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Autore: lagertha95    28/04/2018    4 recensioni
Alexandra ha vissuto un dramma, uno di quelli che rendono difficile la ripresa, e non è riuscita a trovare la forza per uscire dallo stato di apatia in cui è caduta. Un breve viaggio in compagnia della madre la aiuterà a capire e la riporterà alla vita.
Storia partecipante al contest "Pathos vs Apatheia" di Little_Rock_Angel5 sul forum di EFP
Spero che questa breve OS vi piaccia.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al contest “Pathos vs Apatheia” di Little_Rock_Angel 5 sul forum di EFP.
Non ho da dire molto su questa storia, perché è nata sull'onda di una situazione ed è finita sull'onda di un'altra.
Spero che vi piaccia, perché a me è piaciuto molto scriverla, nonostante sia breve :)
E nulla, se vi va, leggete e commentate.
Un bacio, la vostra affezionatissima Lagertha

 


La tempesta dopo la pace


 

Fuori dalla finestra, il temporale.
Lampi e tuoni si susseguono inesorabili, scatenando il caos ogni volta.
Io sto seduta - anzi, rannicchiata - sul bovindo, avvolta in una coperta scozzese.
Il fuoco nel caminetto scoppietta, propagando il suo calore nella saletta da lettura. Le fiamme danzano sulle alte librerie in noce, instancabili, portando con sé un alternarsi di luci e ombre.
Il mondo fuori e dentro la sala da lettura è in agitazione, ma io non sono capace di sentire altro che il vuoto.
Completo vuoto. Totale assenza di emozioni. Qualcuno mi definirebbe depressa, ma il termine più adatto sarebbe apatica.

Mia madre entra, silenziosa come è sempre stata, nella stanza in penombra. Si avvicina al tavolino, posandoci sopra un vassoio d'argento con una teiera fumante e una tazzina, entrambe in porcellana candida. Si ferma un attimo - percepisco i suoi occhi piantati sulla nuca - poi se ne va, silenziosa come è entrata.
Il mare che posso osservare dalla finestra è oscuro, le onde si inseguono l'un l'altra in un ciclo infinito di creste spumose e risacche profonde che ogni volta si vanno a infrangere sulla scogliera.
Vorrei tanto essere come quelle onde: testarde, continuano imperterrite a infrangersi sugli scogli, ferme nelle loro decisioni, sicure. Io invece sono come sospesa, neanche il vento più forte riuscirebbe a smuovermi.
Percepisco il dolore, la preoccupazione di chi mi circonda, ma non riesco a reagire. Le mie ferite sono ancora troppo recenti e profonde, continuano a sanguinare e io non faccio nulla per cambiare lo stato delle cose. Forse non posso o forse non voglio, forse semplicemente non sono ancora pronta.

Sono passati sei mesi. Fisicamente mi sono ripresa, sto bene, eppure c'è ancora qualcosa che in me è rotto. Il mio spirito è spezzato e i frammenti non hanno ancora trovato il modo per rimettersi insieme.
Aver perso Christian alla vigilia delle nozze è stato devastante. Quando quel cavallo l'ha travolto, io ho sentito distintamente il suono delle sue ossa che si spezzavano, poi il frastuono delle grida, i nitriti del cavallo imbizzarrito, di nuovo le grida...
E nella mia mente ancora e soltanto lo spezzarsi delle ossa e il suo volto tumefatto, orribile rispetto alla sua bellezza degna delle più belle statue classiche.
Sono passati sei mesi, ma per me è come se fosse successo ieri.

Mi addormento sul bovindo, la fronte poggiata al vetro gelido, la tempesta che intanto continua ad imperversare. Il thè, nel frattempo, si è raffreddato.



Mi sveglia mia madre la mattina dopo, scuotendomi leggera per una spalla.

"Alexandra, vai a lavarti e a prepararti. Non tollererò un giorno di più questo tuo atteggiamento. Alzati dal bovindo dove, ci tengo a fartelo notare, hai lasciato la tua impronta, e vai nelle tue stanze. Carina ti sta aspettando."

La voce di mia madre è sempre stata una voce forte e musicale, una voce che mi ha portato conforto ogni giorno della mia vita, prima di quel maledetto giorno, ma adesso...adesso è una voce come un'altra.
Mentre mia madre parla, io non riesco a pensare a nulla oltre ai nitriti, alle grida e a quei crac disgustosi. La guardo con occhi che so essere vacui e spenti, nonostante siano di un bel verde brillante, e non accenno ad alzarmi dal divanetto.

