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Autore: DredaSM    24/04/2018    0 recensioni
Jared Ouray è un ragazzo problematico.
Nonostante sia benestante non perde occasione per dimostrarsi una vera e propria testa calda. Sarà Gad, suo nonno, a tentare di riportarlo sulla retta via portandolo nelle foreste della sua tanto amata riserva.
Tuttavia, non passerà neppure un giorno che il ragazzo scapperà e sarà proprio sul rettilineo intrapreso in macchina che, nel buio, una figura a quattro zampe sbucherà fuori all'improvviso provocando l'incidente in cui perderà i sensi.
Quando si risveglierà si scoprirà diverso.
Perchè lui? Cosa gli sarà successo veramente? Come potrà tornare ad essere ciò che era prima?
E, soprattutto, questa trasformazione gli cambierà solamente l'aspetto o anche il cuore?
Genere: Avventura, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La maledizione di Nashoba



 
Se parli con gli animali essi parleranno con te e vi conoscerete l'uno con gli altri.
Se non parli con loro non potrai conoscerli e ciò che non si conosce fa paura.
Quando qualcosa fa paura, l'uomo lo distrugge.
[cit. Capo Dan George]



CAP 1:
 
Il lunedì non gli è mai andato a genio.
Non per altro, ma nella sua vita le rogne peggiori sono successe sempre il primo dì della settimana: il primo giorno di scuola, di lavoro, il licenziamento, il giorno in cui è nato e in cui, nell’ultimo più recente e particolare caso, è stato arrestato.
 
-Jared? Jared Ouray?- domandò con tono burroso la guardia di almeno centocinquanta chili, poggiandosi con le mani alle sbarre della cella.
Indossava l’inconfondibile uniforme scura della polizia, con un berretto troppo piccolo per la sua testa grossa e calva, assomigliando più ad un pallone da rugby che ad una faccia.
Il ragazzo era seduto nella cella, ignorando la branda dall’altra parte di questa. Rimase seduto per terra in un angolo anche quando sentì il proprio nome. Alzò con lentezza il viso puntando lo sguardo duro verso il poliziotto.
-Seh… Sono qui- sbuffò il giovane.
Piegò il capo a destra e sinistra facendo scrocchiare le ossa del collo, indolenzito a seguito di una notte passata in cella dopo essere stato beccato con le mani nella cassaforte di un negozietto di vestiti molto costosi.
-Libero. Ti hanno pagato la cauzione- grugnì l’uomo mentre girava la chiave nella serratura della cella facendo scoccare il suono della liberazione.
Il ragazzo, tiratosi in piedi a fatica, dopo una stiracchiata di ossa e muscoli, si apprestò a uscire da lì dentro sfregandosi ancora i polsi dove poco prima portava le manette dell’arresto.
Riavuti i suoi averi, quali: il cellulare, il giubbotto, il portafogli e le chiavi della sua macchina; si infilò nelle tasche l’intascabile e indossò la giacca di jeans con stizza, rimanendo sotto il controllo del poliziotto.
Oltrepassando la soglia si ritrovò in quello che doveva essere l’ufficio della centrale di polizia.
Lanciò una rapida occhiata a Gad, suo nonno, seduto davanti alla scrivania oltre la quale vi era l’altro ufficiale. Non disse nulla e, ignorandoli, Jared tirò dritto verso l’esterno dell’edificio.
Il vecchio Ouray lo guardò in tralice facendo un profondo respiro alzandosi in piedi e rimettendosi il cappello texano in testa mentre il nipote occupava posto sul vecchio furgoncino parcheggiato davanti all’entrata.
-La ringrazio vice sceriffo Flanagan. Mi scuso per i problemi che…-
-Senta-, lo interruppe il suo interlocutore alzandosi in piedi e poggiando le mani sulla scrivania di fronte a se. Era un tipo smilzo, alto almeno un metro e ottanta e con la puzza sotto il naso. –Lo tenga d’occhio. Lo abbiamo beccato già cinque volte in questo mese e a lungo andare s’inizia a perdere la pazienza. Non so se mi sono spiegato…-
-Non si preoccupi, lo farò rigare dritto io- rispose il vecchio con aria da giustiziere. Uscì e raggiunta la vettura mise in moto, allontanandosi in direzione sud.
 
