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Autore: Redferne    25/04/2018    3 recensioni
A cosa pensa un uomo durante gli ultimi istanti della sua vita?
A che pensa, mentre si trova sul punto di morire?
Genere: Drammatico, Sportivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danpei Tange, Joe Yabuki, José Mendoza, Sorpresa, Yoko Shiraki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 11

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alle volte la nostra mente e la realtà che ci circonda, o per come noi la percepiamo, non vanno di pari passo. Capita più spesso di quanto ci si possa immaginare. Ma é una cosa di cui ci si accorge solamente in determinate circostanze.

A chi non é mai successo di trascorrere brevi attimi che però paiono essere durati TUTTA UNA VITA? O magari di fare sogni lunghi tutta la notte per poi scoprire, con un certo disappunto, di essersi addormentati PER POCHI, POCHISSIMI ISTANTI?

Oppure quando i minuti non passano più e scorrono lenti, ma così lenti che sembra persino che la lancetta rossa dei secondi faccia persino fatica a saltare da una tacchetta all’altra?

Tipo quando ci si trova sui banchi di scuola, alle prese con una lezione pallosissima. Col professore che va avanti imperterrito a ciarlare e tu che non ne puoi davvero più. E vorresti spalancare la finestra e buttarti di sotto a precipizio, pur di fuggire lontano da lì, a gambe levate e cercando di mettere la maggior distanza possibile. Anche se ti trovi al TERZO o al QUARTO PIANO.

ANCHE SE RISCHI DI SPEZZARTI TUTTE E DUE LE GAMBE IN UN COLPO SOLO.

O anche all’ufficio postale. Davanti a quei solerti impiegati talmente lenti da esser capaci di dare vita ad una coda mortifera anche con solo quattro gatti a disposizione. E che ti fissano con aria annoiata e i cui unici segni di vita sono il piantare un timbro zuppo di inchiostro nero o blu sopra ad una missiva ed infilarla nell’apposito cestello insieme alle altre sue compagne di brigata giunte prima di lei. E che fanno finta di interessarsi alle tue menate se qualcosa non quadra o non ti ha convinto. Perché niente, e ci si tiene a ribadire NIENTE riesce a fargli cambiare la loro incrollabile opinione sul senso di ciò che stanno facendo. E cioé che un posto sicuro quanto lo stipendio fisso ad inizio del mese non valgano comunque lo stare lì. Seduti a deformarsi il culo di un seggiolino per occuparsi delle facezie dei poveri idioti che arrancano di fronte a loro, e che sembrano quasi esser capitati lì per puro caso.

Succede perché il tempo all’interno di noi e del nostro flusso di coscienza può non scorrere allo stesso modo in cui procede quello all’esterno. Quello che tendiamo a considerare IL TEMPO PER ANTONOMASIA.

Sono come la coppia qualsiasi di una serie di binari gemelli che si diramano in uscita o si congiungono in entrata nei pressi di uno snodo ferroviario. Si affiancano, paiono avanzare tutti uniti e compatti nella medesima direzione, almeno per un tratto di lunghezza variabile. Ma poi, sul più bello, ognuno si divide e prende la sua strada. E a quel punto CIAO CIAO.

TANTI SALUTI.

Sembrava che si trovasse lì da un tempo a dir poco interminabile. Ed invece non dovevano esser passati che pochi istanti, da quando aveva iniziato a ricordare. Più che sufficienti per permettere alla sua vista di abituarsi all’oscurità che lo circondava come un banco di nebbia spessa e nera.

E allo stesso modo in cui gli oggetti stavano prendendo lentamente forma e contorni ai suoi occhi, un’altra certezza prese corpo dentro alla sua testa ancora mezza balorda.

Era l’inesorabile conferma di quanto sospettava dall’inizio. Non appena si era ridestato e pochi attimi dopo aver riaperto gli occhi.

Non si era trattato di un sogno. E non si era immaginato proprio nulla.

ERA TUTTO VERO.

ERA ACCADUTO VERAMENTE, TUTTO QUANTO.

Lo scontro con Mendoza. Gli ultimi round in cui stava...no, AVEVA RIBALTATO TUTTO QUANTO.

CI ERA RIUSCITO, DANNAZIONE. Il campione aveva ceduto. Lo aveva costretto alla resa, finalmente. E poi il vecchio...le discussioni con lui al suo angolo, le litigate...con lo zio che voleva gettare la spugna ad ogni costo e lui che voleva IMPEDIRGLIELO AD OGNI COSTO. Al punto di volerlo ammazzare di botte, se non la piantava di fare l’imbecille…

Visto che aveva fatto bene anzi, BENONE A NON RITIRARSI?

VISTO CHE AVEVA AVUTO RAGIONE LUI, ALLA FINE?

E poi Yoko.

YOKO…

Gli aveva dato la forza necessaria ad arrivare fino in fondo. Se non fosse stata lì alle sue spalle, a confortarlo e riscaldarlo con la sola presenza e vicinanza, non aveva la minima idea di come si sarebbe potuta mettere la situazione. Era veramente ad un passo, ad un soffio dal cedere.

Avrebbe tanto voluto prenderlo e portarlo vià di lì. Da tutto quel sangue. Da tutta quella violenza.

DA QUEL MASSACRO.

Ed invece, ironia della sorte...era stata proprio lei a spingerlo a superare il suo limite. L’ennesimo, ULTIMO LIMITE.

Non aveva alcun dubbio.

Tutto quello che aveva appena fatto riaffiorare dal proprio cervello, ogni ricordo…

ERA ROBA AUTENTICA.

ED ERA GIA’ SUCCESSA. GARANTITO.

TUTTO FINITO, DUNQUE.

Già. Tutto finito. MA ADESSO?

Non aveva assistito all’emissione del verdetto da parte della giuria, e nemmeno aveva visto l’arbitro prenderlo in consegna e leggerlo. Niente del genere.