"Alexandra, non mi ripeterò-"

"Non ce n'è bisogno. Ho capito benissimo. Ti sto solo ignorando." La voce che esce dalle mie labbra è roca e flebile, la voce di qualcuno che non parla da tempo.

"No, Alexandra. Non mi ignorerai, non questa volta. Sono passati sei mesi. Christian...Christian manca a tutti noi. Il modo in cui è-"

"NON DIRLO! NON AZZARDARTI A DIRLO!" Grido, forse per la prima volta dopo quella tragica notte. Le lacrime iniziano a sgorgare, troppo a lungo trattenute, troppo a lungo rispedite lungo i canali lacrimali. Qualcosa in me è cambiato, qualcosa sta urlando per uscire, perché vuole farlo, dopo essere stato soppresso per mesi interi. Senza nemmeno una lacrima versata, senza un grido, né una parola. Ma è ancora troppo poco.

"E invece lo dirò, tesoro. Era una persona meravigliosa e so quanto tu lo amassi ed è stato un incidente, un drammatico incidente. Ma non c'è più e tu devi andare avanti. Faremo un viaggio, non molto lungo n molto lontano, ma dobbiamo uscire da qui. Tu devi uscire di qui. Hai vent'anni, Alexandra..."

Ma quel grido è stato l'unico segno di vita che riesco a dare dopo quei mesi. Ripiombo nell'apatia e l'unica cosa che riesco a fare è un lievissimo segno d'assenso indirizzato a mia madre.


* * *
 

In qualche modo è riuscita a trascinarmi nelle mie stanze, dove Carina - la mia cameriera fin da quando ero bambina - mi aspetta. In un angolo, tre bauli mi guardano in silenzio, già chiusi. Resto da preparare solo io. Mi lascio guidare, docile, nel bagno, dove ad attendermi c'è un'enorme vasca da bagno.
Carina mi spoglia delicatamente, come ha fatto tante volte quando ero più piccola, e prendendomi per mano mi guida verso la vasca. Vi immergo prima un piede, per saggiare la temperatura dell'acqua - non che mi interessi, potrebbe essere bollente oppure gelida, per quel che mi riguarda - poi l'altro e poi mi chino fino a sedermi, lasciando che i capelli si allarghino intorno a me. Carina versa nella vasca qualche goccia di olio essenziale di lavanda - probabilmente per cercare di rilassarmi - e poi un po' di sapone, per fare la schiuma che da bambina tanto adoravo.

"Andiamo, mio tesoro. Metti la testa sott'acqua, poi ti laverò i capelli. Devi cercare di andare avanti, reagisci bambina mia-"

Mi immergo solo per far tacere quelle chiacchiere. Nessuno può capire come mi sento e in ogni caso, tutti sembrano fraintendere. Pensano che io provi qualcosa, ma il punto è che non provo nulla. Quando il silenzio del mondo sommerso mi avvolge, tiro un sospiro di sollievo. Intorno a me, tutto è quieto, immobile, statico. Ecco quello che mi serve, penso. Ma ovviamente, chiedo troppo.

Una mano mi tira su, riportandomi in quello che io reputo caos nonostante non fosse che la normalità dell'esistenza.

"ALEXANDRA!" Carina è pallida e tremante. Mentre mi tiene saldamente sopra la superficie dell'acqua, decisa a non farmi scendere di nuovo in quegli abissi di silenzio. "Che cosa volevaifare, Alexandra?"

Scuoto la testa, i capelli zuppi appiccicati al viso. Non voglio parlare. Anche Carina scuote la testa e riprende a lavarmi, senza insistere. Si limita a tenermi d'occhio.
Qualche minuto dopo mi fa piegare la testa all'indietro, per risciacquare le lunghe onde castane che da sempre incorniciano il mio viso. Poi mi fa alzare in piedi, lavandomi il corpo e poi sciacquandomi. Alla fine, mi invita ad uscire e mi avvolge in un morbido e candido asciugamano di spugna. Inspiro profondamente l'odore di pulito, così familiare, di quel tessuto, chiudendo gli occhi.


Risate. Gioiose e cristalline risate.

