À Demian
Capitolo dodicesimo
Non perdonarmi
«Volevi sembrare un ragazzaccio di
strada, di quelli che
fumano, si drogano e gozzoviglino tutto il giorno? No,
perché se l’intento era
questo ci sei riuscito perfettamente!»
Non sapendo che ribattere, Demian si
passò una mano sul collo
e rimase in silenzio. Arianna lo squadrava con aria critica, gli girava
intorno
e sembrava tanto un avvoltoio sopra una carcassa malmessa. Aveva
spulciato ogni
anfratto del suo armadio e gli era toccato scendere a compromesso con
la
realtà: il suo guardaroba era quello che era. Nessun abito
elegante, niente di
vagamente formale, il nulla assoluto. Una camicia non sapeva cosa
fosse, di
giacche non ne aveva mai comprate ed era già tanto se le sue
magliette non
erano di qualche concerto rock o non avevano stampe gotiche.
Era andato sul semplice, una maglietta
monocromatica…
ovviamente nera, giusto per non far risaltare troppo il suo incarnato
pallido.
«Loro, per esempio, sono proprio
necessari?» Arianna accennò
ai guanti senza dita. Demian si grattò la testa sopra il
berretto nero,
attanagliato da un crescente senso d’inadeguatezza.
«Non sono fatto per queste
cose»
Poteva anche sembrarle una scusa, una pessima
giustificazione, d’altro canto non sapeva come spiegarle che
lui era un teppista di strada, di
quelli che
fumano, si drogano e gozzovigliano tutto il giorno. Non aveva il
coraggio di
dirglielo, non voleva che lei potesse malgiudicarlo, per quanto si
rendesse
conto che, più che un mal giudizio, il suo sarebbe stato un
semplice constatare
la realtà. I jeans larghi e rotti, il berretto nero, la
felpa con il cappuccio
sollevato e il giubbino di pelle, contribuivano a renderlo un
cliché banale e
prevedibile del teppistello inquieto, non esattamente il bravo ragazzo
che le
figlie presentavano ai genitori.
È un fallimento.
E pensare che ho
pure evitato il gel
Arianna si concentrò sul teschio
grottesco che decorava la
felpa e aggrottò le sopracciglia «Non so
perché, ma non ti facevo tipo che
ascoltava questo genere di musica»
Ci mise qualche istante a collegare
l’immagine alla sua osservazione,
quando realizzò gli venne da ridere «Infatti non
la sopporto. Il teschio però è
figo» sfoderò il suo miglior ghigno provocatore ed
Arianna rimase spiazzata, ma
in un secondo dissimulò scrollando le spalle e rispose con
l’espressione più
sorniona e meno impressionabile che Demian avesse mai visto.
«Banale» ammiccò.
Poi, rapita da un pensiero suo, giocò con
le labbra. Doveva essere una riflessione irragionevole, per forza. Lei
sapeva
fare solo quel tipo di pensieri, Dem ne era quasi del tutto certo.
Pensieri che lui non era in grado di concepire.
Alla fine di quel complesso cameo di espressioni,
si mise a
ridere «Sarà divertente. Farai venire loro un
infarto!»
«Se vuoi posso cambiarmi
ancora» borbottò rassegnato. Non che
nutrisse speranze di un miglioramento, ma iniziava a vergognarsi per
quel suo essere
disastroso. Fortunatamente, Arianna non sembrava veramente preoccupata.
Scrollò
le spalle, lo prese per mano e lo trascinò fuori casa dopo
aver lasciato una
veloce carezza a Lalami, che già li guardava come la
stessero abbandonando su
un’autostrada.
«Andiamo a piedi?» si
ritrovò a chiedere con una certa
sorpresa, perché la ragazza, con piglio particolarmente
deciso, stava tirando
dritto ignorando il suo motorino.
«Ah, sì. Come credi che sia
venuta? Ho scoperto che
praticamente abitiamo a un paio di chilometri di distanza. non avrei
mai
immaginato che fossi del paese vicino!» tese le braccia al
cielo e si
stiracchiò come un gatto, l’espressione serena di
una bambina felice «E poi
l’aria è così fresca stasera. Non ha un
profumo buonissimo? Mi fa venire voglia
di camminare per ore a vuoto. anzi, sai cosa?» lo
afferrò per la manica e lo
scosse, per passargli l’improvvisa ondata di entusiasmo
«Avrei voglia di andare
sull’altalena!»
Arianna lo lasciava fondamentalmente senza parole,
per cui la
fissò confuso, a bocca appena schiusa senza riuscire a
ricavarne un suono. Era
davvero una bambina, aveva qualcosa d’incontaminato, di
qualcuno che il mondo
reale non l’aveva conosciuto. Ingenua, sciocca, furba,
dannatamente diabolica:
non poteva inquadrarla. Riusciva ad essere una cosa e
contemporaneamente il suo
opposto, aveva aspetti così antitetici nella propria persona
da risultargli
eccessivamente complessa. Era la prima volta che di fronte a qualcuno
si
ritrovava completamente spiazzato e il dubbio lo assillava.
Possibile che sia
davvero candida come si mostra?
Quanto c’è di reale
in lei?
Inspirò ed espirò
profondamente l’aria fredda e corroborante
della sera. Arianna aveva ragione, con le strade deserte ed un assoluto
silenzio, con la sola luce dei lampioni a bagnare l’asfalto e
a tratteggiare le
sagome delle case e degli alberi, si creava un’atmosfera
sospesa e surreale, in
cui si rilassava perfettamente.
«A volte mi piace, uscire di notte e
fare lunghe passeggiate.
Mio fratello lo odia, ma alla fine mi accompagna sempre. Sai quanto
è bello
quando anche le strade principali sono vuote e puoi muoverti come vuoi?
ti
sembra di essere l’unica persona al mondo»
Le sorrise discretamente, accompagnato
dall’abituale senso di
disagio che non riusciva mai del tutto a scacciare, nonostante quella
sensazione di quiete totale riuscisse a percepirla. Capiva cosa
intendesse, con
il cielo terso si vedevano anche le prime stelle.
O forse erano satelliti, non faceva molta
differenza. Ai suoi
occhi restavano abbozzi di vita proiettati nel tempo per giungere a
loro dopo
millenni, fotografie di un passato così remoto che in
confronto la sua
esistenza si trasformava in un blando, rapido battito di ciglia. Che la
vita
fosse labile lo sapeva fin troppo bene, eppure il pensiero della fine,
della
fugacità dell’essere, lo sopraffaceva ogni volta e
gli toglieva le forze. Cercò
la mano di Arianna e la strinse senza esitazione, intrecciando le dita
alle
sue. In quel momento, con l’accenno di nuvole trasportate dal
vento e il
silenzio interrotto da un’upupa lontana, quel fastidioso peso
sullo stomaco
venne a mancare.
La guardò meravigliato dal potere della
serenità che era in
grado di emanare solo con la presenza. Camminava assorta, guardando in
alto
senza accorgersene, con un sorriso appena scolpito sulle labbra, una
piega
lieve che però le accendeva gli occhi. A volte li chiudeva,
inspirava a fondo
si affidava solo alla stretta della sua mano come guida, mentre la
brezza
serale ogni tanto soffiava più intensa e le scompigliava le
ciocche ribelli
uscite dalla coda.
Era una bellezza che rendeva felice, ecco
perché era bella.
Magari un solo istante, un breve frammento rubato ad un mondo che
scorreva, ma bastava
per lasciargli addosso un senso di pienezza che quasi strappava il
respiro.
Immotivatamente contento, solo perché
gli stava camminando
assorta accanto.
«È quella, siamo
arrivati!»
Aveva esordito dopo un periodo di silenzio
così prolungato
che Demian sussultò per la sorpresa. Aveva indicato una
villetta a schiera, con
la ringhiera in ferro battuto che lasciava intravvedere un piccolo
rettangolo
d’erba.
Iniziarono a sudargli le mani per il nervoso,
cercò di
lasciare la mano di Arianna perché non lo notasse, ma si era
avvinghiata con
tanta decisione che fu impossibile porre un minimo di distanza.
«Non scapperai, non ci
provare» lo redarguì immediatamente,
con il tono di un sergente militare irritato.
Gli sfuggì un sospiro affranto di resa.
«Non sono cannibali, non ti scuoieranno
vivo!»
Demian inarcò scettico un sopracciglio.
Aveva un vago ricordo
di come il fratello di lei lo avesse squadrato, l’ultima
volta che si erano
incrociati, ma quel vago ricordo era più che sufficiente per
farsi un’idea
piuttosto precisa di come lo avrebbe accolto.
«Ricordami perché sono
qui» sibilò accusatorio, mentre lei
già suonava il campanello.
«Perché cenare da soli
è piuttosto deprimente»
«Non per me»
«Soprattutto per te!» lo
rimproverò aggrottando ancora le
sopracciglia e affilando gli occhioni da gatta «Risparmiami
quella faccia da
duro. Almeno con me è un po’ tardi, non
credi?»
Provò l’irrefrenabile impulso
di mandarla a quel paese, ma
commise il banale e imperdonabile errore d’incrociare il
disarmante sorriso
serafico a trentadue denti che lo mise spalle al muro. Qualunque
imprecazione si
spense sulle labbra.
«Ari?»
La voce del citofono era gracchiante e metallica,
non riuscì
a definirne le sfumature, capì solo che all’altro
capo c’era una donna
impaziente.
«Sono io, apri!»
Demian la seguì sul breve tratto di
selciato come un
condannato che percorreva la strada verso il patibolo.
«Stai tranquillo, è solo una
cena. Dovrai semplicemente
mangiare, non è troppo difficile. Apri e chiudi la bocca.