Niente di ciò che che si deve o che si dovrebbe vedere al termine di un match.

NIENTE DI NIENTE. NELLA MANIERA PIU’ ASSOLUTA.

Non che la cosa gli importasse più di tanto, per carità...quel che voleva lo aveva già ottenuto. Il verdetto che lo riguardava più da vicino e che più gli interessava glielo aveva già impartito il campione, e per direttissima. Lo aveva letto in faccia, nel fondo dei suoi occhi sbarrati e attraverso la sua espressione. L’espressione atterrita di un uomo sopraffatto da un oscuro ed arcano terrore. Lo stesso che dovevano provare gli ANTENATI all’età della pietra, stretti e rannicchiati attorno ad un piccolo focolare nelle viscere umide, fredde e profonde di una caverna, con gli occhi gialli e verdi delle belve pronti a balzar loro addosso per sbranarli che luccicavano nelle tenebre tutte intorno.

AVEVA VINTO. Punto e basta. Poco gli fregava di quello che pensassero i commissari di gara ed il resto della gente. Ancor meno gli fregava di quello che pensava il resto del mondo.

Contava quel che pensava lui.

E LUI AVEVA VINTO.

Aveva ridotto il messicano ad un’autentica LARVA UMANA. Spazzato letteralmente via come un GRUMOSO GRAPPOLO DI TARZANELLI DAL CULO dopo una vigorosa pettinata infranatica a base di un tocco di carta igienica spessa almeno un paio di dita.

Eppure...eppure c’era qualcosa che non gli tornava. E che continuava a non tornare.

Era una sorta di presentimento che si sentiva scorrere nelle ossa, fino al loro centro imbottito di midollo spugnoso.

Forse si trattava del suo ISTINTO SELVATICO, ANCORA UNA VOLTA. Il suo buon caro, vecchio ISTINTO DI LUPO che gli stava lanciando qualcuna delle sue dritte per cui era divenuto così rinomato e famoso, tanto per cambiare. Oppure chissà...magari si stava solamente divertendo a continuare a SCASSARGLI IL CAZZO, visto che da ora in avanti non gli sarebbe rimasto poi questo gran che da fare.

Un vero record. Considerando che doveva essere finito in PREVIDENZA SOCIALE da non poco più di un minuto. O giù di lì, visto che a partire da quello sparuto lasso di tempo intercorso tra la sua strana ed inopportuna PENNICA seguita a ruota da quell’ancor più strano risveglio, aveva la sensazione di aver acquisito una diversa concezione dello scorrere del tempo. Una concezione alquanto singolare e bizzarra. Anzi...sembrava proprio che il tempo stesso avesse preso a scorrere in modo inconsueto ed assolutamente non conforme.

E comunque...la belva dentro di lui doveva aver iniziato a calarsi perfettamente nel suo nuovo ruolo, e doveva sguazzarci a meraviglia. Si stava già comportando come quegli anziani bisbetici con le chiappe strette e stitiche, l’uccello appeso e le palle raggrinzite. Buoni solo a piazzarsi nei pressi del primo cantiere o dei primi lavori in corso a portata di mano o di sgambata, come un bello e nutrito stormo di avvoltoi macilenti che volteggiavano sulla testa di un animale prossimo a morire. E già in lista d’attesa per candidarsi a macerare e a frollare sotto al sole cocente, fino a diventare una carcassa dal fetore nauseabondo. O sennò se ne stavano seduti in circolo a giocare a Dama, a Scacchi o a Mah – Jong intervallando ogni mossa attentamente studiata con un nugolo di stronzate emesse dalle loro bocche mezze marce, con tanto di fiatella mefitica in aggiunta.

Altro che il suo DIRETTO INCROCIATO D’INCONTRO, cazzo...quelle si, che avevano LA LICENZA DI UCCIDERE. Proprio come quel certo agente segreto al servizio di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra. Quei vecchi barbogi si fermavano solamente per...no. Riprendere fiato non stava contemplato nel loro contratto. Si prendevano giusto una lieve pausa per trangugiare una sorta di pessimo liquore di riso. Quella robaccia distillata da quattro soldi che i bottegai o del mercato, nero o no che fosse, rifilavano ai disgraziati che popolavano il quartiere. Il tutto di comune accordo coi BECCAMORTI di zona. Dovevano sicuramente fornirgli una cospicua percentuale su ogni povero diavolaccio che gli procuravano dandogli da bere quella sottospecie di petrolio misto ad acqua di fogna. In ogni caso...quando non erano impegnati col giuoco o ad ubriacarsi e a rovinarsi il fegato come un certo beone pugilomane con un occhio solo, o a farsi gli affari degli altri o di quella poca gente che lavorava o ancora lavorava, si gettavano animaccia e corpo in un’altra appassionante ed appagante attività. Squassare le orecchie e lo scroto di ogni malcapitato che si trovasse in ascolto imprecando e lamentandosi per questo, quello e quell’altro, o anche solo contro il governo ladro o la sorte infame. Ogni insignificante inezia o minchiata che transitasse e fermentasse in quei loro cervellacci, insomma. Così, tanto per dare una bella e sana iniezione di ottimismo ed iniziare la giornata col piede giusto. Ed il suo istinto aveva già preso a comportarsi uguale.

Ma che allegria. A quanto pare non voleva proprio accettare la sua nuova condizione di ANIMALE DOMESTICO DA COMPAGNIA, con tutte le allettanti peculiarità che garantiva quel nuovo tipo di esistenza. Valeva a dire un ampio e spazioso recinto, una bella e calda cuccia e pasti abbondanti e regolari due volte al giorno, tutti i santi giorni. Con la prospettiva di diventare VECCHI, GRASSI, LENTI E PIGRI.

