto la sua esistenza si trasformava in un blando, rapido battito di ciglia. Che la vita fosse labile lo sapeva fin troppo bene, eppure il pensiero della fine, della fugacità dell’essere, lo sopraffaceva ogni volta e gli toglieva le forze. Cercò la mano di Arianna e la strinse senza esitazione, intrecciando le dita alle sue. In quel momento, con l’accenno di nuvole trasportate dal vento e il silenzio interrotto da un’upupa lontana, quel fastidioso peso sullo stomaco venne a mancare.

La guardò meravigliato dal potere della serenità che era in grado di emanare solo con la presenza. Camminava assorta, guardando in alto senza accorgersene, con un sorriso appena scolpito sulle labbra, una piega lieve che però le accendeva gli occhi. A volte li chiudeva, inspirava a fondo si affidava solo alla stretta della sua mano come guida, mentre la brezza serale ogni tanto soffiava più intensa e le scompigliava le ciocche ribelli uscite dalla coda.

Era una bellezza che rendeva felice, ecco perché era bella. Magari un solo istante, un breve frammento rubato ad un mondo che scorreva, ma bastava per lasciargli addosso un senso di pienezza che quasi strappava il respiro.

Immotivatamente contento, solo perché gli stava camminando assorta accanto.

«È quella, siamo arrivati!»

Aveva esordito dopo un periodo di silenzio così prolungato che Demian sussultò per la sorpresa. Aveva indicato una villetta a schiera, con la ringhiera in ferro battuto che lasciava intravvedere un piccolo rettangolo d’erba.

Iniziarono a sudargli le mani per il nervoso, cercò di lasciare la mano di Arianna perché non lo notasse, ma si era avvinghiata con tanta decisione che fu impossibile porre un minimo di distanza.

«Non scapperai, non ci provare» lo redarguì immediatamente, con il tono di un sergente militare irritato.

Gli sfuggì un sospiro affranto di resa.

«Non sono cannibali, non ti scuoieranno vivo!»

Demian inarcò scettico un sopracciglio. Aveva un vago ricordo di come il fratello di lei lo avesse squadrato, l’ultima volta che si erano incrociati, ma quel vago ricordo era più che sufficiente per farsi un’idea piuttosto precisa di come lo avrebbe accolto.

«Ricordami perché sono qui» sibilò accusatorio, mentre lei già suonava il campanello.

«Perché cenare da soli è piuttosto deprimente»

«Non per me»

«Soprattutto per te!» lo rimproverò aggrottando ancora le sopracciglia e affilando gli occhioni da gatta «Risparmiami quella faccia da duro. Almeno con me è un po’ tardi, non credi?»

Provò l’irrefrenabile impulso di mandarla a quel paese, ma commise il banale e imperdonabile errore d’incrociare il disarmante sorriso serafico a trentadue denti che lo mise spalle al muro. Qualunque imprecazione si spense sulle labbra.

«Ari?»

La voce del citofono era gracchiante e metallica, non riuscì a definirne le sfumature, capì solo che all’altro capo c’era una donna impaziente.

«Sono io, apri!»

Demian la seguì sul breve tratto di selciato come un condannato che percorreva la strada verso il patibolo.

«Stai tranquillo, è solo una cena. Dovrai semplicemente mangiare, non è troppo difficile. Apri e chiudi la bocca. Dovessi avere dei dubbi sarò accanto a te, ti ricorderò come fare!» lo prese in giro. Era così euforica che finì con il ricambiare debolmente il suo sorriso raggiante, nonostante ogni parte di lui gli intimasse di voltarsi e andarsene senza dirle una parola.

«Arianna Selene Alessi!» sbraitò la voce di donna spalancando la porta «Dove diavolo eri finita? Sei sparita da ore, ti abbiamo cercata dappertutto, a tuo fratello stava venendo un infart…» il monologo le morì in gola quando lo mise a fuoco, e la signora rimase a bocca aperta, irrigidita come una statua grottesca di fronte a loro.

Anzi, di fronte a lui.

 L’unica cosa che desse l’idea che ancora respirava erano gli occhi che lo stavano squadrando da capo a piedi, ancora e ancora. Il tempo di un battito di ciglia e si ricompose, senza riuscire però a seppellire del tutto quel cipiglio confuso.

Arianna sfoderò ancora il suo sorriso sfrontato, con la dentatura smagliante in bella vista.

«Scusa mamma! Lui è un mio amico, si chiama Demian»

La donna individuò le loro mani intrecciate, Dem cercò subito di liberarsi ma Arianna non glielo permise.

«Tesoro, sei sicura che…»

«Certo. Sono sempre sicura di quello che faccio. Ah, Dem, come avrai capito lei è mia mamma, Melissa»

Demian si sentì spiazzato. Non era certo di cosa avrebbe dovuto fare in una simile situazione, tanto più che Melissa sembrava davvero turbata. Improvvisò porgendole impacciato la mano.

«È un piacere signora» bofonchiò a sguardo chino.

La madre di Annie dovette provare una forma di simpatia per compassione, davanti al suo comportamento intimidito, perché provò almeno a sorridergli. Non che quel tentativo di cameratismo lo mettesse a suo agio, ma perlomeno era un inizio.

«Accomodati pure Demian. Non volevo sembrarti scortese, ma non capita spesso che Ari porti a casa qualcuno. Ero solo sorpresa»

Oltre alla sorpresa era evidente una forma di disagio differente, ma non gli parve il caso di recriminare, perciò si limitò ad annuire e a seguire Arianna, che già stava trotterellando dentro casa trascinandoselo dietro come un peluche privo d volontà. La ragazza si lanciò letteralmente sul divano con una risata, facendolo inciampare goffamente tra cuscini. Mentre Annie si distendeva comodamente, appoggiando la testa sul suo ginocchio e gettando le gambe oltre il bordo del divano, volutamente o meno ignara del mutismo selettivo che lo aveva appena colpito, Demian si guardò attorno. Quella casa era diversa dalla sua, sempre disordinata e caotica come se un’orda inferocita di rinoceronti fosse passata di corsa nel salotto, e nemmeno era calda e perfettamente sterilizzata come quella di Claire. C’era un ordine sterile, essenziale, pochi oggetti tutti in vetro, qualche vaso decorativo, pavimenti in marmo grigio chiaro e pareti bianche passavano una sensazione di straniamento. Però la luce dei lampadari dalle composizioni strane -erano calzascarpe in vetro, quelli?- scaldava i mobili di mogano e illuminava di baluginii le numerose fotografie. Non c’erano quadri, ma foto ovunque, di Arianna da bambina, con due ragazzi più grandi, di un altro bambino abbracciato al suo pupazzo di peluche; di comunioni, cresime e compleanni. Tante piccole cornici disposte a schieramento riempivano le superficie di vetro, e c’erano rumori, una pienezza di vissuto che sembrava coccolare gli abitanti nonostante i colori freddi, eccessivamente moderni.

Tornò a osservare Arianna e provò una sorta di tenerezza indulgente per lei.

 

Però è davvero tutto, meno che elegante. Se non fosse così minuta, sarebbe un ottimo uomo.

 

Ai rumori delle stoviglie in cucina, alle lamentele di un bambino da qualche parte nella casa e al programma televisivo in onda in quel momento, si aggiunse il passo di carica di qualcuno che stava scendendo le scale trottando per poi urlare «È pronta la cena?»

Demian si inclinò per guardare il nuovo venuto. Riconobbe Daniele, il fratello più grande che era venuto a prenderla quel giorno al parco.  Il ragazzo notò le gambe di Arianna fare capolino oltre il bordo del divano, prese la ricorsa e le saltò addosso senza pietà.

Arianna gridò subito come un’aquila e quasi gli causò un infarto e l’irrimediabile perdita dell’udito all’orecchio sinistro.

«Ehi, puffetta! Dove eri finita?» Daniele le scompigliò i capelli con entrambe le mani e Arianna mugolò d’indignazione.

«Ero con lui!» cercava di allontanarlo premendo con i palmi delle mani sul suo viso, ma evidentemente il fratello era troppo pesante e più forte di lei, perché non riuscì a smuoverlo di un millimetro. Solo a quell’esclamazione Daniele s’irrigidì, alzò gli occhi su di lui, considerandolo finalmente degno di presenza e constatò, con tutta la simpatia che poté mettere nella voce velenifera: «Ah, ancora tu»

Demian già lo odiava, un istinto a pelle. Quello era solo il loro secondo incontro, ma il fratello di Annie riusciva a guardarlo dall’alto in basso con un disprezzo così radicato da risultargli insopportabile per principio. Fu solamente per non apparire eccessivamente scortese che si risparmiò una risposta acida. Si limitò a sollevare l’angolo della bocca in un ghigno ironico.

