Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: kibachan    24/04/2018    2 recensioni
a 24 ore dall'uscita al cinema di infinity war, la mia versione dell'arrivo di Thanos sulla terra e la guerra che gli Avengers si troveranno a combattere per salvare il pianeta e metà dell'universo. Il tutto intrecciato con situazioni personali che ancora devono trovare la loro direzione e... i guardiani della galassia! che certo non potevano perdersi tutto questo gran macello! XD
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Peter Parker/Spider-Man, Thanos, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti, Visione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
GUERRA INFINITA
 
I suoi capelli rosso fuoco ondeggiavano piano mentre si muoveva ritmicamente su di lui. La bocca semiaperta, gonfia di baci, gli occhi liquidi. Era la cosa più bella che Clint avesse mai visto, ed era sua.
Affondò le dita nei suoi fianchi marmorei sospirando, mentre insieme si avviavano verso il culmine del piacere. La teneva saldamente mentre ne accompagnava il movimento. Le poggiò la fronte sulla spalla ansando contro la sua pelle tesa e perfetta.
“ti amo Nat…” riuscì a sussurrare “lo so” rispose lei. Non ricambiava mai le sue parole ma lui sapeva che lo amava. Lo sentiva nello stomaco ogni volta che si guardavano.
“Clint..” come tutte le volte era il suo nome pronunciato con voce roca, in punta di labbra, a determinare l’arrivo dell’orgasmo per entrambe.
 
Clint Barton si rizzò a sedere sul letto di scatto, annaspando aria e stringendo il lenzuolo tra i pugni. Regolarizzò appena il respiro mettendo a fuoco i dettagli della sua camera da letto in penombra.
Merda l’aveva sognato di nuovo.
Non poteva crederci.
Si passò una mano sul viso sudato, sentendosi come ogni volta leggermente in imbarazzo.
“amore… che succede?” la voce impastata dal sonno di Laura lo fece sussultare e si girò su un fianco dandole la schiena mentre lei si metteva seduta in mezzo al letto. Non voleva che notasse l’erezione che aveva per il sogno a luci rosse che stava facendo. “Niente” le disse con voce più rassicurante che poté “solo un incubo, torna a dormire”. La donna mugugnò qualcosa che fece capire a Clint che se l’era bevuta, la sentì sbadigliare e coricarsi a cucchiaio dietro di lui. Un braccio sottile gli si infilò sotto il gomito cingendogli la vita “è la terza volta questa settimana” la sentì sussurrare. Si morse il labbro inferiore, le altre volte non gli era sembrato che si fosse svegliata “mi dispiace amore, stai lavorando troppo ultimamente, tutte le cose brutte che vedi…” Clint rilassò i muscoli nel suo abbraccio, sollevato che fosse stata sua moglie stessa a trovare una scusa per questi suoi salti in mezzo al letto “ora cerca di tranquillizzarti… ci sono qui io” le sentì dire ancora, poi la stanza piombò di nuovo nel silenzio. Dopo poco il respiro della donna rallentò prendendo il caratteristico ritmo del sonno e Clint scivolò fuori dal suo abbraccio e andò in bagno per sciacquarsi la faccia.
Si guardò allo specchio autorimproverandosi con lo sguardo. Ma che gli prendeva? Da un mese a quella parte aveva iniziato a fare sogni erotici su Natasha!! Roba che neanche alle medie! Ma come era possibile?? Lui e Nat si conoscevano da secoli, avevano lavorato fianco a fianco in missioni più o meno suicide per anni, fin da prima del suo matrimonio con Laura, e non l’aveva mai desiderata! E ora?? Improvvisamente non riusciva a chiudere gli occhi senza immaginarsela in quella veste?
Si passò ancora una mano sul viso dopo averla intrisa di acqua fredda.
La cosa strana era la dovizia di dettagli, di sensazioni… così vivide, persino gli odori, precisi e particolari. E poi una cosa soprattutto era curiosa… i capelli.
Da quando Banner era sparito Natasha aveva fatto un cambio radicale (anche se aveva minacciato di morte chiunque avesse osato collegare le due cose) e si era tinta i capelli di biondo platino. Erano passati due anni ormai. Lui faceva questi sogni allucinanti da un mese soltanto… eppure nei suoi sogni Nat aveva sempre, sempre i capelli rossi come ce li aveva una volta.
Sulle prime, quando il disdicevole episodio aveva cominciato a presentarsi con regolarità, Clint aveva pensato che stava suo malgrado vivendo un piccolo momento di noiosa routine con Laura, ed essendo Nat indubbiamente avvenente, nonché una delle pochissime donne che orbitavano nella sua vita, il suo cervello avesse scelto lei per svagarsi un po’. Ma allora perché non immaginarla con la chioma bionda che la ragazza sfoggiava ormai da due anni?
Non se lo spiegava.
Pregando intensamente di non riprendere il sogno lì da dove lo aveva lasciato andò a ricoricarsi a letto. Anche se si trattava solo di fantasie (sebbene pazzescamente realistiche) non voleva neanche pensare di tradire sua moglie. Non era da lui. Lo aveva giurato a se stesso il giorno che si erano sposati.
Ricordava bene il suo abito semplice, i fiori d’arancio, il tutto inondato dalla luce calda del tramonto sulla spiaggia. Era stato un giorno perfetto.
Un giorno perfetto.
Non poteva fare a meno di pensarlo tutte le volte che riviveva nella testa quei momenti.
 