Beh...CHE SI FOTTESSE ANCHE LUI. Avrebbe dovuto imparare a farlo. Avrebbe dovuto abituarcisi, e farsene una ragione. ED IN FRETTA, ANCHE. Che non aveva tempo da perdere a star dietro alle sue bizze. Aveva tutta una nuova, inedita vita davanti ad aspettarlo, ora. Quello sarebbe stato il nuovo corso che li attendeva entrambi. Quindi...o AVREBBE MANGIATO QUELLA MINESTRA, O SE NE SAREBBE VOLATO FUORI DALLA FINESTRA. SISSIGNORE. PRENDERE O LASCIARE.

Tuttavia...continuava ad avere quella sorta di strana sensazione addosso. Come di una nota stonata. Breve, leggera, appena udibile. Quasi in sottofondo rispetto a tutte le altre sue sorelle che compongono una sinfonia, eppure...DETERMINANTE. Al punto che non si poteva ignorarla e far finta che non ci fosse. Perché la sua sola presenza, il solo fatto di SAPERE, DI ESSERE AL CORRENTE CHE CI FOSSE, era più che sufficiente a trasformare un’armoniosa composizione in una CACOFONIA IMPOSSIBILE DA POTER ASCOLTARE. Bastava lei, e lei soltanto, a rendere la musica che si stava suonando, ascoltando e ballando UN RUMORE FASTIDIOSO ED INSOPPORTABILE.

C’era decisamente qualcosa di fuori posto. In quel luogo ed in quel momento.

Quella sorta di fulmineo risveglio che lo aveva colto all’improvviso, per esempio.

In un battito di ciglia...in un solo, rapido battito di ciglia si era ritrovato seduto su di una panca all’interno dello spogliatoio. Eppure aveva chiuso le palpebre solo per un istante...un SOLO, UNICO, DANNATISSIMO ISTANTE.

Ma come aveva fatto, ad arrivarci fino a lì?

Forse era svenuto. Aveva subito una momentanea perdita di coscienza, magari dovuta ad una lieve commozione cerebrale. Più che plausibile. Ne aveva prese tante, sia alla testa che in faccia. Ma proprio tante. A tenerlo in piedi e a non fargli sentire né il dolore ne l’effetto dei colpi subiti era stata la sua forza di volontà e la sua disperazione. Unite all’adrenalina che ormai viaggiava a pieno regime all’interno delle sue vene, scorrendo libera e senza alcun controllo. Come un torrente in piena.

E’ una legge scientifica. Una verità conclamata a livello accademico. Una delle poche cose che si sono scoperte di quella macchina complessa, meravigliosa e misteriosa che é il corpo umano. Forse perché ci si continua a fissare di volerlo scomporre, ridurre in sezioni per analizzare ogni suo singolo componente ed il modo in cui si mette in relazione con tutti gli altri. Con il resto dell’organismo. Senza mai rendersi conto che non c’é alcun bisogno di trovare spiegazioni perché esso E’. Come la natura che lo circonda e di cui fa parte. Come fanno gli uccelli a volare? E gli insetti? Come fanno le libellule a librarsi nell’aria con quel loro vibrare di alucce trasparenti, talmente intenso da farle apparire invisibili? Quante volte, anche solo per distrarsi o per spezzare la noia dovuta alla routine dell’intenso lavoro, le aveva seguite con lo sguardo senza mai staccargli gli occhi di dosso? Quante volte aveva cercato di scorgere quel movimento incessante mentre le vedeva girargli intorno quasi a volerlo annusare, mentre sradicava le radici e le patate rosse dal terreno dissodato con la sola forza delle nude mani, fino a rischiare di strapparsi le unghie e a scorticasi la pelle delle dita in modo che i suoi pugni si rinforzassero sempre più, giorno dopo giorno, fino a diventare forti anche solo la metà di quelli che tirava quel fetente di Rikiishi? Ma é davvero possibile che un insetto ragioni su ogni loro singolo movimento? Che un millepiedi rifletta su ogni singolo passo compiuto dalle sue innumerevoli e microscopiche zampe?

No. Non era proprio possibile una cosa del genere. Se lo avessero fatto...se davvero avessero fatto così, non avrebbero potuto fare nulla di ciò che facevano e che componeva l’insieme delle loro normali attività quotidiane. Come il mangiare, il dormire e il CHIAV...ok, facciamo PROCREARE. E’ decisamente più TECNICO, come termine. Nonché più CARINO. Ma soprattutto...non avrebbero potuto nemmeno fare quella che era l’azione principale della giornata, la più importante.

E cioé MUOVERSI, DEAMBULARE.

La verità era che NON CI PENSAVANO, PUNTO. LO FACEVANO E BASTA. Se ne fregavano e andavano avanti a scarpinare e a svolazzare ovunque volevano e dove più gli pareva. Senza pensarci. Senza riflettere.

POTERSI SPOSTARE, QUELLO CONTAVA. E NULL’ ALTRO.

Un essere umano agisce alla stessa maniera. Quando sei in preda alla furia cieca, e l’adrenalina scorre a fiumi all’interno del tuo corpo, libera ed incontrastata, ti senti forte. Potente. INVINCIBILE. Attacchi a testa bassa, incurante dei colpi che ricevi e delle ferite che subisci. Spinto e trascinato dalla corrente impetuosa, e sorretto solo dalla volontà di vincere. Ad ogni costo e ad ogni prezzo. E solo quella che ti tiene in piedi, e ti impedisce di venire travolto dai flutti. Ma quando il tumulto si placa, e con la quiete arriva pure il calo ormonale, all’improvviso ti accorgi che é arrivato il momento di PAGARE IL CONTO. ED E’ IL CORPO STESSO A PRESENTARTELO.

Devi scontare tutti i tuoi errori, uno dopo l’altro. Non ci sono cazzi che tengano. Tutte le mancate schivate, i bloccaggi non riusciti, o tutte le volte che ti sei gettato all’assalto con troppa fretta, senza curarti di proteggerti, ed in cui hai finito per esporti troppo.