Mia madre è partita per qualche giorno, portandosi dietro Carina, dopo che le ho promesso che mi sarei comportata bene, che avrei evitato i miei soliti colpi di testa.
E come potrei? Il mio ultimo colpo di testa l'ho dato due anni, quattro mesi e 28 giorni fa ed è stato il colpo di testa più bello della mia vita.
Ricordo ancora quel giorno.

I miei avevano dato un ballo. Uno di quei balli lussuosi, da alta società. Mi avevano fatta agghindare come un albero di natale: brillavo e tintinnavo come se fossi ricoperta di campanelle argentate. Mi vergognavo come una ladra.

Odiavo l'acconciatura - capelli raccolti talmente stretti da farmi venire mal di testa 5 minuti dopo che avevano appuntato l'ultima forcina -, odiavo il vestito - troppo ingombrante e luccicante e pesante, per i miei gusti - e odiavo le scarpe - delle dannatissime scarpe a punta con tacco a spillo che ad ogni passo facevano urlare i miei piedi come se qualcuno vi stesse conficcando dei pugnali. Odiavo anche il mostrarmi alla gente come fossi una giumenta da vendere al miglior offrente, odiavo la musica che non rispecchiava i miei gusti...Odiavo tutto di quella serata.

Eppure, quando avevo incontrato il suo sguardo, tutto si era acquietato intorno a me. La musica e il chiacchiericcio erano diventati rumori di sottofondo, il vestito non mi sembrava più così peso e l'acconciatura e le scarpe non erano più una moderna forma di tortura. Sfuggii a mia madre, che mi stava presentando al figlio o nipote di non so quale baronetto, marchese, conte, e mi diressi verso di lui.
Quella sera Christian splendeva come se fosse stata la SUA serata.

Era bello, Christian. Molto bello. Alto, slanciato, dai tratti equilibrati, pelle olivastra, occhi neri e capelli corvini. Ai miei occhi, fasciato dalla sua divisa militare, splendeva quasi fosse una stella. Mi avvicinai e gli porsi la mano.

"Principessa Alexandra..." si inchinò lieve ed elegante, baciandomi la mano coperta dal guanto di raso blu notte. "Colonnello Christian Dubois. Mi concederebbe l'onore di questo ballo?"

"Molto volentieri, Colonnello."

Da quel giorno io e Christian non ci eravamo più separati.
All'inizio mia madre e mio padre avevano strepitato e si erano opposti, ma poi avevano capito. Non so se lo avessero letto nei miei occhi o se semplicemente lo avessero accettato e sinceramente neanche mi interessava.
Era stato amore a prima vista. Di quelli così ben descritti nei romanzi d'amore: le farfalle nello stomaco, la perenne sensazione di camminare sulle nuvole, la testa leggera, il cuore a mille...
Io avevo rifiutato tutti i pretendenti che i miei genitori volevano presentarmi, più ricchi, più rispettabili, più importanti di Christian. Dopo un po' avevano desistito e accettato la mia decisione.
Tre mesi dopo ci eravamo fidanzati.

E adesso, forse per la prima volta dopo mesi e mesi, siamo soli. Abbiamo l'intero castello tutto per noi, dal giardino alla torre ovest, quella che si affaccia sulla scogliera.
Corro e rido e inspiro forte. I piedi nudi che non fanno troppo rumore, il corpo non appesantito dagli abiti che devo indossare di solito, i ricci sciolti che mi ricadono sulle spalle e sulla schiena ad ogni passo.
Dietro di me, Christian mi insegue. Il torso nudo, coperto da un velo di sudore, i pantaloni di tela che gli fasciano le lunghe e muscolose gambe, i passi più pesanti dei miei che si avvicinano sempre di più.
Non faccio in tempo a svoltare l'angolo del corridoio che le sue forti braccia mi afferrano per la vita. Ruota su se stesso e mi spinge contro il muro. In un attimo, le sue labbra - le sue morbide e carnose labbra - sono sulle mie.
Dischiudo le labbra senza indugio, lasciando che la sua lingua prenda possesso della mia bocca. Ha un sapore così dolce, Christian, e il suo odore è così...suo. Mi gira la testa, così mi aggrappo con più forza alle sue spalle.

