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Autore: Enchalott    23/04/2018    9 recensioni
Zamasu è stato sconfitto e il capriccioso Zen-Oh-sama non ha ancora dato il via al Budokai Uchuichi. Non c'è mai pace, neppure in questo intermezzo che ho creato. Una storia che dovrebbe far sorridere e commuovere contemporaneamente.
"Bulma osservò a distanza i due Saiyan, ammantati di un fulgore straordinario, mutare occhi e capelli da neri in azzurri e sorrise. Goku era diventato un uomo. Aveva mantenuto la spensieratezza dell’infanzia e la candida ingenuità, che spesso lo faceva apparire uno sprovveduto. Ma la sua espressione, soprattutto quando si concentrava ed era nel suo elemento, rivelava una natura ben diversa, decisa e fiera. L’ultima immagine che aveva dell’amico era quella di lui che, giovanissimo, le presentava il piccolo Gohan. Poi, solo frammenti. Una voragine buia che le aveva rubato la storia d’amore con suo marito Vegeta".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Goku | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Inizio ringraziando tutte le persone che hanno avuto la premura di lasciarmi una recensione o che mi hanno scritto qualche parola in mp. Grazie per avermi apprezzata e inserita in una lista, non riesco ad esprimere appieno la mia felicità. ^^

Memoriae
 
Vegeta volò fuori dalla Capsule Corporation, lasciandola addormentata nel loro letto. Bulma non aveva riconosciuto la camera: aveva pensato inizialmente che fosse ancora quella di quando era ragazzina, ma aveva ostinatamente voluto restare lì, piena di speranza, ritenendo che le fosse d’aiuto per ricordare, a costo di dormire con un uomo che non conosceva. Che non riconosceva più.
Si diresse verso le montagne, lontano dal mondo, e atterrò su uno sperone tra le cime aguzze, dove nessuno l’avrebbe trovato. Dove nessuno l’avrebbe visto abbandonato alla disperazione. I suoi occhi si accesero come folgori, diventando blu. I capelli corvini virarono sullo stesso colore marino, raddrizzandosi. Un’energia spirituale intensa e fluttuante vibrò come una nota d’assolo, sprigionandosi feroce e creando un enorme cratere ai suoi piedi. Il picco roccioso tremò e si crepò, infrangendosi con un rumore sinistro.
Iniziò a urlare, come non faceva da tempo, mentre il suo ki divino si innalzava nella notte buia con rabbia, con sconforto. Gridò finché ebbe fiato, si espanse per non scoppiare di dolore, per buttarlo fuori al posto delle lacrime che non venivano, per conservarsi senziente, per non impazzire.
Un’aura familiare si concretò poco distante. Il principe riprese a contenersi, abbassando l’emissione di potere.
“Che vuoi, Kakarott?” domandò senza voltarsi.
“Ah, Vegeta…” sospirò Goku con i pugni sui fianchi.
“Lasciami in pace, sei sempre fra i piedi!”
“Ho sentito il tuo ki a miglia da qui. Lo sai perché sono venuto… e perché non mi leverò affatto di torno”.
Chi! Anche se sono il tuo principe, non ti ho mai dato un ordine, Kakarott… non costringermi a farlo ora! Vattene!”
“Andiamo, lo sai che non obbedirei mai…”
Vegeta si girò, lo sguardo affilato, orgoglioso, sfidante.
“… a meno che tu non riesca a sbattermi nella polvere!” continuò Goku con un sogghigno.
Si fissarono, comprendendosi senza ulteriori parole.
“Non chiedo di meglio” ribatté il primo, ricambiando la smorfia sagace.
Goku piantò i piedi a terra, mettendosi in posizione di combattimento e, in un silenzioso respiro, anche i suoi occhi e la sua chioma arruffata diventarono azzurri. La sua aura di super Saiyan God, tramutato in super Saiyan, la forma che chiamavano Blue, si elevò spaventosamente in alto. Si studiarono per un momento, concentrandosi sulla difesa dell’avversario, sui suoi ben noti punti deboli, memori delle raccomandazioni del loro comune maestro, il tenshi Whis.
Partirono all’attacco contemporaneamente, in uno sfavillio di luci, portando a segno le mosse, senza retrocedere, parando pugni e calci in una serie di movimenti impetuosi ed eleganti, che solo loro erano in grado di cogliere. Uno stallo pari in forze, in fierezza, in assenza di rassegnazione, in cocciutaggine illimitata.
Goku si smaterializzò con la trasmissione istantanea, per ricomparire alle spalle del rivale e prenderlo in improvvisata. Vegeta si lasciò avvicinare apposta e volteggiò all’indietro in una mossa repentina, che mirava a sua volta a spiazzare l’antagonista. Questi si arrestò a mezz’aria, concentrando l’energia nelle mani, in volo radente.
“Sei scoperto!” gli gridò il principe, assestandogli un colpo nel plesso solare.
“E tu hai pensato troppo al da farsi!” rispose Goku, esalando il fiato, ma restituendogli una botta parimenti pesante nella schiena.
Finirono entrambi a terra, in una strisciata di schegge, ansimando velocemente, ricoperti di pulviscolo e di strappi sugli abiti, studiandosi reciprocamente, mentre si reggevano a stento. Si rialzarono con uno scatto fulmineo e finirono a mani intrecciate, in equilibrio, spingendo l’uno contro l’altro la propria energia spirituale. Avrebbero potuto continuare all’infinito.
“Allora?” ansò Goku ridendo “Pareggio?”
“Pareggio” annuì Vegeta, parimenti soddisfatto.
Si sedettero, schiena contro schiena, boccheggiando esausti.
“Dici che Whis ce lo passa come allenamento supplementare?” sbuffò Goku trafelato.
“No di certo. Abbiamo di nuovo sbagliato”.
Il guerriero in dogi arancio rise di gusto, rifiatando, e continuò a fissare le stelle per non mettere a disagio il compagno.
“Ehi, Vegeta… va meglio ora?”
Il principe dei Saiyan scosse la testa, nascondendo furtivamente sia il sorriso, dovuto a quella complicità maturata nel tempo, sia la tristezza che gli velava gli occhi, varcando la soglia della sua naturale resistenza.
Hah… sì”.
“Questo scompiglio è colpa mia, mi dispiace” mormorò Goku serio.
“Non è colpa di nessuno, Kakarott…” rispose Vegeta con un sospiro.
La luna piena rendeva il cielo blu cobalto e faceva ribollire il loro sangue saiyan nei ricordi, anche se non avevano più la coda che li avrebbe trasformati in oozaru.
“E’ ora che vada. Sono uscito, senza avvisare Chichi, nel cuore della notte e adesso torno a casa conciato così… mi ucciderà di sicuro!”.
“Kakarott…” sogghignò il principe, rialzandosi.
“Eh?”
“Baciala come si deve”.
 
