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Autore: InsertACasualUsernameHere    02/05/2018    2 recensioni
"Rey Doe, tristezza blu dalla nascita, si smarrì in iridi di cieli privi di stelle e vi trovò una strada, rischiarando ombre oscure creò una via nella notte più profonda.
Kylo Ren, tristezza rossa tramutatasi nel tempo, si perse in iridi di deserti caldi e vi trovò rifugio, guidato da una luce intensa che sporcò trascinandosi dietro tenebre che segnarono percorsi pericolosi.
Preda e predatore, lui in missione, lei la missione.
Sullo sfondo di fili sottili della tela d'un ragno invisibile, pronto a divorare il mondo, e dei ronzii d'ali di libellule, determinate a sfuggirvi e distruggerne l'operato, due anime opposte e simili s'incontrano e scontrano, generando scintille di sofferta passione che ha il sapore d'un gioco pericoloso dal retrogusto agrodolce di purezza sporcata e menzogne sanguinanti sincerità"
[Modern!AU][Criminal!AU][Ovviamente Reylo][Utilizzo creativo di terminologie canon][C'è quasi tutto il canon, in chiave tempi moderni][Il triangolo non l'avevo considerato][Finn & Poe!Friendship][Hux & Kylo!Kind Of Friendship][Finn/Rose][Leia/Han][Futura variazione del raiting][Tutti concordi sul fatto che questi tag sono troppi?]
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Generale Hux, Kylo Ren, Leader Supremo Snoke, Poe Dameron, Rey
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter Eight : Dazed And Confused
 

[ Stich by stich i tear apart
if brokeness is a form of art
i must be a poster child prodigy
thread by thread i come apart
if brokeness is a work of art 
surely this must be my masterpiece ]

 


Luogo Imprecisato, nove anni prima (circa) 
 

Il perché se ne stia lì, immobile, poggiato contro il muro, le spalle alla finestra ed il volto contratto da serietà è un mistero che neppure lui riesce a risolvere.
Le iridi smeraldo focalizzate al volto del corvino, lo sguardo sale e scende, percorre i lineamenti del viso e si sofferma al sopracciglio, un taglio lo divide ed una medicazione sporca di sangue raffermo risalta nel pallore della pelle, rendendo ancora più cupamente gelidi gli spilli neri che lo fissano di rimando, fredda rigidità di ira trattenuta


“non è colpa mia se non sai difenderti”


Sbotta infine, dopo minuti di protratto silenzio, picchiettandosi l’indice al centro del petto a sottolineare l’evidenza, il rosso dei rasati capelli risalta irradiato da raggi solari ed il corvino non batte ciglio, nelle iridi petrolio si riflette la rabbia d’orgoglio ferito, il risentimento d’esser stato battuto in un allenamento crudele, voluto e programmato da sergenti privi di scrupoli


“impara a ragionare, anziché agire senza riflettere”


Lo ribecca il maggiore, c’è qualcosa, una sfumatura, nell’intonazione perentoria della voce che lascia trapelare la volontà di porgere consigli ad un testardo ragazzino che non sa controllarsi, che esplode, che non pianifica, che agisce di impulso e si ferisce, costantemente


“se evitassi di dist…”


Le parole s’arrestano, bloccate da un impeto d’offesa subita, d’affronto sgradito, la corvina nuca non professa parola, volge lo sguardo altrove, a perforare mura che vorrebbe abbattere nella forza d’una rabbia che non ammette consigli, e sfila via, lontano, lento, trattenuto, se ne va senza ascoltare oltre e senza concedere neppure un ultimo sguardo d’ira faticosamente controllata.
Ed Hux serra la mascella, un colpo di reni frenetico e si distacca dal muro, passi meccanici, militareschi, a seguire la scia lasciata dal corvino, nessuno può permettersi d’ignorarlo, non lui che diventerà generale, presto, che è già al comando di un plotone d’esercitazione, che è già addestratore scevro di morale per bambini colpevoli d’esser nati nel luogo sbagliato, nel momento sbagliato, da genitori sbagliati; come lui.

