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Autore: Kuro Nekomiya    23/04/2018    6 recensioni
«Che diavolo stai cercando di fare?» Tuonò la ragazza dagli occhi di fuoco, tenendolo d’occhio.
Kisshu non disse nulla e, in risposta, si lanciò su di lei come un felino, cogliendola di sorpresa.
La fece arretrare di pochi passi fino a farla scivolare sul letto alle sue spalle, immobilizzandole prontamente i polsi.
Lei grugnì, fissandolo con astio. Ogni scusa era buona per metterle le mani addosso...
«Che faccio? Fraternizzo con te...» Mormorò l'alieno, con voce che a Suguri parve a tratti arrogante. «...ormai siamo complici, no?» Le chiese allusivo, puntando gli occhi nei suoi.
«Che cosa intendi dire?» Soffiò la ragazza, sorpresa.
Lui ridacchiò divertito a quella domanda.
«Che ne dici...ti va di far parte del terribile duo
**Storia soggetta a cambio di rating**
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisshu Ikisatashi/Ghish, Nuovo Personaggio
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Prologue:
Home.

 





As a child you would wait
And watch from far away
But you always knew that you'd be the one that work while they all play

In youth you'd lay awake at night and scheme
Of all the things that you would change, but it was just a dream!

The time will come when you'll have to rise
Above the best, improve yourself
Your spirit never dies!

 

Imagine Dragons – Warriors




 

(Pianeta Evemeth,
302.07 ka* post insediamento.)






Il ragazzo dai capelli color muschio scostò, per l’ennesima volta in quei pochi minuti, una ciocca della sua frangia dai profondi occhi dorati.
Sbatté le palpebre, stringendosi nell’argentea mantella termica, lunga fino ai piedi.
Nonostante quella lo coprisse quasi interamente, il gelo della tempesta di vento e neve colpiva i pochi brandelli di pelle scoperti come uno schiaffo.
Un’infinita distesa candida si estendeva a vista d’occhio ovunque posasse lo sguardo.
Uno spettacolo talmente ripetitivo ed alienante da essere...deprimente.
Un sospiro silenzioso s’insinuò tra le labbra chiuse.
Lui e il suo piccolo gruppo di compagni erano stati talmente fortunati da essere assegnati ad un banalissimo incarico di pattuglia dell’area c-47, presso il perimetro di una delle poche strutture governative ancora collocate in superficie, e per tale motivo, visto le condizioni climatiche in cui versavano, sorvegliate solo da apparecchi tecnologici.
Tuttavia, negli ultimi tempi erano state riscontrate in più di una singola area numerose anomalie che, misteriosamente, resettavano e riavviavano il sistema ad intervalli irregolari.
L’opzione più plausibile era quella di pensare ad un sabotaggio...ma a chi avrebbe potuto importare del reset del sistema di sorveglianza esterno di un edificio governativo secondario?
Le sedi realmente importanti risiedevano nella capitale sotterranea, e in generale nei grandi agglomerati abitativi.
Quella situazione poteva far pensare ad un piano diabolicamente perfetto...o ad uno assurdamente ridicolo.
E in un certo qual modo, entrambe le opzioni avevano stuzzicato il suo interesse, tanto da farlo prontamente intervenire sul campo.
Eppure, se n’era quasi pentito...il suo entusiasmo s'era spento non appena aveva dovuto mettere piede fuori dall’astronave.
Provò a concentrarsi sul morbido fruscio dei passi sulla neve che arrivavano al suo udito fino, nella vana speranza di distrarsi dai pensieri che infestavano la sua testa come un parassita.
Quei pensieri pieni d’insoddisfazione e di sensazione di soffocamento, come di una mano stretta attorno al collo...
Ogni tanto sentiva di odiare la vita che aveva scelto.
Ogni tanto si chiedeva se non avesse sbagliato completamente strada, se di fronte a sé non avesse che un vicolo cieco, un muro...e la sua tentazione fosse proprio quella di abbatterlo a calci e pugni, con tutta la forza che aveva in corpo.
Ogni tanto mal sopportava persino l’Accademia, unico luogo che poteva tragicamente chiamare casa.
Perché quello era l’unico luogo dove sarebbe potuto tornare...ma era anche quello che aveva avvelenato buona parte della sua esistenza, quello che lo aveva reso...così com’era.
L’idea di concepire la sua vita senza di essa era fuori discussione.
Ogni tanto l’odio per la storia e il sistema corrotti del suo pianeta superava i suoi ideali di giustizia, e faceva tacere la vocina nella sua testa che diceva: Devo lottare. Devo farlo.
Per chi? Per cosa?