«Così sembrerebbe»

«Lui è mio fratello Daniele» si frappose Arianna come arbitro. Con quella matassa di capelli incolti che si ritrovava, tutti sparpagliati sul viso grazie al dispetto del fratello, non poteva vedere gli sguardi ostili che si stavano lanciando, ma i loro toni lasciavano difficilmente pensare ad un’amicizia appena nata.

Daniele corrugò la fronte «Puffetta, sei sicura?»

Sembrava preoccupato, in modo serio e adulto, non da antipatico gratuito. Annie sbuffò infastidita «Sì, sì, sì! Se qualcuno me lo dovesse chiedere di nuovo potrei non rispondere di me!»

A quell’uscita Daniele scoppiò a ridere e iniziò a farle il solletico.

«Mi stai minacciando?» l’apostrofò con finto risentimento. Arianna stava soffocando nelle sue stesse risate «No, te lo giuro! Non oserei mai! Lasciami, dai!»

Daniele la bloccò con più fermezza e non smise di torturarla, finché le esclamazioni di Annie non rasentarono la pura disperazione. 

Li guardava di sottecchi, in imbarazzo perché ogni volta che si soffermava più del dovuto gli sembrava di rubare qualcosa che non gli apparteneva. Non riuscì a trattenere un sorriso, ma insieme alla tenerezza di quel legame, cresceva dentro di lui il disagio. In un quadro così perfetto e armonioso si sentiva una macchietta nera, un refuso di stampa. Quella sensazione di straniamento che già era causa di tormento quando visitava sua zia, in un contesto al di fuori della propria famiglia risultò ancora più forte.

La felicità degli altri, meschinamente, lo sviliva.

«Ragazzi, la cena è pronta!» li richiamò Melissa dalla cucina, ponendo finalmente fine a quel supplizio. Daniele scattò in piedi, liberandola solo per esortarla, come se Arianna stesse cincischiando volutamente «Avanti Ari, ho fame!» la afferrò per le braccia e la sollevò senza alcuna difficoltà.

Annie non smise di ridere «Tu hai sempre fame, ti mangeresti anche Giorgi se potessi!»

Il fratello le rispose con una smorfia costipata «Nah, quella peste mi resterebbe sicuramente sullo stomaco!»

Demian contemplò di fondersi con la tappezzeria. L’ultima volta che si era sentito così piccolo e meschino e aveva desiderato di sparire era un bambino incapace ed inutile. Tutta quella complicità e il fatto che la ragazza lo avesse completamente scordato non stavano aiutando la sua autostima sempre in bilico sul disastro.

D’un tratto Arianna si volse e gli tese una mano «Vieni?»

Esitò solo un momento, poi si aggrappò a lei con una disperazione tale che Annie ridacchiò ancora.  La seguì in bagno e mentre si lavavano le mani Arianna aggiunse, in imbarazzo «Non prendertela con Dani, non lo fa apposta. Non gli piace chi mi gira intorno» le sue guance si erano appena colorate di rosso.

 

In quale modo quest’informazione dovrebbe farmi sentire meglio?

 

Non glielo chiese per non infierire, né specificò che volendo osservare i fatti in maniera più oggettiva, si poteva benissimo dire che fosse lei quella che gli girava attorno, più che il contrario. Quindi borbottò melanconico «Deve succedere spesso»

Arianna era davvero bella e spigliata, certamente avere un seguito di ragazzi desiderosi di trascorrere con lei almeno qualche minuto non doveva essere insolito. Si sentì grato di tutta l’iniziativa che Arianna stava dimostrando nei suoi confronti, ne era contento soprattutto perché non sarebbe mai riuscito a fare altrettanto, non possedeva quella spontaneità e quella schiettezza.

«In realtà meno di quanto pensi. Sai, mi considerano strana. Hai sentito mia mamma, non porto nessuno a casa»

Non le chiese il motivo per non costringerla ad affrontare un argomento che per lei poteva essere spinoso.

«Vinco un premio?» ghignò strafottente, gongolando per il rossore che le macchiò il volto.

«Se vai avanti così vinci un calcio nello stinco!»

A tavola la sua famiglia era già raccolta: oltre a Daniele e Melissa, c’era un bambino che doveva avere più o meno l’età di Sarah ed un altro ragazzo, o meglio un uomo.

«Lui è Giorgi» Arianna indicò il più piccolo, intento a sterminare briciole di pane sulla tovaglia «E lui è Luca, il maggiore»

Il fratello più grande, dall’aria decisamente più cordiale di Daniele e l’espressione discreta di qualcuno in grado di farsi gli affari propri e non sparare giudizi senza riflettere, abbozzò un sorriso gentile «Piacere»

«Lui è Demian» chiarì allegra.

Giorgi abbandonò il genocidio di pane per guardarlo mentre Arianna si sedeva. La imitò in imbarazzo, gli occhi di tutti i presenti si puntarono su di lui e provò uno spiacevole déjà-vu. I ragazzi a scuola lo trattavano nello stesso modo, alla stregua di un animale da zoo, quando cambiava classe e dovevano ancora abituarsi alla sua presenza.

«Sei il ragazzo di Ari?» la sua voce infantile lo fece sussultare.

 

Piccolo demonio

 

Arianna tossì e sputacchiò briciole per la sorpresa.

«Ari non starebbe mai con uno così» borbottò Daniele, e non perse l’occasione d’incenerirlo. Non poteva nemmeno dire che fossero partiti con il piede sbagliato, non erano partiti proprio e basta.

 

Uno così come, brutto stronzo? Cosa avrei che non va?

 

«È un amico» tagliò corto Arianna, con un sorriso indulgente al bambino, ignorando deliberatamente Daniele che sembrava davvero non fare sforzi per risultargli sgradevole. Melissa stava distribuendo equamente le porzioni di spaghetti quando si accorse che indossava ancora il chiodo e il berretto nero calcato in testa.

«Demian, non hai caldo? Puoi spogliarti caro, rischi di ammalarti se resti imbacuccato in quel modo»

Aveva lo stesso sorriso di sua figlia all’apparenza, ma c’era una nota stonata. La stessa piega delle labbra e le stesse fossette appena accennate non gli restituivano il medesimo calore, c’era qualcosa di freddo in lei, di forzato. Non avrebbe mai voluto mettersi a nudo di fronte a persone così maldisposte nei suoi confronti, conosceva già i risultati, ma opporsi sarebbe sembrato forse più insolito e disagiante.

«Dai, non preoccuparti, dammi pure il giubbino. Te lo appendo all’ingresso» insistette la donna andandogli vicino. Con riluttanza le cedette la giacca di pelle e liberò i capelli spettinati. La frangia bianca si sparse sulla fronte, senza il gel gli copriva gli occhi, la spostò con un gesto nervoso e fissò con ostentata sfida Melissa, che si era bloccata di fronte a lui in un’espressione di aperta e non troppo benevola sorpresa.

«Ah. Beh, torno subito, mangiate intanto» si defilò rapidamente, lasciandosi alle spalle un imbarazzato silenzio. Demian si scompigliò i capelli, si grattò il collo e guardò Annie in una disperata richiesta d’aiuto.

«Ari, il tuo ragazzo è vecchio!» il piccolo nano malefico, una spudorata finzione d’innocenza che avrebbe volentieri defenestrato, se ne uscì con la peggiore esclamazione scandalizzata che gli era mai toccata sentire «È più bianco del nonno!»

«Zitto stupido, è albino» lo rimproverò Daniele con uno scappellotto, mentre a sua volta veniva squadrato con biasimo e disappunto da Luca.

«Impara a stare zitto anche tu, Dani»

 

Campioni di tatto e diplomazia. Mi chiedo come abbia attraversato la vita intero ‘sto stronzo, senza che nessuno gli abbia mai fatto ingoiare i denti per la sua innata simpatia

 

«Che cos’è un albino?»

Arianna si colpì la fronte con il palmo aperto della mano, Demian fissò la pasta nel suo piatto e considerò seriamente di affogarcisi dentro o di spalmarla sulla faccia del bambino, all’occorrenza.

