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Autore: MarcoMarchetta    28/04/2018    0 recensioni
Fra storia e racconto.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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LA  PAGELLA  
(1810)                                                               
 
Nello studiare gli ultimi sondaggi  Napoleone vuole a fianco solo Berthier e Talleyrand.
"Qui, vedi, principe, non ci siamo" e indica i dati seguendo il rigo della Russia. "Lo zar non l'ho trattato bene a Tilsit? Ci ha guadagnato anche un po' di Prussia orientale..."
Talleyrand, interpellato, commenta:
"Sire, se volete il mio parere è proprio questa vostra magnanimità che Alessandro non manda giù. Lui è imperatore per secolare dinastia."
"Louis!" strilla Napo. "Questo mi fa proprio incazzare con i suoi ragionamenti di reali e legittime discendenze benedette dal Signore!
Lo fai ragionare secondo delle concrete visioni del mondo? sennò la sua presenza qui è solo fastidiosa."
"Principe" interviene Berthier, "voi sembra lo facciate apposta a provocare l'ira dell'imperatore! La corona ce l'ha e il favore celeste è ben palese se tanti cosiddetti 'sovrani per volere di Dio' la corona la stanno perdendo."
"Io realisticamente sto parlando" si difende Talleyrand, "non a titolo personale, per esempio per ricordare che anche il mio Pèrigord era un tempo un territorio sovrano."
"Non lo vuole ricordare, Berthier!"
"Sire" continua il principe di Benevento senza raccogliere l'ironia, "l'imperatore russo è umiliato da tante sconfitte. Dopo quella di Friedland gli regalate anche delle province... Si è sentito un vostro soggetto. Questo volevo dire."
"Ho capito! Ho capito! Principe, torniamo a noi?: il tempo è sempre poco e le cose da fare tante.
Sii gentile, Charles Maurice, dammi qualche suggerimento circa queste ultime risultanze."
"Certo, sire. Io vedo che, tolta la Russia e la Spagna, tutti gli altri territori danno un giudizio globalmente positivo accettando di buon grado l'egemonia francese.
Dànzica è tutta favorevole e anche i regni limitrofi allo zar ci danno voti lusinghieri" e il diplomatico inquadra i risultati sul prospetto seguendo righe e colonne. "La Prussia sembra non desideri altro che essere annessa alla Grande Francia. La Vestfalia, con vostro fratello Gerolamo, si sente già tutta napoleonica a leggere i pareri espressi. La Sassonia dà una sola insufficienza, in 'Libertà di stampa'; il granducato di Varsavia ne dà due, in 'Giustizia sociale' e 'Tolleranza religiosa'.
Solo Spagna e Russia danno dappertutto giudizi antifrancesi.
Da queste informazioni, interpretate correttamente, direi, sire, che il vostro Impero può continuare a espandersi."
"Berthier" tituba Napoleone, "sottomessi completamente gli Spagnoli pensi sia possibile intendersi con i Russi?"
"Con un buon lavorio diplomatico è molto probabile: credo ne abbiano abbastanza di buscarne. Comunque dovrebbe essere Talleyrand a esprimersi dato che è il suo campo.
A mio parere, sire, evitiamo altri conflitti: le coalizioni contro la Francia diventano sempre più forti."
"Talleyrand?" interpella l'imperatore.
"Sire, sono quei giudizi che guastano la positività della pagella e che vi tolgono il buonumore. Questo si capisce.
Io non dovrei dare suggerimenti militari che sono competenza più del maresciallo Berthier; però ci provo finchè non mi toglierete la parola.
Lo zar Alessandro vi odia e non riconoscerà mai una vostra predominanza. La potrete ottenere solo con la guerra subentrandogli nel dominio di quelle lande.
La Russia può disporre di forze demoralizzate per un massimo di 200.000 uomini. La Francia ne può armare 600.000, e ha la nomea di essere imbattibile. Questo è il momento di picchiare!
Nelle alleanze schierate contro di noi i russi c'erano sempre. Tolti di mezzo loro quale coalizione ci potrà affrontare?"
"Lo vedi, Berthier, che il nostro ex vescovo non è il mollusco cacasotto che credevo? E non è neanche tanto stupido: ha capito in che maniera si cambiano i voti su questo prospetto e come si rendono conformi le opinioni."
Il padrone osserva compiaciuto Talleyrand sorridere ossequioso ma, purtroppo per lui, non può penetrare nell'animo di quel suddito così ben plasmato, nè fra i pensieri che si agitano in quella testa china:
'Intanto per almeno un anno non subirò lo strazio di doverti riverire, artigliere zoticone. Vai pure, vai nelle pianure orientali, Bonaparte, brigante pervenuto ad altezze eccessive anche per un gigante, figuriamoci per un ometto calvo e adiposo. Prova a sfamare tanta truppa in quelle steppe, prova a vestirla e ripararla dal gelo, quando l'estate, già a settembre, comincia a dileguare. È vero che i russi sono deboli; ma, se collaborati dal gelo e dalle distanze dovessero vincere, come potrei mai finire sotto un sovrano più grossier di questo? D'altronde, non voglia il Cielo, il nostro beneamato Imperatore dei Francesi tornasse vincitore, chi lo ha avviato verso questa nuova gloria? Non te lo auguro ma lo vedi, Charles Maurice, che anche così potrebbe andarti bene?'
 