Un ragazzino che si trasforma lentamente nel riflesso del padre, un giovane adulto che insegue la gloria a discapito della vita altrui, che disprezza, che ferisce, che colpisce e trae soddisfazione nello scorrere di sangue innocente e non si pone domande, non si sofferma a riflettere sul male, su quanto male, che causa.
Ogni azione è spinta da un profondo senso di rivalsa, dalla volontà di mostrarsi migliore, in tutto, persino e soprattutto nella determinata crudeltà all’insegna della gloria dell’Ordine.

Eppure, forse, inconsciamente riesce a soffermarsi, a chiedersi, a vivere nel timore d’esser peggiore del padre, solamente quando a ferirsi, a restare schiacciato e bruciato, dal meccanismo sadico che ha generato, è Kylo Ren; ancora troppo giovane e troppo adirato con l’universo intero per cogliere e sfruttare il potenziale che possiede.
Forse è per un sentimento fraterno che non sa di possedere, forse è per le mille minuscole similitudini che hanno, per il vissuto trascorso, l’odio per i padri, la mancanza di una madre, la solitudine esistenziale ed il dolore penetrante l’anima, forse è per tutto quello che non sanno comprendere, che non vogliono vedere, che fingono non conoscere che Hux, alla fine, cede quando è di Kylo che si tratta e si ritrova, come ora, appoggiato allo stipite della porta d’una camera condivisa nel contrasto e nelle lotte civili.

E sarà l’orgoglio o sarà l’impossibilità di palesare a parole qualsiasi genere di sentimento smuova le sinapsi nella mente del rosso o sarà perché Kylo è disteso al letto, lo sguardo perso nel vuoto, ira furente a perforare le mura senza, tuttavia, manifestarsi materialmente, sarà perché ne nota lo sforzo immane, che Hux non dice quel che aveva programmato; che si avvicina al lato ordinato della stanza, allunga il braccio ad afferrare un libro rigorosamente riposto alla mensola e glielo lancia.

Oscilla il tomo sul bordo del materasso e la mano di Kylo lo afferra prima che possa cadere, non dice grazie, non concede sguardi, ne stringe la rigida copertina e tace, tenendolo lì, al fianco.

Hux non protesta, non lo insulta, questa volta, per una volta, si concede d’ignorare, sfila un secondo libro e si distende al letto, il silenzio affatto fastidioso ne accompagna la lettura e nel mutismo condividono più di quanto centomila parole sarebbero in grado di dire.

 


[ I'm only honest when it rains
if i time it right the thunder
breaks when i open my mouth
i wanna tell you but i don't know how ]

 

South Side, Chicago, USA


Tenui bagliori di luce offuscata dalle tende socchiuse le lambiscono gli occhi, strizza le palpebre Rey, rigirandosi al fianco destro, sbatte le ciglia un paio di volte, si umetta le labbra screpolate e sgrana lo sguardo poi nel constatare che è mattina inoltrata e lei s’è risvegliata in una camera che non è sua, in un letto, un vero letto con assi e sollevato dal pavimento, e non nel solito materasso dalle molle rotte che ne ospita le dormite da tutta una vita.
Eppure non dovrebbe stupirsene, in un flash improvviso dettato dal graduale risveglio del cervello e dei meccanismi di connessione tra i neuroni, ricompone la serata precedente, il gusto della pizza, le scale cigolanti, l’odore della pelle di Kylo, il sapore di baci segreti, i respiri ed i battiti cardiaci miscelatesi nella notte trascorsa a danzare tra le coperte ed il sonno, il gradevole sonno, che ne è conseguito.

Timidamente volge lo sguardo oltre la spalla a constatare che è sveglia, completamente, e che a giacere al suo fianco vi è una chioma corvina, fili sparpagliati al cuscino, ed un tenue respiro pacato che anima il nudo torace, quasi nel timore di svegliarlo poggia delicatamente i piedi al suolo, non ricorda con precisione quando sia avvenuto, ma deve aver avuto la premura di rivestirsi della biancheria intima prima di crollare in un sonno profondo e rilassante.
In punta di piedi aggira il letto alla ricerca dei vestiti che trova sparpagliati al suolo, li afferra limitando ogni più piccolo rumore e nell’indossarsi scruta la stanza, non c’è disordine eppure non v’è neppure ordine, è una via di mezzo, un disordine ordinato, e lo sguardo scivola nuovamente sul volto ancora dormiente di Kylo, cadendo poi al comodino adiacente cui poggia, unico ornamento presente, una fotografia incorniciata.