26 luglio 2018 – casa di Barton
 
Il mattino seguente Clint si era alzato con un gran cerchio alla testa che stava cercando di ignorare, mitigandolo nelle tranquille abitudini mattutine della sua famiglia. Dopo gli accordi di Sokovia, e dopo essere fuggito dalla prigione sottomarina, Fury aveva fatto in modo di farlo reintegrare nello Shield e negli Avengers, sostenendo che nonostante i suoi crimini di lui non si potesse fare a meno nel gruppo, che rappresentava la voce della coscienza, il lato umano e sbrodolate simili.
Sospettava che Natasha avesse fatto un qualche tipo di pressione a riguardo, per qualche motivo Fury sembrava incapace di negarle qualcosa.
Nonostante ciò, e nonostante fosse tutto sommato grato a Nat per avere ancora un posto di lavoro, si era rifiutato di vivere alla base degli Avengers in tempi di pace. Aveva voluto mantenere fede alla promessa fatta ai suoi figli di stare più tempo con loro.
Entrò in salotto massaggiandosi i capelli ancora umidi di doccia con un asciugamano. Il profumo del caffè che Laura stava preparando nel cucinino adiacente riempiva l’aria. “buongiorno a tutti..” esordì andando poi a baciare sua moglie sulla guancia. “ciao papà!” cinguettò Mary, la sua secondogenita, correndo ad abbracciarlo. Come tutte le bambine di nove anni era innamorata del suo papà. “ciao dolcezza” rispose lui sollevandola un attimo tra le braccia per stamparle un paio di baci a schiocco “ciao Càel..he…” disse poi all’indirizzo del ragazzino seduto con i piedi sopra il tavolino e il naso sprofondato dietro un romanzetto horror. Quello sollevò una mano agitandola in segno di saluto e Clint sospirò. Càel aveva 12 anni ed era da poco entrato in quella ‘fantastica’ fase della vita dove tutto, compreso te stesso, ti da fastidio. “hei giovane..” gli disse bussandogli le nocche sulla testa “via i piedi dal tavolo” aggiunse con un’eloquente occhiata. Il ragazzo sbuffò il più sonoramente possibile ma obbedì e Clint si ritrovò a sorridere al suo profilo ostinato. In quel momento una voce eccitata trillò nella sua direzione “papàààààààà” si voltò per veder sopraggiungere Laura con una tazza di caffè in una mano e il piccolo di casa, Nathaniel, seduto su un fianco. “amore di papà!” esclamò l’uomo mentre il piccolo gli volava tra le braccia con un tuffo “ecco a te” gli disse Laura porgendogli la tazza fumante “potresti fare la doccia a Nathaniel quando hai fatto?” aggiunse dipingendosi un sorriso angelico sul viso. “ah!” Esclamò Clint “ecco il perché del caffè” commentò ironico mentre lei gli faceva una linguaccia. Scherzava ovviamente… adorava prendersi cura del più piccolo, che per lui aveva una spiccata predilezione, l’unico bimbo di due anni a preferire il papà alla mamma. L’uomo bevve il caffè in una sola sorsata e si caricò meglio il suo baby clone su una spalla “si parte per la missione doccia!” esclamò facendo scoppiare a ridere il bambino. Poi si incamminò verso il bagno.
Laura occhieggiò più volte verso la porta fingendo noncuranza, poi quando fu certa di sentire il rumore dell’acqua scrosciare afferrò il cellulare e si diresse in salotto. “andate a giocare fuori” intimò ai due bambini più grandi, che non se lo fecero ripetere due volte. Sapevano che con la mamma non c’era da far storie. Poi Laura scorse la rubrica, sempre con un occhio alla porta del bagno e avviò la chiamata. Qualcuno rispose al primo squillo:
“sono io mamma” disse piano “si. Credo l’abbia sognata di nuovo.”
Istante di attesa
“si sono sicura… non credo lui se ne sia accorto ma ha pronunciato il suo nome” “ormai è la terza volta in una settimana” aggiunse poi.
La persona dall’altra parte del telefono disse qualcosa e Laura parve spazientita
“io te lo avevo detto che non era buono che lavorassero ancora insieme” proruppe cercando di controllare il tono della voce. Ancora rimase ad ascoltare le parole dall’altra parte per un po’ poi iniziò ad annuire
“ok, ok… ti avverto se ci sono sviluppi. Ciao.” Istante di attesa “si si.. ciao mamma..” aggiunse quindi alzando gli occhi al cielo come se dall’altro capo del telefono fosse giunto un rimprovero. Poi attaccò.
Laura rimase per un attimo a fissare il display del cellulare arrabbiata. Quella situazione stava diventando per lei davvero insostenibile ormai.
 
