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Autore: Elle_vi    03/05/2018    0 recensioni
Cosa si prova a essere rinchiusi nella casa della persona che più odi al mondo?
Damian Wayne era popolare, e non perché fosse il figlio di Bruce Wayne, ma era bello, intelligente, interessante, e beh...era il figlio di Bruce Wayne, a.k.a. uno degli uomini più influenti della città e ciò lo rendeva estremamente ricco e figo, a quanto pare. Fosse stato solo lui il problema però non sarebbe stato nemmeno troppo grave, ma nella sua università si trovavano tre dei figli Wayne: Damian, Richard e Timothy.
Jonathan, era all'ultimo anno di liceo, mentre il quinto, Jason, era già laureato e lavorava col padre.
A pensarci bene, Andrew si stupì di come non ne avesse fatto già fuori uno di loro tra le elementari e il liceo, perché li aveva sempre avuti a scuola con lui.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Damian Wayne, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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II
 
Karen era una delle cheerleader della squadra di football, bionda, occhi verdi, un bel fisico, molto ambita.
A quanto aveva capito dai discorsi in giro per l'università, la bionda aveva lasciato il suo ragazzo perché aveva iniziato a mettere gli occhi su qualcun' altro.
Il tipo non l'aveva nemmeno presa male visto che anche lui aveva diverse pretendenti, si era limitato a sceglierne un'altra.
Andrew non aveva nemmeno ben capito come si era ritrovato ad uscire con lei, ma ora era da Starbucks a pagare per lei un frappuccino doppio cioccolato.
''Beh e quindi ti dicevo che: LauraerauscitaconDereksenzadirloaMatthewcheeraandatoacomprarleunregalomentreCarolinepiangevadisperatamentepercomesieranolasciatipocoprimaeioeronelmezzosenzasaperecosafare''
Il moro si limitava ad annuire e cercare di non urlarle che non gli importava assolutamente nulla, in ogni caso si stupì che la ragazza riuscisse a parlare così a raffica senza riprendere ossigeno.
Uscirono per un mese abbondante, il moro non si trovava così male con lei, era un po' troppo petulante ma poteva sopportarlo abbastanza.
Nel lasso di tempo in cui si erano frequentati lei gli aveva raccontato praticamente tutta la sua vita, non che gli interessasse in qualche modo, ma era qualcosa con cui distrarsi dai suoi pensieri.
Fu in uno di questi momenti, mentre erano in giro per il campus che Andrew chiuse con lei: stavano passeggiando a braccetto diretti al bar dell'università per bere qualcosa.
 
''Beh di te invece, che mi dici? Mi sembra di aver parlato solo io in queste settimane'' il moro si trattenne da dirle che era stato così.
''Non c'è molto da dire, vivo da solo, ho un lavoro, e come sai sto studiando ingegneria chimica e-''
Andrew si interruppe notando come la ragazza stesse messaggiano senza sosta, ignorandolo completamente.
''Scusa, mi ero distratta, puoi ripetere?'' disse lei posando il telefono, sul tavolo, guardandosi attorno visibilmente annoiata
''Oh no tranquilla, devo ripeterti ciò che stavo dicendo mentre fissavi Wayne o mentre mandavi il messaggio?'' rispose lui guardandola fisso negli occhi
''Non è come pensi'' sussurrò lei per non farsi sentire dagli altri
''Ah si? E cosa penso?'' chiese lui
''N-non lo so''
''Te lo dico io, penso che tu mi abbia avvicinato perché siamo nella stessa classe di chimica dove c'è anche Wayne, e tutta sta messa in scena era per attirare la sua attenzione. L'odio che proviamo a vicenda è noto a tutti, e uscire con me ti avrebbe fatto notare da lui, no? Beh, non so se hai raggiunto il tuo obbiettivo, ma io ho raggiunto il mio livello di sopportazione. Non so se tu pensassi che io fossi un idiota che sbava dietro ad una ragazza solo perché popolare, in verità io in te non trovo nulla di interessante, nulla, nemmeno impegnandomi. Quindi, buona fortuna e addio''.
Andrew si alzò lasciando la ragazza di sasso nel mezzo del bar con tutte le persone all'interno ad osservare la scena.
 