Dovessi avere dei
dubbi sarò accanto a te, ti ricorderò come
fare!» lo prese in giro. Era così
euforica che finì con il ricambiare debolmente il suo
sorriso raggiante,
nonostante ogni parte di lui gli intimasse di voltarsi e andarsene
senza dirle
una parola.
«Arianna Selene Alessi!»
sbraitò la voce di donna spalancando
la porta «Dove diavolo eri finita? Sei sparita da ore, ti
abbiamo cercata
dappertutto, a tuo fratello stava venendo un
infart…» il monologo le morì in
gola quando lo mise a fuoco, e la signora rimase a bocca aperta,
irrigidita
come una statua grottesca di fronte a loro.
Anzi, di fronte a lui.
L’unica
cosa che desse
l’idea che ancora respirava erano gli occhi che lo stavano
squadrando da capo a
piedi, ancora e ancora. Il tempo di un battito di ciglia e si
ricompose, senza
riuscire però a seppellire del tutto quel cipiglio confuso.
Arianna sfoderò ancora il suo sorriso
sfrontato, con la
dentatura smagliante in bella vista.
«Scusa mamma! Lui è un mio
amico, si chiama Demian»
La donna individuò le loro mani
intrecciate, Dem cercò subito
di liberarsi ma Arianna non glielo permise.
«Tesoro, sei sicura
che…»
«Certo. Sono sempre sicura di quello che
faccio. Ah, Dem,
come avrai capito lei è mia mamma, Melissa»
Demian si sentì spiazzato. Non era
certo di cosa avrebbe
dovuto fare in una simile situazione, tanto più che Melissa
sembrava davvero
turbata. Improvvisò porgendole impacciato la mano.
«È un piacere
signora» bofonchiò a sguardo chino.
La madre di Annie dovette provare una forma di
simpatia per
compassione, davanti al suo comportamento intimidito, perché
provò almeno a sorridergli.
Non che quel tentativo di cameratismo lo mettesse a suo agio, ma
perlomeno era
un inizio.
«Accomodati pure Demian. Non volevo
sembrarti scortese, ma
non capita spesso che Ari porti a casa qualcuno. Ero solo
sorpresa»
Oltre alla sorpresa era evidente una forma di
disagio
differente, ma non gli parve il caso di recriminare, perciò
si limitò ad
annuire e a seguire Arianna, che già stava trotterellando
dentro casa
trascinandoselo dietro come un peluche privo d volontà. La
ragazza si lanciò
letteralmente sul divano con una risata, facendolo inciampare
goffamente tra
cuscini. Mentre Annie si distendeva comodamente, appoggiando la testa
sul suo
ginocchio e gettando le gambe oltre il bordo del divano, volutamente o
meno
ignara del mutismo selettivo che lo aveva appena colpito, Demian si
guardò
attorno. Quella casa era diversa dalla sua, sempre disordinata e
caotica come
se un’orda inferocita di rinoceronti fosse passata di corsa
nel salotto, e
nemmeno era calda e perfettamente sterilizzata come quella di Claire.
C’era un
ordine sterile, essenziale, pochi oggetti tutti in vetro, qualche vaso
decorativo, pavimenti in marmo grigio chiaro e pareti bianche passavano
una
sensazione di straniamento. Però la luce dei lampadari dalle
composizioni
strane -erano calzascarpe in vetro,
quelli?- scaldava i mobili di mogano e illuminava di
baluginii le numerose
fotografie. Non c’erano quadri, ma foto ovunque, di Arianna
da bambina, con due
ragazzi più grandi, di un altro bambino abbracciato al suo
pupazzo di peluche;
di comunioni, cresime e compleanni. Tante piccole cornici disposte a
schieramento riempivano le superficie di vetro, e c’erano
rumori, una pienezza
di vissuto che sembrava coccolare gli abitanti nonostante i colori
freddi,
eccessivamente moderni.
Tornò a osservare Arianna e
provò una sorta di tenerezza
indulgente per lei.
Però è davvero
tutto, meno che elegante. Se non fosse così minuta, sarebbe
un ottimo uomo.
Ai rumori delle stoviglie in cucina, alle
lamentele di un
bambino da qualche parte nella casa e al programma televisivo in onda
in quel
momento, si aggiunse il passo di carica di qualcuno che stava scendendo
le
scale trottando per poi urlare «È pronta la
cena?»
Demian si inclinò per guardare il nuovo
venuto. Riconobbe
Daniele, il fratello più grande che era venuto a prenderla
quel giorno al
parco. Il ragazzo
notò le gambe di
Arianna fare capolino oltre il bordo del divano, prese la ricorsa e le
saltò addosso
senza pietà.
Arianna gridò subito come
un’aquila e quasi gli causò un
infarto e l’irrimediabile perdita dell’udito
all’orecchio sinistro.
«Ehi, puffetta! Dove eri
finita?» Daniele le scompigliò i
capelli con entrambe le mani e Arianna mugolò
d’indignazione.
«Ero con lui!» cercava di
allontanarlo premendo con i palmi
delle mani sul suo viso, ma evidentemente il fratello era troppo
pesante e più
forte di lei, perché non riuscì a smuoverlo di un
millimetro. Solo a
quell’esclamazione Daniele s’irrigidì,
alzò gli occhi su di lui, considerandolo
finalmente degno di presenza e constatò, con tutta la
simpatia che poté mettere
nella voce velenifera: «Ah, ancora tu»
Demian già lo odiava, un istinto a
pelle. Quello era solo il
loro secondo incontro, ma il fratello di Annie riusciva a guardarlo
dall’alto
in basso con un disprezzo così radicato da risultargli
insopportabile per
principio. Fu solamente per non apparire eccessivamente scortese che si
risparmiò una risposta acida. Si limitò a
sollevare l’angolo della bocca in un
ghigno ironico.
«Così sembrerebbe»
«Lui è mio fratello
Daniele» si frappose Arianna come arbitro.
Con quella matassa di capelli incolti che si ritrovava, tutti
sparpagliati sul
viso grazie al dispetto del fratello, non poteva vedere gli sguardi
ostili che
si stavano lanciando, ma i loro toni lasciavano difficilmente pensare
ad
un’amicizia appena nata.
Daniele corrugò la fronte
«Puffetta, sei sicura?»
Sembrava preoccupato, in modo serio e adulto, non
da
antipatico gratuito. Annie sbuffò infastidita
«Sì, sì, sì! Se qualcuno me
lo
dovesse chiedere di nuovo potrei non rispondere di me!»
A quell’uscita Daniele
scoppiò a ridere e iniziò a farle il
solletico.
«Mi stai minacciando?»
l’apostrofò con finto risentimento.
Arianna stava soffocando nelle sue stesse risate «No, te lo
giuro! Non oserei
mai! Lasciami, dai!»
Daniele la bloccò con più
fermezza e non smise di torturarla,
finché le esclamazioni di Annie non rasentarono la pura
disperazione.
Li guardava di sottecchi, in imbarazzo
perché ogni volta che
si soffermava più del dovuto gli sembrava di rubare qualcosa
che non gli
apparteneva. Non riuscì a trattenere un sorriso, ma insieme
alla tenerezza di
quel legame, cresceva dentro di lui il disagio. In un quadro
così perfetto e
armonioso si sentiva una macchietta nera, un refuso di stampa. Quella
sensazione di straniamento che già era causa di tormento
quando visitava sua
zia, in un contesto al di fuori della propria famiglia
risultò ancora più
forte.
La felicità degli altri, meschinamente,
lo sviliva.
«Ragazzi, la cena è
pronta!» li richiamò Melissa dalla
cucina, ponendo finalmente fine a quel supplizio. Daniele
scattò in piedi,
liberandola solo per esortarla, come se Arianna stesse cincischiando
volutamente «Avanti Ari, ho fame!» la
afferrò per le braccia e la sollevò senza
alcuna difficoltà.
Annie non smise di ridere «Tu hai sempre
fame, ti mangeresti
anche Giorgi se potessi!»
Il fratello le rispose con una smorfia costipata
«Nah, quella
peste mi resterebbe sicuramente sullo stomaco!»
Demian contemplò di fondersi con la
tappezzeria. L’ultima
volta che si era sentito così piccolo e meschino e aveva
desiderato di sparire
era un bambino incapace ed inutile. Tutta quella complicità
e il fatto che la
ragazza lo avesse completamente scordato non stavano aiutando la sua
autostima
sempre in bilico sul disastro.
D’un tratto Arianna si volse e gli tese
una mano «Vieni?»
Esitò solo un momento, poi si
aggrappò a lei con una
disperazione tale che Annie ridacchiò ancora.
La seguì in bagno e mentre si lavavano le mani
Arianna aggiunse, in
imbarazzo «Non prendertela con Dani, non lo fa apposta. Non
gli piace chi mi
gira intorno» le sue guance si erano appena colorate di rosso.
In quale modo
quest’informazione dovrebbe farmi sentire meglio?
Non glielo chiese per non infierire, né
specificò che volendo
osservare i fatti in maniera più oggettiva, si poteva
benissimo dire che fosse
lei quella che gli girava attorno, più che il contrario.
Quindi borbottò
melanconico «Deve succedere spesso»
Arianna era davvero bella e spigliata, certamente
avere un
seguito di ragazzi desiderosi di trascorrere con lei almeno qualche
minuto non doveva
essere insolito. Si sentì grato di tutta
l’iniziativa che Arianna stava
dimostrando nei suoi confronti, ne era contento soprattutto
perché non sarebbe
mai riuscito a fare altrettanto, non possedeva quella
spontaneità e quella
schiettezza.