Marco Marchetta
 
 
L' ANTÌDOTO 
(61 a.C.)  
 
"Per essere protetto contro le prepotenze di Lucullo" enfatizzava Mètrone di Olinto "a chi ricorrere se non a Pompeo il Grande?”
"Ti ringrazio" si compiacque il condottiero. "Mi spieghi perchè ce l'ha con te? Non certo per xenofobia: fra i suoi clienti ha molti greci e stranieri in genere e a casa sua si professano tre diverse religioni."
"Grande Pompeo, ti spiego: mi convocò e mi parlò di Mitridate, re del Ponto Eusino; lui l'aveva combattuto prima che t'incaricassi tu di eliminarlo, o Grande."
"Sì, Mètrone, so bene quel che ti disse: 'non è possibile intossicarlo; non funziona alcun veleno su di lui', è questo?"
"Pompeo, sei Grande anche nell'anticipare i pensieri.
Lucullo voleva che lo rendessi immune ai veleni come lo era quel re e mi offrì una cifra enorme perchè gli preparassi un antìdoto con tale efficacia.
O potente, non c'è un medicamento simile, te lo posso dire da medico. Seppure fosse esistito Mitridate e io non eravamo tanto intimi da confidarci certi segreti."
"Tu conoscevi il re?"
"Ma certo che no, Grande Pompeo. Voi romani, oltre Brindisi, vedete l'Oriente come se fosse un unico abitato. Dalla mia città sull'Egeo, il Ponto era più lontano di Roma. Stavo solo scherzando, o Grande."
"Concludo io, Mètrone. Tu hai preso quella cifra da Lucullo e gli hai fornito delle fiale di antiveleno. Dato che lui avrebbe potuto sperimentarlo su animali o schiavi, gli dicesti che era stato studiato in base ai liquidi personali suoi e della moglie di cui era innamoratissimo; bisognava poi si snocciolassero preghiere a Giove, Minerva ed Esculapio per unire gli effetti materiali del preparato a quelli salvifici dello spirito."
"Sì, o Grande. Vedo che ti ha detto tutto.
Che potevo fare? Lui insisteva. Ho pensato che, se malauguratamente fosse stato avvelenato si sarebbe rasserenato appellandosi agli Dei, morendo in pace. Io non avrei potuto salvarlo in alcun modo."
"E non avrebbe avuto possibilità di vendicarsi della beffa."
"Sì, è così, Grandissimo Pompeo; ma, beffa poi... Proteggimi dalla sua vendetta, ti prego.
Non certo per simili emergenze, mai gli Dei vogliano questo, ma saprò ben salvarti la vita in altre circostanze."
"Lucullo è mio amico, Mètrone, più di quanto potresti mai esserlo tu; chi ti ha detto il contrario ti ha informato male.
Io ho tanti medici, greci e non, e sono tutti meno ciarlatani di te.
Non uscirai vivo da questa casa, Mètrone, se non provando la validità della tua pozione."
"Pompeo!" strillò quello terrorizzato, "non puoi dire sul serio. Io non sono un qualsiasi schiavo e neppure un liberto."
"Dimentichi che sono il Grande? l'unico in Roma?
Lucullo, scoperta le sua Terenzia in adulterio le fece bere il veleno, lo stesso che è dentro questa coppa. Volendo perdonarla le diede l'antìdoto e pregarono gli Dei che indicasti fino a quando lei morì." Lanciò un'occhiata a Lucio Licinio Lucullo chiamato e accorso per l'occasione e che faceva capolino da una tenda. "Ho detto giusto, amico mio?"
"Tutto bene, fratello" concordò il sopraggiunto. "Continua che me la godo un mondo."
"A te andrà meglio" riprese il padrone di casa col medico, "perchè le cose le conosci a fondo; non sei ignorante come lo siamo noi.
Qui il veleno e qui l'antìdoto ancora come tu lo sigillasti, grèculo infame. Bevi, allora, e facci vedere come funziona! Se non farai da te i miei servi ti aiuteranno a modo loro."
"Mi sono messo proprio in buone mani" borbottò Mètrone e mandò giù il veleno.
Restarono a guardarlo mentre agonizzava.
"Povera Terenzia" mormorò Lucullo. "Scelsi per te una morte ben dolorosa."
Prima della fine Mètrone riuscì a rantolare:
"Pompeo ... il Grande ... pezzo ... di merdaaa... ."
 