Un po' ci aveva sperato che la ragazza si fosse interessata a lui, ma aveva capito cosa stava sotto quasi subito, voleva solo capire quanto avrebbe retto lui e come lei si sarebbe difesa.
Alla fine era stato anche fin troppo facile lasciarla lì a sguazzare nella sua vergogna.
Beh almeno ora poteva tornare ad usare il tempo libero per se stesso, cosa che faceva raramente.
Non che non volesse una ragazza, ma quelle che aveva avuto avevano dovuto fare il primo passo per fatti loro, lui non era mai andato da loro.
Questo poteva essere un vanto, ma allo stesso modo lo rendeva incapace di approcciarsi romanticamente ad una qualsiasi ragazza, ma alla fine non aveva nemmeno il tempo di occuparsi della cosa.
Troppe cose a cui pensare, non avrebbe avuto il tempo per una relazione.
 
Era stato sempre un po' così: qualcuna lo aveva lasciato perché non sentiva di ricevere le attenzioni dovute, altre le aveva lasciate lui perché non era interessato.
La notizia si diffuse velocemente, c'era chi pensava che avesse fatto bene e chi invece si stupiva di come avesse potuto mollare cosi la cheerleader visto che lui 'non era nessuno'.
Non gli importava, non gli importava di nulla.
 
Ciò che però lo stupì accadde un paio di giorni dopo: era finita l'ora di chimica, stava percorrendo il corridoio dell'edificio quando una voce si levò poco lontana da lui.
''Ma perché non vuoi uscire con me?'' Karen?
''Te lo dico chiaro e tondo, se devi ricorrere a ridicoli espedienti come uscire con un altro per attirare la mia attenzione, puoi anche tornare da dove sei venuta e non parlarmi mai più. Sei ridicola''.
Oh, quindi il corvino non aveva ceduto alla bionda? Interessante.
Damian doveva essersene andato perché un gruppo di ragazze aveva raggiunto la cheerleader consolandola, da quel che capiva.
 
''Dove stai scappando?''.
Il corvino era dietro di lui e con una mano lo aveva voltato.
''Cosa diavolo vuoi?'' ringhiò il moro
''Tu. Con me''
''Se non togli quella mano dalla mia spalla, ti ammazzo''
''Se tu non vieni con me non avrai la tua macchina, che chiamarla così è un gran complimento''.
Il moro si toccò le tasche posteriori dei jeans dove avrebbero dovuto trovarsi le chiavi del suo pick-up, che ora mancavano.
''Dove sono?!'' abbaiò lui afferrandolo dal collo della maglia
''Non le ho io, però a questo punto mio fratello si sarà allontanato abbastanza. Tu ora vieni con me, e poi ti ridarò quell'affare che tu chiami auto''.
Andrew si morse la lingua ed annuì ''Facciamo in fretta''.
 
Salirono sul suv bianco e partirono verso una destinazione sconosciuta al moro.
''Si può sapere che vuoi da me?''
''Riesci a stare zitto per più di due minuti?''
''No''
''Stiamo andando al lago. Questa è l'unica cosa che saprai'' decretò Damian
''Vuoi ammazzarmi e buttare il mio cadavere lì?'' chiese ironicamente
''Non tentarmi'' rispose lui, dandogli un'occhiataccia eloquente.
Fecero tutto il viaggio in silenzio e nel mentre il moro fu costretto a chiamare al lavoro e saltare anche quel giorno.
Era ormai sera quando arrivarono.
Non scesero neppure dalla macchina.
Damian si era fermato sulla sponda del lago a vedere il sole tramontare per gli ultimi istanti, poi fece uno scatto: abbassò il sedile del passeggero, che era ancora legato, e gli si sedette a cavalcioni sopra.
''CHE CAZZO FAI?!'' si agitò il moro
''ZITTO!'' gridò a sua volta il corvino schiaffeggiandolo, lasciandogli le cinque dita sulla guancia ''Ora tu starai zitto e terrai quelle mani ferme. Mi sono spiegato?''
''Quale minchia è il tuo problema?! Sei pazzo?!''
''Si. Probabile'' concluse serio.
 