«È un malato» continuò Daniele mal celando il disprezzo «Giusto quello che ci mancava»

Serrò i pugni e trovò la forza interiore, un nirvana che nemmeno sapeva di possedere, per non alzarsi, lanciarsi dall’altro lato del tavolo e prenderlo a calci ripetutamente. Piuttosto, arrangiò un sorriso tranquillo e scrollò le spalle.

«Per essere “un malato” non sto tanto una merda»

 

Avrete anche gli stessi occhi, ma con tua sorella non c’entri proprio un cazzo, brutto stronzo

 

Daniele fece per rispondere ma Arianna fu più lesta e feroce «Sei un vero idiota!»

Demian lo vide trasalire e indignarsi come una vecchia comare offesa «Che?»

«Per carità Dani, ho sempre saputo che non sei proprio un genio, ma così stronzo non posso crederci! Sei un cazzone»

Poteva quasi scorgere il fumo che le usciva dalle orecchie, era rossa di collera ed era scattata in piedi, come per cercare di far valere il suo sdegno con maggior forza. Demian si rilassò contro lo schienale della sedia. Era abbastanza deciso a mettere da parte le buone maniere per litigare, fosse stato necessario, ma era impossibile pensare di provarci se Arianna s’infervorava a tal punto al posto suo.

«Io sarei un cazzone? E tu allora, che ti dai ai fenomeni da circo? Ma dico, lo hai guardato? Dove cavolo lo hai pescato questo! Porca miseria Ari, di tutte le cose di cui puoi aver bisogno, lui è sicuramente l’ultimo della lista!»

Arianna diventò pericolosamente paonazza «Tu che ne sai di cosa ho bisogno? Fatti gli affari tuoi!»

Si depositò uno strano gelo tra i presenti, come se Annie avesse toccato un tasto dolente che a Demian sfuggiva. Daniele divenne mortalmente ostile, nella sua voce Dem rintracciò un profondo rancore «Adesso devo farmi gli affari miei? D’improvviso io non ne so nulla? Dimmi che non sei seria»

«Sono stanca»

«Chiedimi scusa, Ari»

Arianna digrignò i denti e quei suoi occhi felini divennero linee di gelido verde «Sei tu che dovresti imparare il limite»

Giorgi si era spaventato, era incredibilmente piccolo su quella sedia, si era ritratto e guardava i fratelli litigare con gli occhi grandi e allibiti. Anche Melissa era tornata, ma si era fermata sulla soglia della cucina e non sembrava intenzionata a intervenire nella discussione dei suoi figli.

Questo parve a Demian più assurdo di tutto. Non li fermava né li riprendeva, era l’immagine dell’impotenza. Fosse stata Jenevieve lo avrebbe già appiccicato al muro a suon di schiaffi, ma Melissa pareva che nemmeno respirasse. Luca si massaggiava la fronte esasperato ed anche lui dava l’impressione di volere che se la sbrogliassero da soli.

«Non ci sono già abbastanza problemi? Devi preoccuparti per te stessa, non fare la crocerossina per un caso umano come questo qui! Basta guardarlo per farmi venire i brivi…»

«Ok, adesso basta. Vi ho lasciato fare a sufficienza» il tono perentorio di Luca bloccò Daniele dal concludere l’adorabile lista di complimenti che gli stava rivolgendo «Ora smettila di fare l’idiota» la mano del fratello più grande stritolò la spalla del minore abbastanza forte da fargli fare una smorfia scontenta.

«Non sei preoccupato che lei…»

«Hai esagerato. Scusati immediatamente»

Demian non era un genio, ma non gli ci volle molto per identificare in Luca il capobranco di quella marmaglia di fratelli simpatici come una manciata di ortiche nella maglietta. Davanti a quel tono secco che non ammetteva repliche, calò il silenzio.

Daniele tentò un’ultima volta di ucciderlo con gli occhi, fortunatamente doveva aver perso la lezione fondamentale sulle macumbe nel suo corso serale per stronzi, perché non riuscì a dargli fuoco nemmeno questa volta. Demian ricambiò l’occhiata con altrettanta intensità, ma ci aggiunse un sorrisino di scherno per rincarare l’odio.

Era l’unico ancora seduto e tranquillo, non si era mosso di un millimetro, non aveva fatto una piega nonostante la caterva d’insulti, e forse era proprio quel suo atteggiamento menefreghista che innervosiva Daniele più di tutto.

 

Con stronzetti come te ci ho a che fare da che sono nato, sei un illuso se pensi che ti darò soddisfazione

 

«Scusa» sibilò infine il fratello di mezzo, con la stessa intensità con cui avrebbe potuto dirgli “affogati”. Sbatté la mano sul tavolo e spinse la sedia che cadde a terra con un tonfo pesante «Non ho più fame»

Uscì dalla stanza teatralmente, lasciandosi alle spalle un profondo imbarazzo. Melissa, con la mano sulla bocca e gli occhi spalancati, gli sembrò uno scomodo e gratuito oggetto d’arredo. Giorgi aveva le iridi lucide, era solo un bambino e ci era rimasto male. Non gli piaceva molto, non gli piacevano i bambini in generale, ma avrebbe comunque preferito che quella discussione non si fosse consumata davanti a lui, era troppo piccolo e non era giusto.

Luca si passò ancora la mano sugli occhi, sembrava stanco, aveva profonde occhiaie e l’atteggiamento di un vecchio. Tornò a sedersi e si prese la testa tra le mani. In tutto questo, Arianna non si era più mossa, fissava la porta che aveva imboccato Daniele ma non la vedeva davvero, gli occhi umidi le appannavano la vista, inseguiva un pensiero che l’aveva allontanata da quella stanza. Le colò una lacrima, quando la sentì scivolare sulla guancia si riprese e con un gesto brusco si asciugò il viso. Poi si voltò a guardarlo e gli sorrise, senza riuscire però a cancellare la mortificazione che provava.

«Scusa Dem, pessima idea. Avrei dovuto saperlo, sarebbe stato meglio non portarti qui»

La situazione gli sembrava troppo delicata e incomprensibile perché trovasse qualcosa da dirle, perciò scelse ancora il silenzio.

«Vuole solo difenderti Ari, lo sai. Si preoccupa per te, ti adora» intervenne Luca, con la fatica di una persona che quella frase l’ha già ripetuta decine di volte e non sa più che strade tentare per essere creduto.

«Al diavolo» imprecò infatti Arianna, a confermare le sue sensazioni «Per una volta, una volta soltanto, poteva rispettare una mia scelta. Lo so che gli ho rovinato la vita, ci provo in ogni modo a non fargli pesare le cose, però ci deve essere un limite, non posso annullarmi per lui! Se le cose non andassero come devono andare…» s’interruppe, Demian sentì quella voce collerica incrinarsi in un tremito di orrore. Stava per piangere.

«Voglio solo che ne stiate fuori»

Luca era sbiancato, l’incarnazione della pura costernazione «Ari noi…»

 

Ho ascoltato abbastanza, mi rifiuto di guardare oltre queste assurdità

Mi rifiuto di sentire altro da queste persone, che vadano al diavolo

 

Scattò in piedi, afferrò la mano di Arianna e la costrinse a seguirlo senza permettere a Luca di continuare il loro discorso.

«Dem!»

«Andiamocene» chiarì, diretto alla porta d’ingresso. Incrociò gli occhi grandi, nocciola, di Melissa e aggiunse per scrupolo «È stato un piacere signora. Non si preoccupi per Annie, non le farò fare troppo tardi»

 

 
***
 

«Com’è che finiamo sempre in un parco, io e te?» urlò Arianna mentre correva verso lo scivolo, guardandolo da sopra la spalla con quel sorriso furbo che ormai, poteva anche ammetterlo, adorava.

«Ho un animo puro e innocente, anche se sembro un teppista drogato che gozzoviglia tutto il giorno. Ecco perché!»

Mentre Arianna si arrampicava sul complesso di legno con l’ilarità di una bambina, Demian le andava dietro tenendo il cartone di una pizza margherita ritirata da poco eppure già tiepida. Visto l’orario, erano stati più che fortunati a riuscire a farsene fare almeno una, ma già sapeva che non gli sarebbe mai bastata. Guardò Arianna sparire dentro la costruzione simile ad un castello e la rivide spuntare poi sulla torretta.

 A modo suo, visto il sorriso da paresi facciale, si stava divertendo.

«Muoviti, ho fame!»