Marco Marchetta
 
 
BERENICE  
(55 a.C.)                              
 
Non saprei dir bene se fra quest'uomo e questa donna sono più le cose che li accomunano o quelle che li dividono: padre e figlia, re e regina, amanti com'è consueto nella famiglia faraonica e con un trono conteso fra loro.
"Tauptah" mi interpella il mio re, il dodicesimo Tolomeo della stirpe làgide di Macedonia detto anche Neo Diòniso Aulete, "cosa faresti alla regina Berenice se ti avesse usurpato il trono e, in più, ti avesse costretto a errare braccato per tre anni?"
"Divino Tolomeo" si intromette lei col terrore della morte nella voce, "non fui io a scacciarti ma gli alessandrini in rivolta!"
"Taci!" prorompe il re. "Tauptah!"
"Mio divino signore" cerco di esaudirlo sicuro di interpretare il giusto furore del sovrano e ben attento a non sollevare il ginocchio dal cuscino cerimoniale, "se non fosse mia figlia le darei atroci tormenti prima di lasciarla morire. Se lo fosse mi contenterei di saperla segregata a vita sotto la sorveglianza delle adoratrici di Amon."
"Come tutti i Gran Sacerdoti sei saggio, Tauptah. Per non sbagliare a questo triste esponente della mia discendenza commineremo la morte senza sofferenza."
"Padre!" grida Berenice sconvolta, "non puoi dire sul serio! La segregazione è già un morire."
"Viperetta più falsa dell'oro fenicio! Parli tu che hai sobillato la rivolta in Alessandria! Lo sanno tutti. Tu che hai eliminato Cleopatra Trifena."
"Era lei che ti aveva usurpato il trono, tua figlia come me."
"È vero e te ne rendo merito: era più velenosa di te. Ma quando l'hai giustiziata hai restituito a me il mio legittimo trono? No, è vero? Il trono lo hai occupato con i tuoi mariti: il primo, Selèuco Cibiosatte, non lo hai fatto uccidere per impalmare Archelao di Comana? A quanti come a quello hai fatto mancare la tua pietà?"
"Loro possono morire, io no! Io ti sono figlia, con sangue divino nelle vene."
"Fra poco vedremo come ruscellerà divinamente mentre ti dissangui."
"Ti ho dato godimento fra queste braccia: da che ho memoria ti sei sempre dilettato con le mie membra infantili. Lo ricordi almeno?"
"No, e sono migliaia le donne con le quali ho goduto e che ho dimenticato.
Tra pochi istanti morrai. È quanto meriti!"
"Sei sempre stato uno schifoso, un molle debosciato, se vuoi saperlo, Tolomeo dei miei escrementi. Sappi che la tua vicinanza mi suscitatava inevitabilmente il vomito e gli stessi stimoli dei sensi che zappare in un campo. Mi spiace solo vederti vivere più di me."
Seguo, molto colpito da queste impennate e curioso dell'imminente epilogo.
"Tauptah" mi si rivolge, gelido, il faraone, "la regina Berenice mi ha suggerito che è ingiusto privarla così repentinamente della gradita vicinanza di suo padre.
Le toglieremo le dita, le orecchie, il naso, le labbra, i seni, gli occhi, gli arti e così via e starai bene attento a tenerla viva, cosciente e furiosa come adesso. La lingua gliela leveremo il più tardi possibile. Convoca allo scopo tutti i medici più valenti.
Come inizio le taglieranno i pollici e gli alluci e le successive amputazioni volta a volta non appena potrà sopportarle, secondo il loro consiglio. Dovranno essere buoni conoscitori degli unguenti specifici, cauterizzazioni e cuciture di ferite, oltre che dei rinvigorenti per tenerla in forze.
Lo vedi quanto ci tengo a te, figlia mia? E io, da amoroso genitore, ti seguirò da vicino ben attento a tutto ciò che ti succede, spero ancora per molto, molto tempo."
E così il mio signore ha finito per seguire il mio consiglio nella sua peggiore ipotesi.
Adesso so che i due hanno moltissimo in comune: tale figlia, tale padre.
 