Ogni tanto sognava di poter contemplare un mondo diverso, tanto aveva il disgusto di quello in cui era costretto a sopravvivere.
Sognava che tutto quello che conosceva semplicemente bruciasse tra le fiamme e sparisse per sempre, senza che lui dovesse fare nulla.
Bramava di poter restare placidamente a guardare mentre una serie di infimi individui si facevano consumare dal fuoco fino alle ossa, come i cani bastardi che erano.
E quella fine non sarebbe comunque bastata...
Ogni tanto si domandava che senso avesse avuto aver lavorato così duramente, essersi adattato così perfettamente all’ambiente circostante, come una belva feroce e ferita, che insospettabilmente attendeva la sua personale vendetta…
Ogni tanto...era stanco di tutto quel peso.
Ma ogni volta riusciva a ricordarsi che quell’inferno non l’aveva soltanto subito...l’aveva scelto.
Quell’inferno era il senso di tutta la sua vita.
E riusciva perfino a ricordarsi che in fondo l’amava, quella vita...anche se non riusciva mai ad ammetterlo davvero.
Forse era terribilmente masochista.
Un brivido gli percorse la colonna vertebrale, facendolo fremere.
Ma non era un brivido di freddo. Gli prudevano le mani.
Scosse energicamente la testa e mise a fuoco davanti a sé.
Senza quasi che se ne fosse accorto erano giunti nel punto prestabilito, l’area c-47, a nord-est dell’edificio C.
Ad un rapido sguardo tutto gli sembrò completamente intoccato, come in un qualsiasi quadrato di terra delle lande desolate: forse i cacciatori sarebbero stati in grado distinguerli, ma per lui era un compito decisamente difficile.
Inoltre, anche se ci fossero state delle tracce, quella maledettissima neve che imperversava ormai da giorni le avrebbe di certo cancellate…
«Ispezionate il perimetro dell’area.» Ordinò, e i suoi sottoposti scattarono dalla posizione alle sue spalle e lo superarono, avvicinandosi con cautela al punto d’osservazione.
Kisshu si tirò il bavero della mantella contro il viso e s'alzò in aria, cercando di dare un’occhiata dall’alto.
Arricciò il naso. Lì sopra il vento era più forte che a terra.
Osservò con gli occhi uno dei soldati che, a passo sicuro, si dirigeva verso l’edificio C, un agglomerato dalle grandi finestre sbiadite e dalle pareti candide come la neve.
Se non ci si faceva attenzione, poteva quasi essere scambiato per un elemento del paesaggio.
Le sue labbra s’incurvarono in un sorrisetto appena percettibile.
Quello era il suo parigrado nonché uno dei suoi migliori amici, Jadis, che era stato assegnato a quell’incarico insieme a lui, e che per tutto il tragitto a piedi era stato silenziosamente alle sue spalle, a distanza ravvicinata.
Un evento del tutto raro per lui, che aveva sempre un motivo per non starsene zitto.
Jadis era casinista, disordinato e più che ogni tanto inaffidabile, ma una cosa doveva riconoscergliela: era un asso quando si parlava di competenze informatiche.
L’alieno ignorò completamente l’ordine d’ispezione dell’area, concentrandosi piuttosto sui sistemi di controllo, il motivo per cui si trovava lì.
Lo osservò lavorare per qualche minuto, prima di decidersi a raggiungerlo a terra.
«Ci sono novità?» Domandò Kisshu, atterrando morbidamente alle sue spalle, a pochi metri da lui.
L’amico, dai limpidi occhi citrino e dagli spettinati capelli azzurro cenerino**, che spuntavano dal cappuccio della mantella, fece una smorfia silenziosa senza rivolgergli lo sguardo.
Quando si concentrava sul suo lavoro diventava una persona dall’aria serissima, ed era anche per quel motivo che erano grandi amici.
Per Jadis il lavoro era di un’importanza quasi sacra.
«Questi sistemi di rilevamento sono stati sostituiti dieci giorni fa, perché si pensava che il reset continuo fosse dovuto ad un guasto delle macchine. Eppure questi continuano ad avvenire, anche se si tratta di attrezzatura nuova...gli eventi compaiono nella cronologia ad intervalli del tutto irregolari l’uno dall’altro» Rispose lui, toccando lo schermo con le dita alla ricerca di ulteriori dati e conferme. «Se avvenissero ad orari prestabiliti si potrebbe pensare ad un probabile scanner della zona, ma in questo modo...in questo modo non ha senso. Dev’essere un’interferenza...magari dovuta a fenomeni di elettromagnetismo, come quelli che stanno alla base delle forti tempeste di neve di questi ultimi periodi...» Mormorò ancora, chiudendo il pannello dei comandi e riattivando la password d’accesso.
«Come sai, ogni area ha un codice d’accesso segreto che viene cambiato ogni settimana da un algoritmo, ed è conosciuta solo dal dipartimento informatico. Dall’esterno non è possibile accedere a queste macchine senza sapere il codice...» Aggiunse ancora, questa volta guardando l’amico negli occhi.
«Un’interferenza, eh?» Borbottò Kisshu, aggrottando le sopracciglia.
Non era uscito dalla base per una semplice interferenza...c’era qualcosa di più.
Doveva esserci.
Non era possibile bollare l’ennesima missione di pattuglia come inconcludente, esattamente come tutte quelle dell’ultimo periodo.
Non voleva arrendersi adesso. Voleva andare a fondo delle cose.
Doveva lottare. Doveva farlo...
«Mi puzza l’ennesima interferenza, Jadis...ehi voi! Venite tutti qui!» Urlò l’alieno moro, in direzione dei suoi sottoposti, intimando loro di raggiungerlo con un gesto della mano.
Quelli alzarono subito il capo ed eseguirono il suo ordine, allineandosi di fronte a lui.
«Nessuna traccia degna di nota, vero?» Canzonò i suoi, che senza proferir parola annuirono con un gesto deciso del capo.
Lui sogghignò. Come volevasi dimostrare…
«Allora mettetevi a scavare. Via!» Dispose.
Poi appoggiò la schiena al muro della struttura, incrociando le braccia.
I ragazzi tornarono ai propri posti e si misero subito a lavorare di buona lena, mentre lui li osservava vigile ed in silenzio.
«Credi davvero di trovare qualcosa in questo modo?» Chiese incerto l’amico al suo fianco, stringendo le braccia intorno al corpo.
Il vento gelido riusciva comunque a penetrare sotto la mantella termica.
«Mi fido del mio intuito!» Sorrise lui sornione, di rimando. «Se non troviamo nulla nemmeno così, mi arrenderò all’evidenza dei fatti, d’accordo?» Replicò poi, afferrandogli la spalla sinistra amichevolmente.
L’altro lo fissò per qualche secondo, senza dire nulla.
«Scommettiamo? Chi vince offre da bere. Ci stai?» Propose Jadis, lo sguardo di chi già si pregustava la vittoria in anticipo.
Kisshu ridacchiò, e piccole nuvole di vapore s’incresparono sulle sue labbra.
I due si scambiarono un pugnetto d’intesa.
«Andata! Mi scolerò tanta di quell’acàula* che farò piangere i tuoi risparmi!»