 
 
 
26 luglio 2018 – Queens
 
Faceva un caldo abominevole quella mattina e Peter, in canottiera e boxer, se ne stava appeso a testa in giù dal soffitto della sua camera, cercando di mettersi in corrente tra la finestra e il lucernario della mansarda. Si sventolò con una rivista sbuffando. Facevano seimila gradi e  lui era confinato in casa.
Quando zia May, un paio di mesi prima, aveva scoperto che era Spiderman era completamente impazzita: era passata nel giro di pochi secondi dall’urlare tutte le parolacce che conosceva al ridere in maniera isterica, poi aveva pianto abbracciando Peter, poi aveva di nuovo riso e alla fine lo aveva messo in punizione fino alla fine dei tempi. Poi era uscita di casa come una furia dicendo che questa faccenda era tutta colpa di quel Tony Stark e che andava a cantargliene quattro. Peter aveva provato in tutti i modi eccetto che con le ragnatele a fermarla, ma non c’era stato verso.
Quando era tornata, decisamente più calma e con una inquietante aria vittoriosa, avevano parlato a lungo. Lui le aveva espresso i suoi motivi per cui voleva, doveva! Farlo.. e lei alla fine aveva acconsentito a lasciarlo continuare solo a patto che la avvertisse tutte le volte. Cosa decisamente imbarazzante e noiosa… ma almeno…
Sulla punizione comunque era rimasta irremovibile, per la bugia aveva detto, niente uscite per divertimento fino a… non aveva ancora deciso quando. Peter aveva pensato che tecnicamente non aveva mentito, dato che lei non gli aveva mai chiesto se fosse lui Spiderman… ma non gli era sembrato saggio controbattere.
Ora però quella situazione cominciava a pesargli decisamente troppo, stava letteralmente sciogliendosi dal caldo, doveva uscire! Con un salto mortale atterrò al centro della camera, afferrò i jeans e una t-shirt scolorita dalla sedia. Saltellando su un piede solo si infilò le convers e il cellulare nella tasca dietro e andò in corridoio diretto alla camera di sua zia. Voleva proporle di andare insieme alla piscina comunale. Se c’era lei non si poteva proprio considerare un infrangere la punizione giusto? A fare la spesa ci erano andati! E qui si trattava di vita o di morte!
Non fece che due passi nell’angusto corridoio che avvertì una sensazione strana. Quella sensazione strana. Quella specie di premonizione che di tanto in tanto gli dava l’impressione di avere gli occhi anche sulla nuca. Ma più forte. Cento volte più forte. Sentì in un lampo drizzarglisi tutti i peli delle braccia e della nuca, e capì che non aveva più di un secondo di tempo.
Il suo corpo, innaturalmente agile, si mosse ancora prima del suo cervello, si proiettò in camera di sua zia dall’altra parte del corridoio, incalzò con un “via via via” le esclamazioni di sorpresa di May quando la sollevò di pesò con un braccio e si lanciò fuori dalla finestra rompendola. May vide confusamente un filamento di qualcosa partire dal braccialetto al polso di Peter e il senso di vuoto alla stomaco mentre cadevano. Urlò. Poi il dolore intorno alla vita laddove la stretta del ragazzo la trattenne contro di sé mentre rimbalzavano con il filo elastico. Poi i suoi sensi vennero investiti in pieno da un boato, un lampo accecante di fiamme e un vento fortissimo.
Quando riuscì di nuovo a mettere a fuoco ciò che la circondava si ritrovò accovacciata a terra, ancora abbracciata a Peter a guardare uno spettacolo assurdo e agghiacciante. Una specie di colossale anello di metallo, delle dimensioni di un grattacielo, si era schiantato tranciando a metà il loro palazzo, e ora se ne stava lì, incastrato proprio laddove fino ad un attimo fa c’era casa sua, avvolto da una nuvola densa di fumo, fuoco e detriti. L’anello sembrava intatto… ma tutto il resto intorno era distrutto.
 