Il bacio arrivò prepotente e inaspettato per Andrew che si chiedeva ancora perché fossero lì.
Damian riuscì a forzargli la bocca con la mano permettendogli di infilare la lingua tra le sue labbra.
 
Panico. Il più totale caos regnava nella testa del moro.
 
Okay, doveva calmarsi e riflettere: Wayne lo stava baciando. Erano in macchina sua, al tramonto, sul lago. E lui non stava facendo nulla per sottrarsi, anzi, gli stava rispondendo!
Damian si staccò per poter respirare rimanendo però sulle sue labbra.
''Ricorda una cosa'' disse guardandolo negli occhi ''Nessuna sgualdrina, bionda o mora che sia, potrà averti. Capito?''.
Senza nemmeno capire bene cosa il corvino avesse detto, si ritrovò ad annuire.
''Bravo...'' sorrise, baciandolo nuovamente ''...e mio''.
In uno scatto di lucidità, cercò di colpirlo con un pugno che andò a vuoto, mentre con l’altro braccio si coprì la bocca.
Cosa totalmente inutile visto che il danno era già stato fatto.
‘’Non pensavo che ti avrei terrorizzato tanto’’ lo prese in giro il corvino.
Non metteva in dubbio che la sua faccia dovesse sembrare quella di uno che aveva appena visto la morte in faccia, e in effetti era stato proprio così.
 
 
Andrew era totalmente perso, fece anche fatica a salire sul suo Scassone quando Damian partì col fratello al fianco.
Era come trovarsi in una bolla.
Si portò le dita alle labbra per realizzare ciò che era successo.
Chiuse gli occhi, pieni di lacrime, e respirò profondamente prima di tirare una violenta testata al manubrio di pelle e procurarsi un gran mal di testa.
Doveva tornare a casa e dormire.
 
Casa sua non gli era mai sembrata così sicura e una vera e propria ancora di salvezza.
Chiuse la porta e senza nemmeno svestirsi si infilò sotto la doccia gelida, ne uscì solo quando iniziò a tremare visibilmente.
Rimase ancora qualche minuto nella doccia spenta prima di uscire e con solo le mutande asciutte buttarsi nel letto freddo.
Accese il riscaldamento e decise che il giorno dopo sarebbe stato a casa, si sarebbe fatto passare gli appunti da qualcuno.
Il sonno sembrava essere scomparso ma non poteva permettersi di restare sveglio: i suoi pensieri lo avrebbero ucciso.
La voglia di vomitare non gli era ancora passata.
Prese il telefono e chiamò un suo 'amico' che gli consegnò dell'erba in poco tempo e solo così riuscì a rilassarsi.
Fanculo Wayne.
Fanculo sé stesso e fanculo a tutto il resto.
Lo avrebbe picchiato a sangue appena incontrato.
 
Non lo fece mai.
Non riuscì più a guardare in faccia il corvino.
 