 

 

***




Mandò giù deciso un altro bicchiere di acàula, sentendone immediatamente il sapore bruciante e dolciastro sulla gola.
Era già il terzo...e il tutto meravigliosamente gratis.
Ovviamente, aveva vinto la scommessa.
Sotto due metri e mezzo di neve infatti, conficcato nel terreno ghiacciato, avevano trovato un apparecchio dalla tecnologia sconosciuta di forma ovoidale, dotato di un paio di led luminosi sulla superficie liscia.
Non sapendo di cosa si trattasse realmente, lui e la sua squadra l’avevano estratto, maneggiato con cura e poi sigillato, come prevedeva il protocollo.
Conclusi i loro compiti, si erano infilati nuovamente nelle loro astronavi ed erano tornati velocemente alla base.
Era il primo incarico di pattuglia sulle anomalie dei sistemi dell’ultimo periodo che dava un qualche risultato.
In seguito, aveva mostrato il reperto al suo superiore, il colonnello Mavs.
Egli, dopo un’occhiata parecchio confusa al dispositivo, aveva deciso di inviarlo al reparto analisi per i dovuti controlli, ma non gli era sfuggita l’espressione vagamente cupa che l’uomo aveva tentato di nascondere prima di liberarlo da ogni impegno e complimentarsi con lui per l’ottimo lavoro.
Si guardò attorno, distogliendosi per un attimo dai suoi pensieri, e venne avvolto immediatamente dal brusio tutt’intorno a lui.
Lo spaccio**, il luogo di ritrovo con gli amici della sua infanzia, gli evocava ricordi fortemente nostalgici.
Architettura spoglia e minimale, pareti lucide color verde smeraldo, tavoli scuri lunghi e rettangolari, sedie sgangherate e luci rotonde posizionate agli angoli della stanza, incassate nel muro o che pendevano dal soffitto.
I suoi sottoposti, cinque ragazzi più o meno della sua stessa età, riempivano un angolo della stanza a ridosso del bancone del locale, ma le loro chiacchiere e risate facevano pensare che fossero molti di più.
Sembravano distesi, rilassati, felici.
Probabilmente pensavano di aver fatto ciò che andava fatto, e terminata la missione azzeravano il cervello, tornando a pensare alle loro piccole e quotidiane frivolezze.
Ma lui non era fatto così.
Anche se aveva vinto quella scommessa, per lui era un evento quasi insignificante.  
La sua attenzione era tutta concentrata sulla nuova scoperta che avevano...o meglio, che lui, aveva fatto.
Era ovvio pensare che le varie anomalie che si erano verificate negli ultimi tempi fossero state causate da quei dispositivi a forma di uovo, e che ce ne fossero altri in giro, probabilmente nascosti sotto la neve in altre aree strategiche della superficie.
Tuttavia, non era sicuro che le analisi avrebbero portato a risolvere tutti i misteri a loro legati.
Anche scoperto lo scopo per cui erano stati creati...chi l’aveva fatto?
Perché? Quando sarebbe riuscito ad eludere i radar della sorveglianza?
Da chi dovevano guardarsi le spalle?
Kisshu appoggiò il bicchiere al tavolo e si mordicchiò il pollice della mano sinistra, guardando fisso un punto del pavimento.
Qualunque fossero le notizie, non erano di certo buone.
Da tempo i Vargatt* aspettavano il momento propizio per far scoppiare una ribellione, e lui voleva essere in prima linea...perché non ce la faceva più a stare buono ad aspettare.
Mentre i Grandi** se ne stavano in panciolle, facendo programmi sulla loro pensione felice, gli Sventurati* subivano le pene dell’inferno solo perché avevano avuto il coraggio di non abbassare la testa di fronte ai soprusi.
E ogni anno, in Accademia, venivano introdotti ragazzini nuovi...quando li guardava provava pena per loro.
La pena che aveva avuto per sé stesso.
Sventurati...tks.  
Quanto odiava quella fottuta definizione.
«Allora amico? Sei già ubriaco nella fase depressa?»
Kisshu aggrottò le sopracciglia quando la voce squillante del suo amico Jadis ruppe il suo loop di pensieri, come una bolla di sapone fatta scoppiare dal vento.
Si morse l’interno del labbro inferiore.
Forse non era poi così male prendersi una pausa dalle sue interminabili congetture...
Jadis avvicinò una delle sedie sgangherate dello spaccio e si sedette alla sua desta, due bicchieroni di acàula pieni fino all’orlo stretti nelle mani.
Kisshu si voltò a guardarlo.
«Perché? Speri che smetta di far piangere i tuoi risparmi?» Replicò lui, provocatorio. «Sei fuori strada: ti manderò talmente sul lastrico che ti farò scappare in lacrime da tua madre!» e su quelle parole, l’alieno si scolò l’acàula fino in fondo.