 
26 Luglio 2018 – quartier generale Avengers, poco fuori New York
 
Tony e Pepper stavano facendo amabilmente colazione nella depandance che avevano adibito a casa loro quando Happy era entrato praticamente sfondando la porta con una spallata e, ignorando le loro proteste, aveva acceso con uno scatto la tv. Le immagine sconvolgenti, di quella che era stata identificata come una colossale astronave a forma di anello piantata in un palazzo del Queens, avevano fatto sputare a Pepper spremuta dappertutto. Ma era stato altro a far gelare il sangue nelle vene di Tony. Era stato il riconoscere quel palazzo. Quello era il casermone popolare in cui abitava Peter!
In un attimo si era fiondato dalla depandance alla sala armamenti dove riposavano le sue armature, tallonato da Pepper “Tony quel ragazzo… Parker..” “sto andando a prenderlo” tagliò corto lui “pensi se la sia cavata?” chiese la donna arrancando nelle pantofole “ovvio. Tu non lo conosci… ci vuole ben altro per sorprenderlo” lo stava dicendo più a sé stesso che a lei. Natasha gli si affiancò d’improvviso sbucando da un corridoio adiacente “sto andando a ficcare il naso nelle indagini della CIA, vuoi venire?” chiese senza neanche introdurre l’argomento, certa che avesse sentito la notizia dato il ritmo del suo passo “vai tu… io devo fare una cosa, portati Barton” rispose senza rallentare, poi con la coda dell’occhio la vide annuire e prendere un corridoio diverso dal suo, sulla destra.
Era volato sul luogo del misfatto e aveva cercato Peter con il GPS e con lo scanner del computer interno all’armatura, ma niente. L’aveva chiamato sul computer del costume (Karen) e anche sul cellulare personale ma niente, il primo: non più attivo, il secondo: nessuna copertura di rete. Il fatto che non avesse trovato tracce di lui sul luogo dell’impatto poteva significare che fosse scappato come che fosse stato atomizzato. La cosa lo aveva mandato nella più completa paranoia e, dato il nulla di fatto, in serata era rientrato alla base per scannerizzare il territorio circostante l’esplosione con l’ausilio della più potente IA della base.
Fu proprio quando stava per mettersi a lavoro che sentì bussare alla porta della depandance. Sentì Happy imprecare mentre andava ad aprire e poi lo sentì esclamare un fortissimo “Peter!!! Grazie al cielo!!” che lo fece scattare all’ingresso.
Tony entrò un istante dopo Pepper e si fermò sulla soglia per lasciar andare il respiro di sollievo più grande della sua vita quando vide alla loro porta un Peter Parker, sporco di polvere ma decisamente in salute, che veniva stritolato in un abbraccio da Happy. Si avvicinò cercando di ricomporre il suo solito aplomb e batté una mano sulla spalla di Happy “suvvia Happy, un minimo di contegno, perché non vai a preparare una stanza he?” disse in tono ironico. Cosa che si smorzò non appena notò che alle spalle di Peter c’era anche sua zia.
L’ultima volta che Tony Stark aveva visto zia May gli era piombata in casa come una furia, gli aveva urlato di stare alla larga da suo nipote e gli aveva mollato un ceffone che non aveva nulla da invidiare a quelli di Hulk. In quel momento Tony si era sentito davvero coraggioso a non smentire la convinzione di May che fosse stato lui a spingere Peter a diventare Spiderman, temeva quello che avrebbe potuto fare al ragazzo se avesse scoperto che se ne andava in giro con una ridicola maschera rossa e blu già da prima di conoscerlo. Così si era preso volentieri la colpa. Ma ora  non aveva nessuna voglia di ripetere l’esperienza e istintivamente afferrò Pepper e la tirò davanti a sé per farsi scudo, spingendola verso la donna
“tesoro vuoi occuparti tu dell’adorabile zia di Peter? Mi sembra abbia bisogno di qualcosa da mettere” asserì ostentando la solita sicurezza, alludendo ai pantaloncini corti e la canottiera che May aveva su quando era stata prelevata dalla camera. La donna appariva sotto shock e non disse nulla mentre Pepper allungava un braccio e la accompagnava nell’altra stanza.
Solo allora Tony dedicò la sua attenzione a Peter. Aveva l’aria davvero sconvolta, i capelli arruffati e pieni di polvere, la maglietta strappata in più punti e una ferita sotto l’occhio dove era stato probabilmente raggiunto da un detrito volante. Incrociò lo sguardo con Tony e smorzò un piccolo sorriso “mi dispiace signor Stark…” balbettò “io… io non sapevo dove altro andare” “perché non dovevi andare da nessun’altra parte infatti” intervenne prontamente Tony “su” aggiunse allungandosi per battergli un paio di volte una mano sulla spalla (il massimo gesto d’affetto che in quel momento la sua sociopatia gli concesse) “vai a darti una ripulita” il ragazzo annuì “grazie signor Stark” disse piano, incamminandosi. Tony roteò gli occhi al cielo “basta con questo signor Stark” tagliò netto “chiamami Tony, ok?” Peter fece di nuovo cenno di sì, ma stavolta sentì nascere dentro un piccolo calore che lo fece sorridere “grazie… Tony” disse di nuovo, indugiando per un attimo su quel nome per sentire che effetto faceva.
L’uomo lo guardò lasciare la stanza e lasciò andare un sospiro. Era ora di chiamare la Romanoff e capire che cazzo era successo quella mattina.
 