***
 
La routine del moro fino a Maggio fu sempre la stessa: scuola-allenamento-lavoro-casa, ma finalmente l'estate era arrivata e lui poteva riposarsi e dedicarsi anche un po' più al lavoro così da mettere via qualche soldo in più.
La pausa estiva era iniziata da un po', e quel giorno Andrew ne approfittò per uscire coi suoi amici, non che avesse mai avuto tante conoscenze, ma qualche persona con cui uscire il sabato sera la conosceva.
Erano in un pub stile irlandese che era abbastanza famoso, ed erano riusciti a farsi dare un tavolo, cosa che non era scontata.
Era già alla terza birra, e le precedenti avevano iniziato a fare effetto, motivo per cui si trovò a straparlare.
''V-voi n-non capite'' singhiozzò ''Coshi insopportabile...sempre bravo in tutto. Lo odio''
''Si, si Andrew lo ripeti da quando lo conosci: è sempre primo in tutto e lo odi'' disse uno dei suoi amici, che in quel momento faceva fatica a riconoscere.
''Eshatto, ma...c'è altr-'' per evitare di rimettere preferì stare zitto.
Il gruppo rise e si fermarono a parlare ancora un po', ma si erano fatte le tre e mezzo passate ed era il caso di riaccompagnarlo a casa, non potevano andare avanti così per molto.
Due di loro lo presero per le ascelle e lo trascinarono per le vie della città facendo più silenzio possibile, nonostante le risate isteriche di Andrew.
Fu in quel momento che un'auto gli sfrecciò accanto: la vettura ruggì al loro fianco, spaventandoli, per poi sparire nel buoi della notte.
Il silenzio completo cadde tra di loro.
Ad Andrew era sembrata una scena a rallentatore: suo posto del passeggero aveva visto Wayne.
Aveva cercato di dimenticare con tutte le sue forze l'accaduto ma sembrava impossibile.
''In-inseguiamola'' disse traballando
''Sei pazzo? Sarà già a chilometri da qui...però che figo, io non la posso toccare nemmeno in sogno una macchina così'' disse quello che il moro aveva riconosciuto essere Ryan, il biondo.
Tutti annuirono, ma lui non stava più ascoltando poiché un conato di vomito interruppe i suoi pensieri.
 
Non ricordava nemmeno come fosse arrivato a casa, ma l'unica cosa importante del momento era sdraiarsi sul divano e dormire, il risveglio sarebbe stato intenso.
 
La mattina arrivò troppo presto.
La testa girava e doleva, mentre il suo corpo si rifiutava di muoversi.
Sbuffò e si alzò in piedi per una doccia fresca.
Quell'anno il caldo era torrido.
La doccia fu provvidenziale, gli permise di pensare: possibile che quello che aveva visto il giorno prima fosse reale? Era più propenso a negare visto che era ubriaco e decisamente poco degno di fiducia.
Decise di lasciare perdere la questione, e visto che era il suo giorno libero si dedicò al non fare nulla.
Erano solo lui, il suo computer e il wi-fi (una magica invenzione), il mix perfetto per dare sfogo alla sua nerdaggine sopita da troppo tempo.
E così, tra film, l’intera stagione di Stranger Things e una carrellata di anime, arrivò sera e il suo stomaco iniziò a lamentarsi di aver ricevuto solo dei popcorn nell’arco della giornata.
Si fece forza e uscì di casa.
 
Gli era sempre piaciuto il porto.
Le banchine si riempivano di gente grazie alle bancarelle di cibo che animavano la zona, d’estate, costantemente decorata a festa.
Aveva vaghi ricordi della sua infanzia in quel posto, dei suoi genitori che lo accompagnavano mano nella mano a vedere le Luci, così chiamava le lanterne rosse appese sopra il percorso.
Gli si formò un groppo in gola.
Non doveva pensarci, non doveva assolutamente pensarci.
Andrew non era bravo a gestire i sentimenti e soprattutto non quelli che riguardavano i suoi genitori, aveva questa assurda paura che se si fosse lasciato andare, non sarebbe più tornato a galla.
E quello era anche il motivo per cui non era praticamente mai andato al cimitero.
Si sentiva sempre peggio.
Inspirò profondamente e si lasciò alle spalle la vivacità del luogo per immergersi nella pineta che occupava gran parte delle scogliere.
Non si era mai avventurato nel cuore di quella zona, al massimo era stato coi suoi amici a fare un picnic nello spiazzo predisposto.
Era curioso, s'incamminò verso la vegetazione piùfitta, il fango lo accompagnò in questa ricerca del nulla, e in effetti lì non c’era proprio niente, se non il rischio di slogarsi una caviglia.
Ormai il sole era del tutto tramontato e il buio aveva avvolto tutta la zona.
Andrew accese la torci del telefono e proseguì, non aveva mai avuto paura del buio, ma la sua mente si indirizzò verso pensieri non proprio rassicuranti.
Gli zombie non esistevano, come non esistevano clown assassini e bambole possedute, ciò che però potevano esistere erano ladri, killer... che con tutte le possibilità che avevano in una metropoli così... se ne stavano proprio nel bosco...ad aspettare lui.
Certo.
Però quello che sapeva per certo che esistevano erano i lupi.
 