Salì le scalette e si sistemarono in mezzo ad un ponte di legno sostenuto da catene traballanti che univa lo scivolo alla costruzione adiacente, munita di altalene. Era strano vedere quei grandi spazi verdi completamente vuoti, le poche volte che Demian era stato lì era d’estate, durante la Festa della Birra, e in quelle occasioni oltre ad una fiumana di persone c’erano gli stand del cibo, tavoli sparsi ovunque e il palco per i concerti. Nel buio della tarda serata, l’unica cosa che faceva loro compagnia era una vecchia villa sopraelevata, un rudere posizionato su una collinetta che sovrastava il parco e che era stato eletto a biblioteca comunale.

Non ci andava mai, c’era sempre un clima umido lì dentro, e per raggiungerla bisognava attraversare una distesa di fanghiglia che con le piogge si trasformava in sabbie mobili.

«La Coca-Cola ce l’hai tu?»

Arianna la recuperò dalla tasca della giacca e gliela sventolò davanti agli occhi come un trofeo. Si accorse troppo tardi che la peste la stava aprendo.

«No, aspetta!»

Il liquido fuoriuscì in un’eruzione di schiuma che travolse Arianna completamente. L’espressione basita gli strappò una risata senza ritegno «Non puoi agitarla così e poi aprirla, genio!»

Ari fissava le mani appiccicose e la bottiglia ormai dimezzata con una perplessità incredula, neanche avesse assistito a chissà quale incredibile reazione chimica. Alla fine ridacchiò anche lei, più per l’imbarazzo.

«Non ci avevo pensato. Passami un tovagliolo!»

«Non ti conviene andare alla fontana a lavarti? Sei più appiccicosa della carta moschicida»

Arianna rispose con una smorfia insofferente da bambina testarda «Dopo, adesso ho troppa fame!»

In quel momento a guardarla non si sarebbe mai detto che meno di un’ora prima avesse avuto una furiosa discussione di famiglia. Demian aveva deciso di restare neutro e non farle domande, non aveva nemmeno capito cosa fosse successo e non sapeva quanto avrebbe dovuto effettivamente preoccuparsi per lei.

Aveva capito soltanto che Arianna era fin troppo brava a nascondere le cose. Certo, non mentiva, però neanche gli diceva la verità. Se non fosse stato presente, non avrebbe mai saputo della discussione, Arianna seppelliva le emozioni negative da qualche parte e fingeva che tutto fosse in ordine. Non se la sentiva di biasimarla, nessuno poteva comprenderla meglio di lui, era il primo che faticava a scendere a patti con la realtà.

Per questo non faceva domande, non era suo diritto costringerla ad affrontare situazioni che non voleva vedere, non la conosceva abbastanza, non conosceva nemmeno le sue ragioni e senza quelle, ogni parola detta sarebbe stata vuota, un pour parler gratuito.

Non che Arianna avesse avuto con lui lo stesso timore, ma forse era diverso, forse lo aveva forzato perché lo aveva capito, che Demian aveva sfiorato il proprio limite di sopportazione. I pesi che si trascinava dietro lo stavano inchiodando e ormai non si muoveva quasi più. Gli sembrava di potersi cementificare al suolo.

 

Quanto è grande il peso di Annie?

Lei che cosa deve sopportare?

 

Arianna, completamente ignara dei suoi pensieri, canticchiava mentre sventrava la pizza con le mani

«Cazzo, gli avevo detto di tagliarla già a fette» borbottò quando si accorse di quel disastro. Annie, le dita sporche di pomodoro e l’aria malandrina, rise «Così è più divertente. Se vuoi ne strappo una fetta anche per te!»

«Hai un opinabile senso del divertimento. Ci vuole un certo coraggio per chiamare fetta quella cosa»

Arianna arricciò le labbra «Ti sfido a fare di meglio»

Guardò la carcassa di quella che era stata la sua pizza margherita con desolazione «L’hai distrutta, anche volendo non posso fare di meglio. Guarda come l’hai ridotta!»

Arianna lo imitò e sollevò l’angolo destro della bocca in una linea saccente «Non devi vergognarti se ti serve aiuto»

«No grazie. Me la caverò»

Dieci minuti dopo, la situazione era disastrosa e Arianna non perse l’occasione di prenderlo in giro per tutta la durata di quella cena improvvisata. Finì con lo spalmarle il pomodoro sulla faccia, per ripicca, senza considerare che l’indole dispettosa della ragazza avrebbe segnato la sua fine. Quando si ritrovò incastrato nell’angolo, con le braccia a tenerle i polsi mentre Arianna si dimenava grottescamente con le dita sporche per macchiargli il naso, capì che al di là di tutto lei non fingeva. Non accantonava tutto, non si fingeva entusiasta e infantile, quell’esuberanza era reale, era lei.

Glielo leggeva negli occhi felini accessi d’entusiasmo, in quella risata contagiosa che lo portava a ridere a sua volta.

Alla fine di quello scontro tra titani, Demian si passò la mano sulla guancia e considerò «Devo farmi una doccia»

«Ne hai un po’ anche sui capelli!» ridacchiò sommessamente lei, accasciandosi sulla sua spalla «Però non è così male mangiare insieme. Visto?»

La cinse con un braccio ridendo, gli sembrava di avere accanto una bambina che aveva sfogato tutte le sue energie ed ora era sfinita e letargica.

«Magari la prossima volta cuciniamo qualcosa a casa mia, ok? Sei peggio dei bambini, sei tutta sporca» ridacchiarono e si picchiarono dentro con le spalle.

Le parole che Daniele le aveva rivolto gli ritornarono alla mente però, ed un tratto s’incupì. Anche la risata di Arianna andò smorzandosi.

Avrebbe voluto sapere perché suo padre non ci fosse, a quel tavolo, quale fosse esattamente la situazione che lei diceva condividessero. Pensò che forse era proprio il padre di Arianna a stare male, gli altri sembravano stare tutti bene e lui era l’unico assente inspiegabile.  

 

Anche lei parla come una persona che sta perdendo qualcuno

Non posso chiederle una cosa tanto importante se non se la sente di dirmelo.

Io non gli avrei detto di maman, se non l’avesse già conosciuta

 

«Annie…»

Tatto, usa il tatto

Non puoi ignorare quello che è successo… non è sano

 

«Come stai?»

Silenzio.

Il buio sembrava più fitto in quell’improvviso nulla di parole.

Arianna gli si accoccolò al petto, la fronte gli sfiorò la clavicola, alla ricerca di un rifugio, lo stesso che quel pomeriggio anche lui aveva trovato nell’abbraccio di lei. Sentì che non poteva abbandonarla, che erano due anime simili in maniera dolorosa, si portavano addosso una solitudine diversa, una seconda triste pelle che respingeva il mondo. Era un sentimento di comunione così raro che andava preservato.

«Sto bene, tranquillo. Non dare troppo peso a quello che è successo. Tra fratelli è normale litigare, no?» prese fiato e si scostò per guardarlo negli occhi e sorridere «Ma probabilmente tu non lo fai mai. Tu adori Sarah»

«Anche tuo fratello ti vuole bene»

Era tanto affezionato a lei da diventare morboso, non ci voleva uno scienziato per capirlo. Il labbro inferiore le tremò, le iridi smaltate di verde si inumidirono ancora e Demian pensò che avrebbe pianto: per qualcuno come lei, che aveva imparato ad esprimere solo la propria gioia e non il dolore e la frustrazione, sarebbe stato un bene. Però Annie si piantò gli incisivi buffi nelle labbra e si costrinse a sorridere ancora, con gli occhi tristi.

«Lo so. Davvero, non ne ho mai dubitato»

Demian le sfiorò la linea della mandibola con la punta delle dita, a definire il contorno del suo viso tanto bello, deglutì e un groppo si incastrò in gola.

«Un giorno mi dirai di cosa stavate parlando?» gli sfuggì. Non voleva chiederle nulla ma sì, realizzava, quasi con meraviglia, che avrebbe voluto sapere, che era davvero interessato a sapere. Arianna prese le distanze e scrollò la testa in un gesto di noncuranza «È una sciocchezza di poco conto»

Demian riabbassò il braccio lentamente, si sentiva già svuotato, non era bravo a discutere e due muri non si scavalcavano a vicenda, restavano radicati nella loro rigida posizione. Strizzò le labbra in un moto di stizza e annuì piano, colmo di rancore per quella confessione mancata.