Poche stanze più in là May stava cominciando a riprendersi. Pepper l’aveva fatta accomodare in quella che appariva come una saletta relax di un ufficio. L’aveva sistemata su una poltrona, prestato una delle sue tute da pilates e le aveva preparato la tazza di cioccolata più grande che May avesse mai visto. Ok che era luglio inoltrato… ma la cioccolata aveva comunque quel magico potere terapeutico in grado di calmarla e rassicurarla. Evidentemente doveva essere lo stesso per Pepper. Le rivolse un’occhiata e un mezzo sorriso imbarazzato, che lei ricambio con una stretta sulla mano e un sorriso incoraggiante.
“mi perdoni…” sussurrò piano stringendosi nelle spalle “per l’ultima volta che sono venuta qui… penserà che sono una pazza” aggiunse mascherando in un momentaneo sbuffo di risata il suo disagio. La donna scosse la testa “figurati… di sicuro se lo sarà meritato” disse alludendo al trattamento che May aveva riservato a Tony. Non era certo la prima volta nella sua vita accanto a quell’uomo che lo vedeva insultato e schiaffeggiato da qualche donna. Supponeva non sarebbe stata neanche l’ultima. La sua risposta fece sorridere May, questa volta in maniera più sincera. “cos’è successo? Laggiù…” chiese Pepper a quel punto, incoraggiata dall’aura di confidenza che si era instaurata tra loro. Lo sguardo della mora si fece vitreo nel ricordare “giuro non lo so” ammise “un attimo prima ero in camera mia a sventolarmi con un ventaglio per il gran caldo, l’attimo dopo ero fuori dalla finestra in un turbine di fuoco rumore e vetri rotti.” Raccontò quindi “quella cosa… sembrava un’astronave di quelle che si vedono nei film, ed ha deciso di atterrare proprio sopra casa mia” le ultime parole furono pronunciate con voce rotta, ed ebbe bisogno di alcuni istanti di singhiozzi per calmarsi di nuovo “se non fosse stato per Peter…” sussurrò… più a sé stessa che a Pepper, come prendendo coscienza solo in quel momento di ciò che davvero suo nipote era stato in grado di fare. Salvarli entrambe. Senza il costume di Tony Stark. Solo con le sue forse. Era lui allora ad essere speciale… non il costume. Si chiese come mai non avessero mai parlato di questo prima.
Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dal suono della porta scorrevole d’acciaio che si apriva. Sollevò la testa e vide entrare un uomo di colore sulla sedia a rotelle, che riconobbe come il Colonnello James Rhodes, che più volte aveva visto in televisione accanto al presidente, o nei panni di War Machine. Aveva sentito dire al TG che era rimasto gravemente ferito, ma non immaginava fino a questo punto. “"Rhodey!” lo salutò allegramente Pepper “ti presento May Parker, è la zia di Peter ti ricordi di lui? È stato qui spesso, lui…” “Spiderman” rispose lui sorridendo “ma certo” poi si spinse fino accanto al tavolo e allungò una mano verso May “molto piacere, sono James” la donna gli strinse la mano “May. Lei conosce Peter?” chiese, ancora stranita dal fatto che il suo nipote quindicenne avesse un alias e che fosse noto agli Avengers in persona “oh non bene, ma l’ho visto in azione. È un ragazzo davvero…. Dotato” “già…” commentò con un mezzo sorriso lei “deve esser fiera di lui” la incalzò Rhodey “lo sono” ammise sinceramente. Poi ebbe come un flash nella testa. Peter. Stavano parlando di lui da 10 minuti buoni, ma dov’era? Stava bene? Era da solo? Scossa da questi interrogativi scattò in piedi “scusi signorina Potts, dov’è Peter adesso?” maledizione era talmente sconvolta da non essersi resa conto che non si era occupata per niente di lui, semmai era stato il contrario! Era o non era lei l’adulto lì??? La bionda le sorrise interpretando bene la sua improvvisa agitazione “la terza porta in fondo al corridoio sulla destra” le disse vedendola proiettarsi poi fuori dalla saletta “occhio che la quarta è quella di Visione!!” le urlò dietro Rhodey e poi guardando Pepper aggiunse “potrebbe avere uno shock a trovarselo davanti all’improvviso” “e per oggi direi che ne ha avute abbastanza” convenne la donna.
 
Tre stanze più in là, in fondo al corridoio di destra, Peter si stava guardando nello specchio dopo la doccia, valutando l’entità del danno al suo zigomo. Con una smorfia di dolore estrasse un piccolo pezzo di vetro dal taglio. Lo studiò per un attimo e poi lo buttò nel cestino. Lasciò andare un sospiro guardandosi attorno. Indossava una delle canottiere di Tony, 100% cotone egiziano, niente a che vedere con le magliette del mercatino che usava regolarmente. Alle sue spalle c’era il letto più grande in cui si fosse mai sdraiato. Ma nonostante ciò quelle comodità non potevano competere con il ricordo della sua camera, del suo letto, che cominciava ad essere troppo corto, ma in cui suo zio Ben gli aveva rimboccato le coperte praticamente fino al giorno prima di morire. Tutto quello non esisteva più. Sentì pizzicare gli occhi e si affrettò ad asciugarsi velocemente le lacrime con la mano quando sentì la porta aprirsi. Si girò e vide May affacciarsi con solo la testa nella stanza. Indossava un rassicurante sorriso. “hei” le disse provando a ricambiare il sorriso e sedendosi sul letto per ostentare tranquillità “tutto bene?” May sorrise teneramente dei suoi occhi arrossati e corse ad abbracciarlo. Peter si lasciò stringere contro il petto di sua zia, che era rimasta in piedi per coccolarlo meglio, e permise a due lacrime due di scendergli dagli occhi chiusi quando le sentì dire “sei stato bravo” “non abbiamo più niente” disse lui mantenendo la voce bassa per non farla tremare. May lo staccò da sé per guardarlo negli occhi “non è vero. Abbiamo tutto invece” gli disse con sicurezza “abbiamo te e me, insieme. Non ci serve altro. Anzi!” aggiunse poi afferrando la catenina che portava intorno al collo per aprirne il ciondolo “abbiamo pure zio Ben” disse mostrando a Peter la foto che teneva sempre sopra il cuore. Una minuscola istantanea con tutti e tre loro insieme con i cappellini di capodanno, scattata pochi mesi prima della sparatoria che glielo aveva portato via. Peter spalancò un gran sorriso sincero “credevo l’avessi persa nel salto!” May sorrise arruffandogli i capelli, che senza phon stavano cominciando a prendere il solito aspetto riccio crespo “visto? Non ci manca nulla” disse sorridendo.
 
 
 
 
26 luglio 2018 – casa di Barton – alcune ore prima.
 