Si. Le cose dovevano stare senz’altro così. Doveva aver perso i sensi, senza alcun dubbio.

Ma tornando al discorso dello spartito...quel brusco cambio di scenario non rappresentava L’UNICA NOTA STONATA.

C’ erano altre cose decisamente fuori posto.

Lo spogliatoio, ad esempio. CHE NON ERA QUELLO DEL BUDOKAN.

O meglio...NON ERA LO STESSO DA CUI ERA USCITO PER ANDARE A FRONTEGGIARE IL CAMPIONE.

Era davvero confuso, disorientato. Non ci si raccapezzava più, sul serio.

Ma come era possibile, una cosa simile?

Forse...forse era l’ambulatorio del palazzetto.

Però non si vedeva nulla dell’arredamento tipico di quel genere di locale...non c’era né il lettino imbottito, né scaffali o armadietti con vetrine con forniture mediche, farmaci o generi di primo soccorso.

Magari era semplicemente uno spogliatoio come un altro.

Sicuro. Subito dopo che era svenuto il vecchio, insieme a Nishi, Kono e agli altri ragazzi lo avevano sollevato di peso e trasportato a braccia fino al primo stanzino disponibile, in modo che gli fossero prestate le prime cure del caso. Ecco com’era andata. Del resto...doveva essere ridotto piuttosto male. PARECCHIO MALE. Nelle condizioni in cui versava non c’era certo il lusso di un solo istante che era uno, da poter perdere. Non vi era il tempo per riportarlo nel punto preciso da dove era venuto. Solo da metterlo comodo affinché potesse ricevere il prima possibile tutte le cure del caso.

Però...come aveva già potuto constatare sin dai primi istanti, non si sentiva stanco. Né ferito. Men che meno dolorante. E anche questo era strano, a voler ben guardare. MOLTO, MOLTO STRANO.

E visto che si parlava di GUARDARE, e volendo sorvolare sull’orrido GIOCO DI PAROLE...anche la faccenda dell’occhio non riusciva proprio a spiegarsela. Questa volta era stato più che certo di esserselo giocato UNA VOLTA PER TUTTE. DI AVERLO PERSO PER SEMPRE. Ed invece…

D’accordo, anche nelle volte precedenti si era trattata di una cecità TEMPORANEA. Che non era durata che pochi secondi. Alla fine, la vista gli era sempre tornata. Era sempre riuscito a recuperare, in un modo o nell’altro. Questa volta era durata solo un po' di più, tutto qui. Gli era andata bene.

No che non era tutto qui. Negli ultimi periodi gli occhi, compreso quello ancora integro, non gli funzionavano più tanto bene. Ogni tanto arrivavano dei puntini bianchi e neri ad offuscargli la visuale. Oppure quest’ultima gli si sfocava, e senza alcun tipo di preavviso.

Per tacere di quelle strisce fluttuanti e trasparenti, simili a vermi, che vedeva ballargli davanti sempre più spesso...naturalmente anche quella volta si era ben guardato dal consultare un medico specialista. Aveva fatto piuttosto un saltino in una libreria, una volta. Si era fatto dare un manuale di...come cavolo si chiamava? OFTALMICA, forse? Si, doveva chiamarsi così, se la memoria non lo ingannava. E aveva scoperto, con estremo terroe, che simili sintomi indicavano un futuro DISTACCO DELLA RETINA.

Pure quella ci si doveva mettere, di sfiga. Certo che nel corso della sua esisitenza non si era mai fatto MANCARE NIENTE.

In quel momento, invece, gli avevano ripreso a visualizzare che era una meraviglia. E TUTTI E DUE, per giunta. Come se fosse ancora agli esordi. O come…

O COME SE NON AVESSE MAI DISPUTATO UN SOLO MATCH. UN SOLO ROUND.

COME SE NON AVESSE MAI FATTO A BOTTE IN VITA SUA. E NON LE AVESSE MAI PRESE.

E come aveva già avuto modo di ribadire più e più volte a sé stesso nel corso della sua vita, lui NON CREDEVA E NON AVEVA MAI CREDUTO, AI MIRACOLI. Non ci voleva credere, di puro puntiglio. A parte a quelli che era riuscito a realizzare da solo, con le sue uniche forze. Tipo quello che aveva appena fatto contro Mendoza, ad esempio…

E le sorprese non erano ancora terminate.

Per esempio…DOVE CAVOLO ERANO ANDATI A FINIRE TUTTI QUANTI?

Avrebbero dovuto trovarsi intorno a lui, in compagnia del segaossa ma al contempo mantenendosi a debita distanza, per non intralciare il suo operato.

PERCHE’ ERA LI’ DA SOLO? E PERCHE’ SI TROVAVA AL BUIO?

Aah, ma certo...dovevano essersi messi d’accordo con Sachi, Taro, Kinoko e tutti gli altri. Per FARGLI UNO SCHERZO, senza alcun dubbio. Tra poco avrebbero fatto irruzione nella stanza al gran completo e l’avrebbero illuminata di punto in bianco, urlando a squarciagola SORPREESAAAAA!!

C’era da giurarci. Erano più che capacissimi di farlo. Anche in un momento come quello. Quella gentaglia, LA SUA GENTAGLIA PREFERITA, aveva la tendenza a sottovalutare qualunque tipo di situazione. SPECIE SE ESTREMAMENTE SERIA.

Pigliavano sempre tutto sul ridere. In particolar modo quando NON C’ERA PROPRIO UN CAZZO DI CUI RIDERE.

Perché stupirsene, dopotutto?

Non era forse quello che faceva sempre anche lui? CHE AVEVA FATTO SEMPRE ANCHE LUI, DA QUANDO SI TROVAVA AL MONDO?

See, come no. Peccato che non gli venisse proprio da ridere, adesso come adesso.