Lui le aveva dato Sarah, le aveva parlato dell’unica ragione per cui esisteva. Arianna era stata un incentivo abbastanza grande da spingerlo a parlare di sua sorella, ma lo scambio non era stato vicendevole, non le aveva trasmesso il medesimo senso di sicurezza.

«Non prendertela»

«Non me la sono presa»

Arianna sospirò e nel suo viso spianato dalla serenità tornò il tormento «Sì invece» torturò il labbro inferiore «Lo farò, ma non ora. È meglio, veramente. E poi davvero è meno importante di quanto sembri»

Annuì ancora, si era già rassegnato a rispettare il suo volere. Per i propri standard si era spinto fin troppo oltre l’insistenza e non avrebbe tollerato di farle altra domande. Che Arianna facesse qualunque cosa pur di non dare mai spiegazioni era ormai evidente, e Demian si ripromise che, da quel momento in poi, qualunque cosa fosse successa, avrebbe aspettato che fosse lei a confidarsi e avrebbe ingerito qualunque pretesa di risposte che in realtà non lo riguardavano.
«Ho promesso a tua madre che non ti avrei fatto fare tardi» le fece notare, per cambiare argomento. Annie si aggrappò al cordoncino del suo giubbino e iniziò a giocarci distrattamente

«Non è tanto tardi»

«Non è nemmeno presto»

Gli mise il broncio, una paperella stizzita sporca di pomodoro secco.

«Non vuoi andare a casa»

Annie scosse la testa in segno di diniego, senza dipanare la fronte corrucciata e alzare gli occhi dal cordoncino, come fosse la cosa più incredibile e particolare mai vista invece di un pezzetto di corda usurato dal tempo.

Demian prese fiato e raccolse un po’ di coraggio

 

Più autolesionismo che coraggio, non prenderti per il culo da solo

 

«Resti a dormire da me stanotte?»

Arianna abbandonò quel maledetto cordoncino per guardarlo negli occhi, nel momento meno opportuno visto l’imbarazzo infantile che lo stava ghermendo

«Non pensare male, volevo solo stare con te. Per non lasciarti sola intendo. Se non vuoi vedere tuo fratello, intendo! Sarò un perfetto gentiluomo»

La disgraziata rilassò le spalle e gli sorrise «Come avere una sorella, insomma!»

«Vorrei continuare a fare la pipì in piedi, se non ti dispiace! E non ti farò le treccine» stranamente, riuscì a farla ridere di gusto. La simpatia non era mai stata il suo vessillo, strapparle una risata sincera e diventare il Gauguin del duemila sembravano imprese impossibili allo stesso livello.

«Ok, va bene» ridacchiò lei, sollevando gli occhi al cielo «Però domani dovrei essere in ospedale per le nove»

«Nessun problema»

«Potresti non sorridere come un pirla? Sarai la mia sorellina per una notte, non farti strane idee, caro il mio marpione del parcheggio!»

Se il ponticello di legno gli fosse mancato sotto il sedere e fosse precipitato a terra dritto sull’osso sacro, avrebbe desiderato di meno avere una pala da tirarsi in testa per poi auto-seppellirsi.

«Non stavo pensando niente di strano, non sono un marpione!» urlò in un’istintiva difesa inconscia per la quale si vergognò ancora di più. Aveva la pelle calda, doveva essere arrossito.

La situazione non poteva peggiorare.

«E comunque non c’è problema. Ti do un passaggio io» riprese per far cadere l’argomento e spostarsi su lidi più tranquilli e agibili anche per lui. La osservò asciugarsi gli occhi lucidi, questa volta per l’eccesso di risate.

 

Bene, prendermi in giro ormai è diventato uno sport.

 

«Posso mandare un messaggio a Luca con il tuo cellulare?»

Ancora immusonito, se lo sfilò dalla tasca e glielo porse. Arianna iniziò a digitare velocemente sulla tastiera, ma prima di spedirlo si fermò a guardarlo a sua volta, con perplessità

«Ma tu a scuola non ci vai mai?»

Scosse i capelli e si mise a ridere. Lei e Sarah avevano davvero molto in comune.

«Sono un artista. Io non studio, io creo!»

 




***

 

«Non hai mai pensato di andare a vivere con i tuoi zii?»

Demian non si aspettava quella domanda. Sdraiato sul suo letto, scostò il braccio che gli copriva il viso per poterla guardare mentre si aggirava incuriosita per la stanza, un animaletto selvatico in cattività.

«Qualche volta»

Lalami, appallottolata contro il suo petto, si stiracchiò stendendo le zampine goffe da orsetta. Era troppo tenera in quei momenti, quando dormicchiava e poteva scorgere solo la linea rosa degli occhi chiusi, sembrava eccessivamente piccola, delicata, gli veniva voglia di stringerla fortissimo e riempirla di baci. A volte le faceva le pernacchiette al pancino, ma questo non lo avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura.

 Vista la presenza di Arianna nella camera, si limitò ad accarezzare la cucciola con fare distratto. Annie nel mentre non aveva smesso un solo istante di osservare ogni dettaglio: si era incantata di fronte all’unica parete sgombra e la studiava con lo stesso rapimento dedicato ad un’opera d’arte. Demian ne provava un discreto imbarazzo. Aveva rivestito lui stesso il muro con un pannello di legno e nel tempo lo aveva riempito di immagini e scritte.

Era il suo muro delle meraviglie, o meglio la più banale e becera espressione della sua giovinezza ribelle e incompresa. Lo faceva stare bene riportare per iscritto le citazioni che più lo affascinavano, eppure davanti ad un estraneo che frugava quei pensieri si sentiva ridicolo.

«”Il n'y a pas de néant. Zéro n'existe pas. Tout est quelque chose. Rien n'est rien”» lesse Arianna goffamente a bassa voce, in un sussurro, e poi si voltò appena, lo guardò con le labbra tra i denti e una guancia gonfia, il cipiglio aggrottato e buffo di chi cerca di sbrogliare un pensiero. Era terribilmente espressiva, Demian gliene dava atto. In realtà era proprio quella sua capacità di giocare con il proprio volto, neanche fosse di gomma, a renderla già di partenza, senza bisogno di parole, così dannatamente interessante.

«”Non c’è il nulla. Zero non esiste. Ogni cosa è qualche cosa. Niente non è niente”» tradusse istintivamente per lei.

«L’ho già sentita»

Le sorrise «È una citazione di Hugo. Lès Miserables, per l’esattezza. Se guardi nell’angolo in basso ce n’è un’altra sempre sua» esitò, si grattò il collo pigramente e aggiunse incerto «È uno dei miei scrittori preferiti»  

Guidata dalle sue parole, Arianna si era già chinata ad esaminare il luogo incriminato «”Tous les hommes sont la même argile. Nulle différence, ici-bas du moins, dans la prédestination. Même ombre avant, même chair pendant, même cendre après”»

«”Tutti gli uomini sono fatti della stessa argilla; nessuna differenza, almeno quaggiù, nella predestinazione; la medesima ombra prima, la medesima carne durante, la medesima cenere dopo”» Arianna si lasciò sfuggire un sospiro gravido di rammarico. D’un tratto pareva afflitta, avvolta da un nuvolone carico di pioggia. Demian non la capiva, aveva uno spettro emotivo così vario da mandarlo in confusione. Tentò ancora di sorriderle

«Cosa ti prende adesso?»

I suoi eccessivi sbalzi d’umore gli davano il capogiro, un momento sembrava avesse raggiunto il Nirvana, l’attimo dopo si oscurava e una tristezza inspiegabile rendeva la sua aura nera e pesante.

«Ti pesa molto, non è vero?»

Il muscolo della mascella si contrasse in uno spasmo involontario. Finse confusione, non aveva effettivamente afferrato che cosa intendesse, ma lo intuiva e quella domanda non gli piaceva per nulla. Sperava di scoraggiarla, ma Arianna accennò un sorrisino compassato.

«Sono una stupida, non ci avevo mai pensato. In verità nemmeno ci ho mai fatto caso. Ma il resto del mondo sì, né? L’ho capito dalla faccia della mamma… e da quello che ti ha detto Dani» si afferrò il braccio sinistro, stretta in se stessa in quel modo sembrava ancora più sottile «Mi dispiace di essere stata… indelicata. Avrei dovuto avere più tatto, pensarci. Era per questo che non volevi venire a casa mia?»