«In realtà meno di quanto
pensi. Sai, mi considerano strana.
Hai sentito mia mamma, non porto nessuno a casa»
Non le chiese il motivo per non costringerla ad
affrontare un
argomento che per lei poteva essere spinoso.
«Vinco un premio?»
ghignò strafottente, gongolando per il
rossore che le macchiò il volto.
«Se vai avanti così vinci un
calcio nello stinco!»
A tavola la sua famiglia era già
raccolta: oltre a Daniele e
Melissa, c’era un bambino che doveva avere più o
meno l’età di Sarah ed un
altro ragazzo, o meglio un uomo.
«Lui è Giorgi»
Arianna indicò il più piccolo, intento a
sterminare briciole di pane sulla tovaglia «E lui
è Luca, il maggiore»
Il fratello più grande,
dall’aria decisamente più cordiale di
Daniele e l’espressione discreta di qualcuno in grado di
farsi gli affari
propri e non sparare giudizi senza riflettere, abbozzò un
sorriso gentile «Piacere»
«Lui è Demian»
chiarì allegra.
Giorgi abbandonò il genocidio di pane
per guardarlo mentre
Arianna si sedeva. La imitò in imbarazzo, gli occhi di tutti
i presenti si
puntarono su di lui e provò uno spiacevole
déjà-vu. I ragazzi a scuola lo
trattavano nello stesso modo, alla stregua di un animale da zoo, quando
cambiava classe e dovevano ancora abituarsi alla sua presenza.
«Sei il ragazzo di Ari?» la
sua voce infantile lo fece
sussultare.
Piccolo demonio
Arianna tossì e sputacchiò
briciole per la sorpresa.
«Ari non starebbe mai con uno
così» borbottò Daniele, e non
perse l’occasione d’incenerirlo. Non poteva nemmeno
dire che fossero partiti con
il piede sbagliato, non erano partiti proprio e basta.
Uno così come,
brutto stronzo? Cosa avrei che non va?
«È un amico»
tagliò corto Arianna, con un sorriso indulgente
al bambino, ignorando deliberatamente Daniele che sembrava davvero non
fare
sforzi per risultargli sgradevole. Melissa stava distribuendo equamente
le
porzioni di spaghetti quando si accorse che indossava ancora il chiodo
e il
berretto nero calcato in testa.
«Demian, non hai caldo? Puoi spogliarti
caro, rischi di
ammalarti se resti imbacuccato in quel modo»
Aveva lo stesso sorriso di sua figlia
all’apparenza, ma c’era
una nota stonata. La stessa piega delle labbra e le stesse fossette
appena
accennate non gli restituivano il medesimo calore, c’era
qualcosa di freddo in
lei, di forzato. Non avrebbe mai voluto mettersi a nudo di fronte a
persone
così maldisposte nei suoi confronti, conosceva
già i risultati, ma opporsi
sarebbe sembrato forse più insolito e disagiante.
«Dai, non preoccuparti, dammi pure il
giubbino. Te lo appendo
all’ingresso» insistette la donna andandogli
vicino. Con riluttanza le cedette
la giacca di pelle e liberò i capelli spettinati. La frangia
bianca si sparse
sulla fronte, senza il gel gli copriva gli occhi, la spostò
con un gesto
nervoso e fissò con ostentata sfida Melissa, che si era
bloccata di fronte a
lui in un’espressione di aperta e non troppo benevola
sorpresa.
«Ah. Beh, torno subito, mangiate
intanto» si defilò
rapidamente, lasciandosi alle spalle un imbarazzato silenzio. Demian si
scompigliò i capelli, si grattò il collo e
guardò Annie in una disperata
richiesta d’aiuto.
«Ari, il tuo ragazzo è
vecchio!» il piccolo nano malefico,
una spudorata finzione d’innocenza che avrebbe volentieri
defenestrato, se ne
uscì con la peggiore esclamazione scandalizzata che gli era
mai toccata sentire
«È più bianco del nonno!»
«Zitto stupido, è
albino» lo rimproverò Daniele con uno
scappellotto, mentre a sua volta veniva squadrato con biasimo e
disappunto da
Luca.
«Impara a stare zitto anche tu,
Dani»
Campioni di tatto e
diplomazia. Mi chiedo come abbia attraversato la vita intero
‘sto stronzo,
senza che nessuno gli abbia mai fatto ingoiare i denti per la sua
innata
simpatia
«Che cos’è un
albino?»
Arianna si colpì la fronte con il palmo
aperto della mano,
Demian fissò la pasta nel suo piatto e considerò
seriamente di affogarcisi
dentro o di spalmarla sulla faccia del bambino,
all’occorrenza.
«È un malato»
continuò Daniele mal celando il disprezzo «Giusto
quello che ci mancava»
Serrò i pugni e trovò la
forza interiore, un nirvana che
nemmeno sapeva di possedere, per non alzarsi, lanciarsi
dall’altro lato del
tavolo e prenderlo a calci ripetutamente. Piuttosto,
arrangiò un sorriso
tranquillo e scrollò le spalle.
«Per essere “un
malato” non sto tanto una merda»
Avrete anche gli
stessi occhi, ma con tua sorella non c’entri proprio un
cazzo, brutto stronzo
Daniele fece per rispondere ma Arianna fu
più lesta e feroce «Sei
un vero idiota!»
Demian lo vide trasalire e indignarsi come una
vecchia comare
offesa «Che?»
«Per carità Dani, ho sempre
saputo che non sei proprio un
genio, ma così stronzo non posso crederci! Sei un
cazzone»
Poteva quasi scorgere il fumo che le usciva dalle
orecchie,
era rossa di collera ed era scattata in piedi, come per cercare di far
valere
il suo sdegno con maggior forza. Demian si rilassò contro lo
schienale della
sedia. Era abbastanza deciso a mettere da parte le buone maniere per
litigare,
fosse stato necessario, ma era impossibile pensare di provarci se
Arianna
s’infervorava a tal punto al posto suo.
«Io
sarei un cazzone? E tu allora, che ti dai ai fenomeni da circo? Ma
dico, lo hai
guardato? Dove cavolo lo hai pescato questo! Porca miseria Ari, di
tutte le
cose di cui puoi aver bisogno, lui è sicuramente
l’ultimo della lista!»
Arianna
diventò pericolosamente paonazza «Tu che ne sai di
cosa ho bisogno? Fatti gli
affari tuoi!»
Si
depositò uno strano gelo tra i presenti, come se Annie
avesse toccato un tasto
dolente che a Demian sfuggiva. Daniele divenne mortalmente ostile,
nella sua
voce Dem rintracciò un profondo rancore «Adesso
devo farmi gli affari miei? D’improvviso
io non ne so nulla? Dimmi che non sei seria»
«Sono
stanca»
«Chiedimi
scusa, Ari»
Arianna
digrignò i denti e quei suoi occhi felini divennero linee di
gelido verde «Sei
tu che dovresti imparare il limite»
Giorgi
si era spaventato, era incredibilmente piccolo su quella sedia, si era
ritratto
e guardava i fratelli litigare con gli occhi grandi e allibiti. Anche
Melissa
era tornata, ma si era fermata sulla soglia della cucina e non sembrava
intenzionata a intervenire nella discussione dei suoi figli.
Questo
parve a Demian più assurdo di tutto. Non li fermava
né li riprendeva, era
l’immagine dell’impotenza. Fosse stata Jenevieve lo
avrebbe già appiccicato al
muro a suon di schiaffi, ma Melissa pareva che nemmeno respirasse. Luca
si
massaggiava la fronte esasperato ed anche lui dava
l’impressione di volere che
se la sbrogliassero da soli.
«Non
ci sono già abbastanza problemi? Devi preoccuparti per te
stessa, non fare la
crocerossina per un caso umano come questo qui! Basta guardarlo per
farmi
venire i brivi…»
«Ok, adesso basta. Vi ho lasciato fare a
sufficienza» il tono
perentorio di Luca bloccò Daniele dal concludere
l’adorabile lista di complimenti
che gli stava rivolgendo «Ora smettila di fare
l’idiota» la mano del fratello
più grande stritolò la spalla del minore
abbastanza forte da fargli fare una
smorfia scontenta.
«Non sei preoccupato che
lei…»
«Hai esagerato. Scusati
immediatamente»
Demian non era un genio, ma non gli ci volle molto
per
identificare in Luca il capobranco di quella marmaglia di fratelli
simpatici
come una manciata di ortiche nella maglietta. Davanti a quel tono secco
che non
ammetteva repliche, calò il silenzio.
Daniele tentò un’ultima volta
di ucciderlo con gli occhi,
fortunatamente doveva aver perso la lezione fondamentale sulle macumbe
nel suo
corso serale per stronzi, perché non riuscì a
dargli fuoco nemmeno questa
volta. Demian ricambiò l’occhiata con altrettanta
intensità, ma ci aggiunse un
sorrisino di scherno per rincarare l’odio.
Era l’unico ancora seduto e tranquillo,
non si era mosso di
un millimetro, non aveva fatto una piega nonostante la caterva
d’insulti, e
forse era proprio quel suo atteggiamento menefreghista che innervosiva
Daniele
più di tutto.