«Questo è mio, vero?» Domandò retorico poi, sfilandogli di mano uno dei bicchieri.
Il compagno dai capelli azzurrini lo guardò piccato.
«Sei un infame.» Lo apostrofò lui.
«Lo so.» Rise Kisshu, prima che entrambi bevessero a grandi sorsate la bevanda rosso ambrato.
Quando questa toccò le loro papille gustative si sentirono subito meglio.
L’acàula era uno dei grandi piaceri della vita.
«Dovremmo ringraziare le ragazze che lavorano al reparto di produzione per rifornirci ogni giorno di questa meraviglia!» Affermò Jadis con grande convinzione, scuotendo il suo bicchiere ormai quasi vuoto. Poi circondò le spalle di Kisshu con un braccio, dandogli un paio di energiche pacche sulla spalla. «Parlando di ragazze, ho conosciuto un gruppo di infermiere l’altra mattina...ti assicuro che c’era del materiale interessante.» Mormorò ancora, facendo all’amico uno sguardo di intesa.
Il ragazzo dai capelli verdi ricambiò l’occhiata, abbozzando un sorriso sghembo ed allusivo.
«E che aspettavi a dirmelo? Pezzo di merda! Volevi lavorartele per conto tuo, eh?» Lo canzonò, tirandogli un pugno innocuo in mezzo alle costole.
Lui si portò una mano in quello stesso punto, mimando una smorfia di dolore.
«Ah! Ringraziami: visto l’infame che sei non ti meriteresti tutta ‘sta bontà!» Ridacchiò, usando un tono di voce che chiaramente non aveva la minima parvenza di serietà.
Kisshu lo spintonò, ridendogli in faccia.
«Come se avessi bisogno di te per rimediarmi le ragazze!»  
Jadis stava per replicare, quando vide con la coda dell’occhio una sagoma vestita di scuro avvicinarsi ad entrambi.
Dalla porta spalancata dello spaccio, infatti, era appena entrato un ragazzo dal passo deciso ma elegante che si fermò esattamente di fronte a loro.
Alto, corti capelli neri, iridi verdi e cristalline, espressione dannatamente seria.
Come sempre.
«Fate un mare di casino.» Commentò il nuovo arrivato, senza aggiungere una sillaba di più.
Quando lo vide, il volto di Jadis s’illuminò di un grande sorriso.
«Fen!» Esclamò lui con entusiasmo, «Allora, come te la passi? Come sta Linne? Eh?» Aggiunse ancora, tirandogli un paio di gomitate affettuose.
Ma Fen, come era ovvio, non abboccò al suo tentativo di instaurare un dialogo normale e lo guardò soltanto, indecifrabile.
Poi spostò i suoi occhi su Kisshu, mentre tirava un calcio allo stinco di Jadis con la punta di un piede e lui si lamentava, fingendo nuovamente di essersi fatto male.
«Ehi voi due, ci prendete gusto a picchiarmi?» Replicò stizzito, le sopracciglia piegate in un’espressione imbronciata.
«Il colonnello ha chiesto di raggiungerlo nel suo ufficio con urgenza, se fossi in te mi sbrigherei.» Affermò coinciso, indicando la porta alle sue spalle.   
Kisshu lo ascoltò con attenzione, tanto stupito quanto confuso da ciò che gli era stato detto.
Cosa poteva esserci di tanto urgente da dover correre all’ufficio di Mavs?
Aveva parlato con lui solo un paio d’ore prima.
Kisshu lasciò sul tavolo il bicchiere pieno a metà e si alzò dalla sedia con poca convinzione, quasi di malavoglia.
Non aveva idea di quale fosse il suo stato d’animo attuale, ma di certo si sentiva turbato.
Forse avrebbe avuto qualche risposta alle domande che si era posto da quando era tornato alla base.
Sputò dalle labbra un “d’accordo” stentato, prima di fare un cenno ai compagni e sparire oltre la porta.
Non appena fu uscito Fen si accomodò al suo posto, accavallando la gamba sinistra verso il tavolo e guardando quelli del gruppo di Kisshu chiacchierare animatamente a qualche metro da lui.
Jadis lo fissò in silenzio, pensieroso e perplesso.
Poi finì il suo bicchiere e inghiottì, prima di parlare.
«Ma lo hai visto? Sembrava avesse visto un fantasma.» Commentò il ragazzo dai capelli azzurrini, stranito dal comportamento del suo amico.
Lasciò il braccio lungo sul fianco, gingillando con il bicchiere vuoto tra le dita.
«Chissà cosa avrà da dirgli Mavs...» Borbottò incuriosito.
Fen sembrò non reagire subito alle sue parole e afferrò il bicchiere che Kisshu aveva lasciato a metà, bevendone il contenuto senza particolari complimenti.
Lo ripoggiò poco dopo sul tavolo scuro, delicatamente, e lanciò un’occhiata a Jadis.
«Chissà.» Si limitò a dire, anche se sembrava sapesse qualcosa di più.
«Non è che offriresti altro?» Rimbrottò invece, indicando il bicchiere vuoto.
Jadis saltò dalla sedia e lo guardò supplicante, le lacrime agli occhi.
«Non anche tu, no! Pagati le cose da solo!»
 