«Non voglio che ci pensi» il tono eccessivamente lapidario la fece sussultare. Si mise a sedere e abbozzò un sorriso che voleva essere rassicurante, per farle capire che non era arrabbiato. Quando esitava, gli occhi di Arianna si spalancavano e ingrandivano al punto che gli sembrava potessero inghiottire qualunque cosa, un buco nero senza ritorno, lo scivolone più spaventoso e imprevisto della sua vita. Dubitava ci si potesse realmente abituare alla profondità di uno sguardo tanto innocente.

«Io non ci penso mai, quando sto con te. È bello, per una volta. Essere “normale” intendo. Almeno, esserlo più o meno» solamente ad osservarla gli veniva da ridere, aveva un’aria disastrosa e arruffata, una piccola catastrofe che si aggirava in casa sua con l’aspetto di una ragazzina gracile dai capelli ricci ribelli e spettinati raccolti in una coda quasi del tutto sfatta, una bretella della salopette scivolata sgraziatamente dalla spalla esile «Accanto a te praticamente chiunque risulta normale, anche io!»

Arianna si gonfiò come una vecchia gallina offesa e sfoderò una linguaccia infantile accompagnata da una poco elegante pernacchia. Le si leggeva in viso che comunque era sollevata e le aveva tolto un peso.

Di lei gli piaceva l’inconsapevolezza. Quando ci rifletteva, gli pareva quasi che Annie avesse vissuto una vita fuori dal mondo e le mancassero alcune nozioni base che si apprendono solo a contatto con gli altri. Come i pregiudizi. Per questo preferiva che un argomento delicato come il suo albinismo non venisse toccato più, non con lei almeno: il solo pensiero che potesse iniziare ad apparire estraniante anche agli occhi di Arianna era insopportabile, non avrebbe retto la pietà da lei, la sua diversità sarebbe stata troppo reale, se anche un occhio privo di giudizi a priori lo avesse compatito.

«Beh, visto che dormo qui, dammi qualcosa da mettere. Non ho il pigiama!»

Si risvegliò bruscamente dal suo stato ideale e realizzò in che situazione era andato a cacciarsi. La saliva gli andò di traverso e quasi si soffocò.

Tossicchiò, cercando di riprendere il controllo.

 

Sei un idiota. Come avevi fatto a non considerare che avrebbe messo qualcosa di tuo?

 

Il pensiero di vederla con indosso una delle sue magliette era estremamente eccitante, fece un rapido calcolo e imputò la colpa di quell’improvvisa perversione al troppo tempo trascorso dal suo ultimo incontro con Elena. Era in astinenza, e non era il massimo avere intorno una ragazza come Arianna, per lui evidentemente ideale e bellissima.

«Primo cassetto» raffazzonò una risposta senza guardarla, schiarendosi poi la voce arrochita. Arianna recuperò dalla cassettiera vicino all’armadio la prima maglietta della pila, che risultò essere quella dei Bon Jovi.

«Quindi è questo il tuo vero genere?» constatò con un ghigno.

«Ovviamente! E quella è nuova, vedi di trattarmela bene»

Arianna la girò per guardare le tappe del Tour sul retro «Ah, ma è di quest’anno!»

Demian si lasciò andare ad un sorriso gongolante pieno di soddisfazione, che poco aveva a che fare con le sue consuete smorfie sornione «Ventisette giugno, esatto! Abbiamo fatto una fatica assurda ad andare, Jules aveva la maturità e ha fatto un sacco di storie, ma ne è valsa la pena. È stato uno dei concerti più esaltanti della mia vita! E poi vuoi mettere? Sentire Livin’ on a player dal vivo è tutta un’altra cosa, ha proprio un’energia diversa! E vogliamo parlare di Bad Medicine? Credo di non aver mai urlato tanto! Se ci penso mi viene voglia di cantarla ancora!»

Ammutolì perché Arianna era scoppiata a ridere «Credo di non averti mai sentito parlare tanto! Te lo giuro, è la primissima volta. Me lo devo annotare che la musica ti esalta parecchio!»

Si morse l’interno della guancia e per dignità personale tentò di mascherare il disagio sollevando gli occhi al soffitto.

«Non è che mi esalti… mi aiuta a creare. Circa»

Una verità a metà era meno dannosa di una completa bugia. Era la droga a renderlo creativo, la musica era più che altro una reminiscenza infantile, un’associazione mentale a sua madre.

Forse anche a suo padre.

Probabilmente.

Ma non lo avrebbe mai ammesso e nemmeno accettato.

«Bene, vado a cambiarmi. Il bagno dove è?»

Abbassò la testa e borbottò le indicazioni, poi si sdraiò dandole la schiena, per non mostrarle chiaramente che il pensiero di lei nuda bastava a farlo arrossire. Pensava di essere diventato abbastanza immune, Elena lo aveva abituato a situazioni molto più estreme e imbarazzanti, ma c’era qualcosa in Arianna che gli rendeva tutto più difficile.

 

Mi verrebbe voglia di andare a dare un’occhiata, giusto per farmi un’idea.

 

La trovata peggiore che avrebbe potuto avere, Annie gli avrebbe spaccato la testa senza remore. Poche ore prima l’aveva vista in uno stato di alterazione abbastanza aggressivo da renderlo più consapevole dei rischi in cui sarebbe incappato se l’avesse fatta arrabbiare.

 

Non ne vale la pena, è troppo violenta. Se mi prende è la volta che è lei ad uccidermi

 

«Ehi Dem, mi senti?» la sentì urlare oltre la porta chiusa del bagno.

«Sì»

«Che altro ascolti?»

Si grattò la testa, riflettendoci senza troppo sforzo «Mhm, non saprei. Direi tutto»

La sentì ridere ancora «Troppo generale, non riesco a farmi un’idea così. Potrei pensare, che so, che magari ascolti Gigi D’Alessio»

Aggrottò le sopracciglia «E chi sarebbe?»

«Appunto!» esclamò ancora lei con tanta ovvietà e forza che quasi gli pareva di averla lì accanto e non ci fosse un tratto di corridoio e un muro a separarli. Anche sua madre aveva la brutta abitudine di parargli da camere di distanza, era una cosa che lo faceva impazzire perché maman era sorda e non sentiva mai le sue risposte, così lo costringeva sempre o a raggiungerla, interrompendo qualunque cosa stesse facendo, o ad urlare ancora più forte.

Ci si scorticava la gola, a parlare con quella donna impossibile.

«Voglio dei nomi, sei sempre troppo vago!»

Scattò nuovamente a sedere, basito «Che eresia hai appena detto? Io sarei troppo vago? Vogliamo parlare di te?»

Il cigolio della porta del bagno che si schiudeva e la voce nitida di Arianna che sbuffava impaziente «È completamente diverso come lo faccio io!»

Si ritirò lasciando la porta aperta, perché Demian sentiva perfettamente il rumore dell’acqua che scorreva nel lavandino.

«Io non ci vedo questa grande differenza»

«Pensi di rispondermi o no?» non lo disse nitidamente, Demian dovette decodificare le parole della frase, bofonchiata a bocca piena. Si stava lavando i denti con lo spazzolino di riserva che le aveva ceduto, ma questo non bastava di certo a zittirla.

«Scorpions, Ufo, Police, Rolling Stones, Green Day, Red Hot; è difficile, davvero ascolto di tutto. Ah, gli Iron Maiden, Nightwish, i Clash. Oh, e sopratutto i Sex Pistols e i Led Zeppelin»

In realtà pensare a qualche nome apriva la porta ad un’infinità di nomi, era difficile fare una selezione musicale per lui, che spaziava dal genere classico al rock, dal metal al pop. I suoi gusti erano incongruenti quanto la sua stessa persona. Nella sua testa la lista proseguiva, un vano tentativo di non pensare ad Arianna, nella stanza vicina, che si spogliava per indossare i suoi vestiti. Una prova di forza di volontà inaspettatamente difficile.

«Ci sono! Lavata e vestita, non potrai più lamentarti che sono appiccicosa di Coca Cola» Annie spuntò nel suo campo visivo raggiante e soddisfatta, e Demian rischiò di nuovo l’auto-soffocamento.

«Vestita è una parola grossa!»

La maglietta, per quanto su di lei immensa, la faceva sembrare più svestita che altro. Le arrivava a metà coscia e concedeva una perfetta visuale delle sue gambe, un po’ magre ma lunghe e flessuose come le aveva immaginate. La taglia eccessiva rendeva lo scollo troppo ampio e questo era finito per caderle, come quasi ogni maglia, sulla spalla, mostrando la linea perfetta della clavicola e dando un colpo definitivo alla sua già galoppante fantasia sessuale.