In ogni caso, inutile stare lì a continuare a rompersi la testa senza alcun costrutto. Non avrebbe risolto né concluso proprio un accidente di niente finché se ne fosse rimasto lì a rimuginare su quella dannata panca.

Quando qualcosa non va, fila a vedere con i tuoi stessi occhi. CORRI E VEDI, questo era il suo dannatissimo motto. Sin da quando aveva preso a vivere per la strada. E quindi...per prima cosa doveva iniziare A FARE UN PO’ DI LUCE, su tutta quanta la faccenda. E non solo in senso metaforico.

Cominciò a guardarsi di nuovo attorno. Poi si alzò di scatto, con fare deciso, e una volta di nuovo in piedi si diresse verso il muro più vicino. Una volta che lo raggiunse cominciò a tastarne le pareti come alla ricerca di qualcosa. Sembrava stesse procedendo a tentoni, ma non era affatto così. Era alla ricerca di qualche tasto che azionasse i riflettori sopra di lui. Aveva dato un’occhiata ai muri, mentre si stava preparando per l’incontro. E anche se non si trovava nello stesso luogo di prima, quelle stanze in fondo in fondo dovevano assomigliarsi comunque un po' tutte. Di solito era così, nei palazzetti e nelle strutture sportive. Ed il Budokan non doveva costituire certo un’eccezione.

Finalmente le sue punte delle dita trovarono ciò che stavano cercando. E che lui ben sapeva dovesse esserci.

Premette con forza la parte rialzata del tasto verso il basso. Niente. La lampada rimase spenta.

Tsk. FARE LUCE. Era una parola. Sembrava non funzionasse UN BEATO CAVOLO, lì dentro. Che ci fosse stato un BLACK - OUT? E poi tutto quel silenzio…

No. Non era naturale. C’era DECISAMENTE qualcosa che non andava.

Notò che la porta d’ingresso era socchiusa. Forse era il caso di uscire. Chissà...forse, se non riusciva a vederci chiaro lì dove si trovava, magari ci sarebbe riuscito all’esterno. Anche se ciò che filtrava dalla lieve fessura verticale formata dallo spazio creato tra il bordo e lo stipite non prometteva nulla di buono. O almeno, nulla che lasciasse presagire che fuori da lì la situazione avrebbe potuto essere diversa.

C’era solo TENEBRA. Tenebra fitta e densa, tutt’intorno.

Al diavolo. Doveva schiodarsi da lì, punto. Ed il prima possibile, anche. Non perdere tempo e pazienza a lambiccarsi il cervello.

Ci sarebbero stati altri pulsanti ad attenderlo, oltre quella soglia. E avrebbe avuto senz’altro maggior fortuna. Sicuro. Ce ne doveva essere pure qualcuno ancora attivo.

Afferrò la maniglia e spalancò in due tempi. Dapprima solo per metà, ed il resto in un sol botto e strattone.

Ecco. ET VOILA’, gente. Il più era bello che fatto, oramai. E adesso non gli rimaneva che decidersi a muovere il primo passo in avanscoperta. E poi VIA. ALLA VENTURA.

Stando ben pronto ed attento a ricevere qualunque cosa o persona gli si fosse parata o comparsa al suo cospetto.

Ed invece...rimase immobile, inchiodato lì dov’era.

Perché poté constatare, e con sua enorme sorpresa, che non ce n’era alcun bisogno. Di trovare un interruttore, perlomeno.

Non appena tentò di mettere un piede in direzione del corridoio, una luce si accese. Non quella dentro allo stanzino, ovviamente. Era quella del riflettore posto sopra la sua testa e a neanche mezzo metro di distanza, piantato lungo la linea centrale del soffitto e dalla forma rettangolare. Era composto da due barre luminescenti racchiuse in una scatola di plastica presumibilmente fissata alla base metallica da due fermi agganciati ad entrambi i lati più corti.

Iniziò dapprima a crepitare rischiarando l’ambiente circostante ad intermittenza, per poi stabilizzarsi del tutto.

Ma che stranezza. In ogni caso doveva decidersi una buona, STRAMALEDETTA volta. Non poteva rimanerci a fare la muffa in eterno, dentro a quello stanzino.

A quel punto non gli restava altro da fare che raggiungerlo e piazzarcisi proprio sotto, e nel bel mezzo del condotto. In quel modo, avrebbe potuto contare su una visuale più ampia a disposizione, e ciò gli avrebbe fornito senz’altro un quadro più chiaro e limpido di tutta quanta la faccenda.

Raggiunse il neon e...

Macché. CICCIA. Idem come prima. La zona in cui si trovava ora costituiva l’unica isola di luce. Il resto era immerso nella più totale oscurità. E continuava a non esserci ANIMA VIVA.

E poi il trucco della lampada. Quel dannato riflettore sembrava essersi acceso in risposta ai suoi moviment...no, nemmeno. Si era acceso alle sue INTENZIONI. Era bastata la SOLA INTENZIONE, a farlo attivare. Come se avesse PERCEPITO I SUOI PENSIERI.

Come se fosse dotato di VITA ED INTELLIGENZA PROPRIE.

Ma nonostante tutto, e nonostante la bizzarria della situazione...non riusciva a levarsi di dosso l’idea che si trattasse solamente di UN GROSSO SCHERZO. E BEN RIUSCITO, PER GIUNTA.

Se volevano davvero farlo spaventare, beh...doveva riconoscerlo. CI STAVANO RIUSCENDO. E ALLA GRANDE.

Ma UN BEL GIOCO DURA POCO, si dice. Ed era decisamente ora di darci un taglio, perché stava cominciando a salirgli il nervoso. E Joe Yabuki non sta fermo a subire BURLE NE’ RIFFE da alcunché. Ci puoi ridere e scherzare con lui, ci mancherebbe. Ma quando gli vengono i fatidici CINQUE MINUTI ed iniziano a GIRARGLI STORTE E DI BRUTTO per qualunque motivo, anche di quelli che sa SOLO LUI...la cosa più saggia che ti conviene fare é TAGLIARE LA CORDA. Ed avere il buon senso di non farti beccare in giro, quando noti che sta messo così.

Figurarsi che qualcuno di quei vecchi alcolizzati giù nel quartiere aveva avuto persino una pensata. E cioé di sistemare UNA CAMPANELLA al centro del villaggio, e di farla suonare quando lui era a zonzo con la luna storta, in cerca di qualche povero fesso su cui sfogare il proprio malumore. Un avvertimento, un vero proprio sistema di allarme che consentisse a tutti di correre a cercarsi un riparo, prima di incrociarlo e rischiare di ritrovarsi a mal partito.

Faceva dunque così PAURA?

SI. Certe volte si. Ed era il primo ad ammetterlo. Non si faceva certo problemi.

CERTE VOLTE FACEVA PAURA.

SI FACEVA PAURA PERSINO DA SOLO.

Diede un’altra occhiata in giro, quasi roteando su sé stesso.

Pazzesco. Semplicemente pazzesco.

Buio. Buio più completo. In entrambe le direzioni. E non solo.

Pareva che il corridoio si estendesse PER CHILOMETRI. Anzi...ALL’INFINITO. Da ambo i lati. Non se ne riusciva a vedere la fine.

Pfui. Perché preoccuparsi, dopotutto? Era senz’altro un’illusione ottica provocata dall’oscurità circostante. Da tutto quel cazzo di nerume fitto e denso. Come una cappa mort…

Basta così con certi pensieri, cazzo.

Doveva essere così. DOVEVA ESSERLO, PER FORZA.

NON C’ERA ALTRA SPIEGAZIONE. NON CE NE POTEVANO ESSERE ALTRE.

Guardò ancora, per l’ennesima volta. Socchiudendo le palpebre ed aguzzando la vista, come a voler scorgere qualcosa nel mezzo di quell’ammasso di pece. Prima in una direzione, poi nell’altra. Sembrava un bambino in procinto di attraversare le strisce pedonali di una strada del centro città in piena ora di punta. Oppure una di quelle stradine provinciali di campagna dove si intravede la sagoma di un automobile o di un furgoncino, talmente sfocata e lontana da sembrare un miraggio…

Ma guai a sottovalutare certe cose. Ti butti in mezzo, certo di farcela...e poi TE LA RITROVI ADDOSSO. E capisci di aver calcolato male la distanza giusto in tempo per renderti conto di esserti appena FOTTUTO CON LE TUE STESSE MANI, COME UN’ IDIOTA. I due pensieri si formulano nel medesimo istante e tagliano insieme il traguardo della FINE DELLA VITA, mentre la tua coscienza si annulla e se ne torna al creatore.

Tsk. E poi si dice che un uomo non é in grado di riflettere su PIU’ DI UNA COSA ALLA VOLTA…

Ma adesso basta con le fesserie. Tempo di decisioni. DECISIONI IMPORTANTI.

DESTRA O SINISTRA?

E certo. Che cazzo vi credevate? Non si rimane fermi a fare la ruggine, qui. Nossignore.

JOE YABUKI NON STA A GRATTARSI IL SEDERE.

CORRI E VEDI, RICORDATE?

 

Allora, gente...DOVE SI ERA RIMASTI?

CHE SI FA, DI BELLO?

DESTRA O SINISTRA?

Boh. Mai capito niente di POLITICA, io.

E va beh. TIRIAMO A SORTE, VA’.

TANTO MI SA CHE SCEGLI CHE TI RISCEGLI...COMUNQUE LA METTI E’ SEMPRE UGUALE.

 

Fece ondeggiare alternativamente la punta dell’indice destro a dritta e a mancina, iniziando a zufolare a labbra strette.

 

“Fiu, fiuu, fiuuuh...fischia il ventooo...”

 

Mentre canticchiava cominciò a scandire mentalmente una filastrocca per bambini che rimase nota solo a lui. E che non centrava nulla con le strofe che stava sillabando. E comunque, non c’era nessuno che potesse ascoltarle. La prima come la seconda, se si fosse deciso a tradurre il pensiero in azione e a convertirla a sua volta in musica.

Poi cambiò improvvisamente repertorio e le parole intervallate ed accompagnate dal fischio si tramutarono in una sorta di verso gutturale, molto simile ad un miagolio sommesso.

Il dito prese ad oscillare sempre più lentamente, fino ad arrestarsi in concomitanza col termine della nenia.

Fissò l’ultima falange, e poi osservò in che direzione stava puntando.

“Perfetto” si disse. “SINISTRA. Ma siccome non ho mai creduto nella fortuna...andiamo a DESTRA. In marcia!!”

Cominciò ad avanzare spedito. Finalmente si era dato una mossa. E guarda un po'...il riflettore successivo a quello illuminato si accese di colpo.

Lo volle interpretare come un segno di buon auspicio, a tutti i costi. Nonostante la trovò più come un ulteriore ed inquietante nota stonata, in realtà. Un’altra sbavatura che contribuiva ad accrescere quella strana sensazione. Quella sorta di presentimento che sentiva da quando si era ridestato dal pisolo fuori programma che aveva inavvertitamente schiacciato, senza quasi accorgersene.

Si fece coraggio pensando che forse era sulla strada giusta.

O almeno ci sperava.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continuava a percorrere quell’accidente di corridoio, senza sosta. Aveva l’impressione di procedere da più di un’ora. O solo da alcuni minuti. O da una vita intera. Ma si era già accorto di non avere più la concezione del tempo. O forse era il tempo a scorrere in maniera anomala, da quelle parti. O addirittura, sembrava NON SCORRERE AFFATTO.

Come se non esistesse. Come se il concetto stesso fosse andato A RAMENGO, a farsi benedire.