-Perché sei venuto tu?- chiese Jared alla prima svolta della strada. Dalla terza curva in poi iniziò a guardarsi in giro e prese a essere impaziente. In più i silenzi del vecchio alimentavano il suo nervosismo. –Questa non è la strada di casa. Dove stiamo andando? E la mia macchina dov’è?- domandò stizzito guardando Gad in cagnesco aspettando delle risposte che ancora non arrivarono.
Il vecchio non schiodò l’attenzione dalla guida e continuò a velocità moderata lungo il rettilineo della strada provinciale in uscita dalla città.
-La tua macchina non ti deve più interessare e il fatto che io sia qui è anche la risposta alla seconda domanda-
-Che vuoi dire? Voglio sapere dov’è la mia macchina. Non vado da nessuna parte con te!- sbottò a quel punto Jared voltandosi e aprendo la portiera, minacciando di scendere dalla vettura in corsa.
Gad si vide costretto a sterzare bruscamente per accostare al lato della carreggiata. Allungò la sinistra verso il giubbotto del nipote e lo strattonò riportandolo all’interno del furgoncino.
-Che diavolo vuoi fare, ragazzino?!- sbraitò Gad mettendo in folle il motore. –Vuoi sapere dove stiamo andando? Te lo spiego io: andiamo a casa mia. Tuo padre mi ha dato il consenso e quindi non voglio sentire obiezioni-.
-Ho ventiquattro anni e già da sei posso fare quello che voglio. Questo è sequestro di persona-
-I poliziotti saranno ben lieti di saperti rinchiuso a casa mia piuttosto che averti di nuovo in cella da loro-, rispose ridendo il vecchio alle affermazioni del nipote facendo un’alzata di spalle.
-E la mia macchina, allora?- continuò Jared su quell’argomento, stufo della situazione.
-Tuo fratello sarà ben lieto di farci un giretto di tanto in tanto. Ho dato le chiavi a Greg-
Il ragazzo strabuzzò gli occhi.
-A Greg? Quel fesso!? Stai parlando del mio fratellastro… Quello non è mio fratello-, alzò la voce Jared incrociando le braccia e stravaccandosi sul sedile del passeggero. Sbollentata la rabbia, in pochi secondi, accennò a utilizzare un tono meno aggressivo.
–Perché sei venuto tu?-
Rimesso in moto il furgoncino, Gad tornò sulla strada riprendendo l’andatura a velocità moderata di poco prima.
-Tuo padre…-
-Patrigno-, lo corresse Jared fermandogli la frase sul nascere.
Con un ghigno malevolo, Gad piegò il capo in cenno d’assenso tenendo la destra sulla cima del volante e la sinistra con il gomito poggiato allo sportello.
-John… mi ha chiesto di tenerti per un po’ di tempo sotto il mio tetto. “Fallo rigare dritto. Se non ci riesci tu, nessun altro ce la potrà fare!”, mi ha detto. Sono sicuro che un po’ di vita boschiva ti rinfrescherà le idee sul tuo futuro. Non sei più un ragazzino, Jared-
Tuttavia, le parole di suo nonno sfumarono nella sua testa già a quella brutta imitazione di John. Chiuse gli occhi e poggiò la testa contro il finestrino dormendo per tutto il tragitto, recuperando la notte passata in cella.
 