 

Ha le spalle troppo sottili, non c’è altra spiegazione, non è possibile che qualsiasi maglietta metta il risultato sia sempre lo stesso!

 

Le avesse gettato addosso un sacco di iuta probabilmente avrebbe ottenuto ancora un effetto da cartone giapponese osé di dubbio gusto. Con i riccioli sciolti sulla schiena e le spalle, ad accarezzarle la pelle candida, era davvero bellissima. Se poi sommava al suo corpo quell’aria da bambina innocente e smarrita appena uscita dal paese delle meraviglie, le sue sinapsi collassavano per surriscaldamento e tanto valeva gettarsi ai suoi piedi e dirle che sì, effettivamente poteva fare di lui quello che voleva.

Arianna non aveva una grande percezione di se stessa, e questo era ciò che più di ogni altra cosa lo fermava dal farle qualunque forma di avance o apprezzamento, era assurdamente inconsapevole e si muoveva con una nonchalance disarmante.

«Guarda che non è colpa mia se la tua maglia non è abbastanza lunga. E comunque, di tutti quelli che hai detto conosco solo i Green Day»

«Lo immaginavo» borbottò, ma non stava veramente prestando attenzione. Stava solo cercando di non fissarla come un pervertito.

«Allora mi dai dei pantaloni o devo davvero restare così?»

Demian sollevò appena l’angolo destro della bocca, in un sorriso ferino con il canino storto scoperto «Potrei seriamente pensarci»

Annie s’imbronciò e lasciò vagare gli occhi inquieti per la camera «Almeno dimmi dove dormo»

Si sentì decisamente provocato, in quel contesto, così decise di renderle l’imbarazzo, batté la mano sul letto accanto a lui e sfoderò tutta la malizia di cui fosse capace «Qui ovviamente» ammiccò.

Arianna trasalì e quasi gli venne da ridere

 

Ecco, adesso come minimo attenta alla mia vita. Ma almeno ne è valsa la pena!

 

Sottovalutava sempre quella ragazzina pestifera. Dopo un breve frammento di smarrimento, Annie sbatacchiò gli occhioni in una morbida espressione colma di languore che gli seccò la bocca. Mentre cercava di deglutire, o perlomeno di respirare scacciando qualunque pensiero non adeguato ad un’anima acerba e candida come quella di lei, Arianna si avvicinò lentamente, quasi studiando ogni passo. C’era una goffaggine immatura, in quel tentativo di fare la predatrice, eppure era tanto bella che persino la sua inesperienza la rendeva più affascinante.

La osservò chinarsi verso di lui, accostare pericolosamente il viso al suo.

Demian deglutì a vuoto e pensò che forse non era vero che doveva accantonare tutte le sue fantasie sessuali, forse Annie ci sarebbe anche stata.

Era veramente troppo bella per non sperare che ci stesse.

Arianna strusciò la punta del naso sul suo collo, ne sentiva il respiro caldo e leggero, trattenuto, e il contatto di quella punta irriverente che disegnava una linea invisibile sulla sua gola, fino all’orecchio. Quelle labbra dispettose gli sfiorarono la guancia nell’accenno di un bacio

«Dem…»

«Mmm?»

La sentì allontanarsi bruscamente. Spalancò gli occhi, colto alla sprovvista, e la ritrovò a pochi centimetri da lui, con un sorriso immenso e provocatorio «Ma dai, davvero avresti voluto una cosa simile? È così un cliché!»

Il suo ghigno perfetto e perfettamente irritante che lo sfidava con irriverenza, lo umiliò. Le dedicò un’occhiataccia colma di disprezzo, per riassumere un contegno e nascondere la portata della delusione.

 

Sei un idiota, ha ragione lei. Come cacchio hai fatto a pensare che fosse seria.

 

«Ti stavo solo assecondando» arricciò il naso.

Arianna gli sorrise e scrollò le spalle «Quindi, quando mio fratello si guarda i porno veramente vorrebbe certe cose. Adesso sono un po’ turbata! Dai, fammi posto»

«Che?»

«Hai detto che dormo qui, no?»

 

Ora il turbato sono io!

 

Considerando che aveva davanti un’ingenua senza speranza, forse più di quanto non lo fosse stato lui qualche minuto prima, e considerando che era bella, bella in modo assurdo, che gli rimestava qualcosa che proprio non riusciva a spiegarsi, la situazione per lui stava sfiorando un limite pericoloso. A pensare di toccarla si sentiva sbagliato, come se facendolo stesse provando a sporcare qualcosa di pulito. La medesima impressione che gli restava addosso quando nevicava ed era costretto a rovinare la purezza e la compattezza di tutto quel bianco con le proprie impronte, scalfendo così un’ideale di perfezione. Arianna era perfetta, forse in quel momento più di quanto non lo sarebbe mai stata in futuro. Forse perché pecche ancora non poteva averne, non gli era dato di conoscerle, avvolta com’era in quel suo alone di sorrisi furbi e traviatori.

Quel limite, per quanto davvero lo desiderasse, non lo avrebbe mai varcato. Avrebbe fatto il bravo

 

Arianna non è Elena

 

In realtà, in quel preciso istante, Annie era esattamente ciò che era stato lui a suo tempo di fronte all’infermiera: un’inconsapevole. Però nemmeno lui sarebbe stato Ellie, non avrebbe commesso lo stesso errore, non avrebbe fatto mosse che lo avrebbero fatto pentire in futuro, non mentre Arianna gli si affidava con cieca fiducia in un momento di debolezza e sconforto in cui cercava solo un luogo sicuro dove nascondere la testa dalle cose brutte.

Avrebbe rispettato il suo bisogno e le avrebbe permesso di fare lo struzzo e di cacciare la testa sotto la sabbia, almeno per quella notte. Aveva perso il conto delle volte in cui lui stesso avrebbe desiderato quella gentilezza e quella comprensione per sé.

Si alzò e recuperò dall’armadio un paio di pantaloncini neri da calcio, che le passò senza dire nulla. Arianna li afferrò al volo, ridacchiò e li indossò senza fare storie.

Poi scostò Lalami, ancora stravaccata sopra le coperte, e si infilò nel letto.

«Su, ti faccio posto, muoviti!»

«Ma che stai…»

Arianna si sfregò gli occhi con le mani a pugno, un gesto che aveva il gusto di una regressione all’infanzia dovuta alla stanchezza.

«Dormo, ovvio. Ho tanto, tanto sonno. Spegni la luce, per favore?»

Demian rimase interdetto, immobile per qualche istante, a fissare quell’alieno in forma umana che aveva impunemente occupato il suo territorio. Poi sospirò rassegnato, prese Lala in braccio e si arrese «Allora io vado in camera di maman. Buona notte»

Arianna si sporse subito e si affrancò alla sua maglietta per trattenerlo con inaspettata forza

«Non serve, resta qui. Tanto ci stiamo. Non sono abituata a dormire da sola, condivido la stanza con Giorgi, se sono sola non prendo sonno»

Tentennò, rimase in piedi di fronte a lei come un perfetto sciocco. Lalami, tra le sue braccia, aveva preso a leccargli e smangiucchiargli parte della maglietta, Arianna restava a guardarlo dal basso, quasi con supplica, come se davvero il pensiero di dormire sola le mettesse angoscia. La sua aria spaurita gli diede l’incentivo che non riusciva a trovare.

 

Non è una buona idea, è una pessima idea

 

La sua sanità mentale sarebbe andata definitivamente in pensione, ma si riteneva in bilico già da così tanto tempo che una spintarella in più verso il baratro non avrebbe fatto una differenza eccessiva. Sistemò Lala in fondo al letto, spense la luce e la raggiunse sotto la coperta. Le diede la schiena, ma questo non fermò Arianna che si accoccolò vicino a lui prima di cacciare un profondo sbadiglio.

Gli sembrava impossibile contemplare seriamente di addormentarsi.

La sentiva a ridosso del suo corpo, sentiva le gambe fredde che sfioravano le sue, sentiva la presa a pugno di quelle mani tonde affrancate alla sua maglia.

Il profumo dei riccioli sparsi sul cuscino.

