DIPENDENTE
Lavoro come dipendente;
dipendo dalle mie capacità.
Non c’è nulla di sorprendente,
che vada al di là della realtà
dei fatti,
tutti matti,
ho una gran paura
dei salti nel vuoto,
dell’estiva calura,
dei sogni
che superano ogni
possibile misura.
Perché non ho vere capacità;
tutti mi guardano, torvi,
sotto giudizio di una società
formata da corvi
del malaugurio.
Stanco di essere giudicato;
mi dicono: se ti accontenti…
e certo che mi accontento,
non ho divini portenti,
non sono nato per scalare l’Olimpo
ed andare oltre i confini del tempo;
perché io non sono una divinità come
i figli degli altri,
i cui genitori se la tirano perché
non conoscono neppure cosa sono gli
aratri,
poiché non sono come me,
poiché puntano a scalare la società,
la scalano con finte capacità
e tante belle parole, concentrato di
falsità.
Alla mattina si alzano e leccano i
didietro,
per i superiori fanno avanti e
indietro
a portare regali e offrire caffè,
e lo fanno perché
un giorno vorrebbero mirare al loro
posto;
io invece ho piantato un bosco,
nei miei anni più verdi
mi preparo da solo il pasto
con quello che da solo raccolgo;
non mi credi?
Alla mattina mi alzo alle sette
mi sporco le mani
non mi asciugo poi con gli
asciugamani
morbidi, di finissime sete,
sudo e poi
mi prende sete,
ho anche fame, ma poi
mi dimentico di tutto,
di tutti,
non mi fermerete,
giacché tanti vogliono fermarmi,
demoralizzarmi,
distruggermi;
anche in casa è una guerra senza
scampo,
non una guerra lampo,
e non c’è tregua né pace
che regga ai quotidiani problemi,
così la mia anima giace
sempre in mille frammenti…
i finimenti
della mia esistenza
erano fili irrisori,
delusori
di chi da me pretendeva qualcosa
che io non posso,
non posso,
non posso offrire.
Sai che se lo offro
poi soffro;
preferirei finire la mia onesta
carriera
da senzatetto,
senza neppure un letto,
ma voglio inseguire la mia felicità
foriera,
annunciatrice di mille fatiche,
ma senza fatiche si sa,
che poi sono solo ortiche.
Se è questo che vogliono sapere,
confermo che non diverrò mai ricco;
vivrò in povertà,
in castità,
e forse anche di elemosina e carità.
Cosa me ne faccio delle cose
materiali,
se sono così false?
Una sera ti addormenti
e al mattino dopo non ci sono più,
e fai i creditori contenti.
Non voglio soldi,
no,
no,
non ne voglio vedere più,
voglio solo inseguire la mia vita,
toccarla con la punta
delle dita,
accarezzarla,
stanarla,
costringerla
ad essere per sempre mia,
sulla scia
del credere in qualcosa
che non mi darà una casa,
bensì un attimo di pace
con me stesso.
NOTA DELL’AUTORE
Qualche giorno fa, una signora mi ha detto; se ti accontenti
di tutto questo…
Tutto quello che ho fatto finora, l’ho fatto con il cuore in
mano. Questa è la mia vita, non è la corsa ai soldi o alla carriera, non
m’importa, non concluderò mai nulla durante il misero corso della mia
esistenza. Ma ho piantato nuova vita; sarà vita che sopravvivrà ad ogni
banconota, ad ogni presidente, ad ogni dirigente…
Grazie per aver letto la mia stramba poesia ^^ e per il
vostro supporto. Grazie di cuore ^^