Ma come aveva già avuto modo di comprendere, c’erano tante cose che NON FILAVANO PER LA MANIERA GIUSTA, dentro a quel posto. I vari lampadari che pendevano in successione dal soffitto davanti a lui ed ognuno attraccato alla sua coppia di corde si accendevano UNO ALLA VOLTA, man mano che avanzava. Allo stesso modo in cui quelli alle sue spalle si SPEGNEVANO, dopo che li aveva oltrepassati. Proprio mentre stava per avvicinarsi...PUF! Acceso. E una volta che lo aveva superato...RI – PUF! Spento.

Davvero incredibile. Ma la cosa più stupefacente era che il giochetto NON FUNZIONAVA AL CONTRARIO.

Aveva provato a fare DIETRO – FRONT, e a ritornare sui suoi passi. Ma...NISBA. Niente da fare. Le luci spente non si riaccendevano.

Se avesse davvero voluto tornare al punto di partenza, gli sarebbe toccato di fare tutta quanta la strada a ritroso IMMERSO NEL BUIO. E non ne aveva la benché minima intenzione. Se la ricordava ancora, quella terrificante storia che aveva sentito da bambino.

Quella del minatore sperduto nelle grotte dell’isola di HASHIMA.

Il tipo o meglio, LO SVENTURATO stava esplorando un tratto sconosciuto di galleria alla ricerca di un nuovo punto dove scavare. Per ricavare un altro ricco FILONE D’ ARGENTO. Ma poi...poi era successo che lo aveva trovato, ma sul più bello aveva finito col SMARRIRE PER SEMPRE LA VIA. Era bastato svoltare all’angolo sbagliato…

NON FECE MAI PIU’ RITORNO. NE’ NULLA SI SEPPE PIU’ DI LUI.

NON TROVARONO NEMMENO LE OSSA, PER POTERLE SEPPELLIRE IN UNA TOMBA E PERMETTERE AI SUOI CARI DI PIANGERCI SOPRA. Ma forse perché…

FORSE PERCHE’ ERA ANCORA LA’ CHE VAGAVA DA SOLO NELLE TENEBRE, A CHIAMARE A GRAN VOCE I NOMI DEI SUOI COMPAGNI, UNO PER UNO, AFFINCHE’ LO TROVINO E LO TRAGGANO IN SALVO…

Gli tornavano i brividi al solo pensarci. Piuttosto che affrontare una cosa simile col rischio di fare la medesima, TERRIBILE FINE avrebbe preferito AMMAZZARSI PER CONTO PROPRIO. Con le sue stesse mani. Avrebbe potuto STROZZARSI DA SOLO, ad esempio. Oppure BUTTARSI GIU’ PER TERRA LUNGO E DISTESO, A PESO MORTO. A RIPETIZIONE, ANCORA E ANCORA, FINO A SFRACELLARSI IL CRANIO PER INTERO...

 

Ok, gente.

MESSAGGIO RECEPITO.

INDIETRO NON SI TORNA.

 

Era fin troppo chiaro. Poteva solo proseguire, da qualunque parte stesse andando o LO STESSERO PORTANDO.

Si, perché aveva proprio il sentore che lo stessero costringendo a camminare lungo UN PERCORSO OBBLIGATO.

Ripensò al fatto che se davvero DI UNO SCHERZO SI TRATTAVA, era davvero riuscito ALLA GRANDE.

Tanto di cappello, anche se la faccenda aveva smesso DA UN BEL PEZZO di essere divertente, come aveva già avuto modo di ribadire. Anche se SOLAMENTE A SE’ STESSO, almeno per il momento.

Ed aveva iniziato a notare un altro piccolo particolare. Forse insignificante, visto che al confronto degli altri non era certo il più il più inusitato e singolare.

O meglio, lo era. Ma se avesse accettato e preso per buono anche quello, allora...allora la logica e la coerenza avrebbero potuto tranquillamente andare a FARSI BENEDIRE, e una volta per tutte.

E cosa avrebbe potuto essere mai?

Fino ad adesso non si era ancora lasciato sconvolgere da NULLA, nonostante le sue continue perplessità a riguardo.

Cosa era mai quest’ultima, SURREALE trovata? Cosa aveva mai di tanto speciale da lasciarlo basito? Da riuscire dove le altre avevano miseramente fallito, pur avendocela messa tutta?

Semplice. Che QUEL POSTO, di qualunque posto si trattasse, NON ERA IL BUDOKAN CENTER.

Questo era POCO, MA SICURO.

Era un altro posto. Un posto che CONOSCEVA BENE.

Ma non poteva essere possibile.

COME POTEVA ESSERE POSSIBILE, DANNAZIONE?

Eppure, lo era. Ne era più che certo.

Era...era il…

Non fece in tempo a finire di formulare il pensiero.

Udì qualcosa. Qualcosa che proveniva nella direzione di fronte a lui.

Un rumore. Continuo ed insistito.

RUMORE DI PASSI.

Cominciò a correre, con le luci che presero ad accendersi sempre più rapidamente, adeguandosi all’istante al suo repentino cambio di passo e di marcia.

Accelerò ancora, e poté constatare che sia il ritmo del suo respiro che del suo battito cardiaco seguitavano a rimanere perfettamente REGOLARI, nonostante l’ansia e lo sforzo. La sua pelle non era nemmeno imperlata di sudore, anche se si era messo a sgambare a perdifiato.

Poi, all’improvviso...intravide UNA LUCE.

UNA LUCE, ALL’ ORIZZONTE.

Alla fine di quel cavolo di tunnel, insieme a quel rumore ormai incessante.

Sprintò ulteriormente. Mancava poco, ormai. DAVVERO POCHISSIMO.

La luce iniziò a diventare sempre più grande, sempre più accecante. E a prendere una forma. La sagoma di UNA PORTA ANTI – INCENDIO a doppio battente, completamente spalancata.

Che idiota, che era. Come aveva fatto a non capirlo?