Con stronzetti come
te ci ho a che fare da che sono nato, sei un illuso se pensi che ti
darò
soddisfazione
«Scusa» sibilò
infine il fratello di mezzo, con la stessa
intensità con cui avrebbe potuto dirgli
“affogati”. Sbatté la mano sul tavolo e
spinse la sedia che cadde a terra con un tonfo pesante «Non
ho più fame»
Uscì dalla stanza teatralmente,
lasciandosi alle spalle un
profondo imbarazzo. Melissa, con la mano sulla bocca e gli occhi
spalancati,
gli sembrò uno scomodo e gratuito oggetto
d’arredo. Giorgi aveva le iridi
lucide, era solo un bambino e ci era rimasto male. Non gli piaceva
molto, non
gli piacevano i bambini in generale, ma avrebbe comunque preferito che
quella
discussione non si fosse consumata davanti a lui, era troppo piccolo e
non era
giusto.
Luca si passò ancora la mano sugli
occhi, sembrava stanco,
aveva profonde occhiaie e l’atteggiamento di un vecchio.
Tornò a sedersi e si
prese la testa tra le mani. In tutto questo, Arianna non si era
più mossa,
fissava la porta che aveva imboccato Daniele ma non la vedeva davvero,
gli occhi
umidi le appannavano la vista, inseguiva un pensiero che
l’aveva allontanata da
quella stanza. Le colò una lacrima, quando la
sentì scivolare sulla guancia si
riprese e con un gesto brusco si asciugò il viso. Poi si
voltò a guardarlo e
gli sorrise, senza riuscire però a cancellare la
mortificazione che provava.
«Scusa Dem, pessima idea. Avrei dovuto
saperlo, sarebbe stato
meglio non portarti qui»
La situazione gli sembrava troppo delicata e
incomprensibile
perché trovasse qualcosa da dirle, perciò scelse
ancora il silenzio.
«Vuole solo difenderti Ari, lo sai. Si
preoccupa per te, ti
adora» intervenne Luca, con la fatica di una persona che
quella frase l’ha già
ripetuta decine di volte e non sa più che strade tentare per
essere creduto.
«Al diavolo»
imprecò infatti Arianna, a confermare le sue sensazioni
«Per una volta, una volta soltanto, poteva rispettare una mia
scelta. Lo so che
gli ho rovinato la vita, ci provo in ogni modo a non fargli pesare le
cose,
però ci deve essere un limite, non posso annullarmi per lui!
Se le cose non
andassero come devono andare…»
s’interruppe, Demian sentì quella voce collerica
incrinarsi in un tremito di orrore. Stava per piangere.
«Voglio solo che ne stiate
fuori»
Luca era sbiancato, l’incarnazione della
pura costernazione «Ari
noi…»
Ho ascoltato
abbastanza, mi rifiuto di guardare oltre queste assurdità
Mi rifiuto di
sentire altro da queste persone, che vadano al diavolo
Scattò in piedi, afferrò la
mano di Arianna e la costrinse a
seguirlo senza permettere a Luca di continuare il loro discorso.
«Dem!»
«Andiamocene»
chiarì, diretto alla porta d’ingresso.
Incrociò
gli occhi grandi, nocciola, di Melissa e aggiunse per scrupolo
«È stato un
piacere signora. Non si preoccupi per Annie, non le farò
fare troppo tardi»
***
«Com’è che finiamo
sempre in un parco, io e te?» urlò Arianna
mentre correva verso lo scivolo, guardandolo da sopra la spalla con
quel
sorriso furbo che ormai, poteva anche ammetterlo, adorava.
«Ho un animo puro e innocente, anche se
sembro un teppista
drogato che gozzoviglia tutto il giorno. Ecco
perché!»
Mentre Arianna si arrampicava sul complesso di
legno con
l’ilarità di una bambina, Demian le andava dietro
tenendo il cartone di una
pizza margherita ritirata da poco eppure già tiepida. Visto
l’orario, erano
stati più che fortunati a riuscire a farsene fare almeno
una, ma già sapeva che
non gli sarebbe mai bastata. Guardò Arianna sparire dentro
la costruzione
simile ad un castello e la rivide spuntare poi sulla torretta.
A
modo suo, visto il
sorriso da paresi facciale, si stava divertendo.
«Muoviti, ho fame!»
Salì le scalette e si sistemarono in
mezzo ad un ponte di legno
sostenuto da catene traballanti che univa lo scivolo alla costruzione
adiacente, munita di altalene. Era strano vedere quei grandi spazi
verdi
completamente vuoti, le poche volte che Demian era stato lì
era d’estate,
durante la Festa della Birra, e in quelle occasioni oltre ad una
fiumana di
persone c’erano gli stand del cibo, tavoli sparsi ovunque e
il palco per i
concerti. Nel buio della tarda serata, l’unica cosa che
faceva loro compagnia
era una vecchia villa sopraelevata, un rudere posizionato su una
collinetta che
sovrastava il parco e che era stato eletto a biblioteca comunale.
Non ci andava mai, c’era sempre un clima
umido lì dentro, e
per raggiungerla bisognava attraversare una distesa di fanghiglia che
con le
piogge si trasformava in sabbie mobili.
«La Coca-Cola ce l’hai
tu?»
Arianna la recuperò dalla tasca della
giacca e gliela
sventolò davanti agli occhi come un trofeo. Si accorse
troppo tardi che la
peste la stava aprendo.
«No, aspetta!»
Il liquido fuoriuscì in
un’eruzione di schiuma che travolse
Arianna completamente. L’espressione basita gli
strappò una risata senza
ritegno «Non puoi agitarla così e poi aprirla,
genio!»
Ari fissava le mani appiccicose e la bottiglia
ormai
dimezzata con una perplessità incredula, neanche avesse
assistito a chissà
quale incredibile reazione chimica. Alla fine ridacchiò
anche lei, più per
l’imbarazzo.
«Non ci avevo pensato. Passami un
tovagliolo!»
«Non ti conviene andare alla fontana a
lavarti? Sei più
appiccicosa della carta moschicida»
Arianna rispose con una smorfia insofferente da
bambina
testarda «Dopo, adesso ho troppa fame!»
In quel momento a guardarla non si sarebbe mai
detto che meno
di un’ora prima avesse avuto una furiosa discussione di
famiglia. Demian aveva
deciso di restare neutro e non farle domande, non aveva nemmeno capito
cosa
fosse successo e non sapeva quanto avrebbe dovuto effettivamente
preoccuparsi
per lei.
Aveva capito soltanto che Arianna era fin troppo
brava a
nascondere le cose. Certo, non mentiva, però neanche gli
diceva la verità. Se
non fosse stato presente, non avrebbe mai saputo della discussione,
Arianna
seppelliva le emozioni negative da qualche parte e fingeva che tutto
fosse in
ordine. Non se la sentiva di biasimarla, nessuno poteva comprenderla
meglio di
lui, era il primo che faticava a scendere a patti con la
realtà.
Per questo non faceva domande, non era suo diritto
costringerla ad affrontare situazioni che non voleva vedere, non la
conosceva
abbastanza, non conosceva nemmeno le sue ragioni e senza quelle, ogni
parola
detta sarebbe stata vuota, un pour parler gratuito.
Non che Arianna avesse avuto con lui lo stesso
timore, ma
forse era diverso, forse lo aveva forzato perché lo aveva
capito, che Demian
aveva sfiorato il proprio limite di sopportazione. I pesi che si
trascinava
dietro lo stavano inchiodando e ormai non si muoveva quasi
più. Gli sembrava di
potersi cementificare al suolo.
Quanto è grande il
peso di Annie?
Lei che cosa deve
sopportare?
Arianna, completamente ignara dei suoi pensieri,
canticchiava
mentre sventrava la pizza con le mani
«Cazzo, gli avevo detto di tagliarla
già a fette» borbottò
quando si accorse di quel disastro. Annie, le dita sporche di pomodoro
e l’aria
malandrina, rise «Così è più
divertente. Se vuoi ne strappo una fetta anche per
te!»
«Hai un opinabile senso del
divertimento. Ci vuole un certo
coraggio per chiamare fetta quella cosa»
Arianna arricciò le labbra
«Ti sfido a fare di meglio»
Guardò la carcassa di quella che era
stata la sua pizza
margherita con desolazione «L’hai distrutta, anche
volendo non posso fare di
meglio. Guarda come l’hai ridotta!»
Arianna lo imitò e sollevò
l’angolo destro della bocca in una
linea saccente «Non devi vergognarti se ti serve
aiuto»
«No grazie. Me la
caverò»
Dieci minuti dopo, la situazione era disastrosa e
Arianna non
perse l’occasione di prenderlo in giro per tutta la durata di
quella cena
improvvisata. Finì con lo spalmarle il pomodoro sulla
faccia, per ripicca,
senza considerare che l’indole dispettosa della ragazza
avrebbe segnato la sua
fine. Quando si ritrovò incastrato nell’angolo,
con le braccia a tenerle i
polsi mentre Arianna si dimenava grottescamente con le dita sporche per
macchiargli il naso, capì che al di là di tutto
lei non fingeva. Non
accantonava tutto, non si fingeva entusiasta e infantile,
quell’esuberanza era
reale, era lei.
Glielo leggeva negli occhi felini accessi
d’entusiasmo, in
quella risata contagiosa che lo portava a ridere a sua volta.
Alla fine di quello scontro tra titani, Demian si
passò la
mano sulla guancia e considerò «Devo farmi una
doccia»
«Ne hai un po’ anche sui
capelli!» ridacchiò sommessamente
lei, accasciandosi sulla sua spalla «Però non
è così male mangiare insieme.
Visto?»
La cinse con un braccio ridendo, gli sembrava di
avere
accanto una bambina che aveva sfogato tutte le sue energie ed ora era
sfinita e
letargica.
«Magari la prossima volta cuciniamo
qualcosa a casa mia, ok?
Sei peggio dei bambini, sei tutta sporca» ridacchiarono e si
picchiarono dentro
con le spalle.