 


***




Kisshu uscì dallo spaccio ed attraversò il corridoio diretto alla buca, soprannome goliardico che designava la grande Hall Centrale.
Da lì era possibile raggiungere ogni punto della base militare, compresi gli uffici dei suoi superiori.
Rispetto a prima, a quando aveva percorso quella strada a ritroso, sentiva un peso sul petto.
Aveva un brutto presentimento.
L’aveva intuito dal tono di voce che aveva usato Fen, nonostante per le persone normali fosse impossibile distinguere le sue varie sfumature espressive.
Non era un semplice comunicato, di quelli che Mavs aveva già fatto altre mille volte.
Forse doveva aspettarsi qualcosa di molto più grosso.
Che li avessero scoperti…?
Kisshu deglutì, prestando morbosissima attenzione alle linee di demarcazione delle piastrelle a terra, come sempre perfettamente lucide ed immacolate.
La sola idea lo faceva sudare freddo.
I Vargatt non potevano essere stati scoperti, o sarebbe stata la fine di ogni cosa.
No, non poteva essere.
Ma il sospetto che quell’incubo sarebbe potuto essere reale lo torturava in un angolo della sua coscienza.
Aveva avuto quella sensazione di nausea altre volte.
In fondo, quando si sceglie di essere un ribelle ci si abitua al fatto che l’unico modo di vivere è alla giornata, spesso sul filo del rasoio...una vita in cui non era possibile commettere errori, mostrare tentennamenti e concedersi distrazioni.
Anche nelle situazioni più difficili bisognava mantenere il sangue freddo.  
Kisshu si strinse la canotta tra le dita, all’altezza dei polmoni.
Era evidentemente ansioso. Doveva trovare il modo di calmarsi.
Tentò di regolarizzare il suo battito cardiaco, espirando profondamente, e s’asciugò le goccioline di sudore sulle tempie.
Non doveva avere la migliore cera del mondo, ma doveva fingere di stare a meraviglia, come faceva sempre.
Senza nemmeno essersene accorto, per la seconda volta in quella giornata aveva inconsciamente già percorso tutta la strada che lo separava dal punto di arrivo, e la porta dell’ufficio del colonnello Mavs era proprio di fronte a lui.
Sospirò. Via il dente via il dolore, Kisshu...
Non perse tempo in altre esitazioni e diede due colpi decisi contro la porta di metallo, prima che il suo cervello potesse formulare altre ipotesi di catastrofe.
La voce grave del colonnello lo esortò ad entrare e così, Kisshu fece scorrere le nocche sul pulsante d’apertura automatica e l’anta si aprì.
Entrando nella stanza rimase stupito di trovare in compagnia del colonnello anche il generale Kleth, seduto di traverso su una sedia di fronte ad una seconda scrivania, il gomito destro appoggiato ad essa.
Kleth, uno dei Grandi che fino a quel momento aveva visto solo qualche volta, senza mai rivolgergli la parola.
La sua presenza lì era...banale dirlo, alquanto strana.
Chissà di che cosa stava parlando con Mavs...
Nonostante i dubbi che gli affollavano la mente, il ragazzo dai capelli verdi mantenne la sua freddezza, avanzò verso il centro della stanza, di fronte all’uomo che lo aveva richiamato, e si portò il pugno destro alla spalla sinistra, sinonimo di rispetto ed obbedienza ai superiori.
«Signore.»
Il colonnello lo guardò e sorrise sotto ai baffi scuri.
«Bene, ecco qua il nostro giovane ragazzo! Non t’allarmare, non ti ho mandato a chiamare per darti una punizione!» Mormorò l’uomo dietro alla scrivania, i gomiti sulla superficie di metallo e le mani giunte sotto al mento.
Forse si era accorto del suo nervosismo...
Kisshu gli lanciò un’occhiata, facendogli capire che aveva tutta la sua attenzione, reprimendosi dal fare qualsiasi commento sulle parole dell’uomo.
Il suo interlocutore interpretò il suo sguardo e di rimando fece un cenno con la testa.
«Quella che vorrei proporti è un’opportunità molto importante per te.» Continuò, serio ma con fierezza nella voce. «Da quando sei tenente hai dimostrato di avere molto entusiasmo e di saperci fare, ragazzo. Ogni tanto si parla di te anche ai piani alti!» Riprese, mettendosi a ridere.
Kisshu sorrise alla sua reazione.
Le risate del colonnello erano sempre contagiose, e i suoi complimenti riuscirono a calmarlo un po’.
«Dopo la scoperta che hai fatto oggi ho ricevuto la benedizione dell’uomo che vedi in questa stanza, quindi forse il mio sesto senso non mi ha mai ingannato su di te.
Ricordo ancora quando eri mio allievo...continuavi ad eccellere, e non hai mai smesso da allora.»
Kisshu inarcò un sopracciglio, senza lasciar trapelare nient’altro dal suo viso.
Tutti quei complimenti...non sapeva se esserne elettrizzato oppure se da tutte quelle aspettative dovesse aspettarsi chissà cosa.
La cosa positiva era che non centravano i Vargatt.
Che sollievo enorme...
«Mi scusi Signore, di cosa sta parlando?» Chiese lui, ormai incuriosito.
Mavs chiuse gli occhi e prese a fare ampi gesti con la testa, come faceva di solito quando cercava di trattenersi.
«Di una missione fatta apposta per te. Ragazzo, abbiamo deciso di mandarti sulla Terra!» Asserì entusiasta, aprendo le braccia.