In Canada, quando ti muovi in macchina per le campagne, può sbucarti di tutto sulla strada e non è di certo una rarità trovare sull’asfalto le carcasse di animali defunti, praticamente spiaccicati al suolo.
Il vecchio Gad, dal canto suo, si era procurato quel vecchio macchinone resistente, anche a prova di mucca. Sarebbe rimasto in piedi persino dopo lo scontro contro un bufalo. Erano tutte dicerie e a lui non interessava di certo per questo motivo ma perché era in grado di attraversare torrenti e i cumuli di neve invernali.
In più, per Gad, vedere gli animali morti sull’asfalto, era qualcosa di raccapricciante e di vergognoso.
Non per Jared.
Lui, molto spesso, da ragazzo, quando frequentava le superiori, perdeva il tempo a contare le “marmellate” sul tragitto da casa di suo nonno a quella del patrigno.
Era costretto ad andare avanti e indietro per poter vedere sua madre che, per gli ultimi mesi di vita, aveva desiderato stare nell’abitazione in cui era nata e cresciuta, attorniata dalle foreste, con suo padre.
Non potendo saltare mesi di scuola, Jared dovette organizzarsi per andarla a trovare i pomeriggi fino a casa di suo nonno e stare con lei a tempo libero. Fu così che ebbe la sua prima macchina, dopo aver preso la patente immediatamente in seguito al compimento dei sedici anni.
Se avesse dovuto descrivere quei mesi con un aggettivo in particolare, li avrebbe definiti tempi “malati”.
 
-Sveglia ragazzo, siamo arrivati-
La voce rombante di suo nonno lo riportò al presente. Intorpidito e incriccato per la mancanza di un cuscino sul quale poggiare la testa, uscì dalla macchina e si districò le gambe sgranchendosi le ossa.
Portò lo sguardo attorno a se.
Si era quasi dimenticato delle montagne, i laghi, le foreste e i fiumi, per non parlare del freddo. Vivendo in città neppure ci si accorgeva di essere in Canada ma lì, ad un passo dai boschi della zona e dalle riserve naturali brulicanti di animali liberi e protetti, sembrava di stare perennemente in campeggio.
Jared salì le scale del portico in legno non mancando di provocare qualche scricchiolio per colpa delle vecchie travi. Era da anni che non metteva piede in quella casa e ora sentiva addosso tutto il freddo di quei tempi “malati”, come li chiamava lui.
Si ficcò le mani nelle tasche del giubbotto per poi andare a fare qualche passo all’interno della casa.
Sembrava che il tempo lì si fosse fermato congelando tutto quanto così com’era otto anni prima.
Il quadro alla parete che non riusciva ancora a identificare come qualcosa di concreto, l’arredamento vecchio e dai colori caldi d’accompagnamento al parquet di scarsa qualità e alla carta da parati giallognola e floreale. La poltrona era sempre allo stesso identico posto vicino al camino ma voltata verso la tv, sostenuta da un mobiletto di legno comprato in saldo, o comunque di seconda mano.
-Lo sai che adesso esistono le tv ultrapiatte d’appendere al muro, vero?- domandò il ragazzo cercando di tirare a indovinare sull’anzianità della televisione, piccola e spessa, piazzata in quel soggiorno.
-Quel gioiellino avrà quasi la tua stessa età. Non prendere in giro i vecchi e vieni a darmi una mano piuttosto-.
Detto questo, nonno e nipote, si misero a tentare di fare del loro meglio per riuscire ad accendere il camino.
Faceva talmente freddo da dover stare in giaccone persino in casa, attesero quindi che il fuoco fosse bello vivace prima di occuparsi del pranzo.
Gad scomparve in cucina mentre Jared fece un altro breve giro della casa.
Era tutto esattamente come si ricordava. Dopo aver percorso le scale si era voltato verso l’uscio semi aperto della stanza di sua madre. Appesa sulla porta vi era una lavagnetta colorata con sopra scritto “Sarah” in stampatello viola.
Jared vi passò due dita leggere sul bordo levandovi la polvere, portando gli occhi verdi sopra alla scritta fatta molto tempo fa da sua madre.
Non entrò nella stanza. Lì, a detta di suo nonno, era spirata nel sonno con il sorriso sulle labbra anni addietro. Non voleva mettervi neppure piede e così ripercorse i propri passi scendendo di sotto.
 