Vegeta si posò leggero sulla grande terrazza di casa, restando a braccia conserte a scrutare nell’oscurità, con mille pensieri per compagni. La sua Bulma non ricordava nulla. Nulla di lui. I suoi meravigliosi occhi blu l’avevano fissato con interessamento, ma senza riconoscerlo e lui era precipitato in un abisso senza fine. Si era sentito catapultato in un incubo fatto di mancanze, di strade senza sbocco, di porte chiuse. Ebbene, avrebbe sfondato il muro di quel maledetto labirinto per lei. Avrebbe cacciato in un angolo l’orgoglio per parlarle di loro ogni singolo giorno. L’avrebbe fatto subito, se fosse stato capace di dare libertà a quanto era nel suo cuore, così come lei aveva sempre fatto con lui, incendiandogli l’anima d’amore. Era troppo impacciato con i sentimenti, li aveva espressi, certo… ma quasi di riflesso, con timidezza, perché per un Saiyan esulavano quasi dall’inclinazione naturale. L’aveva presa tra le braccia e l’aveva baciata con passione, perché anche le stupide fiabe di Kakarott contenevano forse un granello di verità; perché non era mai stato bravo tanto con le parole quanto con la fisicità delle emozioni. Lei si era abbandonata a quel contatto, ma lui l’aveva percepita diversa: era lei, ma non lo era interamente.
“Vegeta-chan”.
Si girò di tre quarti al suono di quella voce familiare: sua suocera lo attendeva sulla soglia, l’espressione placida e sorridente, nonostante la situazione allarmante, i capelli biondi raccolti in uno chignon, infagottata in una spessa vestaglia rosa.
“Che ne dici di un tè?” domandò gentile.
Il principe annuì e la seguì all’interno.
La donna versò l’acqua calda nei bicchieri di ceramica e le piccole foglie scure si sollevarono, danzando nel liquido, che divenne verde chiaro. I piccoli recipienti erano decorati con delicati petali di sakura sparsi al vento: gli ricordarono quelli che volteggiavano nell’aria il giorno in cui aveva chiesto a Bulma di sposarlo, quando le aveva sussurrato ti amo, facendola piangere di gioia. Aggrottò la fronte, mentre il cuore, ferito, si dibatteva.
“Prima, Bulma ha parlato nel sonno. Ha fatto più volte il tuo nome.”
Lui sollevò il viso, sorpreso, stringendo il bicchiere.
“Vegeta-chan, io sono assolutamente convinta che i ricordi di mia figlia siano custoditi in uno spicchio della sua mente. Che non siano andati perduti. O non ti avrebbe chiamato, non rammentandosi davvero di te. Basterà solo far riaffiorare il passato e riemergeranno”.
Gli occhi nerissimi di Vegeta si specchiarono nel fluido fumante, come fiamme ardenti.
La signora sorseggiò composta la sua bevanda, gustandone l’aroma. Lo guardò, serena.
“Tu sei un uomo vero. L’unico degno di lei. Il solo che Bulma abbia mai amato. Questo genere di sentimento è impossibile da cancellare”.
Il principe arrossì leggermente e bevve a sua volta, inalando la fragranza tostata dell’infuso.
“Mia figlia non lo ammetterebbe mai, ma pochi giorni dopo il tuo arrivo alla Capsule Corporation era già pazza di te… e tu di lei, certo. Io me ne sono accorta subito, sai, nonostante il vostro prolungato sfoggio di testardaggine”.
Vegeta si riparò dietro al vapore che si esalava dal tè caldo, avvampando.
“Perciò” continuò la donna “Se la sua memoria, nella peggiore delle ipotesi, non dovesse tornare, sono certa che si innamorerebbe nuovamente di te e di nessun altro. Che tu riusciresti a conquistarla in ogni luogo e tempo”.
Lui sollevò lo sguardo fiero e orgoglioso di Saiyan, rivolgendole un sorriso obliquo appena accennato. Sapendo che aveva ragione. Non si sarebbe arreso mai. Per l’amore della sua vita avrebbe lottato contro chiunque.
“Ma questo non sarà necessario, perché mi sento fiduciosa!”
Vegeta si alzò, accomiatandosi con un cenno.
“Per la stessa ragione” concluse la signora Brief “Questa notte non pensare di non avere diritto di dormire con lei. Sei suo marito, l’unico che può scuoterla”.
In realtà, ci aveva pensato, per non mettere in difficoltà Bulma e perché erano settimane che non la vedeva e sarebbe stata una tortura non poterla toccare. Sua suocera, oltre a saperla fin troppo lunga, non aveva torto. Si arrestò sulla porta della cucina.
“Grazie, Panchy” le disse.
 