Kisshu sgranò gli occhi, più che sorpreso.
Non poteva credere alle sue orecchie.
«La Terra?» Ripeté a pappagallo, senza parole.
All’improvviso sentì di avere la gola più arida di un deserto.
Stava davvero parlando di quel luogo meraviglioso di cui parlavano le filastrocche del suo pianeta? Quelle che da piccolo gli canticchiava sua madre?
«Si, la Terra. Proprio quella Terra. Esiste realmente, ragazzo. Non è una favola.
E’ stata individuata da qualche mese in realtà, ma non abbiamo mai trapelato la notizia per questioni di sicurezza.
Ora abbiamo calcolato una rotta sicura per raggiungerla. Ci serviremo dei wormhole**. Anzi, tu te ne servirai.» Concluse l’uomo, accarezzandosi i baffi scuri con le dita di una mano.
Kisshu boccheggiò.
Aveva bisogno di tempo per metabolizzare tutta quella roba.
Lui sulla Terra? Per conto suo? A che scopo? E i Vargatt? Sarebbe stato costretto a lasciarli?
No no no. Aspetta.
«Su..sulla Terra? Io?» Balbettò, stringendo i pugni ed infilando le dita nella carne per non tremare. «Ma perché? Perché solo io? E poi non c’è abbastanza da fare qui, sulla nostra casa?» Replicò ancora.
Doveva sembrare piuttosto scosso, tanto vide Mavs alzarsi dalla sua seduta ed avvicinarsi a lui. L’uomo lo abbracciò con affetto rifilandogli sonore pacche sulla schiena, come era solito fare.
«È proprio per questo che lo facciamo! La Terra sarà una casa decisamente migliore di questa. Per quanto riguarda quello che hai scoperto...» Sibilò l’uomo, lasciandolo andare per guardarlo con i suoi limpidi occhi azzurri, «Vedi, non sappiamo ancora cosa siano precisamente gli strani reperti che hai trovato, ma sono chiaramente una minaccia.
Si tratta di tecnologia aliena alla nostra, che è riuscita persino a bucare la sorveglianza dei nostri radar. Non solo sono responsabili dei continui crash del sistema, ma potrebbero in qualche modo essere persino legati alle anomale tempeste di neve degli ultimi tempi.
Penso che anche tu sappia che non si tratta di semplici fenomeni naturali.» Mormorò, ticchettando in modo nervoso con due dita.
«Si, Signore.» Proferì, le parole quasi morte in gola.
«Non sapendo cosa ci aspetta, la cosa migliore è lasciare qui gli alti membri dell’esercito. Per te invece, è una grande occasione di avanzamento di carriera. Avere una seconda casa in cui approdare sarebbe un grosso vantaggio per noi, per di più se parliamo del pianeta che il destino ci ha strappato tempo fa.» Mormorò, con un tono che sembrava quasi solenne. «Tu sei il migliore allievo che abbiamo mai avuto negli ultimi anni, escluso il colonnello Abraxas, naturalmente. Se porterai a termine questa missione, sarai promosso direttamente a suo pari. So che ti ho addestrato bene in guida aerospaziale e non avrai nessun problema.» Sorrise infine l’uomo dai capelli bruni.
Kisshu sembrò riscuotersi a quelle parole.
Promozione straordinaria a colonnello?
Si trattava di una chance che capitava una volta nella vita.  
Ad un’età giovane come la sua poi, le probabilità che accadesse erano vicine allo zero.
Dove stava la fregatura?
Forse qualcuno non lo voleva tra i piedi? Forse qualcuno sapeva qualcosa?
Non poteva abbassare la guardia...doveva subito comunicarlo ai suoi amici.
«Questo risponde alle tue domande...tranne una: non sarai solo, altri candidati sono in via di selezione. Tu, però, partirai subito, gli altri ti raggiungeranno in seguito.» Concluse infine, cercando di rassicurare il ragazzo.
A quel punto, il silenzio scese tra gli interlocutori.
La straordinarietà delle affermazioni fatte richiedeva più di qualche secondo di riflessione.
Kisshu curvò leggermente il capo, in direzione del generale Kleth.
Si soffermò sui capelli e le sopracciglia chiarissime e in seguito sugli occhi azzurri, altrettanto chiari da sembrare trasparenti.
Il suo volto era rilassato e la sua espressione amichevole, ma al tempo stesso comunicava un senso di grande autorità.
Kisshu strinse gli occhi.
Uno dei Grandi...e se fossero loro a sapere qualcosa?
Non si fidava della loro apparenza...non si fidava di nessuno.
Doveva ancora passare del tempo prima che facesse davvero carriera nei Vargatt...e anche lì aveva dei superiori a cui doveva rendere conto.
Di fatto, però, anche tra i Vargatt era appena salito di grado...giusto qualche giorno prima.
La coincidenza tra i due fatti era strana...e le coincidenze, come diceva un famoso detto, non esistono.
Tornò con gli occhi sul colonnello Mavs, il cui sguardo era davvero serissimo, probabilmente serio quanto il suo.
Né lui né Kleth sembravano voler ricevere un no ad una simile offerta da parte di un giovane tenente.
Per Mavs poi, che lo considerava una specie di figlioccio, doveva persino significare una specie di passaggio di testimone tra la vecchia e la nuova generazione, e se avesse rifiutato avrebbe deluso le aspettative di chiunque...comprese le sue.
Avrebbe vanificato tutti gli sforzi che aveva fatto per 8 lunghi anni passati a sputare lacrime, sudore e sangue, e di certo non era questo che voleva.