Un uomo, giovane, forse ventenne o poco più, in nero vestito, elegantemente fasciato in uno smoking che ne delinea la sagoma atletica, capelli biondo cenerino ondulati ed iridi determinate, fiere, che paiono sfidare l’obbiettivo della fotocamere che ne ha immortalato l’immagine, al suo fianco una donna, raffinatamente avvolta in un leggiadro vestito color panna, impreziosito di merletti finemente ricamati e perline minuziosamente incastonate tra le cuciture pregiate, un velo di pizzo a ricaderle morbido lungo le minute spalle, fili castani intrecciati in un’acconciatura elaborata ed il volto dolcemente addolcito da un sorriso di pura gioia.

Affianco a quella foto, che associa ai possibili genitori di Kylo, probabilmente immortalati nel giorno del matrimonio, giace un libro dai bordi consumati e la copertina scolorita, cauta vi si avvicina spinta dalla curiosità di sapere, indagare nel passato che il corvino non pare intenzionato a rivelare.
Piega la schiena, la maglietta ancora indossata per metà, le dita strette al bordo e le palpebre socchiuse a cercare di leggere il titolo dell’opera; l’arte della guerra.
Un movimento repentino, un cambio nella posa del corvino, la fanno sobbalzare e la voce baritonale, impastata dal risveglio, la raggiunge e ne imporpora le gote d’un tenue rossore, d’un tratto si sente colpevole d’aver violata una qualche genere di intimità del giovane e drizza la schiena, affrettandosi a far ricadere la maglietta lungo il busto


“buongiorno”


Abbozza un sorriso, esibendosi in un’espressione di fanciullesca innocenza e Kylo apre e chiude le palpebre, lentamente, issandosi sgraziatamente a poggiare la schiena contro la testiera del letto, lo sguardo che rimbalza da Rey ai cimeli sul comodino  e sono tante, troppe, le cose che potrebbero dirsi, raccontarsi, partendo da quei due semplici oggetti; ma Kylo tace e Rey tentenna.
Nella riflessione di secondi fermi, immobilizzati nel valutare, scelgono lettere a formare parole precise,  chi per mentire e chi per chiedere


“sono i tuoi genitori?”


Alla fine la giusta scelta, per Rey, è il domandare senza ghirigori, diretta


“no”


Alla fine la giusta scelta, per Kylo, è il rispondere senza ghirigori, conciso
Si ferma la voce ed il silenzio racchiude cento e più richieste di chiarimenti, si morde l’interno guancia la castana, nello sforzo di non proseguire oltre, ma non riesce, la curiosità per il mistero di cui si avvolge il corvino è giunta ad un punto impossibile da ignorare


“pensavo – deglutisce e sposta lo sguardo, si distacca dalle iridi petrolio – chi sono?”


Ancora una volta la semplicità è la migliore delle scelte, è quasi certa che Kylo eclisserà, fingerà di non aver sentito, ne diviene convinta quando ne intercetta i movimenti goffamente bruschi, le coperte lanciate infondo al letto, i piedi gettati al suolo nella foga d’uno scatto fulmineo, muscoli tesi e denti che stridono nell’incertezza, rispondere o ignorare?
La migliore delle soluzioni sarebbe cambiare soggetto, puntare l’attenzione sulla fame che segue il risveglio mattutino, la prassi della colazione, o persino azzardare e farle intuire che, con molte probabilità, l’inutile pilota l’attende nella casa affianco; ma la migliore delle soluzioni non è mai la scelta primaria di Kylo che dell’impulsività irrazionale ne ha fatto il marchio distintivo


“mio nonno e sua moglie”