E poi ridiamo. Ridiamo come non abbiamo mai fatto prima, le fronti poggiate l'una sull'altra, i nasi che si sfiorano, i respiri che si mescolano. E continuiamo a ridere.



Dio, sono sei mesi che non riesco a provare nulla. Eppure sono sempre stata una persona a cui ridere piaceva. Che cosa mi è successo?
Ma la risposta lampeggia nella mia mente come la luce di un faro. Con Christian è morta quella parte di me che amava e a cui piaceva ridere e anche quella che piangeva per una storia d'amore finita male o per quel puledro appena nato che si era azzoppato inciampando su una radice.
Christian era il sovrano incontrastato delle mie emozioni e quando è morto, loro sono morte con lui.
 

* * *
 

Qualche ora dopo, sono pronta.
Vestita di nero, con una veletta sugli occhi come se fossi una vedova, salgo sulla carrozza che aspetta me e mia madre davanti all'ingresso.
Silenzio. Tutto quello che desidero è il silenzio.
Mia madre saluta Carina, affidandogli il castello, poi sale sulla carrozza e si siede di fianco a me.
Per tutto il viaggio guardo fuori dal finestrino, cercando di ignorare il dolore che attanaglia il mio cuore nel sentire lo scalpiccio degli zoccoli e i nitriti dei cavalli, benché attutiti dall'imbottitura della carrozza e dai vetri spessi. Mia madre stringe lievemente la mia mano, cercando di darmi supporto.
Tutto sommato, apprezzo i tentativi di tirarmi fuori da questo mio stato della mia famiglia. Non posso biasimarli per aver lasciato andare il dolore prima di me.
Per loro Christian era solo un bravo ragazzo, apprezzato, a cui volevano bene, ma non era parte del loro cuore come lo era per me.

Due giorni dopo, dopo esserci fermate in lussuose ville di amici lungo la strada, arriviamo finalmente a destinazione.
Fino a questo momento non avevo idea di dove fossimo dirette e neanche mi importava.  Ma quando il portiere dell'hotel dove alloggeremo apre lo sportellino della carrozza e mi porge la mano per aiutarmi a scendere, vengo investita da una vera e propria ondata di emozioni, la prima dopo la morte di Christian.

Roma si stende davanti ai miei occhi, bellissima, antica e regale. Al tramonto poi, è ancora più bella. La luce rossa del sole che cala, calda, ci circonda in un abbraccio amorevole.
Ne rimango folgorata. Un singhiozzo troppo a lungo trattenuto esce a stento dalle mie labbra. Mia madre mi passa un braccio intorno alla vita e io poggio la testa sulla sua spalla.

Nel mio cuore si agita qualcosa e anche nel mio stomaco. Troppo tempo che trattengo tutto, incapace di sfogarmi. Non ho provato nulla per sei mesi. Sei mesi in cui però le emozioni che si agitavano dentro di me, racchiuse in una tomba di marmo identica a quella che aveva accolto Christian, non avevano smesso di esistere e anzi si erano nutrite di quella mi apatia, logorandomi, in attesa del giorno in cui sarebbero finalmente tornate alla luce. E quel giorno si avvicina sempre di più. Lo sento, è come se il sangue avesse ricominciato a scorrere nelle mie vene e nelle arterie, sempre più fluido con il passare dei giorni. Fino ad ora era solo un sordo e basso fruscio.


* * *
 

Il giorno dopo ci svegliamo di buon'ora. Il mio sonno è stato, come da sei mesi a questa parte, privo di qualsivoglia sogno o incubo. Semplice nero. Non pace, perché non mi svegliavo pervasa da una sensazione di benessere, ma nemmeno tempesta, perché non mi svegliavo affaticata o turbata. Vuoto, silenzio, oscurità.
Mi vesto di malavoglia e già questa è una novità. Fino a qualche giorno fa non mi avrebbe cambiato nulla vestirmi o restare in camicia da notte. Sarebbe stato identico, mentre adesso l'atto di indossare tutti quei pesanti tessuti mi infastidisce. Mia madre mi lancia un'occhiata ogni tanto, come a voler controllare che mi stia vestendo o che tutto sia tranquillo, che non stia per commettere qualche sciocchezza.


Sette mesi prima.

"Sono così contenta di averti incontrato..."