Le parole che Daniele le aveva rivolto gli
ritornarono alla
mente però, ed un tratto s’incupì.
Anche la risata di Arianna andò smorzandosi.
Avrebbe voluto sapere perché suo padre
non ci fosse, a quel
tavolo, quale fosse esattamente la situazione che lei diceva
condividessero.
Pensò che forse era proprio il padre di Arianna a stare
male, gli altri
sembravano stare tutti bene e lui era l’unico assente
inspiegabile.
Anche lei parla come
una persona che sta perdendo qualcuno
Non posso chiederle
una cosa tanto importante se non se la sente di dirmelo.
Io non gli avrei
detto di maman, se non l’avesse già conosciuta
«Annie…»
Tatto, usa il tatto
Non puoi ignorare
quello che è successo… non è sano
«Come stai?»
Silenzio.
Il buio sembrava più fitto in
quell’improvviso nulla di
parole.
Arianna gli si accoccolò al petto, la
fronte gli sfiorò la
clavicola, alla ricerca di un rifugio, lo stesso che quel pomeriggio
anche lui
aveva trovato nell’abbraccio di lei. Sentì che non
poteva abbandonarla, che
erano due anime simili in maniera dolorosa, si portavano addosso una
solitudine
diversa, una seconda triste pelle che respingeva il mondo. Era un
sentimento di
comunione così raro che andava preservato.
«Sto bene, tranquillo. Non dare troppo
peso a quello che è
successo. Tra fratelli è normale litigare, no?»
prese fiato e si scostò per
guardarlo negli occhi e sorridere «Ma probabilmente tu non lo
fai mai. Tu adori
Sarah»
«Anche tuo fratello ti vuole
bene»
Era tanto affezionato a lei da diventare morboso,
non ci
voleva uno scienziato per capirlo. Il labbro inferiore le
tremò, le iridi
smaltate di verde si inumidirono ancora e Demian pensò che
avrebbe pianto: per
qualcuno come lei, che aveva imparato ad esprimere solo la propria
gioia e non
il dolore e la frustrazione, sarebbe stato un bene. Però
Annie si piantò gli
incisivi buffi nelle labbra e si costrinse a sorridere ancora, con gli
occhi
tristi.
«Lo so. Davvero, non ne ho mai
dubitato»
Demian le sfiorò la linea della
mandibola con la punta delle
dita, a definire il contorno del suo viso tanto bello,
deglutì e un groppo si
incastrò in gola.
«Un giorno mi dirai di cosa stavate
parlando?» gli sfuggì. Non
voleva chiederle nulla ma sì, realizzava, quasi con
meraviglia, che avrebbe
voluto sapere, che era davvero interessato a sapere. Arianna prese le
distanze
e scrollò la testa in un gesto di noncuranza
«È una sciocchezza di poco conto»
Demian riabbassò il braccio lentamente,
si sentiva già
svuotato, non era bravo a discutere e due muri non si scavalcavano a
vicenda,
restavano radicati nella loro rigida posizione. Strizzò le
labbra in un moto di
stizza e annuì piano, colmo di rancore per quella
confessione mancata.
Lui le aveva dato Sarah, le aveva parlato
dell’unica ragione
per cui esisteva. Arianna era stata un incentivo abbastanza grande da
spingerlo
a parlare di sua sorella, ma lo scambio non era stato vicendevole, non
le aveva
trasmesso il medesimo senso di sicurezza.
«Non prendertela»
«Non me la sono presa»
Arianna sospirò e nel suo viso spianato
dalla serenità tornò
il tormento «Sì invece»
torturò il labbro inferiore «Lo farò,
ma non ora. È
meglio, veramente. E poi davvero è meno importante di quanto
sembri»
Annuì ancora, si era già
rassegnato a rispettare il suo volere.
Per i propri standard si era spinto fin troppo oltre
l’insistenza e non avrebbe
tollerato di farle altra domande. Che Arianna facesse qualunque cosa
pur di non
dare mai spiegazioni era ormai evidente, e Demian si ripromise che, da
quel
momento in poi, qualunque cosa fosse successa, avrebbe aspettato che
fosse lei
a confidarsi e avrebbe ingerito qualunque pretesa di risposte che in realtà
non lo riguardavano.
«Ho
promesso a tua madre che non ti avrei fatto
fare tardi» le fece notare, per cambiare argomento. Annie si
aggrappò al
cordoncino del suo giubbino e iniziò a giocarci
distrattamente
«Non è tanto tardi»
«Non è nemmeno
presto»
Gli mise il broncio, una paperella stizzita sporca
di
pomodoro secco.
«Non vuoi andare a casa»
Annie scosse la testa in segno di diniego, senza
dipanare la
fronte corrucciata e alzare gli occhi dal cordoncino, come fosse la
cosa più
incredibile e particolare mai vista invece di un pezzetto di corda
usurato dal
tempo.
Demian prese fiato e raccolse un po’ di
coraggio
Più autolesionismo
che coraggio, non prenderti per il culo da solo
«Resti a dormire da me
stanotte?»
Arianna abbandonò quel maledetto
cordoncino per guardarlo
negli occhi, nel momento meno opportuno visto l’imbarazzo
infantile che lo
stava ghermendo
«Non pensare male, volevo solo stare con
te. Per non
lasciarti sola intendo. Se non vuoi vedere tuo fratello, intendo!
Sarò un
perfetto gentiluomo»
La disgraziata rilassò le spalle e gli
sorrise «Come avere
una sorella, insomma!»
«Vorrei
continuare a fare la pipì in piedi, se non ti dispiace! E
non ti farò le
treccine» stranamente, riuscì a farla ridere di
gusto. La simpatia non era mai
stata il suo vessillo, strapparle una risata sincera e diventare il
Gauguin del
duemila sembravano imprese impossibili allo stesso livello.
«Ok, va
bene» ridacchiò lei, sollevando gli occhi al cielo
«Però domani dovrei essere
in ospedale per le nove»
«Nessun
problema»
«Potresti
non sorridere come un pirla? Sarai la mia sorellina per una notte, non
farti
strane idee, caro il mio marpione del parcheggio!»
Se il
ponticello di legno gli fosse mancato sotto il sedere e fosse
precipitato a
terra dritto sull’osso sacro, avrebbe desiderato di meno
avere una pala da
tirarsi in testa per poi auto-seppellirsi.
«Non
stavo pensando niente di strano, non sono un marpione!»
urlò in un’istintiva
difesa inconscia per la quale si vergognò ancora di
più. Aveva la pelle calda,
doveva essere arrossito.
La situazione
non poteva peggiorare.
«E
comunque non c’è problema. Ti do un passaggio
io» riprese per far cadere
l’argomento e spostarsi su lidi più tranquilli e
agibili anche per lui. La
osservò asciugarsi gli occhi lucidi, questa volta per
l’eccesso di risate.
Bene, prendermi in giro ormai è
diventato
uno sport.
«Posso
mandare un messaggio a Luca con il tuo cellulare?»
Ancora
immusonito, se lo sfilò dalla tasca e glielo porse. Arianna
iniziò a digitare
velocemente sulla tastiera, ma prima di spedirlo si fermò a
guardarlo a sua
volta, con perplessità
«Ma tu a
scuola non ci vai mai?»
Scosse i
capelli e si mise a ridere. Lei e Sarah avevano davvero molto in comune.
«Sono un artista.
Io non studio, io creo!»
***
«Non
hai mai pensato di andare a vivere con i tuoi zii?»
Demian
non si aspettava quella domanda. Sdraiato sul suo letto,
scostò il braccio che
gli copriva il viso per poterla guardare mentre si aggirava incuriosita
per la
stanza, un animaletto selvatico in cattività.
«Qualche
volta»
Lalami,
appallottolata contro il suo petto, si stiracchiò stendendo
le zampine goffe da
orsetta. Era troppo tenera in quei momenti, quando dormicchiava e
poteva
scorgere solo la linea rosa degli occhi chiusi, sembrava eccessivamente
piccola, delicata, gli veniva voglia di stringerla fortissimo e
riempirla di
baci. A volte le faceva le pernacchiette al pancino, ma questo non lo
avrebbe
mai ammesso nemmeno sotto tortura.
Vista
la presenza di Arianna nella camera, si
limitò ad accarezzare la cucciola con fare distratto. Annie
nel mentre non
aveva smesso un solo istante di osservare ogni dettaglio: si era
incantata di
fronte all’unica parete sgombra e la studiava con lo stesso
rapimento dedicato
ad un’opera d’arte. Demian ne provava un discreto
imbarazzo. Aveva rivestito
lui stesso il muro con un pannello di legno e nel tempo lo aveva
riempito di
immagini e scritte.
Era
il suo muro delle meraviglie, o meglio la più banale e
becera espressione della
sua giovinezza ribelle e incompresa. Lo faceva stare bene riportare per
iscritto le citazioni che più lo affascinavano, eppure
davanti ad un estraneo
che frugava quei pensieri si sentiva ridicolo.
«”Il
n'y a pas de néant. Zéro n'existe
pas. Tout
est quelque chose. Rien n'est
rien”» lesse Arianna
goffamente a bassa voce, in un sussurro, e
poi si voltò appena, lo guardò con le labbra tra
i denti e una guancia gonfia,
il cipiglio aggrottato e buffo di chi cerca di sbrogliare un pensiero.
Era
terribilmente espressiva, Demian gliene dava atto. In realtà
era proprio quella
sua capacità di giocare con il proprio volto, neanche fosse
di gomma, a
renderla già di partenza, senza bisogno di parole,
così dannatamente
interessante.
«”Non
c’è il nulla. Zero non esiste. Ogni cosa
è qualche cosa. Niente non è niente”»
tradusse istintivamente per lei.