Fu distratto dalle sue elucubrazione dal rombo di un motore.
I potenti fari illuminarono i tronchi dei pini tutt’attorno, e lui per puro istinto si nascose.
L’auto era passata a poco più di dieci metri di distanza e aveva tirato dritto sollevando polvere e terra al suo passaggio.
Andrew era confuso, più confuso di quando seguiva fisica al liceo.
 
Raggiunse in fretta il luogo dove era passata la macchina constatando che lì, non c’era una strada.
Era solo un pezzo sterrato con un po’ meno alberi, di certo non pensata per il passaggio di una qualsiasi cosa a quattro ruote.
La polvere era tornata a terra coprendo le eventuali impronte lasciate dagli pneumatici.
Si voltò giusto in tempo per vedere in lontananza i fanali posteriori scomparire letteralmente nel terreno.
 
Guardò l’ora sul telefono.
02:48.
Aveva davvero camminato più di tre ore nel bosco senza accusare la fatica?
Quanto diamine era lontano da casa?
Ormai la notte era persa.
Le possibilità erano due: o tornava verso la città facendo affidamento sul gps, sperando che il telefono non lo abbandonasse, oppure investigava su dove era finita quella macchina.
Il buonsenso e l’impulsività erano in contrasto.
 
Andrew non aveva mai dato troppo retta al suo buonsenso, e la scelta che aveva fatto era solo una conferma che i guai che trovava, al novanta percento delle volte se li era cercati.
 
Quando aveva visto l’auto scomparire, non dovevano esserci più che trecento metri a dividerli.
Camminò per quel breve percorso ma non trovò nulla.
Niente.
Era sicuro di averla vista, non era impazzito.
L’auto non era andata né a destra né a sinistra era stata semplicemente inghiottita dal terreno.
Assurdo.
Lì non c’erano nemmeno sabbie mobili o niente che avrebbe potuto far sparire una fottuta macchina.
Si lasciò andare sulle ginocchia, ora iniziava ad accusare la fatica, quando cadde terreno fece un suono strano, un boato che la terra non poteva fare, come qualcosa di metallico.
 
Iniziò a strofinare il terreno, respirando gran parte della polvere che stava sollevando, ci volle un po’, ma poi venne ricompensato.
Un pezzo di metallo si iniziava a intravedere, spazzò via più terra possibile finché davanti a lui non vide quello che doveva essere un tunnel sotterraneo chiuso da due lastre marroni che dovevano confondersi con il terreno.
Era sconvolto.
Questa era una cosa da film, o da qualche folle rivisitazione di una mente discutibile.
 
Ormai era in ballo, e doveva ballare.
Cercò tra la boscaglia un ramo abbastanza robusto da permettergli di fare forza e far spostare una delle lastre.
Ci volle tempo, un sacco di tempo e un sacco di rami rotti, ma alla fine aveva creato un spazio abbastanza largo per entrare...con un po’ di fatica.
 
Scivolò dentro e si trovòper davvero in un tunnel sotterraneo.
Sopra la sua testa delle luci si accesero, illuminando le lunghe pareti di cemento bianco.
Guardò il punto da cui era entrato, lo spiraglio era troppo in alto per poterlo raggiungere e la salita troppo ripida.
Si fece coraggio e proseguì.
Il telefono era praticamente morto e senza campo.
Adesso erano le 04:11.
 
Mezz’ora dopo vide la fine del tunnel.
 
***
 
''Bruce, c'è qualcosa che dovresti vedere''.
 
   
 
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