Se ti trovi in un palazzetto sportivo adibito ad uno SPORT DA COMBATTIMENTO, non importa quanto siano lunghi i corridoi interni che lo attraversano da parte a parte come file di intestini.

Sempre in un posto vai a finire, prima o poi.

All’inizio di tutto. Alla fine di tutto.

AL RING.

Riconobbe anche il rumore, che nel frattempo si era fatto via via sempre più chiaro ed udibile.

Non erano passi.

ERANO SALTELLI.

Qualcuno ci stava danzando sopra, al bianco tappeto.

C’ERA DAVVERO QUALCUNO, CAZZO.

Varcò deciso la porta di luce bianca, pronto a tutto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Assurdo.

Pazzesco.

Da non credere.

Eppure non vi era alcun modo di sbagliarsi o di confondersi. Lo aveva già intuito da prima, anche se non voleva ammetterlo. NON POTEVA AMMETTERLO.

IL KORAKUEN HALL. Rischiarato a giorno e completamente deserto. Fatta eccezione per la figura a torso nudo, shorts e scarpette professionali che si muoveva agile e rapido al centro del quadrato sfoggiando un eccellente gioco di gambe, mentre faceva boxe con la propria ombra provando rapide e ripetute combinazioni di uno – due, oppure doppi jabs di sinistro seguiti a ruota da un potente cross di destro, e talvolta aggiungendoci un gancio od un montante sinistro. Questi ultimi, in particolare. Erano molto larghi, talmente larghi da risultare quasi delle ampie sbracciate a traiettoria ascendente piuttosto che dei colpi di pugilato. Ma dovevano essere potenti. MOLTO POTENTI, a giudicare dal suono che emettevano ogni volta che fendevano l’aria intorno a loro.

Il tizio accompagnava l’esecuzione di ogni tecnica con un leggero sbuffo, esalando un corto respiro.

Ed era davvero veloce. VELOCISSIMO, nonostante la stazza. Il suo fisico sembrava tornato quello dei tempi migliori. Ed il suo peso doveva essere rientrato nella giusta e legittima categoria.

Quella dei WELTER.

Era davvero al top della forma. Forte, tonico, vigoroso. Non quella sorta di FANTASMA RINSECCHITO, quello SCHELETRO AMBULANTE a cui si era ridotto a causa dell’assurda DIETA a cui si era sottoposto di sua spontanea volontà per poterlo affrontare ad ARMI PARI, in un match ufficiale e regolamentare.

Joe non credeva davvero ai propri occhi. Che con ogni probabilità dovevano essere completamente SGRANATI E FUORI DALLE ORBITE per la sorpresa, anche se per ovvie ragioni non poteva vederseli da solo.

Rallentò di colpo. E poi iniziò ad avvicinarsi lentamente, con circospezione ed estrema cautela, quasi a non volerlo disturbare.

E poi, una volta ai piedi del ring, vicino al bordo e proprio sotto all’ultima corda, si decise a parlare.

A pronunciare quel nome, seppur con tono incerto ed esitante.

Disse QUEL NOME.

QUEL DANNATISSIMO NOME. BENEDETTO E MALEDETTO INSIEME.

 

“R...RIKI…RIKIISHI...”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Ce l’ho fatta, a quanto pare. E lasciatemi aggiungere che mai come in questo caso il termine FINALMENTE é pressoché d’obbligo.

Non ci crederete ma questo capitolo mi ha creato UN SACCO DI PROBLEMI.

E’ stato forse quello che mi ha MESSO PIU’ IN DIFFICOLTA’ DI TUTTI. SUL SERIO.

E non certo perché non sapessi cosa scrivere, visto che la storia ce l’ho bene in mente.

Il fatto é che mentre ho iniziato la stesura mi é capitata una cosa ASSURDA.

MI E’ VENUTO UNA SPECIE DI BLOCCO EMOTIVO. TOTALMENTE INSPIEGABILE.

Era come se dentro di me sentissi una voce che ripeteva a pappagallo NON VOGLIO FINIRLO! NON VOGLIO FINIRLO!!

Già. Mi avete capito bene. All’improvviso, mi sono accorto che NON VOLEVO FINIRLO.

Penso sia una cosa normale. Questa é la prima storia di una certa lunghezza che mi accingo a terminare. Non é la prima long con cui mi ritrovo alle prese (ne sto facendo un’altra, in contemporanea. Ma ne riparleremo), ma fino ad ora avevo scritto solo racconti di due – tre episodi al massimo (fatta eccezione per le one – shot).

Comunque, alla fine sono riuscito a superare l’impasse. Quando ami ciò che fai vorresti non avesse mai termine, ma bisogna trovare il coraggio di metterci UNA BELLA RIGA SOPRA e di passare oltre. Esistono tantissime altre storie da scrivere e da raccontare che aspettano.

C’é ancora molto da lavorare. E la strada é ancora lunga.

Veniamo all’episodio, adesso.

Allora? Che ve ne pare? Confusi? Meravigliati? Sorpresi? Disgustati (no, quello no, almeno spero)?

Cosa ne dite del COLPO DI SCENA?

Senza contare che si é ritornati al PASSATO REMOTO, proprio come all’inizio.

Vi confesso che questo capitolo non mi ha convinto ancora del tutto. Ma non potevo scriverlo diversamente. E’ venuto come é venuto.

Spero solo di non rovinare tutto quanto proprio sul più bello.

Ed ora, tutti pronti per IL GRAN FINALE?

Il prossimo sarà L’ ULTIMO, e concluderà definitivamente la storia.

Ringrazio intanto Devilangel476, innominetuo e kyashan_luna per le recensioni al capitolo precedente. E come sempre, un grazie anticipato a chiunque leggerà la mia storia e se la sentirà di lasciare un parere.

 

Alla prossima e...coraggio, manca poco! Pochissimo! Ci siamo quasi!!

 

 

 

 

 

See ya!!

 

 

 

 

 

 

 

 

Roberto

   
 
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