Ed è strano il modo in cui pronuncia quelle poche parole, c’è una cadenza inusuale, una netta distinzione, ammirazione velata nell’enunciare la parentela e distacco rigido nel parlare della figura femminile, come se, in quella foto, sia in grado di vedere solamente il nonno e nient’altro, per Rey è un concetto distante anche il semplice fatto di sapere d’avere parenti così vicini ed un meccanismo inconscio scatta a smuovere pensieri


“ci tieni molto”


È una constatazione, un’affermazione sicura, non chiede altro, non pretende di svelare ogni singolo mistero nell’arco d’una mattinata, si accontenta di quel che ha ottenuto, per ora, e memorizza l’informazione, nella consapevolezza che, presto o tardi, scoprirà altro.
Indica, piuttosto, il libro con l’accenno d’un sorriso incuriosito che manifesta la voglia di dare spiegazione anche a quell’ulteriore unico oggetto che giace, consumato, al mobile e questa volta Kylo rilassa le spalle e sbuffa un ghigno, bozza sbiadita d’un sorrisino impercettibile che, ad occhi distratti, sfugge


“un regalo”


Ammette, espirando sentimenti forzatamente celati, in verità un regalo, quel libro, non lo è mai stato.
S’è trattato piuttosto d’un consiglio, silenzioso e determinato, un’imposizione vagamente fraterna, un qualcosa che sfuggì quando Hux glielo lancio contro e che sfugge tutt’ora, eppure l’opera se l’è portata dietro, negli anni, e resta ancora lì, poggiata al mobile, affianco al letto, un cimelio ed un monito; azzardando qualcuno potrebbe quasi definirlo un simbolico gesto d’amicizia, ma né Kylo, né tanto meno Armitage, ne confermerebbero mai la veridicità, piuttosto s’alleerebbero per far tacere lo sfortunato portavoce del subconscio.


“da parte di – e forse, dopo tutto, qualcosa Rey ha notato, ma deve aver frainteso perché s’affievolisce la voce, note dal suono sgradevolmente piccato – un’amica?”


Riderebbe Kylo, se non fosse così tanto concentrato nel trattenersi, se non avesse fatto dell’impassibile apatia un’arte, ne riderebbe a pieni polmoni, ma un sorriso, che somiglia più ad un ghigno impertinente, gli solleva gli angoli delle labbra ugualmente e le sopracciglia ne seguono il movimento, arcuandosi sfrontate


“no – schiocca ai denti, una smorfia inorgoglita – un uomo”


Aggiunge poi, mantenendosi volutamente vago, non ha alcuna intenzione di palesare troppo, ma l’ego ne rigonfia il ventre e ne drizza la schiena, mento alto ed ossigeno che porta con sé nutrimento per la vanità nel notare l’espressione titubante, vagamente infastidita e, forse, velatamente gelosa, affievolire e cedere il posto ad un sospiro sollevato trattenuto in un sorriso sghembo ed un annuire pacato


“devi essere molto…unito – tenta, tastando attentamente le parole nella volontà di scoprire più –  al tuo amico”


È un’istante, un battito di ciglia, lo sguardo di nera pece che scivola a sfiorare i bordi del libro, il pomo d’adamo a rendere evidente il deglutire, non ha parole, anche volendo, non ne trova per risponderle, non sa come, in che modo, è una domanda che nessuno ha mai osato porre, una supposizione che nessuno ha mai osato dire, è una deduzione che Kylo non ha mai ascoltato, ignorandola, scacciandola, respingendola in ogni modo possibile


“no – lo fa ancora, rifiuta un’evidenza – no, è una testa di cazzo"


Rey rotea lo sguardo al cielo, annuisce sarcastica, schioccando la lingua al palato, scetticismo palese nell’arcuatura delle sopracciglia, è ovvio che stia mentendo, è palese che non voglia ammettere quanta verità si nasconda dietro gesti così ingenui come il conservare un libro vecchio di chissà quanti anni e tenerselo al fianco, come un cimelio inestimabile, vicino alla foto d’un uomo che venera, se della famiglia Rey non comprende nessun meccanismo, al contrario, dell’amicizia sa perfettamente il funzionamento e, l’agire di Kylo, rientra chiaramente nei parametri.