«L’ho
già sentita»
Le
sorrise «È una citazione di Hugo. Lès
Miserables, per l’esattezza. Se guardi
nell’angolo in basso ce n’è
un’altra
sempre sua» esitò, si grattò il collo
pigramente e aggiunse incerto «È uno dei
miei scrittori preferiti»
Guidata
dalle sue parole, Arianna si era già chinata ad esaminare il
luogo incriminato «”Tous
les hommes sont la même argile. Nulle
différence, ici-bas du moins, dans la
prédestination. Même ombre avant, même
chair pendant, même cendre
après”»
«”Tutti gli uomini sono fatti della stessa
argilla; nessuna differenza, almeno quaggiù, nella
predestinazione; la medesima
ombra prima, la medesima carne durante, la medesima cenere
dopo”» Arianna si
lasciò sfuggire un sospiro gravido di rammarico.
D’un tratto pareva afflitta,
avvolta da un nuvolone carico di pioggia. Demian non la capiva, aveva
uno
spettro emotivo così vario da mandarlo in confusione.
Tentò ancora di sorriderle
«Cosa
ti prende adesso?»
I
suoi eccessivi sbalzi d’umore gli davano il capogiro, un
momento sembrava
avesse raggiunto il Nirvana, l’attimo dopo si oscurava e una
tristezza
inspiegabile rendeva la sua aura nera e pesante.
«Ti
pesa molto, non è vero?»
Il
muscolo della mascella si contrasse in uno spasmo involontario. Finse
confusione, non aveva effettivamente afferrato che cosa intendesse, ma
lo
intuiva e quella domanda non gli piaceva per nulla. Sperava di
scoraggiarla, ma
Arianna accennò un sorrisino compassato.
«Sono
una stupida, non ci avevo mai pensato. In verità nemmeno ci
ho mai fatto caso.
Ma il resto del mondo sì, né? L’ho
capito dalla faccia della mamma… e da quello
che ti ha detto Dani» si afferrò il braccio
sinistro, stretta in se stessa in
quel modo sembrava ancora più sottile «Mi dispiace
di essere stata… indelicata.
Avrei dovuto avere più tatto, pensarci. Era per questo che
non volevi venire a
casa mia?»
«Non
voglio che ci pensi» il tono eccessivamente lapidario la fece
sussultare. Si
mise a sedere e abbozzò un sorriso che voleva essere
rassicurante, per farle
capire che non era arrabbiato. Quando esitava, gli occhi di Arianna si
spalancavano e ingrandivano al punto che gli sembrava potessero
inghiottire
qualunque cosa, un buco nero senza ritorno, lo scivolone più
spaventoso e
imprevisto della sua vita. Dubitava ci si potesse realmente abituare
alla
profondità di uno sguardo tanto innocente.
«Io
non ci penso mai, quando sto con te. È bello, per una volta.
Essere “normale”
intendo. Almeno, esserlo più o meno» solamente ad
osservarla gli veniva da
ridere, aveva un’aria disastrosa e arruffata, una piccola
catastrofe che si
aggirava in casa sua con l’aspetto di una ragazzina gracile
dai capelli ricci
ribelli e spettinati raccolti in una coda quasi del tutto sfatta, una
bretella
della salopette scivolata sgraziatamente dalla spalla esile
«Accanto a te
praticamente chiunque risulta normale, anche io!»
Arianna
si gonfiò come una vecchia gallina offesa e
sfoderò una linguaccia infantile
accompagnata da una poco elegante pernacchia. Le si leggeva in viso che
comunque era sollevata e le aveva tolto un peso.
Di
lei gli piaceva l’inconsapevolezza. Quando ci rifletteva, gli
pareva quasi che
Annie avesse vissuto una vita fuori dal mondo e le mancassero alcune
nozioni
base che si apprendono solo a contatto con gli altri. Come i
pregiudizi. Per
questo preferiva che un argomento delicato come il suo albinismo non
venisse
toccato più, non con lei almeno: il solo pensiero che
potesse iniziare ad
apparire estraniante anche agli occhi di Arianna era insopportabile,
non
avrebbe retto la pietà da lei, la sua diversità
sarebbe stata troppo reale, se
anche un occhio privo di giudizi a priori lo avesse compatito.
«Beh,
visto che dormo qui, dammi qualcosa da mettere. Non ho il
pigiama!»
Si
risvegliò bruscamente dal suo stato ideale e
realizzò in che situazione era
andato a cacciarsi. La saliva gli andò di traverso e quasi
si soffocò.
Tossicchiò,
cercando di riprendere il controllo.
Sei
un idiota. Come avevi fatto a non
considerare che avrebbe messo qualcosa di tuo?
Il
pensiero di vederla con indosso una delle sue magliette era
estremamente
eccitante, fece un rapido calcolo e imputò la colpa di
quell’improvvisa
perversione al troppo tempo trascorso dal suo ultimo incontro con
Elena. Era in
astinenza, e non era il massimo avere intorno una ragazza come Arianna,
per lui
evidentemente ideale e bellissima.
«Primo
cassetto» raffazzonò una risposta senza guardarla,
schiarendosi poi la voce
arrochita. Arianna recuperò dalla cassettiera vicino
all’armadio la prima
maglietta della pila, che risultò essere quella dei Bon Jovi.
«Quindi
è questo il tuo vero genere?» constatò
con un ghigno.
«Ovviamente!
E quella è nuova, vedi di trattarmela bene»
Arianna
la girò per guardare le tappe del Tour sul retro
«Ah, ma è di quest’anno!»
Demian
si lasciò andare ad un sorriso gongolante pieno di
soddisfazione, che poco
aveva a che fare con le sue consuete smorfie sornione
«Ventisette giugno,
esatto! Abbiamo fatto una fatica assurda ad andare, Jules aveva la
maturità e
ha fatto un sacco di storie, ma ne è valsa la pena.
È stato uno dei concerti
più esaltanti della mia vita! E poi vuoi mettere? Sentire Livin’ on a player dal vivo
è tutta un’altra cosa, ha proprio
un’energia diversa! E vogliamo parlare di
Bad Medicine? Credo di non aver mai urlato tanto! Se ci penso
mi viene
voglia di cantarla ancora!»
Ammutolì
perché Arianna era scoppiata a ridere «Credo di
non averti mai sentito parlare
tanto! Te lo giuro, è la primissima volta. Me lo devo
annotare che la musica ti
esalta parecchio!»
Si
morse l’interno della guancia e per dignità
personale tentò di mascherare il
disagio sollevando gli occhi al soffitto.
«Non
è che mi esalti… mi aiuta a creare.
Circa»
Una
verità a metà era meno dannosa di una completa
bugia. Era la droga a renderlo
creativo, la musica era più che altro una reminiscenza
infantile,
un’associazione mentale a sua madre.
Forse
anche a suo padre.
Probabilmente.
Ma
non lo avrebbe mai ammesso e nemmeno accettato.
«Bene,
vado a cambiarmi. Il bagno dove è?»
Abbassò
la testa e borbottò le indicazioni, poi si sdraiò
dandole la schiena, per non
mostrarle chiaramente che il pensiero di lei nuda bastava a farlo
arrossire.
Pensava di essere diventato abbastanza immune, Elena lo aveva abituato
a
situazioni molto più estreme e imbarazzanti, ma
c’era qualcosa in Arianna che
gli rendeva tutto più difficile.
Mi
verrebbe voglia di andare a dare
un’occhiata, giusto per farmi un’idea.
La
trovata peggiore che avrebbe potuto avere, Annie gli avrebbe spaccato
la testa
senza remore. Poche ore prima l’aveva vista in uno stato di
alterazione
abbastanza aggressivo da renderlo più consapevole dei rischi
in cui sarebbe
incappato se l’avesse fatta arrabbiare.
Non
ne vale la pena, è troppo
violenta. Se mi prende è la volta che è lei ad
uccidermi
«Ehi Dem, mi senti?»
la sentì urlare oltre la porta chiusa del bagno.
«Sì»
«Che altro ascolti?»
Si grattò la testa,
riflettendoci senza troppo sforzo «Mhm, non saprei. Direi
tutto»
La sentì ridere
ancora «Troppo generale, non riesco a farmi un’idea
così. Potrei pensare, che
so, che magari ascolti Gigi D’Alessio»
Aggrottò le
sopracciglia «E chi sarebbe?»
«Appunto!» esclamò
ancora lei con tanta ovvietà e forza che quasi gli pareva di
averla lì accanto
e non ci fosse un tratto di corridoio e un muro a separarli. Anche sua
madre
aveva la brutta abitudine di parargli da camere di distanza, era una
cosa che
lo faceva impazzire perché maman era sorda e non sentiva mai
le sue risposte,
così lo costringeva sempre o a raggiungerla, interrompendo
qualunque cosa
stesse facendo, o ad urlare ancora più forte.
Ci si scorticava la
gola, a parlare con quella donna impossibile.
«Voglio dei nomi,
sei sempre troppo vago!»
Scattò nuovamente a
sedere, basito «Che eresia hai appena detto? Io sarei troppo
vago? Vogliamo
parlare di te?»
Il cigolio della
porta del bagno che si schiudeva e la voce nitida di Arianna che
sbuffava
impaziente «È completamente diverso come lo faccio
io!»
Si ritirò lasciando
la porta aperta, perché Demian sentiva perfettamente il
rumore dell’acqua che
scorreva nel lavandino.
«Io non ci vedo
questa grande differenza»
«Pensi di
rispondermi o no?» non lo disse nitidamente, Demian dovette
decodificare le
parole della frase, bofonchiata a bocca piena. Si stava lavando i denti
con lo
spazzolino di riserva che le aveva ceduto, ma questo non bastava di
certo a
zittirla.