Il giardino quel pomeriggio era tremendamente accogliente. Christian stava appoggiato al tronco forte e rugoso di un pino, mentre l'aria salmastra ci smuoveva i capelli. Io ero avvolta dalle sue braccia appena abbronzate, la schiena poggiata al suo forte torace, la testa reclinata all'indietro e appoggiata alla sua spalla. Guardo davanti a me, solcando le onde fino all'orizzonte, fino ad incontrare i raggi del sole che fanno luccicare la superficie del mare, sprazzi argentei sul blu profondo.

"Sono contento anche io." risponde, chinandosi leggermente su di me. Sposta i miei capelli dal collo, sfiorando lieve la pelle con le dita. Un brivido percorre lento la mia spina dorsale, provocandomi la pelle d'oca. "Sei così bella...e io mi sento l'uomo più fortunato del mondo..."

Mi volto, per quel che permetteva la mia posizione, a guardarlo.

"Somigli ad una civetta, in questa posizione."

"Sono carine, le civette" rispondo io, continuando a guardarlo.

"Molto carine."

Mi volto di nuovo, puntando lo sguardo sull'orizzonte.  

"Non avevo mai pensato che mi sarei sposata. Avevo deciso di restare zitella, prima di essere venduta al migliore offerente dai miei genitori."

"E invece eccoci qua. Mancano solo 3 settimane..."

"E invece eccoci qua."

Sento le mani di Christian sfiorare leggere il mio collo, descrivendo la linea delle vertebre, poi scendere sulle spalle, accarezzarle, spingere lievemente verso il basso le spalline dell'abito che indosso. Chiudo gli occhi, godendomi appieno le sensazioni che le sue dita mi stanno dando. Le percepisco spostarsi davanti, descrivere la linea dritta delle mie clavicole, spostarsi di nuovo sulle spalle, abbassare ancora di più le maniche accompagnandole lungo le mie braccia candide.

"Christian..." sussurro tremando.

"Alexandra..." sussurra lui di rimando. Poi mi posa un bacio leggero sulla nuca e io gemo. Tra le mie cosce inizia a crescere un calore che non ho mai provato prima e che si fa sempre più forte. Il mio respiro accelera, così come il mio battito cardiaco.

"Christian ti prego..." mugolo, in preda all'affanno, mentre lui continua a tracciare lievi scie sulla mia pelle, un po' con i polpastrelli, un po' con le labbra e la lingua. Potrei morire in questo istante.

"Shh...lasciati andare, lasciami fare. Mi fermerò in tempo, non preoccuparti."

Il problema è proprio questo. Io non voglio che lui si fermi. Voglio continuare a godere di queste sue carezze esperte che mi suscitano emozioni nuove e totalizzanti.
Il mio respiro si fa ancora più veloce quando le sue mani scendono, avvolgendo come coppe i miei seni, lasciati liberi dalla costrizione del corsetto. La brezza mi sembra più fresca di prima e miei capezzoli si inturgidiscono in risposta sia all'aria sia alle carezze che li sfiorano lievi.

"Christian..."

"Shh..." ripete, senza smettere di baciare il mio collo, senza smettere di lambirlo. Se questo è quello che mi aspetta dopo il matrimonio, sono ben contenta di non restare zitella.

La mano destra scende lungo il mio corpo, si infila sotto la gonna, sposta decisa la biancheria. Le dita saggiano il mio calore e la mia umidità, solcano, stronfinano, premono, lasciandomi in balia di emozioni mai provate come una barca alla deriva. Chiudo gli occhi e dietro le palpebre solo esplosioni di luce. Gemiti sempre più sonori escono dalle mie labbra strette in risposta alle sue dita dentro di me, alla mano sinistra che stringe il mio seno, alle labbra che lasciano scie luccicanti sulla mia pelle.

Poi, tutto ad un tratto, le sue dita si stringono e io esplodo. Un mugolio sonoro esce dalle mie labbra strette e si affievolisce mentre si affievolisce la stretta delle dita di Christian e la frequenza e la passione dei suoi baci sul mio collo.
Pian piano respiro e battito si regolarizzano. Il mio corpo è morbido e mi rilasso addosso a Christian, che pone un ultimo lieve bacio sulle mie spalle, che poi copre nuovamente con l'abito.

"Tre settimane...ancora tre settimane amore mio, poi tutto questo ti sembrerà un gioco."