Decide, tuttavia, di assecondare la volontà del corvino e si accontenta, ancora una volta, di una realtà che prende per vera, che si autorizza a pensare tale, e nel nuovo silenzio che ne consegue lo stomaco della castana protesta e distrugge la bolla in cui s’era rifugiata, distrugge l’incanto e la trascina a terra, facendola ricadere al suolo con la violenza d’una spinta sgradita e, d’un tratto, il mondo torna a muoversi, il tempo a scorrere ed i pensieri vorticano in un uragano di colpevolezza.

Le iridi di Kylo ne colgono il cambiamento, ne captano la rigidità muscolare e le ombre preoccupate che ne scuriscono la luminosità dello sguardo allegro che, fino a pochi istanti prima, irradiava di luce l’intera stanza ed il mondo crolla, frantumi di tempo gli cadono addosso, come vetro che graffia la pelle, serra la mandibola, stringe i denti e si costringe ad issarsi.
Non si dicono nulla, non ce n’è bisogno, entrambi sanno cosa accadrà adesso, cosa devono fare, l’unica possibile conclusione; restare è un sentimento condiviso, andarsene una realtà inevitabile.

Iridi di cieli neri si specchiano in occhi d’ametista adombrati, incastrandosi per secondi a cercare di raggiungere e sublimare l’eternità, ad intrappolare il tempo e fermarsi così, qui, nella distanza ravvicinata di piedi che si sfiorano, di talloni che si sollevano dal suolo e dita femminili che s’arrampicano a scalare la parete addominale e mani ampie che circondano fianchi esili e labbra che si sfiorano, nella delicatezza d’un istante destinato a perdersi nell’impossibilità di mantenere muto il ticchettare di lancette insistenti che ricordano la necessaria, indesiderata, separazione.

Rey non volge il capo, fissa il pavimento, afferra le scarpe e cammina a piedi nudi, percorrendo quei metri di dannata realtà e non si girà, non guarda, mancano le forse per farlo, rischierebbe di restare se corresse il rischio di concedere agli occhi di cercarlo ancora.

Kylo non si volta, non distoglie l’attenzione, ne segue le movenze freneticamente rapide, ne guarda i fili castani agitarsi ed ondeggiare alle spalle minute, rimane lì, immobile, a vederla divenire sempre più distante, svanire, sino a perderla ancora una volta; un ciclo di unione e separazione.

Una traccia di rabbia e delusione disegnata dalle nocche pallide, le dita affondate al palmo, a lasciare marchi d’unghie, e ricade impotente al materasso, i gomiti sbattano contro le ginocchia e lo sguardo evita la fotografia del nonno, come se, in qualche modo, potesse giudicarlo; ha perso la strada, ha smarrito la missione.
Inspira, espira, paralizzato alla memoria, all’impronta del corpo di Rey che il materasso cancella, al tenue odore rimasto impresso nella federa dei cuscini, ad arieggiare nell’aria della striminzita stanza; inspira.

Espira consapevolezza e decide, stabilisce e decreta, che è giunto il momento di ritrovare la giusta direzione, la via da percorrere, riportare ogni energia, ogni pensiero, alla missione da concludere.

E si concede un desiderio, forse una debole speranza, quando tutto questo avrà fine allora, e soltanto allora, nulla più lo separerà da lei.

 


[ I'm only honest when it rains
an open book with a torn
out page and my ink's run out
i wanna love you but i don't know how ]

 

South Side, Chicago, USA


L’ha aspettata, tutta la notte, sveglio, gli occhi che pregavano il sonno ed il cervello che rifiutava di concedere riposo.

L’ha cercata, tutta la notte, le dita ferite dalla quantità di messaggi scritti, dalla rapidità nel comporre chiamate per poi accorgersi che era tutto inutile, il cellulare squillava a vuoto, incastrato sotto i cuscini del divano; ha trovato persino qualche centesimo nel rovistare.

E s’è seduto lì, tutta la notte, a chiedersi, ad imprecare, a domandare al cielo e alle pareti, è uscito, incurante della stanchezza che implorava di fermarsi ha guidato e girato l’intera Chicago senza trovare nessuna traccia, neppure un minimo indizio.