E si meravigliava di se stesso. Negli anni si era convinto di aver sviluppato uno standard troppo alto con le donne, per colpa di Elena. Qualunque ragazza gli si fosse avvicinata, non era mai riuscito a provare più di un banale apprezzamento, un’attrazione pigra e blanda. Arianna invece pareva la bellezza personificata, ed era ridicolo perché non era vero. In uno spietato confronto con Elena, Annie razionalmente avrebbe perso. Ellie era l’incarnazione della bellezza da rivista patinata, inarrivabile e da togliere il respiro, concreta. Troppo concreta, una bellezza profana. 

Eppure, l’attrazione che in quel momento lo rendeva una statua di ghiaccio non l’aveva mai sentita prima e ne provava quasi un senso di panico.

I piedi di Arianna s’infilarono a tradimento tra i suoi.

 

Questa ragazza non conosce pietà!

 

«…Ehm. E tu Annie? Che musica ascolti?»

La sentì mugugnare una risata contro la sua spalla «Inorridirai di sicuro»

«Prometto che non farò l’acido»

«Mi piacciono gli 883. Ah, anche i Beach Boys» nel momento stesso in cui lo disse si mise di nuovo a ridere «Le loro canzoni mi mettono sempre di buon umore!»

Aggrottò le sopracciglia nello sforzo di ripescare qualcosa dai meandri della sua memoria, ma si rese conto ben presto di non avere idea di chi fossero.

«E chi sarebbero?»

Ed eccola che sbuffava già esasperata «Lo sapevo. Dai, non puoi non conoscerli per davvero! Hai presente Surfin USA?»

Si morse l’interno della guancia, ma non fece in tempo a negare che Arianna si era già lanciata in un canto in falsetto terribilmente stonato

 

«If everybody had an ocean

Across the U.S.A

Then everybody’d be surfin’

Like California…»

 

Demian rotolò sul fianco per potersi girare e tapparle la bocca prima che si spingesse troppo oltre

«C’est bon! J’ai compris!»

Percepì sulla pelle le labbra di quella disgraziata incurvarsi in un ghigno divertito, e subito si scostò da lei come scottato. Era già ustionato, se proprio avesse voluto essere onesto con se stesso, ma piuttosto si sarebbe tagliato una mano.

«Ecco, più o meno ascolto questo» riprese lei, ignorando quasi certamente di proposito il suo improvviso irrigidimento. Poi sbadigliò ancora e Demian ne approfittò per scacciare il disagio

«Dovremmo dormire»

Le diede nuovamente la schiena, sperando di salvarsi e di porre fine ad una conversazione che non avrebbe mai dovuto iniziare, ma Annie tornò ad appoggiarsi a lui.

«Qual è la cosa più bella che hai mai fatto per qualcuno?» gli mormorò ad un tratto, soffocando le parole nella stoffa.

Demian deglutì e provò una vertigine strana, l’impressione di cadere dal letto dopo uno spasmo.

 

Che domanda del cavolo

 

Pensò di ignorarla, di fingere sonno. Però quelle parole gli giravano in testa e frugavano nella sua memoria. Non riteneva di aver fatto molte cose belle nella sua vita, se ci rifletteva si accorgeva di quanto fosse ristretto il campo delle sue buone azioni.

Ad un tratto, il sorriso di maman affiorò tra i ricordi. L’aveva fatta sempre più piangere che ridere, ma era capitato che gli riuscisse di renderla felice, qualche volta.

«Un fiore» bisbigliò a sua volta, senza sapere davvero perché sentisse la necessità di condividere con lei quell’ombra di se stesso, del bambino che era stato. Forse, non voleva sembrare vuoto, una raccolta di fallimenti, forse voleva che Arianna sapesse che almeno una volta non era stato un mostro. «Una volta, da bambino, ho fatto un fiore di carta colorata. Pour maman»

Ricordava quel giorno come un momento surreale della sua vita, una dimensione di sogno troppo distante, che se si fosse stiracchiato in quel momento forse avrebbe scordato subito. Jenevieve si era chinata, alla sua stessa altezza gli aveva scompigliato i capelli.

Gli aveva sorriso.

Gli aveva sorriso veramente, un sorriso rivolto a lui e solo a lui, intriso di una tale dolcezza che per una volta si era sentito come l’unica cosa preziosa al mondo per lei. La ricordava con i capelli raccolti in una coda morbida sulla spalla, di un biondo dorato e splendente alla luce, la ricordava con un grembiule, forse stava cucinando.

Nella sua memoria maman non era mai stata più bella di quel momento, con quel sorriso sottile e malinconico.

«Quella volta mi ha sorriso»

Non gli aveva più sorriso così, non era mai più riuscito a farla felice come quel giorno. Per questo gli occhi di sua madre non si erano più soffermati su di lui ma l’avevano sempre attraversato per andare oltre, e quella piega delle labbra, calda e triste, era diventata sfuggente e fatata, inafferrabile. Lontana da lui.

 

Eri così bella, maman. Come stai ora?

 

Pensarla era troppo. Avrebbe davvero voluto andare a trovarla, ma non ci riusciva, non riusciva a sopportare l’idea di trovarsela di fronte, spoglia di ogni possibilità di salvezza.

 

Perché stai così male.

Perché devi morire?

 

Avrebbe voluto che lei avesse le risposte. Maman aveva una risposta per tutto, eppure non era in grado di spiegargli perché dovesse restare da solo. E se non poteva dare un senso a tutto, allora Demian voleva solo dimenticarla, per non sentire più quel vuoto immenso al centro dello stomaco.

«E la cosa più egoista che potresti chiedere a qualcuno?»

Demian si inquietò «È una domanda strana»

«È una domanda come un’altra. La risposta?»

«Probabilmente chiedere di amarmi. E tu, Annie?»

La immaginò arricciare le labbra nel buio, lo faceva quando rifletteva seriamente su qualcosa.

«Non farlo»

«Eh?»

«Non soffrire» specificò «Non stare male»

Demian valutò di alzarsi e accendere la luce, perché voleva capire il senso di quelle domande e voleva vedere quel viso chiaro dargli le risposte più oneste che le parole celavano. Eppure non si mosse

«Perché sarebbe egoista?» chiese invece.

Annie sembrò incerta, esitò «Perché non puoi ferire qualcuno e chiedergli di non stare male per avere la coscienza a posto, no?»

Non le rispose.

Paradossalmente, aveva un senso, ma questo lo turbava solo di più.

Arianna gli picchiettò la spalla con la mano «E tu perché?»

«Perché ci sono persone che non sono amabili e pretendere amore sapendo di non aver fatto nulla per meritarlo è egoismo»

Questa volta fu Annie a tacere, probabilmente cercava a sua volta d’interpretarlo. Nessuno dei due possedeva la chiave per comprendere l’altro, Demian lo capì come una rivelazione. Si esponevano, ma non lo facevano davvero.

Per questo osò porre una domanda a sua volta.

«E invece qual è la cosa più brutta che hai fatto?»

Dubitava seriamente che Annie avesse mai avuto occasione di fare qualcosa di veramente brutto nella sua candida vita. Certamente di cose belle doveva averne fatte molte, però un segreto c’era, una vena di senso di colpa irradiava dalla sua piccola figura appallottolata come un cucciolo contro la sua schiena, e avrebbe voluto capirne il motivo.

La sentì ridacchiare e seppe che non ne avrebbe ricavato nulla. Quando iniziava a sorridere, Arianna decideva di nascondersi, questo lo aveva capito, stava già stemperando la serietà di una conversazione che aveva iniziato lei.

«In realtà devo ancora farla» lo colse di sorpresa, con la sua voce sottile velata di malinconia «Quando la farò, promettimi che non mi perdonerai mai. Proprio mai. Che ogni volta ti verrà in mente e sarai arrabbiato con me»

Basito, lasciò che le braccia di Arianna lo cingessero e lei si aggrappasse completamente, restando rigido.

«Non so se riuscirei ad avercela con te»

Ebbe paura delle sue stesse parole, perché erano fin troppo oneste e vere, non era sicuro di poter provare rabbia o odio per una creatura tanto fragile, leggera in quel mondo e fuori posto per la realtà. Da una persona come lei, Demian si rendeva conto che avrebbe potuto farsi distruggere, glielo avrebbe permesso, questo era l’ascendente che riusciva ad avere su di lui.

Arianna sospirò, sfregò la guancia contro la sua spalla e gli sorrise sulla pelle «Non preoccuparti, ce la farai. Scoprirai che odiarmi non è così difficile»

Avrebbe voluto sapere, ma non aggiunse nulla.

Rimase in silenzio ad ascoltare quel respiro estraneo che si acquietava nel sonno.

 

 

 

  
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