«Scorpions, Ufo,
Police, Rolling Stones, Green Day, Red Hot; è difficile,
davvero ascolto di
tutto. Ah, gli Iron Maiden, Nightwish, i Clash. Oh, e sopratutto i Sex
Pistols
e i Led Zeppelin»
In realtà pensare a
qualche nome apriva la porta ad un’infinità di
nomi, era difficile fare una
selezione musicale per lui, che spaziava dal genere classico al rock,
dal metal
al pop. I suoi gusti erano incongruenti quanto la sua stessa persona.
Nella sua
testa la lista proseguiva, un vano tentativo di non pensare ad Arianna,
nella
stanza vicina, che si spogliava per indossare i suoi vestiti. Una prova
di
forza di volontà inaspettatamente difficile.
«Ci sono! Lavata e
vestita, non potrai più lamentarti che sono appiccicosa di
Coca Cola» Annie
spuntò nel suo campo visivo raggiante e soddisfatta, e
Demian rischiò di nuovo
l’auto-soffocamento.
«Vestita è una
parola grossa!»
La maglietta, per
quanto su di lei immensa, la faceva sembrare più svestita
che altro. Le
arrivava a metà coscia e concedeva una perfetta visuale
delle sue gambe, un po’
magre ma lunghe e flessuose come le aveva immaginate. La taglia
eccessiva
rendeva lo scollo troppo ampio e questo era finito per caderle, come
quasi ogni
maglia, sulla spalla, mostrando la linea perfetta della clavicola e
dando un
colpo definitivo alla sua già galoppante fantasia sessuale.
Ha le spalle troppo
sottili, non c’è altra spiegazione,
non è possibile che qualsiasi maglietta metta il risultato
sia sempre lo stesso!
Le avesse gettato
addosso un sacco di iuta probabilmente avrebbe ottenuto ancora un
effetto da
cartone giapponese osé di dubbio gusto. Con i riccioli
sciolti sulla schiena e
le spalle, ad accarezzarle la pelle candida, era davvero bellissima. Se
poi
sommava al suo corpo quell’aria da bambina innocente e
smarrita appena uscita
dal paese delle meraviglie, le sue sinapsi collassavano per
surriscaldamento e
tanto valeva gettarsi ai suoi piedi e dirle che sì,
effettivamente poteva fare
di lui quello che voleva.
Arianna non aveva
una grande percezione di se stessa, e questo era ciò che
più di ogni altra cosa
lo fermava dal farle qualunque forma di avance o apprezzamento, era
assurdamente inconsapevole e si muoveva con una nonchalance disarmante.
«Guarda che non è
colpa mia se la tua maglia non è abbastanza lunga. E
comunque, di tutti quelli
che hai detto conosco solo i Green Day»
«Lo immaginavo»
borbottò, ma non stava veramente prestando attenzione. Stava
solo cercando di
non fissarla come un pervertito.
«Allora mi dai dei
pantaloni o devo davvero restare così?»
Demian sollevò
appena l’angolo destro della bocca, in un sorriso ferino con
il canino storto
scoperto «Potrei seriamente pensarci»
Annie s’imbronciò e
lasciò vagare gli occhi inquieti per la camera
«Almeno dimmi dove dormo»
Si sentì
decisamente provocato, in quel contesto, così decise di
renderle l’imbarazzo,
batté la mano sul letto accanto a lui e sfoderò
tutta la malizia di cui fosse
capace «Qui ovviamente» ammiccò.
Arianna trasalì e
quasi gli venne da ridere
Ecco, adesso come
minimo attenta alla mia vita. Ma almeno
ne è valsa la pena!
Sottovalutava
sempre quella ragazzina pestifera. Dopo un breve frammento di
smarrimento,
Annie sbatacchiò gli occhioni in una morbida espressione
colma di languore che
gli seccò la bocca. Mentre cercava di deglutire, o perlomeno
di respirare
scacciando qualunque pensiero non adeguato ad un’anima acerba
e candida come
quella di lei, Arianna si avvicinò lentamente, quasi
studiando ogni passo.
C’era una goffaggine immatura, in quel tentativo di fare la
predatrice, eppure
era tanto bella che persino la sua inesperienza la rendeva
più affascinante.
La osservò chinarsi
verso di lui, accostare pericolosamente il viso al suo.
Demian deglutì a
vuoto e pensò che forse non era vero che doveva accantonare
tutte le sue
fantasie sessuali, forse Annie ci sarebbe anche stata.
Era veramente
troppo bella per non sperare che ci stesse.
Arianna strusciò la
punta del naso sul suo collo, ne sentiva il respiro caldo e leggero,
trattenuto, e il contatto di quella punta irriverente che disegnava una
linea
invisibile sulla sua gola, fino all’orecchio. Quelle labbra
dispettose gli sfiorarono
la guancia nell’accenno di un bacio
«Dem…»
«Mmm?»
La sentì
allontanarsi bruscamente. Spalancò gli occhi, colto alla
sprovvista, e la
ritrovò a pochi centimetri da lui, con un sorriso immenso e
provocatorio «Ma
dai, davvero avresti voluto una cosa simile? È
così un cliché!»
Il suo ghigno
perfetto e perfettamente irritante che lo sfidava con irriverenza, lo
umiliò.
Le dedicò un’occhiataccia colma di disprezzo, per
riassumere un contegno e
nascondere la portata della delusione.
Sei un idiota, ha
ragione lei. Come cacchio hai fatto a
pensare che fosse seria.
«Ti stavo solo
assecondando» arricciò il naso.
Arianna gli sorrise
e scrollò le spalle «Quindi, quando mio fratello
si guarda i porno veramente
vorrebbe certe cose. Adesso sono un po’ turbata! Dai, fammi
posto»
«Che?»
«Hai detto che
dormo qui, no?»
Ora il turbato sono io!
Considerando che
aveva davanti un’ingenua senza speranza, forse più
di quanto non lo fosse stato
lui qualche minuto prima, e considerando che era bella, bella in modo
assurdo,
che gli rimestava qualcosa che proprio non riusciva a spiegarsi, la
situazione
per lui stava sfiorando un limite pericoloso. A pensare di toccarla si
sentiva
sbagliato, come se facendolo stesse provando a sporcare qualcosa di
pulito. La
medesima impressione che gli restava addosso quando nevicava ed era
costretto a
rovinare la purezza e la compattezza di tutto quel bianco con le
proprie
impronte, scalfendo così un’ideale di perfezione.
Arianna era perfetta, forse
in quel momento più di quanto non lo sarebbe mai stata in
futuro. Forse perché
pecche ancora non poteva averne, non gli era dato di conoscerle,
avvolta com’era
in quel suo alone di sorrisi furbi e traviatori.
Quel limite, per
quanto davvero lo desiderasse, non lo avrebbe mai varcato. Avrebbe
fatto il
bravo
Arianna non
è Elena
In realtà, in quel
preciso istante, Annie era esattamente ciò che era stato lui
a suo tempo di
fronte all’infermiera: un’inconsapevole.
Però nemmeno lui sarebbe stato Ellie,
non avrebbe commesso lo stesso errore, non avrebbe fatto mosse che lo
avrebbero
fatto pentire in futuro, non mentre Arianna gli si affidava con cieca
fiducia
in un momento di debolezza e sconforto in cui cercava solo un luogo
sicuro dove
nascondere la testa dalle cose brutte.
Avrebbe rispettato
il suo bisogno e le avrebbe permesso di fare lo struzzo e di cacciare
la testa
sotto la sabbia, almeno per quella notte. Aveva perso il conto delle
volte in
cui lui stesso avrebbe desiderato quella gentilezza e quella
comprensione per
sé.
Si alzò e recuperò
dall’armadio un paio di pantaloncini neri da calcio, che le
passò senza dire
nulla. Arianna li afferrò al volo, ridacchiò e li
indossò senza fare storie.
Poi scostò Lalami,
ancora stravaccata sopra le coperte, e si infilò nel letto.
«Su, ti faccio
posto, muoviti!»
«Ma che stai…»
Arianna si sfregò
gli occhi con le mani a pugno, un gesto che aveva il gusto di una
regressione
all’infanzia dovuta alla stanchezza.
«Dormo, ovvio. Ho
tanto, tanto sonno. Spegni la luce, per favore?»
Demian rimase
interdetto, immobile per qualche istante, a fissare
quell’alieno in forma umana
che aveva impunemente occupato il suo territorio. Poi
sospirò rassegnato, prese
Lala in braccio e si arrese «Allora io vado in camera di
maman. Buona notte»
Arianna si sporse
subito e si affrancò alla sua maglietta per trattenerlo con
inaspettata forza
«Non serve, resta
qui. Tanto ci stiamo. Non sono abituata a dormire da sola, condivido la
stanza
con Giorgi, se sono sola non prendo sonno»
Tentennò, rimase in
piedi di fronte a lei come un perfetto sciocco. Lalami, tra le sue
braccia,
aveva preso a leccargli e smangiucchiargli parte della maglietta,
Arianna
restava a guardarlo dal basso, quasi con supplica, come se davvero il
pensiero
di dormire sola le mettesse angoscia. La sua aria spaurita gli diede
l’incentivo che non riusciva a trovare.
Non è una
buona idea, è una pessima idea
La sua sanità
mentale sarebbe andata definitivamente in pensione, ma si riteneva in
bilico
già da così tanto tempo che una spintarella in
più verso il baratro non avrebbe
fatto una differenza eccessiva. Sistemò Lala in fondo al
letto, spense la luce
e la raggiunse sotto la coperta. Le diede la schiena, ma questo non
fermò
Arianna che si accoccolò vicino a lui prima di cacciare un
profondo sbadiglio.