Ha rincasato, a notte inoltrata, il corpo a reclamare la resa e la mente a decretare la resistenza, pensieri, i peggiori, si sono susseguiti senza sosta e scenari, sgradevoli, si sono palesati nell’arco delle ore notturne.

Rey è tornata poi all’alba e Poe ha rincominciato a respirare, le gambe sono scattate malgrado l’intorpidimento, ha percorso ogni centimetro di pelle, tastato ogni millimetro, a scrutare segni nella paura che i sospetti più indesiderati non fossero infondati ed esalato un sospiro profondo, rincuorato, nel constatare che, fortunatamente, il cervello era giunto a ragionamenti affrettati.

L’ha stretta a sé, ne ha carezzato la nuca, ne ha intrappolato il volto tra le mani e Rey ha smesso di respirare, Poe, distratto osservatore, non ha notato le labbra tremare nervose e le iridi velarsi di luccichi tristi; l’ha baciata, ne ha tempestato il volto di umidi segni di labbra allarmate.


“dove sei stata?”


Ha chiesto, infine, cingendole i fianchi, incastrandola in un abbraccio di protettivo timore e Rey ha deglutito, rumorosamente, a cercato menzogne nel muro, nella tappezzeria del divano, ha provato ad inventare bugie


“ero – inesperta attrice – ero…io…sono stata…Bonny aveva bisogno di una babysitter”


Dice infine, di getto, pregando che i due non s’incontrino, mai, sperando che la vicina della casa in fondo alla via sia sufficientemente astuta da sostenerle l’alibi, negli occhi dell’aviatore ha letto fiducia, sconfinata, infondata fiducia e macigni le hanno affollato lo stomaco, pesi impossibili da digerire.


“ho provato a chiamarti, ma hai dimenticato il cellulare a casa”


Serra le labbra, mordendosele, cercando di abbozzare un sorriso, che trema d’incertezze e colpevolezze, annuisce passiva e sospira


“già, io…è stato improvviso – un fondo di verità nascosto – scusa”


La voce s’incrina, note d’amari sensi di colpa, un sussurro che racchiude la crudeltà di sentirsi traditrice, e Poe non s’accorge, incapace di percepire altro oltre la gioia di saperla salva da chissà che genere di pericoli, ignora senza averne consapevolezza, ne bacia la fronte, ne bacia le labbra che gli sono mancata tutta la lunghissima notte che sembrava non passare mai


“non scusarti – la rassicura, scostandole una ciocca ed incastrandola dietro l’orecchio – sappiamo tutti com’è Bonny, ho una sorpresa per te”


Le strizza l’occhio e la libera dall’abbraccio e Rey inspira, ha bisogno d’ossigeno, ha bisogno di spazio, la casa è diventata stretta, più di quanto non sia mai stata, le pareti paiono muoversi e minacciare di schiacciarla, persino l’aria manca.
Poe china la schiena, si rigira il giacchetto gettato malamente al bracciolo del divano e ne estrae una lettera, stropicciata, sgraziatamente ripiegata, apre la busta blue scuro e ne estrae un cartoncino ruvido, d’un blue più acceso.

Le labbra di Rey incollate, incapaci di formulare frasi, ha sassi nella gola che le graffiano le corde vocali ed ogni suono ne fuoriuscirebbe gracchiante e frammentato d’incertezze ed amara colpevolezza


“la senatrice Organa ha organizzato un evento, in onore del fratello – cascate di parole scivolano veloci – è tornato, aiuterà la Repubblica e la Resistenza come un tempo e…vorrei che venissimo con me”


Se prima parlare era impossibile adesso, nel bagliore speranzoso che danza tra le iridi di Poe, è impensabile; e le pareti appaiono sempre più vicini e l’ossigeno sempre meno.