Per pranzo mangiarono della semplice carne secca con uova strapazzate e dell’acqua gelida.
Non parlarono molto, o meglio, Jared non spiccicò parola mentre il vecchio Gad continuò a parlare del lavoro come guardia forestale descrivendo tutto quello che avrebbero dovuto fare nel tempo di quel pomeriggio stesso. Gad parlava, era Jared che non ascoltava.
Finito il pranzo, il nipote si trovò costretto a dover seguire suo nonno al lavoro con Hugh, il suo vecchio cane-lupo.
Descrivere Hugh era facile: vecchio, fedele e leale. Seguiva Gad ovunque e questo se lo portava dietro ben volentieri da quando era cucciolo, nato da un pastore tedesco e una lupa.
Saliti in macchina tutti e tre partirono per la ricognizione all’interno delle terre della riserva e per sistemare delle pratiche.
Con molta poca voglia di starsene lì come un prigioniero, Jared strinse i denti fino alla fine del turno di Gad al lavoro.
Il vecchio avvisò molti turisti dei pericoli e già a metà pomeriggio il ragazzo aveva imparato a memoria tutta la sfilza di regole di cui dover tener conto all’interno dei parchi.
Mentre il vecchio rimase a parlare con un turista straniero cercando di farsi capire, Jared notò un movimento insolito tra la boscaglia vicino a una famiglia intenta a mangiarsi il pranzo al sacco. Fece qualche passo e vide il muso di una volpe concentrata ad osservare affamata i sandwich che i turisti avevano dentro una cesta di vimini al loro fianco. Il ragazzo, volendo intervenire, afferrò da terra una manciata di sassolini e iniziò a gettarne una manciata attorno al cespuglio nel quale si era nascosta la ladra rossa, spaventandola fino a vederla correre via come una furia.
Dal suo punto di vista era anche quello un modo per mantenere la tranquillità nei parchi della riserva. Forse con un metodo un po’ brusco, ma l’importante non sono i mezzi quanto più i risultati, no?
Dopo sei lunghe ore di camminate per i boschi, una volta a casa, era talmente stremato da star male.
Faticava persino a fare i gradini del portico e quando sentì la porta di casa aprirsi desiderò solo farsi una doccia e infilarsi sotto le coperte. Avrebbe pensato l’indomani a un modo per scappare da quella galera.
-Tuo padre mi ha dato una valigia di vestiti tuoi- fece Gad lanciandogli il mazzo di chiavi del vecchio furgoncino. Il ragazzo le afferrò al volo e tornò a guardarlo.
-Patrigno- precisò Jared, fulminandolo con lo sguardo mentre questo si levava sulla poltrona i pesanti scarponi sporchi di fanghiglia.
Il giovane uscì sbattendo ferocemente la porta di casa, scese il portico e raggiunse la vettura parcheggiata proprio lì di fronte.
Aprì il baule trovandovi all’interno la sua valigia blu con dentro vestiti di ogni genere che fino a ventiquattro ore prima stavano nei cassetti del suo armadio, a casa sua.
Aveva già la mano sulla maniglia del bagaglio per tirarlo giù dalla macchina quando tornò a fissare il mazzo di chiavi che ancora stringeva nella sua destra. E lì gli venne l’idea.
Non ci mise poi molto ad attuare il suo piano di fuga, poiché la prima chance gli si era palesata sopra a un piatto d’argento.
Sorrise tra se e se stringendo tra le dita le chiavi, chiuse il baule e saltò immediatamente al posto di guida.
Pochi secondi dopo già si stava allontanando dalla tenuta di suo nonno sfrecciando a gran velocità per allontanarsi da questa e dal suo vecchio proprietario.
 
