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Autore: BloodySeras    03/07/2009    1 recensioni
No,non l'avrebbe accontentata subito. L'avrebbe lasciata andare, perchè quella sarebbe stata una punizione ben peggiore della semplice morte, che tutto fa cadere nell'oblio: invece così non lo avrebbe mai dimenticato. Dopotutto, ci sono molti modi per uccidere una persona.
Genere: Triste, Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anko Mitarashi, Orochimaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando era bambina le piaceva guardare la pioggia cadere e sentirne l’odore che aleggiava nell’aria

Quando era bambina le piaceva guardare la pioggia cadere e sentirne l’odore che aleggiava nell’aria. Andava fuori e lasciava che tutti i suoi problemi scivolassero via come le gocce sulla sua pelle; in quei momenti si dimenticava di essere un’orfana, si dimenticava della solitudine e degli sguardi della gente e di tutto quanto la faceva soffrire. E come per magia, quando il temporale finiva, lui la raggiungeva e le sussurrava suadente “Vieni a casa ora, piccola Anko”.

Sorrise amaramente al ricordo di quegli attimi fugaci in cui sembrava che Orochimaru potesse davvero provare pietà. Si era sempre illusa che lui la capisse, che fosse l’unico a cui importasse qualcosa di lei. Uscì da casa e si addentrò nella foresta, non ce la faceva a stare in casa. Lì nessuno avrebbe potuto vedere il dolore che la lacerava e che la divorava, giorno per giorno, ininterrottamente. Da anni. Forse non c’era proprio nessuna speranza di salvezza per quelli come lei. Barcollò, e la sua vista si fece offuscata, mentre i contorni di ciò che aveva intorno divennero sfocati. Aveva bevuto troppo sakè, poteva ancora sentine il sapore sulla lingua e un po’ di calore nello stomaco, che almeno la scaldava un po’.

Si ricordò anche della sua prima sbronza: era appena tornata a Konoha dopo che lui…dopo che lei si era rifiutata di seguirlo, ferita e con solo vaghi frammenti della sua vita passata. Una sera aveva rubato una bottiglia di sakè e la aveva scolata tutta, pensando che la aiutasse a non sentire più male. I pochi ricordi che aveva erano indissolubilmente legati a lui da un filo rosso, come il sangue delle vittime che aveva immolato in nome della sua brama di immortalità. Improvvisamente inciampò e cadde, stremata. Se ne accorse solo perché la sensazione del duro terreno sotto di sé era tangibile, contrariamente al resto di ciò che la circondava. Serrò le labbra per non ingoiare il fango a terra, ma persino quel semplice sforzo era troppo per il suo corpo esausto. Chiuse gli occhi e si addormentò sperando di non risvegliarsi più.

 


Spazientito, Orochimaru se ne andò dal laboratorio. Nemmeno gli esperimenti erano serviti a calmarlo. Nemmeno allenare Sasuke.

Non ne poteva più di quel perenne stato di tensione. Stava diventando idrofobo. Odiava sentirsi così vulnerabile alle emozioni, lui che di solito era freddo e calcolatore, con ogni cosa sotto controllo. Sembrava che dopo aver lasciato andare la sua ex allieva, Anko, la sua famigerata imperturbabilità fosse sparita. Ma che cosa c’entrava lei con il suo pessimo umore? Eppure la colpa doveva essere sua, altrimenti l’unica ipotesi plausibile era che stesse impazzendo. Sì, lei gli aveva fatto qualcosa…ma cosa? L’unico modo per saperlo era di trovarla.

Localizzò il punto da cui proveniva l’energia del sigillo maledetto,  e lo raggiunse velocemente. Pioveva a dirotto, perché mai avrebbe dovuto essere fuori con questo tempo? Ah già…ad Anko piaceva la pioggia. Continuò a proseguire nella foresta finché il segnale emesso dal sigillo si fece intenso e in quel momento, scorse…lei. A terra. Si avvicinò lentamente, incredulo. Era forse così stupida da essersi addormentata lì fuori? Per verificare il suo stato, la scosse piano con un piede. Niente, nessun cenno di vita. Si chinò per sentire se respirava: respiro lieve e lento battito cardiaco. Cosa le era successo? Date le sue condizioni non poteva certo fornirgli risposte. C’erano due opzioni: lasciarla lì al suo destino, ipotesi che lo allettava molto, oppure portarla con sé e una volta chiariti i fatti, liberarsene.

Scelse la prima opzione, non aveva nessuna voglia di aspettare i comodi della bella addormentata. Si rialzò e fece per andarsene, ma rimase fermo lì dov’era: qualcosa gli aveva preso la caviglia. Si voltò verso la ragazza e vide che era la sua mano che lo aveva fermato (come quella volta...). Lei sollevò appena il volto e sembrò fissarlo per qualche secondo, poi richiuse gli occhi, svenendo di nuovo. 

Era quella una patetica richiesta d’aiuto? Non era nemmeno riuscita a parlare. Che creatura debole ed insignificante.

Ma lo aveva incuriosito. Quindi non gli conveniva lasciarla lì se voleva che sopravvivesse.

Se la caricò sulle spalle-aveva ancora quell’ odore di cannella, chissà se le piacevano ancora i dango- e la portò a casa sua, che al momento era il posto più vicino.

 

 

  
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