“io…non so se…non credo che…non faccio parte del…”

“non se ne lamenterà nessuno, te lo assicuro e poi sarà una serata tremendamente noiosa, senza di te”



Lo sguardo dolce che le rivolge è doloroso, peggiore d’un cucciolo abbandonato sul ciglio della strada che prega per un sì e Rey chiude gli occhi, incapace di sostenerne il peso, credendo ingenuamente che sia più facile rispondere senza guardarlo


“va bene – costa fatica forzare le corde vocali, si schiarisce la voce cercando di limitarne il tremolio – sì…verrò”


E nell’abbraccio slanciato con cui Poe la circonda, nel bacio grato che le ruba, Rey comprende d’essersi aggrovigliata ancor di più attorno al filo spinato d’una prigione che non avrebbe mai voluto rendere tale, che avrebbe preferito evitare, che forse non sarebbe stata neppure tale se non avesse mai incontrato pepite nere che continuano, imperterrite, a reclamarla, magneti che non rispondono alle logiche della mente, calamite di perfezione da cui Rey, neppure potendo, riuscirebbe ad evitare, oceani in cui neanche se dovesse potesse smettere d’annegare; torturante piacere e desiderato peccato.


 

[ pitch black, pale blue
these wild oceans shake
what's left of me loose
just to hear me cry mercy ]

 

Luogo Imprecisato, nove mesi dopo (circa)


Quel che resta è un sorriso salsedine, umido di lacrime, residuo di ghiacciai sciolti e vento a sferzare impietoso, a render ancor più freddo il gracile corpo pallido, invadere la stanza.


Lo stringe a sé, nel timore che l’ululare ventoso possa rubargliela, portargliela via e trascinarla dove non sarà più possibile raggiungerla, ma è già lì, è già lontana.

Serra gli occhi nella cieca speranza che riaprendoli vedrà il ventre sollevarsi, nell’impeto d’un respiro che torna, ma smeraldi riflettono ghiaccio vitreo e nei boschi cessano d’esistere raggi di luce; è notte, è buio.

Non urla, non grida, c’è già il vento a rompere i silenzi, a graffiare, fendere il vetro, render gelida l’aria e far cantare le fronde degli alberi nel dolore d’una messa da requiem che la natura intona, in onore d’un corpo fragile che giace tra braccia che reclamano vendetta.

Gli hanno concesso il tempo di vivere una gioia trascendentale e glie l’hanno rubata poi, brutalmente strappata, nell’eco d’un pianto straziante e d’un ira furente che nulla ha potuto contro la forza cinica di mostri si sadici.

L’incessante, statico, suono d’un cuore che non batte più, sterili coperte a nascondere gambe che immobili, inanimato sguardo perso nel vuoto, fermo nella paura, a segnare l’esatto istante in cui il mondo cessò d’esistere.

Non v’è cura, non v’è rimedio, non esiste più nulla, niente ha senso, convinzioni, ideali, un credo che si sgretola come castelli di vetro a rumoreggiare in una mente che non sa più pensare, che ha smarrito la lucidità di logica rigida, che ha perso la capacità di strategica furbizia.

Ed una lacrima, singolo frammento di dolore, disegna la linea d’un ricordo che tornerà a tormentarlo in eterno, quanto avrebbe potuto fare? Come avrebbe potuto agire? Perché fu così disattento da non notare il prevedibile esito, la fine?

Chiude gli occhi e guarda, lo vede nel buio, l’obbiettivo, l’ultimo, unico scopo della vita che resta, si manifesta nella potenza d’una realtà che prosegue attorno a lui, questa volta sa, questa volta non lascerà che lo battano, che lo precedano, questa volta proteggerà tutto ciò che gli resta; l’unica gemma rara che è rimasta della siberia perduta.


 

[ a strong wind at my back
so i lift up the only sail that i have
this tired white flag ]
Neptune -- Sleeping At Last

 
Nuovamente qui, ad infastirire il fandom 

Come di consuetudine un grazie speciale a tutti coloro che seguono la storia, che siano nel silenio o non; fa comunque sempre piacere. 

Spero vivamente che il capitolo non sia stato eccessivamente noiso ed insopportabilmente altalenante o pieno di OOC 

Ci tengo a specificare che i salti temporali non dureranno ancora per molto, prima o poi finiranno (prometto) e che spero non confondano troppo (anche se un pochino devono, pardon) 

Ad ogni modo, grazie mille a tutti quanti 
alla prossima, se vorrete 
  
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