Usciamo, ma non so dove siamo dirette. Saliamo in carrozza e io, come sempre, cerco di ignorare lo scalpiccio degli zoccoli sul selciato. Quasi mi appisolo, ma non faccio in tempo perché la carrozza si ferma e mia madre mi scuote leggera per una spalla.

"Alexandra, siamo arrivate."

Annuisco, senza guardarla. Mi sistemo la veletta sul capo e apro lo sportello della carrozza. La luce forte della tarda mattinata quasi mi acceca.
Quando i miei occhi si abituano alla luce, alzo lo sguardo e resto a bocca aperta. Davanti a me si staglia l'imponente costruzione della Basilica di San Pietro.

Sono estasiata. Questa è forse la prima emozione vera, potente, completa, che provo da dopo la morte di Christian. Non riesco a distogliere lo sguardo n a muovere un passo e quasi non riesco neanche a respirare. Davanti a me c'è una delle costruzioni più belle del mondo e io mi sento riempire dalla sua bellezza.

"Alexandra, vieni. Facciamo una passeggiata, cara."

La voce di mia madre mi distoglie dalla contemplazione in cui ero caduta. Mi volto e annuisco. La vedo, forse per la prima volta: stanca, invecchiata. La morte di Christian e il mio cadere in depressione successivo la devono aver colpita più duramente di quanto avessi pensato.
Mi prende a braccetto e inizia a percorrere la strada a destra della Basilica. Per qualche minuto camminiamo in silenzio, circondate da vociare della gente che come noi cammina sui sampietrini, godendosi il sole di maggio. Sembra strano tutto questo calore, quando appena l'altro ieri ero seduta sul bovindo del nostro castello a contemplare la tempesta.

"Ti ho portato a Roma, Alexandra, perché non puoi continuare così."

"Mamma..."

"Non interrompermi, per favore." Fa una piccola pausa, poi riprende. "Sai, tesoro, la morte è sempre qualcosa di orribile e ci colpisce in modi subdoli e forti e diversi per ognuno di noi. Quando hai incontrato Christian, nessuno di noi pensava fosse la persona giusta per te. Di estrazione sociale più bassa, un militare che sarebbe stato spesso lontano da te...abbiamo pensato che fosse un arrampicatore sociale, te lo dico sinceramente. Poi però abbiamo visto come ti guardava, come se oltre a te non esistesse nessun'altra, come ti cercava in ogni momento con lo sguardo, come sembrasse triste quando non era vicino a te..."

"Mamma ti prego..." sento le lacrime inumidirmi gli occhi.

"No, Alexandra. Devi capire, per quanto questo faccia male." Mi guarda e io leggo nei suoi occhi tutto il dolore per il dover infliggermi questa tortura. "Abbiamo capito che il suo sentimento era sincero e che lo era anche il tuo. Quando eri con lui era come se dentro di te splendesse il sole. Abbiamo iniziato a conoscerlo, ad apprezzarlo e alla fine anche a volergli bene. Non avremmo potuto sperare in niente di meglio per te. Poi però è successo. Una disgrazia, terribile. E io avrei voluto che tu fossi da qualunque altra parte, purché non lo vedessi in quelle condizioni. Ti abbiamo dato tempo, anche se avremmo preferito che tu reagissi in un altro modo, anche urlando e distruggendo tutto, perché quello che stavi facendo, rinchiusa nel tuo guscio, era che ti stavi distruggendo con le tue stesse mani. E noi non sapevamo che cosa fare. Christian ha lasciato un vuoto che per molto tempo sarà incolmabile nel tuo cuore, come in quello di tutti noi, ma devi riprendere a vivere. C'è così tanta bellezza nel mondo, Alexandra..."

Mia madre si ferma davanti ad un portone sovrastato da una targa in marmo. "Musei Vaticani".

"Voglio farti vedere quanta bellezza ti può circondare, tesoro mio. E in questo modo farai rivivere anche Christian. Perchè lui era bellezza e amore e stupore e meraviglia e tutto ciò che di positivo ci può essere al mondo. TI voglio mostrare una cosa che tanto tempo fa ho visto e mai più dimenticato."

La guardia all'ingresso ci fa entrare, inchinandosi. Mia madre mi guida sicura per i corridoi pavimentati in marmo, come se li conoscesse a menadito. Alla fine, dopo qualche minuto in cui non ho fatto altro che osservare rapita tutto ciò che mi circonda, entriamo in una sala.