Lo stavano mettendo decisamente alla prova.
Non era più nervoso, preoccupato o impaurito.
Era solo teso, e scalpitava interiormente come una bestia in catene a cui avevano appena sventolato la libertà di fronte al naso.
Abbassò lievemente le palpebre e i suoi occhi diventarono vacui per un attimo.
Se avesse accettato, però, avrebbe forse perso l’opportunità di partecipare alla sommossa contro il governo, alla lotta per ciò che era giusto.
Non solo la sua, di libertà, ma quella di tutti quelli come lui.
L’idea di diventare colonnello, comunque, non andava a svantaggio di questa situazione...anzi.
Stare a contatto coi Grandi e guadagnare la fiducia dei piani alti, anche se era un’eventualità che nel profondo disprezzava, era un bocconcino decisamente prelibato visto il suo inestinguibile appetito.
«Tu sei il giovane Ikisatashi, vero? Ho sentito che vieni dalle terre a sud-est della capitale...» Proruppe il generale, distraendolo dalle vocine nella sua testa.
Kisshu gli rivolse uno sguardo fin troppo ostile.
«Si Signore, esattamente.»
Calmati, espira. Sii il più naturale possibile.
«Difficile storia, quella di quelle regioni...beh, immagino che per un giovane sventurato così talentuoso poter partecipare ad una simile missione sia un onore inesprimibile...» Replicò mellifluo, uno sguardo sicuro ad incorniciargli il volto.
«Generale Kleth…! Non sia così severo con le origini del ragazzo...» Borbottò Mavs in sua difesa.
Kisshu espirò pesantemente ed irrigidì le spalle.
Tappati la bocca, Kleth. Arriverà il giorno in cui ti taglierò la gola da rifiuto evemeriano che sei.
«È storia vecchia ormai. Quando si viene qui ciò che conta sono solo i fatti, giusto colonnello?” Domandò Kisshu al suo superiore, con tono provocatorio.
«Certamente...ed è per questo che ti ho scelto appositamente tra tutti, tenente Ikisatashi.
Anche il tuo temperamento è un’ulteriore prova di quanto vali...conto molto su giovani leve come te.» Rispose Kleth al suo posto, con la stessa sicurezza ostentata di prima.
Conta pure i secondi da qui a quando sarai morto, Kleth.
Kisshu non replicò nulla al generale e rivolse il suo sguardo al colonnello, unica persona in quella stanza che stimava e a cui, in qualche modo, voleva bene.
C’era il fuoco nei suoi occhi...così ardente che Mavs fu quasi costretto a distogliere lo sguardo.
«Accetto colonnello. Questa missione è mia!» Esclamò, con un’aggressività quasi minacciosa.
Mavs sorrise, togliendosi un peso dallo stomaco.
All’inizio del colloquio la situazione sembrava stesse precipitando e aveva colto una forte preoccupazione nello sguardo del suo ex allievo, ma sapeva che sarebbe arrivata una reazione esplosiva...quella che si aspettava da un tipo come lui.
Andare sulla Terra gli avrebbe fatto bene. Kisshu era fatto per l’azione.
«Sapevo che lo avresti fatto, ragazzo! Con quel silenzio mi avevi quasi fatto dubitare, mascalzone!» Disse a voce alta, ridendo sguaiatamente, e dando al giovane le ennesime pacche energiche sulla schiena. «Sono fiero di te!» Aggiunse poi, quasi commosso.
Sembrava sinceramente felice del fatto che un suo ex allievo gli avesse regalato quella soddisfazione.
Kisshu finse un sorriso mentre Mavs lo guardava, accarezzandosi di nuovo gli amati baffi.
«Bene bene, ora puoi andare! Ti daremo altre informazioni nelle prossime ore. Ti manderò di nuovo a chiamare.» Mormorò, facendogli un cenno con le dita in direzione della porta, intimandogli di andare.
Kisshu sospirò.
«Con permesso Signore.» Borbottò, abbassando lievemente il capo di fronte a Mavs, in segno di rispetto.
Poi si diresse verso la porta deciso, a grandi falcate, non senza prima aver lanciato uno sguardo di sfida a Kleth, sguardo che lui sostenne con la tranquillità e la naturalezza di cui era contraddistinto.
La tranquillità e la naturalezza di cui si mascheravano i falsi.
Non è finita qui.
Ripeté nella sua testa, uscendo dalla stanza.  
    





 

***


* Ka sta per “kiloannum” ed è una misura usata per indicare un arco di tempo di mille anni. 302.07 ka sono quindi 302 071 anni.
** Come il nome suggerisce, è un colore a metà tra il grigio e l’azzurro chiari. Io lo assimilo alla carta da zucchero o a quello che in inglese si chiama placid blue.  
* L’acàula è l’equivalente della birra su Evemeth. È prodotta in serre\laboratori sotterranei.
** Nelle caserme, lo spaccio è una specie di pub\locanda.
* I Vargatt sono canidi dal pelo grigio simili alle volpi terrestri facenti parte della fauna di Evemeth, ma è anche il nome in codice di un folto gruppo di militari ribelli. :)
** I Grandi sono le alte gerarchie dell’esercito.
* Gli Sventurati...beh, questo non posso dirvelo. xD
** I Wormhole sono cunicoli spazio-temporali che permettono di collegare tra loro due punti lontani nel cosmo e percorrere così velocemente enormi distanze.
La loro plausibilità fisica è incerta nella nostra realtà, al contrario è un concetto ampiamente utilizzato in quelle fittizie :)

 

 

  
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