Marco Marchetta
 
 
VICHINGHI  
(892)                                      
 
Era un buon pirata Hrolf e gradiva il sangue che scorre; se era sangue franco tanto meglio.
Con uno buon numero di drakkar aveva portato tanti suoi guerrieri su di una costa a meridione manifestando a tutti i capitani il proposito di stabilirsi lì. Era un buon  posto come base per delle scorrerie sempre più addentro nelle terre dei Franchi. Furono tutti entusiasti all'idea di lasciare per sempre le desolate e uggiose lande nordiche, apportatrici solo di disagi, malanni e carestie.
Ad Haakon e Magnus, due dei suoi fidi, sembrò del tutto immotivato il colpo d'ascia che il capo sferrò all'improvviso a un contadino. Fermandosi a osservarne le viscere sparse gli chiesero:
"Perchè l'hai fatto?"
"Gente" rispose ridendo, "non vi riconosco più. Per Wotan, ma ci deve essere un motivo per sbudellare un franco?"
Quelli lo guardavano senza disapprovare però nemmeno fecero eco alle risate. Hrolf si incupì.
"Beh" riprese, "un motivo c'era. Questa gente non riesce a chiamarmi correttamente: sono Robèr, o Rollòn per loro e così nessuno ricorderà le mie gesta." Si mise a urlare ai vivi e ai pochi morti lì stesi. "È Hrolf il padrone della vostra vita e della vostra morte, capito? Hrolf si prende tutto quello che avete: ricchezze, terra, bestie e donne; capito? Solo Hrolf, con i suoi Uomini del Nord, Hrolf, non Rollòn, non Robèr."
Visto l'effetto terrifico risultante al suo vociare in latino chiese ai compagni:
"Che avevo comandato prima di salpare?"
" 'Non lasciate nessun uomo in vita..." ripetè Magnus rifacendo il tono di Hrolf, "... ammazzate tutti'. Questo hai detto."
"E allora, perchè non vengo obbedito?"
"Se guardi me" fece Haakon, "io mi sono preso due donne. Voglio foxxxre quanto più posso, prima che Wotan mi richiami nel Walhalla. E, ragiona, Hrolf: se alla femmina uccidi i parenti non foxxxno con gusto."
"E quindi, ecco perchè nessuno mi sta a sentire."
"Pensa, Hrolf" ribadì l'altro, "se ammazzi tutti chi può parlare di te, comunque ti vogliano chiamare? Se non ci sono più contadini chi coltiverà la terra per noi? Se uccidi i preti, i sapienti e così via non ci sarà più nessuno capace di far qualcosa: dovremo lavorare noi quando non ci sarà più niente da saccheggiare?"
"Lo sapevo che eri un tenero, Magnus. Stai diventando come i Franchi; vedrai che diventeremo tutti molli e cristiani come loro, rispettosi dei comandamenti e prenderemo anche i loro nomi.
Gente! Voi, franchi!" urlò in latino come prima. "Stavo scherzando: io sono Rollòn, Rollòn, capito?"
Hrolf non riuscendo a mettere insieme obiezioni valide alle opinioni dei due capitani aveva preferito assumere un atteggiamento conciliante. Inoltre aveva il presentimento di non avere esagerato nel parlare, di aver pronunciato una specie di profezia.
Era troppo difficile prevedere se ciò sarebbe stato bene o male per il glorioso popolo vichingo, i tremendi Uomini del Nord. Però, al momento, non poteva lasciare gli amici col loro punto così, senza che ciò fosse anche per sua volontà. Sorridendo berciò:
"Ricordatevi, per le prossime scorribande, che il nuovo comandamento per tutti quelli che vogliono seguirmi è: 'Non ammazzare più! ... Neanche i Franchi'."
 
Marco Marchetta
 
(Ringrazio chi legge e gradisce. Vi do appuntamento a sabato prossimo, 5 maggio, con altre storie)
   
 
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