Clint avrebbe dovuto intuire dal modo in cui era cominciata che quella sarebbe stata una giornata di merda. Ne aveva avuto la certezza quando si era ritrovato Nat davanti alla porta di casa, e ci era arrivata con il jet degli Avengers. L’aveva pressoché requisito da casa e durante il viaggio l’aveva informato dello schianto dell’astronave nel Queens. Mentre andavano Clint si era domandato come mai ultimamente le minacce arrivassero sempre da divinità strane, alieni potentissimi e roba del genere. Che fine avevano fatto i cari e vecchi terroristi di una volta?
I due avevano mantenuto abiti civili e avevano poi fatto atterrare il jet in un eliporto su di un grattacielo nel quartiere di Brooklin, per proseguire con la metropolitana e poi a piedi fino al luogo dello schianto. Avevano il compito di carpire informazioni senza dare nell’occhio. Quella gigantesca cosa, da quando era ‘atterrata’ quella mattina non aveva ancora dato alcuno segno di vita.
I due si posero in mezzo alla folla di curiosi che si era radunata intorno al nastro giallo della polizia osservando il perimetro delimitato intorno alle macerie. Clint ebbe un conato al pensiero delle persone spazzate via in un istante da quel mostruoso anello di metallo nero.
“ci sono tutti: esercito, marines, guardia nazionale… sembra una rimpatriata di tutti quelli che mi cercavano una volta” scherzò Nat. Un giornalista ritardatario si fece largo tra la folla mostrando un pass stampa spintonando a destra e a manca. Clint accostò Nat  a sé con un braccio dietro le spalle per evitare che il tizio la travolgesse. Il tocco della sua mano sulla pelle nuda del braccio di Nat, lasciata scoperta della canottiera, gli fece tornar su prepotentemente il sogno della notte prima, e lui dovette addirittura scuotere la testa per mandar via la fitta che gli aveva preso alle tempie. Il ricordo tattile era stato fortissimo, quasi come se quello non fosse stato un sogno, ma il ricordo reale di una notte trascorsa insieme, come se lui avesse davvero accarezzato quella pelle liscia e perfetta. Ma che gli succedeva? Stava impazzendo? Meglio concentrarsi sul lavoro “ma come hanno fatto le camionette dei telegiornali a parcheggiarsi ancor più vicino dei militari all’astronave” commentò tra i denti “forse l’esercito spera che saranno colpiti prima loro così” scherzò ancora, ma forse non così tanto, Nat.
 
Dopo alcune ore, in cui c’era stato un gran andirivieni di militari affaccendati in chissà quali mansioni di comunicazione, uno sproposito di selfie davanti al luogo del disastro e un lavoro pressoché continuo di giornaliste in tacchi a spillo che cianciavano davanti alla telecamera sempre le stesse quattro parole rigirate in vario modo per intrattenere il pubblico a casa avido di notizie, si decise per mandare un drone dotato di telecamera più vicino possibile all’astronave per avere qualcosa di più in mano che non fossero supposizioni.  “ecco è partito” disse Nat alzandosi sulle punte dei piedi per vedere meglio da dietro a quello che sicuramente era un giocatore di basket in pensione “speriamo che chiunque ci sia lì dentro non prenda il drone per una dichiarazione di guerra” gli fece eco Clint “sempre che ci sia qualcuno… hai pensato che potrebbe essere un relitto di qualcosa?” disse la donna a quel punto “io con i miei strumenti non ho riscontrato alcun picco di calore lì dentro” aggiunse tirando fuori quello che aveva tutta l’aria di un cellulare, ma che era invece un rilevatore termico a distanza “ti ricordo che esistono alieni come Loki che sono denominati Giganti del ghiaccio” ribatté Clint. Nat stava per dire qualcosa quando il display del rilevatore si illuminò richiamando la sua attenzione. Guardò alternatamente quello e l’astronave. Il punto in cui il drone si stava avvicinando si stava riscaldando ad una velocità impressionante! Prima ancora che potesse riferirlo al suo compagno il drone si posò sul perimetro esterno dell’astronave e istantaneamente dopo fu incenerito in un’ovazione di sorpresa di tutti i presenti. Clint e Natasha si unirono alla folla di gente in cui stavano, assecondandone il movimento di fuga per non finire schiacciati, fino al primo vicolo disponibile “che diavolo è successo???” esplose Clint “la superficie” rispose con la solita calma lei “si è arroventata al punto di ridurlo in polvere” spiegò studiando i dati che gli stavano apparendo sul rilevatore “direi che non gradisce essere disturbato” commentò poi “dire che non è un relitto manco per niente” gli fece eco Clint. Natasha gli scoccò un’occhiata e poi si affacciò dal vicolo “non c’è più nessuno a parte i militari, anche se sembra tornata la quiete, non possiamo più stare qui senza essere notati” disse “torniamo alla base e riferiamo cosa è successo” propose lui “se sarà il caso di venire qui a distruggerle preventivamente tutti lo decideremo insieme, o Tony si da ancora arie da gran capo e dovremo fare quello che dice lui?” punzecchiò. Non aveva ancora digerito gli avvenimenti dell’anno precedente, ed essere finito in una carcere sottomarino, lontano dalla sua famiglia, per tre mesi, non aveva aiutato a fargli seppellire l’ascia di guerra contro Tony. Natasha lo fulminò “vedi di piantarla… Tony aveva ragione per una volta, e se tu avessi sentito come stavano le cose prima di unirti a Steve, spinto dal ribollire del tuo sangue irlandese litigioso, ne converresti” Clint fece quasi un passo indietro. Questa prosopopea di difesa da parte di Nat era piuttosto inedita, ma si fidava ciecamente di lei. Se lei diceva che Tony era apposto… se lo sarebbe fatto andare giù.
 