Gli sembrava
impossibile contemplare seriamente di addormentarsi.
La sentiva a
ridosso del suo corpo, sentiva le gambe fredde che sfioravano le sue,
sentiva
la presa a pugno di quelle mani tonde affrancate alla sua maglia.
Il profumo dei
riccioli sparsi sul cuscino.
E si meravigliava
di se stesso. Negli anni si era convinto di aver sviluppato uno
standard troppo
alto con le donne, per colpa di Elena. Qualunque ragazza gli si fosse
avvicinata, non era mai riuscito a provare più di un banale
apprezzamento,
un’attrazione pigra e blanda. Arianna invece pareva la
bellezza personificata,
ed era ridicolo perché non era vero. In uno spietato
confronto con Elena, Annie
razionalmente avrebbe perso. Ellie era l’incarnazione della
bellezza da rivista
patinata, inarrivabile e da togliere il respiro, concreta. Troppo
concreta, una
bellezza profana.
Eppure,
l’attrazione che in quel momento lo rendeva una statua di
ghiaccio non l’aveva
mai sentita prima e ne provava quasi un senso di panico.
I piedi di Arianna
s’infilarono a tradimento tra i suoi.
Questa ragazza non
conosce pietà!
«…Ehm. E tu Annie?
Che musica ascolti?»
La sentì mugugnare
una risata contro la sua spalla «Inorridirai di
sicuro»
«Prometto che non
farò l’acido»
«Mi piacciono gli
883. Ah, anche i Beach Boys» nel momento stesso in cui lo
disse si mise di
nuovo a ridere «Le loro canzoni mi mettono sempre di buon
umore!»
Aggrottò le
sopracciglia nello sforzo di ripescare qualcosa dai meandri della sua
memoria,
ma si rese conto ben presto di non avere idea di chi fossero.
«E chi sarebbero?»
Ed eccola che
sbuffava già esasperata «Lo sapevo. Dai, non puoi
non conoscerli per davvero!
Hai presente Surfin USA?»
Si morse l’interno
della guancia, ma non fece in tempo a negare che Arianna si era
già lanciata in
un canto in falsetto terribilmente stonato
«If everybody
had an ocean
Across the U.S.A
Then
everybody’d be surfin’
Like
California…»
Demian rotolò sul
fianco per potersi girare e tapparle la bocca prima che si spingesse
troppo
oltre
«C’est bon! J’ai
compris!»
Percepì sulla pelle
le labbra di quella disgraziata incurvarsi in un ghigno divertito, e
subito si
scostò da lei come scottato. Era già ustionato,
se proprio avesse voluto essere
onesto con se stesso, ma piuttosto si sarebbe tagliato una mano.
«Ecco, più o meno
ascolto questo» riprese lei, ignorando quasi certamente di
proposito il suo
improvviso irrigidimento. Poi sbadigliò ancora e Demian ne
approfittò per
scacciare il disagio
«Dovremmo dormire»
Le diede nuovamente
la schiena, sperando di salvarsi e di porre fine ad una conversazione
che non
avrebbe mai dovuto iniziare, ma Annie tornò ad appoggiarsi a
lui.
«Qual è la cosa
più
bella che hai mai fatto per qualcuno?» gli mormorò
ad un tratto, soffocando le
parole nella stoffa.
Demian deglutì e
provò una vertigine strana, l’impressione di
cadere dal letto dopo uno spasmo.
Che domanda del cavolo
Pensò di ignorarla,
di fingere sonno. Però quelle parole gli giravano in testa e
frugavano nella
sua memoria. Non riteneva di aver fatto molte cose belle nella sua
vita, se ci
rifletteva si accorgeva di quanto fosse ristretto il campo delle sue
buone
azioni.
Ad un tratto, il
sorriso di maman affiorò tra i ricordi. L’aveva
fatta sempre più piangere che
ridere, ma era capitato che gli riuscisse di renderla felice, qualche
volta.
«Un fiore»
bisbigliò a sua volta, senza sapere davvero
perché sentisse la necessità di
condividere con lei quell’ombra di se stesso, del bambino che
era stato. Forse,
non voleva sembrare vuoto, una raccolta di fallimenti, forse voleva che
Arianna
sapesse che almeno una volta non era stato un mostro. «Una
volta, da bambino,
ho fatto un fiore di carta colorata. Pour maman»
Ricordava quel
giorno come un momento surreale della sua vita, una dimensione di sogno
troppo
distante, che se si fosse stiracchiato in quel momento forse avrebbe
scordato
subito. Jenevieve si era chinata, alla sua stessa altezza gli aveva
scompigliato i capelli.
Gli aveva sorriso.
Gli aveva sorriso
veramente, un sorriso rivolto a lui e solo a lui, intriso di una tale
dolcezza
che per una volta si era sentito come l’unica cosa preziosa
al mondo per lei.
La ricordava con i capelli raccolti in una coda morbida sulla spalla,
di un biondo
dorato e splendente alla luce, la ricordava con un grembiule, forse
stava
cucinando.
Nella sua memoria maman
non era mai stata più bella di quel momento, con quel
sorriso sottile e
malinconico.
«Quella volta mi ha
sorriso»
Non gli aveva più
sorriso così, non era mai più riuscito a farla
felice come quel giorno. Per
questo gli occhi di sua madre non si erano più soffermati su
di lui ma
l’avevano sempre attraversato per andare oltre, e quella
piega delle labbra,
calda e triste, era diventata sfuggente e fatata, inafferrabile.
Lontana da
lui.
Eri così
bella, maman. Come stai ora?
Pensarla era
troppo. Avrebbe davvero voluto andare a trovarla, ma non ci riusciva,
non
riusciva a sopportare l’idea di trovarsela di fronte, spoglia
di ogni
possibilità di salvezza.
Perché stai
così male.
Perché devi
morire?
Avrebbe voluto che
lei avesse le risposte. Maman aveva una risposta per tutto, eppure non
era in
grado di spiegargli perché dovesse restare da solo. E se non
poteva dare un
senso a tutto, allora Demian voleva solo dimenticarla, per non sentire
più quel
vuoto immenso al centro dello stomaco.
«E la cosa più
egoista che potresti chiedere a qualcuno?»
Demian si inquietò
«È
una domanda strana»
«È una domanda come
un’altra. La risposta?»
«Probabilmente
chiedere di amarmi. E tu, Annie?»
La immaginò
arricciare le labbra nel buio, lo faceva quando rifletteva seriamente
su
qualcosa.
«Non farlo»
«Eh?»
«Non soffrire»
specificò «Non stare male»
Demian valutò di
alzarsi e accendere la luce, perché voleva capire il senso
di quelle domande e
voleva vedere quel viso chiaro dargli le risposte più oneste
che le parole
celavano. Eppure non si mosse
«Perché sarebbe
egoista?» chiese invece.
Annie sembrò
incerta, esitò «Perché non puoi ferire
qualcuno e chiedergli di non stare male
per avere la coscienza a posto, no?»
Non le rispose.
Paradossalmente,
aveva un senso, ma questo lo turbava solo di più.
Arianna gli
picchiettò la spalla con la mano «E tu
perché?»
«Perché ci sono
persone che non sono amabili e pretendere amore sapendo di non aver
fatto nulla
per meritarlo è egoismo»
Questa volta fu
Annie a tacere, probabilmente cercava a sua volta
d’interpretarlo. Nessuno dei
due possedeva la chiave per comprendere l’altro, Demian lo
capì come una
rivelazione. Si esponevano, ma non lo facevano davvero.
Per questo osò
porre una domanda a sua volta.
«E invece qual è la
cosa più brutta che hai fatto?»
Dubitava seriamente
che Annie avesse mai avuto occasione di fare qualcosa di veramente
brutto nella
sua candida vita. Certamente di cose belle doveva averne fatte molte,
però un
segreto c’era, una vena di senso di colpa irradiava dalla sua
piccola figura
appallottolata come un cucciolo contro la sua schiena, e avrebbe voluto
capirne
il motivo.
La sentì
ridacchiare e seppe che non ne avrebbe ricavato nulla. Quando iniziava
a
sorridere, Arianna decideva di nascondersi, questo lo aveva capito,
stava già
stemperando la serietà di una conversazione che aveva
iniziato lei.
«In realtà devo
ancora farla» lo colse di sorpresa, con la sua voce sottile
velata di
malinconia «Quando la farò, promettimi che non mi
perdonerai mai. Proprio mai.
Che ogni volta ti verrà in mente e sarai arrabbiato con
me»
Basito, lasciò che
le braccia di Arianna lo cingessero e lei si aggrappasse completamente,
restando rigido.
«Non so se
riuscirei ad avercela con te»
Ebbe paura delle
sue stesse parole, perché erano fin troppo oneste e vere,
non era sicuro di
poter provare rabbia o odio per una creatura tanto fragile, leggera in
quel
mondo e fuori posto per la realtà. Da una persona come lei,
Demian si rendeva
conto che avrebbe potuto farsi distruggere, glielo avrebbe permesso,
questo era
l’ascendente che riusciva ad avere su di lui.
Arianna sospirò,
sfregò la guancia contro la sua spalla e gli sorrise sulla
pelle «Non
preoccuparti, ce la farai. Scoprirai che odiarmi non è
così difficile»
Avrebbe voluto
sapere, ma non aggiunse nulla.
Rimase in silenzio
ad ascoltare quel respiro estraneo che si acquietava nel sonno.