Sarebbe tornato a casa sua, nel buio della notte sarebbe entrato nell’abitazione, grazie alla chiave d’emergenza dentro il vaso di fiori di fianco alla porta d’entrata, avrebbe preso le chiavi della sua auto, il resto delle sue cose, qualche gruzzolo di soldi e se la sarebbe filata via.
Era stufo della gente che lo comandava a bacchetta senza averne alcun diritto. Odiava quell’insulsa situazione.
John era ricco grazie alla sua azienda di elettrodomestici, di certo non gli sarebbe pesato troppo ritrovarsi il portafogli alleggerito di un milione o due, no?
Non faceva che dar loro un peso in meno andandosene lontano e sparendo dalla circolazione. Non era di certo il figlio prediletto o il nipote ben voluto dalla famiglia. Nonostante la sua fedina penale costantemente macchiata di furti di ogni genere, era comunque più sostanziosa la lista dei suoi licenziamenti in una montagna di posti di lavoro diversi.
Greg era giusto. Un damerino studioso che avrebbe continuato a regnare nell’azienda di suo padre. Un fesso, appunto, come lo definiva sempre Jared. Perché limitarsi a rimanere per tutta la vita nello stesso posto quando si poteva girare come e dove si voleva?
Il ragazzo sbadigliò di stanchezza e, volendo rompere il silenzio, accese la radio su una stazione di musica country.
Il rettilineo era deserto, sia di macchine, sia di case e stabilimenti. Una strada immersa nel buio della notte e semi-inghiottita dalla vegetazione della foresta che la carreggiata tagliava in due parti, senza recinzioni o guard rail.
Il terzo sbadiglio e l’appesantirsi delle palpebre avrebbero dovuto metterlo in allarme. Purtroppo nei dintorni non vi erano posti in cui fermarsi e, se l’avesse fatto, avrebbe rischiato che durante il suo pisolino potesse essere aggredito da un orso, un puma o, peggio ancora, da un paio di poliziotti decisamente poco amichevoli essendo stati sicuramente chiamati a dover gironzolare come matti alla ricerca della macchina che stava attualmente guidando lui ma che era di proprietà del capo dei ranger locali.
La musica prese toni quasi ipnotici mentre il riscaldamento rendeva l’ambiente lievemente meno freddo dell’esterno. La notte incombeva senza luna mentre solo i suoi fari illuminavano la strada. Nessun altro suono o rumore si disperdeva nell’ambiente se non quello del furgone e della musica di sottofondo.
Si diede uno schiaffo sul viso per tenersi sveglio ma l’inevitabile capitò ugualmente e, tenendo entrambe le mani sul volante, si assopì per pochi secondi. Solo uno o due, non di più. Furono sufficienti perché, appena li riaprì, fu come cadere per un secondo dentro ad un burrone.
Con ancora addosso la sensazione forte di vertigine, non vide il corpo, illuminato eccessivamente dai fanali, venirgli addosso dopo essere uscito dalla boscaglia e diretto verso la foresta situata a destra rispetto alla strada.
Fu un boato violento che lo svegliò del tutto come fosse stato preso da un colpo di cannone.
Strinse le mani sul volante e schiacciò il pedale del freno ma dovette sterzare perdendo il controllo del quattro ruote.
Ingoiò un’imprecazione uscendo di strada senza mollare il freno ma questo sembrava fuori uso, tanto che il furgone finì la sua corsa contro una grande quercia, provocando un grande boato.
Jared batté con violenza il capo contro il volante e fu strattonato indietro dalla cintura di sicurezza.
In seguito tutto tacque.
In quei pochi minuti prima di svenire, tutto ciò cui riuscì a pensare fu che qualcosa lo aveva colpito. Di sicuro non era grande quanto un bufalo o una mucca, ma comunque era riuscito a fare in modo di mandare fuori traiettoria il furgoncino.
Cercò inconsciamente di creare un quadro della situazione, di provare a muoversi per constatare i danni e capire cosa gli fosse successo ma, pochi istanti dopo, la vista gli si annebbiò e la bocca si fece più pastosa. Fu percorso da un profondo freddo e infine perse conoscenza.

 
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Salve,
ho deciso d'iniziare a pubblicare qui su EFP i capitoli de "La Maledizione di Nashoba", un libro che pubblicai nel 2012.
Si tratta di una storia acerba, forse non molto elaborata e che pecca di diversi errori di sintassi ma per me è ancora molto preziosa. Per questo motivo voglio iniziare a condividerla con voi e spero possa piacervi e intrattenervi per le prossime settimane in cui pubblicherò i successivi capitoli, fino alla fine del libro.
Vi ringrazio e buona serata/giornata!
   
 
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