Racchiusa in una nicchia di marmo candido, la Bellezza.

"Alexandra, questo è il gruppo del Laocoonte." sussurra mia madre, ferma pochi passi dietro di me. "Voglio raccontarti la sua storia. Laocoonte era un sacerdote troiano. Alcuni dicono fosse sacerdote di Apollo, dio delle arti e del sole, figlio di Zeus e Leto, gemello di Artemide, mentre altri dicono fosse sacerdote di Poseidone, il dio del mare, figlio di Rea e Cronos e fratello di Ade, Zeus, Era, Demetra ed Eris. Durante la Guerra di Troia, fu l'unico a intuire che il cavallo recapitato loro in dono dai Greci fosse un inganno." Mentre mia madre parlava, quasi fosse il narratore di una delle fiabe che per tanto tempo quando ero bambina mi aveva letto, io non distoglievo gli occhi dal gruppo scultoreo. Dentro di me si accavallano miriadi di sensazioni fino a quel momento duramente represse. Due giorni prima la tempesta era all'esterno, mentre dentro di me regnava il nulla più assoluto, adesso fuori c'era la pace mentre la tempesta era nel mio cuore. "Scagliando una lancia contro il ventre del cavallo, fece risuonare il legno e capì che era pieno. Cercò di avvertire i suoi concittadini, ma Atena che parteggiava per i Greci, decise di punirlo. Scatenò contro i due figli di Laocoonte, che lo accompagnavano sulla spiaggia di fronte a Troia, due enormi serpenti marini, Porcete e Caribea. Questi avvolsero con le loro spire i due giovani, stringendoli fino ad ucciderli. Laocoonte provò ad opporsi, ma tutto ciò che ottenne fu di morire con loro. I Troiani lo videro come un segno, accolsero il cavallo tra le mura della loro città e tutti sappiamo come andò a finire quella guerra durata dieci anni. Ma quello che voglio farti capire è un'altra cosa. Questa statua ritrae il momento di passione più forte che un uomo possa vivere: la morte di chi si ama e il rifiuto di ciò. Ma Laocoonte, nel suo opporsi, non ha fatto altro che uccidersi e causare la perdita della memoria dei suoi figli, oltre che di se stesso. Christian è morto, tesoro mio, non morire con lui. Vivi, ama di nuovo, piangi, urla, distruggi, da' la vita e porta con te per sempre il ricordo di chi hai così tanto amato. Non lasciare che tutto cada nell'oblio e non lasciare che ti trascini con sé. Opponiti."

Alle ultime parole di mia madre, dopo l'ennesimo sguardo rivolto all'espressione distrutta di Laocoonte, in me si scatena il caos.

Cado in ginocchio sul marmo, le rotule che scricchiolano sinistre, il petto chiuso in una morsa ferrea, il respiro affannoso, il cuore impazzito.

E poi accade. Lacrime calde iniziano a rotolare incontrastate lungo le mie guance pallide. Singhiozzi rumorosi oltrepassano il bordo delle mie labbra tinte di rossetto. E alla fine un grido, straziante, di una donna che finalmente piange l'uomo tanto amato adesso morto. Mia madre si inginocchia accanto a me e mi abbraccia stretta. Mentre mi accarezza i capelli, io continuo ad essere scossa da forti singhiozzi che risuonano nella sala.

Dentro di me un tumulto di emozioni che si susseguono impazzite: amore, dolore, rabbia, passione, felicità, solitudine...Emozioni che non avevo neanche idea di poter provare che adesso premono per venire alla luce, avere il proprio spazio in me e io non sono che felice di concederglielo.
 

* * *
 

Un vagito sonoro risuona per le stanze del castello.

Sono passati cinque anni. Cinque anni da quando sono tornata alla vita. Mi sono ripresa, lentamente, ma l'ho fatto. Mia madre, Carina, mio padre...tutti mi hanno aiutata a riprendermi, a riscuotermi da quel torpore in cui mi ero rinchiusa. Accanto a me, Miguel ci guarda fiero. L'ho incontrato due anni fa, ci siamo innamorati, ci siamo sposati e adesso ho dato alla luce una bellissima bambina dagli occhi color del mare e dai capelli neri come la notte.

Mi ero chiusa alla vita e adesso, la vita, l'ho data.

 

   
 
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