26 Luglio 2018 – quartier generale Avengers, poco fuori New York
 
 
Tony rimuginava sulle informazioni che gli aveva appena snocciolato Natasha dopo un’intera giornata di spionaggio, sprofondato in una sedia girevole intorno al tavolo di vetro, che fungeva da gigantesco schermo del computer, intorno al quale si erano radunati.
“bhe… non è molto su cui lavorare, purtroppo” Rhodey diede voce ai suoi pensieri, che si era ben guardato dall’esprimere a voce alta per non indispettire Clint, che lo fissava con per niente celato schifo dall’altra parte del tavolo. Sospirò. Erano pochi, pochissimi rispetto al passato, e Rod era fuori uso. Si domandò dolorosamente se non fosse il caso di coinvolgere il ragazzino in questa faccenda. “l’esercito tenterà una manovra di attacco dopo l’episodio del drone?” chiese Visione con la sua solita voce pacata “pare di no per adesso” rispose Nat tamburellando il tavolo con una penna “forse è meglio così” disse Tony alzandosi in piedi “qualunque cosa in grado di arrivare a quelle temperature in così poco tempo non è alla portata dei mezzo di difesa dell’esercito tradizionale” “meno male che ci sei tu vero Tony?”  lo punzecchiò Clint “senti ma quanti anni hai?” gli rispose l’uomo iniziando ad alterarsi “se hai qualcosa da dirmi parliamone e basta” aggiunse  “oh ne avrei eccome” ringhiò il biondo “ragazzi!!” esplose Rodhey sopra le loro voci “basta…” aggiunse. E se lo diceva lui, che più di tutti aveva perso qualcosa dalla battaglia all’aeroporto, era davvero il caso di smetterla. “ebbene” riprese Nat dopo un istante di silenzio in cui notò la tensione abbandonare i visi di entrambe i contendenti “che facciamo noi? Aspettiamo che il generale Ross decida qualcosa o…”
La riposta alla sua domanda venne tragicamente dal televisore, sintonizzato h24 sulle notizie, alle loro spalle. Improvvisamente la voce pacata del giornalista era esplosa in un commento concitato in diretta degli eventi che si stavano consumando nello schermo dietro di lui, in collegamento diretto con la scena dello schianto. Laddove un attimo prima pareva non esserci alcuna porta, si era improvvisamente spalancata un’apertura, e un’orda di esseri umanoidi protetti in armature nere scintillanti, dello stesso metallo dell’astronave, si era riversato in strada iniziando a distruggere a colpi di armi laser tutte le camionette dei giornalisti e le altre vetture presenti. Alcuni di loro, in piedi su quelli che avevano tutta l’aria di overboard volanti si dedicavano agli edifici circostanti, con un’attenzione particolare ai negozi. Pochi attimi dopo la telecamera che stava riprendendo tutto questo venne scaraventata a terra, il vetro incrinato della lente riprese ancora per qualche istante il massacro del suo sfortunato proprietario, poi si spense.
Clint, Natasha e Tony si mossero in contemporanea e scattarono verso la porta diretti all’angar “Rod!” chiamò Tony ma quello lo interruppe senza neanche fargli finire la frase “scordatelo. Vengo a farvi supporto aereo dal jet, non mi ci lasci a casa Stark!” esclamò guidando la sedia a rotelle più veloce che poté verso l’uscita. Tony si avvicinò allora a Visione, ragionando in fretta “ho bisogno che tu rimanga qui” disse tenendolo per le spalle, quello non replicò ma aveva chiaramente un interrogativo negli occhi “non siamo lontani, ci sono Pepper, Happy… e il ragazzo anche. Devi restare qui per proteggerli, hai visto che sparano sui civili senza neanche vederli” spiegò “il ragazzo, Peter, potrebbe aiutarci” commentò Visione freddamente “non oggi” ribatté Tony con un tono che non ammetteva repliche. Poi gli batté un paio di volte la mano sulla spalla, convinto che avesse compreso, e corse all’angar.
 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: kibachan