Ringraziamenti: Ringrazio tantissimo la mia beta, che ha letto e ha corretto gli orrori della fanfic (trovandala anche carina a detta sua!); grazie mille evelyn, per tutto... Se non vi siete letti ancora la sua fanfic, su andatelo a fare. Un ringraziamento infine va a tumblr per le gif a inizio capitolo...
Buona lettura.
Capitolo
III
“Dove andiamo, Gandalf?” chiese Aragorn.
“Ci divideremo: Legolas, Aragorn e io
andremo a Rohan, dove Theoden ha bisogno di un aiuto, poiché
ha la mente
avvelenata da un uomo infido. Boromir e Indil andranno a Minas
Tirith, dove Sire Denethor ha bisogno di vedere suo figlio per saperlo
vivo” spiegò il vecchio stregone, facendo un cenno
con la testa verso il figlio
del sovrintendente.
“Se questi sono i compiti, partiremo subito.
E poi rivedere mio padre, e mio fratello soprattutto, non
può che farmi felice”
disse Boromir.
“Io ti seguirò, Boromir, non soltanto
perché è un ordine di Gandalf, ma anche
perché lo faccio con piacere” spiegò
Indil, mettendosi al suo fianco. Sul volto dell'uomo apparve un piccolo
sorriso. “Ti ringrazio” disse rivolto all'elfa.
“Allora
arrivederci, Boromir, le nostre strade
si incontreranno di nuovo” parlò Aragorn
sorridendogli e l’uomo di Gondor
annuì.
“Sono sicuro che le nostre avventure non
siano finite, Aragorn.” Abbracciò di slancio il re
che non lo rifiutò.
“Arrivederci sorellina, che la benedizione
di tutti gli elfi ti protegga. E se Boromir oserà allungare
le mani su di te,
mandami Meneldor e io correrò ad aiutarti”
bisbigliò Legolas parlando in elfico
e Indil ridacchiò abbracciando stretto il fratello.
“Che
cosa ti ha detto tuo fratello, prima?” domandò
Boromir a Indil mentre
cavalcavano verso Minas Tirith.
Avevano preferito tenersi Haleth e lasciare
Hasufel e Arod ad Aragorn e Legolas. Gandalf aveva richiamato un
bellissimo
stallone dal manto bianco come la neve il cui nome, aveva detto lo
stregone,
era Ombromanto. Legolas era rimasto ammirato da tale
creatura e lo stesso era accaduto ad Hasufel, Arod e Haleth. Indil
aveva
spiegato che quello non era un cavallo qualunque, ma una sorta di re
della sua
razza, e poi aveva chiesto al destriero se poteva accarezzargli il
muso.
L’animale aveva accettato abbassando il capo; poi Gandalf era
salito in groppa
all’amazzone, ed era partito seguito da Hasufel e Arod, che
pure erano buoni
cavalli ma erano lenti in confronto a Ombromanto.
“Mio fratello ci ha augurato buona fortuna
per l’impresa, Boromir, tutto qui”
spiegò l’elfa, senza non provare vergogna
per la mezza bugia che aveva appena detto.
L'uomo sbuffò piano: evidentemente non
credeva del tutto alle parole della principessa, ma non disse niente.
“Tieniti a me” borbottò il Capitano di
Gondor e Indil ubbidì, allacciandosi alla vita del
condottiero. Egli diede un
ordine al cavallo che partì al galoppo, veloce quasi come
Ombromanto.
***
Il
viaggio durò parecchi giorni. Indil
stava sempre aggrappata a Boromir, mentre l’uomo era
silenzioso, con lo sguardo
concentrato e attento fisso davanti a sé.
Parlavano poco i due compagni, quasi sempre
la sera prima che uno dei due si mettesse a dormire e l’altro
montasse la
guardia. Era quasi sempre Indil a farlo, poiché Boromir era
spesso troppo
stanco e lei non aveva bisogno di dormire molto. Quelle sere erano per
lei
serate di solitudine in cui perdersi nella contemplazione del bel
profilo del
gondoriano, chiedendosi cosa celassero i suoi occhi chiusi.
Durante le pause si esercitavano con gli
allenamenti che Boromir aveva promesso a Indil e l’elfa,
sotto la guida
dell’uomo, migliorava sempre di più, fino a
diventare brava nella spada com’era
con l’uso dell’arco.
Si
stavano avvicinando sempre di più a
Minas Tirith e Boromir pareva esser di cattivo umore, sempre sulle sue.
Non
chiacchierava nemmeno più con Indil, la sera, e
l’elfa stava
iniziando a impensierirsi. “Cosa ti preoccupa,
Boromir?” domandò
nervosa la fanciulla, una sera, dopo che l’uomo era tornato
con un coniglio e
aveva imprecato perché si era bruciato un dito con il fuoco
da campo.