“Sei sconsideratamente avventata. Seguirmi per vedere Freeza, che idea assurda!”
“Non mi è parso che ti dispiacesse la mia temerarietà”
“Mio malgrado. Sei combattiva, terrestre…”
 
Un sogno, forse. O un altro ricordo stracciato e incompleto. Lui era in tutti i suoi flash back, misterioso e affascinante. Forte, implacabile, terribilmente impavido. Lui era anche accanto a lei, poco discosto, perso nel sonno. Non si era tolto gli abiti da combattimento e non si era neppure infilato sotto le coperte, forse in segno di rispetto.
Sua madre le aveva raccontato, mentre sfogliavano gli album di fotografie nel vano tentativo di risvegliare in lei qualcosa, che lui e Goku, all’inizio, erano nemici e che, in seguito, avevano gradualmente appianato le divergenze; che avevano salvato il pianeta reiterate volte, viaggiando addirittura nel tempo e ingaggiando battaglia con le divinità che ne avevano decretato la fine. Chi l’avrebbe mai detto, che la Terra sarebbe stata difesa proprio dagli alieni che avrebbero dovuto conquistarla?
Il Saiyan dormiva su un fianco e il colorito ambrato del suo viso spiccava sul candore delle lenzuola, che erano in contrasto anche con i suoi lucidi capelli neri, ribelli alla legge di gravità. Le sue labbra erano lievemente piegate all’ingiù, come se sorridere per lui fosse un evento raro; ripensò al bacio che le aveva dato e all’emozione dirompente, che le si era scatenata in anima e corpo, chiarendole che, anche con la memoria azzerata, non poteva essere un uomo qualsiasi per lei. Gli occhi chiusi e le ciglia seguivano la linea allungata delle sue palpebre, disegnandogli ombre leggere sugli zigomi: anche nella quiete, emanava un potere straordinario, che si evinceva dal fisico asciutto e muscoloso, del quale la dogi aderente delineava le forme armoniose e perfette. Non indossava né i guanti bianchi né gli stivali che gli aveva visto portare in precedenza; un braccio, abbandonato sulle coltri, era teso verso di lei, come se, anche da addormentato, volesse percepire la sua vicinanza. Certo era in grado di farlo, come i guerrieri padroni della loro energia spirituale, come Goku, che proveniva dal suo stesso pianeta. Anche quella notizia era stata uno shock. Ma avrebbe dovuto immaginare che l’amico d’infanzia non potesse essere un terrestre.
Allungò la mano e sfiorò la sua: il principe mosse le dita, destandosi immediatamente dal sonno leggero che lo aveva avvolto e non si sottrasse al contatto, stringendola. Il suo sguardo profondo e penetrante fu su di lei e, inclemente, le diede un altro bisbiglio frammentario del passato.
 
“Perché non ti fermi qui per sempre?”
 
Vegeta la osservò, appoggiandosi su un gomito, in attesa, con il fiato sospeso. Bulma lesse con sconforto la sua domanda implicita e scosse il capo negativamente.
“Ti porto da Dende” ribadì lui “Kakarott sarà qui tra poco”.
Bulma lo osservò reagire in quel modo pratico e distaccato, ma quell’apparente impassibilità non riusciva a raggiungere gli occhi, dai quali traspariva la sua vera condizione interiore.
“Stanotte ho fatto un sogno” gli disse.
Lui la fissò più intensamente, speranzoso.
“Ero su un altro pianeta e stavo dando la caccia alle Sfere del Drago di quel luogo. C’erano con me Krilin e Goku, ma erano angosciati, parlavano di un nemico pericolosissimo e non sapevano come sconfiggerlo. Io avevo paura, ero sola, ma poi mi sono fatta coraggio e ho continuato a cercare, pur vedendo intorno a me solo morte e distruzione. C’eri anche tu, ma eri così… diverso. Sembravi spietato e disposto a tutto, anche al male”.
“Lo ero” ammise Vegeta, le iridi d’ombra che rilucevano di amarezza “Non è stato un sogno, è stato un ricordo”.
Bulma trasalì nell’ascoltare quelle parole: le immagini confuse le avevano restituito il ritratto di un uomo algido e disumano, incurante del prossimo, ambizioso e ferocemente orgoglioso. Eppure, nella nebbia in cui affondava la reminiscenza, lui l’aveva guardata dritta in volto, mostrandole una delle Sfere, e lei aveva intravisto un dolore inenarrabile, sprofondato nella sua anima più segreta.
“Ti ho incontrato lì?”
Iiah. Non su Namecc, il mondo che hai visto. Ci siamo incontrati prima, sulla Terra, dove io sono giunto per porre fine alle vostre esistenze”.
“Perché mi racconti questo? Non hai paura a fornirmi di te un’impressione tanto negativa?”
Il principe non distolse lo sguardo, così identico a quello che lei aveva scorto nella memoria: stessa tenacia benché priva d’odio, stesso orgoglio, stessa tristezza. Così diverso nell’amore infinito che traspariva.
“Non è qualcosa di cui fregiarsi, ne sono consapevole” rispose “Ma non ti ho mai mentito. Non intendo iniziare ora, rinnegando le azioni nefande di cui mi sono macchiato in passato. Non sarebbe leale. Tu ed io siamo transitati anche attraverso questa verità”.
Bulma sentiva la sua fierezza di guerriero fremere. Confessare di essere stato malvagio e di essere, evidentemente, cambiato non doveva essergli agevole. Non lo sarebbe stato per nessuno. Eppure, le parlava con il cuore in mano, onestamente, senza timore. In ciò risiedeva innegabilmente un grande valore. Quella verità ponderosa non aveva chiaramente impedito loro di restare insieme.
“Quando è successo?”
“Ormai sono passati dieci anni”
“Come mai noi terrestri siamo ancora vivi?” sorrise lei, cercando di rendere meno ostica la questione.
Vegeta esitò, ma non si tolse dall’imbarazzo.
“Kakarott mi ha sconfitto e, da idiota qual è, mi ha risparmiato la vita. Ci siamo ritrovati su Namecc, perché eravamo tutti interessati alle sue Sfere: voi per resuscitare i vostri amici, morti in seguito al nostro scontro, io per dominare l’universo. Quando il drago Polunga ci ha spediti sulla Terra, tu mi hai chiesto di rimanere alla Capsule Corporation. Il seguito lo puoi immaginare…”
La ragazza iniziò a riflettere, perché un’idea del genere era proprio da lei. Si riconobbe nella sfrontatezza del proporre ad un uomo come Vegeta di restare con lei. Il cuore le diede una pulsazione vigorosa e generò un’altra fotografia sbiadita.
 
“Vegeta-kun, perché non vieni anche tu a casa mia?”
“Come mi hai chiamato?!”
“Non fare il duro, lo so che sei stanco e non sai dove andare…”
 
“Trunks ha sette anni” aggiunse lui, intuendo il suo ragionamento.
“Abbiamo impiegato quasi tre anni per innamorarci?”
Il principe abbassò lo sguardo, arrossendo violentemente. Poi sogghignò, trafiggendola con un’occhiata sagace.
“No. Quasi tre giorni.”
   
 
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