“La mia città! Mio padre! Ecco cosa
c’è: da
una parte mi fa piacere vedere mio padre, ma dall’altra non
voglio entrare a
Minas Tirith così. A chiedergli se è disposto a
combattere, perché so che mi
risponderà di no, che per il re che lui nega non
combatterà. Ne ora ne mai.
Vorrei entrare come un vincitore, dopo aver sconfitto il Signore
Oscuro, con i
cittadini che mi acclamerebbero” sbottò Boromir.
L’elfa vide preoccupazione negli occhi del
primogenito di Denethor, ma pure oscurità, e questo la
spaventò non poco. “Non avresti dovuto accettare
la proposta
di Gandalf, allora” mormorò la principessa
abbassando il viso.
Boromir sembrò rendersi conto di quanto le
sue parole, e il loro tono, avessero preoccupato Indil e le si
avvicinò
abbracciandola. “Scusami, non avrei dovuto parlati
così” disse in tono dolce.
“Va tutto bene, non ti preoccupare,
Boromir. Sono stati attimi di debolezza, non ce l’ho con te,
né tu con me”
mormorò l’elfa più serena e
l’uomo annuì.
Mangiarono in silenzio il loro coniglio.E
Il
decimo giorno di viaggio Boromir vide
Minas Tirith profilarsi all’orizzonte e il suo cuore
sussultò: gli era mancata
la sua città, costatò, mentre la fissava con
affetto.
Era addossata a una montagna ed era fatta
di pietra bianca, il cui candore risplendeva alla luce del giorno. Era
divisa
in sette cerchi concentrici e spesse mura ne difendevano gli abitanti.
Alzando
gli occhi, Boromir notò la Torre Bianca di Ecthelion
risplendere nel sole di
quella giornata.
- Sono a casa – pensò Boromir, e impose al
cavallo un'andatura più veloce di quanto non avesse fatto
fino ad allora.
Giunti davanti alla porta, una guardia
della cittadella chiese loro chi fossero e da dove venissero.
“Sono Boromir. Desidererei parlare con il
Sovrintendente mio padre” furono le parole del Capitano
Generale.
La guardia strabuzzò gli occhi.
“Per i Valar...” mormorò
l’uomo osservando
il condottiero. “Se siete veramente lui,
allora…” ma si fermò. “Venite
con me” borbottò poi, senza dare
particolari riguardi all’elfa che stava con il condottiero.
La
guardia chiese a un altro uomo di
prendere il suo posto, e questi lo fece lanciando un’occhiata
a Boromir e
all’elfa che fece rabbrividire entrambi. L’entrata
in città dei tre si svolse nel
più completo silenzio: la guardia non aveva gridato a gran
voce la notizia che
il figlio del sovrintendente era tornato in città e Boromir
era corrucciato
mentre seguiva l’uomo sempre più in alto.
Arrivarono infine alla cima della città, e
Boromir guardò con tristezza l'albero bianco rinsecchito:
non aveva mai
sopportato di vederlo in quelle condizioni.
La guardia impose ai due di fermarsi
davanti al palazzo.
“Cosa c’è?” domandò
Indil una volta che
l’uomo fu entrato all'interno.
“Mi sento confuso. Non è questo il modo
solito di accogliere il figlio del sovrintendente di Gondor”
borbottò Boromir
fissando la struttura del palazzo.
In quel momento tornò la Guardia e Indil
non poté replicare.
“Il sovrintendente
mi ha detto che potete entrare” disse l’uomo
fissando i due con occhi sorpresi. Boromir e Indil entrarono, e vennero
condotti dall’uomo in una grande sala da pranzo.
Seduto
a un tavolo di legno lungo e
lavorato finemente vi era un signore dai capelli bianchi, vestito di
abiti
regali e con la corona in testa, che mangiava un acino d’uva.
Lo sguardo con cui perforò Boromir fu tale
da far rabbrividire il coraggioso uomo.
“E così tu dici di esser mio figlio. Non ti
credo: sei frutto di una menzogna, un complotto contro di me. Io ho
visto
morire il mio Boromir” sibilò Denethor con voce
sicura e senza un minimo di
empatia negli occhi chiari.
NOTE.
Finalmente aggiorno, scusate il ritardo, ma in questi mesi ho avuto tanto da fare principalmente per la tesi.
Che dire di questo capitolo? Come potete vedere c'è la svolta per quanto riguarda Boromir e Indil e loro prenderanno un'altra via rispetto a Legolas e Aragorn, andranno a "trovare" Denethor.
Come finirà? A saperlo, vi basta seguirmi, e commentare e anche se non lo saprete subito, spero di avervi incuriosito. (: