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Autore: Mikirise    03/05/2018    0 recensioni
“Cosa?” chiede una volta che pensa di avere di nuovo il controllo della situazione.
“Avrò un bambino” ripete Keith, alzandosi a sedere. Si gratta la testa, fa una smorfia. “Con Lance McClain.” Riesce a vedere come gli ingranaggi dell'altro riprendano lentamente a funzionare. Cerca di mettere insieme i puntini, raccogliere le informazioni che per lui sono importanti. Fa sempre così.
“Per il corso di Educazione Domestica!”
[Iniziativa: Questa storia partecipa al “Parents Checkmate” a cura di Writer’s Wing e Fanwriter.it! ]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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  • Ama il tuo partner e tuo figlio! Ricorda che la base della famiglia è l'amore!


Shiro tiene in braccio Taco e Lance ha già fatto la battuta su Taco e Takashi, quindi potrebbe anche dire che la sua giornata è completa e che può già andare a letto. Ma continua a tagliare le cipolle a quadri, con l'occhio destro che gli lacrima e una pentola sul fuoco. Per non sentirsi troppo in colpa. E per avere qualcosa da fare.

“Non c'è bisogno che cucini” dice Shiro, con una mezza smorfia preoccupata e mezzo sorriso. Lance alza lo sguardo dalle cipolle e aggrotta le sopracciglia. “Posso sempre ordinare da quel ristorante che piace tanto a Keith e...” Si interrompe e deve essere per l'occhiataccia che Lance sa di stargli lanciando.

Keith sbuffa una risata leggera, con in un mano un coltello, mentre cerca di pelare una carota, senza farsi male, e Lance lancia un'occhiataccia anche a lui. “Spero voi stiate scherzando” dice con il tono di voce più solenne che ha in repertorio. E non è poi così solenne, perché sia Shiro che Keith alzano un lato delle labbra e sembrano solo volerlo prendere in giro. “Io certamente non rimango qui con le mani in mano a non fare nulla, quando sono ospite.”

“Normalmente è il contrario” risponde Shiro, inclinando la testa. “Di solito gli ospiti non fanno niente e lasciano che gli ospitanti si muovano per loro.”

Lance scuote la testa. Keith gli mostra una carota maltrattata nell'intento di toglierle la buccia. “Sempre detto che voi americani siete dei barbari” scherza, allungando la mano, per prendere l'ortaggio e iniziare a tagliarlo a fettine. “E poi voi non sapete cucinare.”

“Infatti avremmo ordinato la cena” borbotta Keith, affiancandolo in cucina. Porta le ultime carote e osserva in silenzio i movimenti col coltello di Lance, prima di imitarli con così tanta minuzia e precisione da far paura. E, un'altra cosa che fa abbastanza paura è la quantità di coltelli presenti in una casa di persone che non sanno cucinare. “Ma non sarebbe stato salutare, giusto?” scherza con un tono monocorde e questa volta è Lance a sbuffare una risata leggera, guardandolo, mentre cucina insieme a lui.

“Non mi puoi lasciare a crescere una bambina da sola.”

“Io pensavo alla moto...” borbotta Keith e incastra perfettamente i suoi movimenti con quelli di lui, alzando le mani nello stesso momento in cui lo fa Lance, per poter buttare tutto nella pentola sul fornello. Quando poi Lance torna alla posizione di taglio della verdura, Keith ha già pronte altre carote da passargli e degli spicchi d'aglio.

Non gli ha nemmeno dovuto chiedere una mano. Keith è solo arrivato lì, ha preso un coltello e si è inserito tra i suoi movimenti in cucina, come se facessero queste cose in continuazione, come se questa fosse la loro normalità. Keith alza lo sguardo e sembra confuso, ma c'è anche un accenno di sorriso mentre si guardano negli occhi ad una distanza minima. Lance rimane a guardarlo, come se si fosse incantato, e Keith, più o meno, fa la stessa cosa, con le labbra semiaperte e delle parole sulla punta della lingua. Forse è un po' così che si immagina in un futuro. Forse questo è un assaggio del suo futuro ideale, che qualcuno gli sta regalando.

Shiro si schiarisce la gola, cercando di concentrarsi su Taco. “E cosa staresti cucinando?” chiede e cerca di fingere di non guardarli, perché lui è una persona gentile in questo modo.

Lance distoglie lo sguardo da Keith, che tiene la testa inclinata, e si inumidisce le labbra, annuendo a se stesso. “Certo” dice. “Certo, sì, questo è arroz frito, riso fritto. Non vorrei mai che voi mangiaste roba troppo sana. Mia nonna lo prepara quasi settimanalmente, perché è... Veronica lo adora particolarmente, ma nemmeno a lei piace cucinare quindi nei suoi giorni più duri facciamo questo. Lo cuciniamo e... Quindi, vedi, ecco, ho fatto prima il riso e stiamo preparando... sì, i gamberetti.” Indica col dito la pentola. “E poi ci infiliamo un po'...”

Keith torna a tagliare le verdure e Lance gli dà una gomitata, per attirare di nuovo la sua attenzione. “Gamberetti, sì” lo prende in giro il ragazzo, senza nemmeno aprire tanto la bocca. Shiro ruota occhi.

“Ma,” dice Lance dopo qualche secondo, alzando di nuovo la tavola per far scivolare le ultime verdure nella pentola. Keith prende uno straccio per pulirsi le mani e ne passa uno anche a lui, che lo afferra con mezzo sorriso. “Ma non è per molto, va bene? Nel senso che non voglio rimanere per molto tempo. Oggi. Domani al massimo, ma comunque voglio tornare a casa e... davvero... non...”

Shiro scuote la testa. “Puoi rimanere finché ti serve” lo rassicura. Keith gli prende la mano con un gesto delicato. “E poi cucini” scherza ancora Shiro, alzando Taco, per guardarlo nei suoi occhi di plastica.

Lance sbatte velocemente le palpebre e si accarezza la nuca. “Beh, sì” mormora. “Grazie” dice, mordendosi le labbra e prendendo in mano un cucchiaio di legno, per poter girare le verdure.

“Preparano il riso fitto anche quando tu sei giù?” chiede Shiro, gentilmente, girando il bambolotto per non guardarlo in faccia. Keith rimane in silenzio, probabilmente è meglio, perché non saprebbe che cosa dire, ma c'è. La sua presenza, accanto a lui, rimane lì, con un bicchiere d'acqua e la bottiglietta di olio. Sta aspettando che gliele chieda, per continuare a cucinare.

Lance aggrotta le sopracciglia e guarda dritto verso la pentola. Cosa cucina quando è un po' giù? Gira meccanicamente la verdura. La bandera? Empanadas? Il moro? Cosa cucina nonna quando pensa che lui è un po' triste? Niente. Alza la testa e sospira. Non cucina niente, perché è sicura che Lance non sia mai veramente giù, o triste, o stressato. Perché lui non ha mai chiesto che nonna lo facesse. Alza una spalla.

“Potremmo preparare yakgwa” propone Keith. “Siamo bravi a preparare gli yakgwa.”

Lance si gira verso di lui, sorpreso. “Ah” esclama ed è un po' stordito, è un po' sorpreso. “Quindi voi sapete cucinare.” Forse è questo quello di cui parla sempre Luis quando dice che ha capito immediatamente quando ha trovato la sua famiglia al di fuori della sua famiglia. A casa Lance ha passato la vita a stare attento a non pestare i piedi a nessuno, cercando di non far preoccupare nessuno, così come ha fatto di tutto per non stonare al di fuori di casa. E facendo questo è scomparso. E ora, invece, non solo c'è qualcuno che lo vede, non solo c'è qualcuno con cui può parlare, se volesse parlare, c'è qualcuno che vorrebbe anche cucinare per lui. Quindi sorride. Non se ne rende conto, ma sorride.

“No” risponde Keith. “Noi sappiamo cucinare solo yakgwa. E ci piace prepararli e mangiarli. Di solito li mangiamo come un pasto intero.”

“Sono dolci. Tipo biscotti.”

“So cosa sono.” Keith gli passa l'olio e Lance scuote leggermente la testa, prima di tornare a girare la verdura e fargli cenno di iniziare a versare il riso. “E sono un pasto intero.”

Vorrebbe ribattere a questo, ma non ce la fa. Scuote la testa, ride e continua a girare con il suo cucchiaio di legno.







Keith è sdraiato sul suo letto. Ha le braccia fuori dalle lenzuola e sono fredde. Fredde fredde. E sulle sue mura non ci sono forme luminose di astronauti e stelle da quando suo padre è morto in una delle sue missioni da astronauta. La lampada è ancora lì. Ma è spenta. Dovrebbe essere completamente buia, la sua stanza, ma c'è questa linea di luce che viene dal salotto. Ha lasciato la porta aperta perché Shiro gli ha chiesto di farlo. Gli ha dedicato il suo sguardo da persona più vecchia di lui. Come se sapesse quello che lui vuole fare. Se Keith ha capito bene, il mini-Keith nella testa di Shiro vuole approfittare della situazione di Lance per... scopo ignoto, sinceramente. Ha solo detto: Anche io sono stato un adolescente. E Keith ha solamente ruotato gli occhi.

Hanno messo a dormire Taco. È stato stupido. Lance ha raccontato una delle vecchie leggende che quando era piccolo sua mamma e sua nonna gli raccontavano, come se non stesse parlando a un bambolotto, ma a una bambina reale e le aveva rimboccato le coperte e poi aveva detto: si sveglierà tra qualche ora.

Lance non ha nemmeno un pigiama. Il che vuol dire che dorme semplicemente coi vecchi pantaloni pantaloni di Keith, sul lenzuolo per terra. E anche lui sta guardando il soffitto. Finché non si gira di lato e sussurra: “La accendi mai la lampadina?”

“No” risponde seccamente Keith. E riesce a sentire sulla pelle come l'espressione di Lance cambia, come mette il broncio, prima di decidere di passare al prossimo argomento. Ha parlato di tutto. Ha ringraziato. Ha ripetuto quanto fosse felice per gli yakgwa che lui e Shiro gli hanno preparato e ha farfugliato per ore su come cucire un cappellino, non si è fermato per un attimo. “Me l'ha regalata papà, quando ero molto piccolo. Nemmeno me lo ricordo più.”

Lance annuisce lentamente. “Per questo da piccolo volevi diventare un astronauta.” Poche persone lo ricordano. Forse solo Lance e Shiro, a pensarci bene, sono stati gli unici a cui lo abbia detto.

“Non ho mai voluto veramente diventare un astronauta” ribatte Keith. “Volevo soltanto capire che cosa ci fosse di tanto bello nel cielo. Pensavo che, se fossi diventato come mio padre, o come mia madre, sarei riuscito a capire.”

“E nel frattempo, non ti sei innamorato del cielo?” chiede il ragazzo. Sembra incredulo. Anche un po' divertito.

“Sono solo riuscito ad odiarlo” risponde Keith. “Perché non era quello che volevo fare veramente.”

“E com'era tuo padre?”

Ci deve pensare. Assottiglia lo sguardo, ricorda il tocco sulla fronte le notti in cui papà faceva tardi. Ricorda il sorriso. Il tono di voce dolce. “Era gentile” risponde e non ha le parole per dire qualcosa di più, motivo per cui sta zitto, aspetta che Lance torni a muoversi tra i tanti argomenti che potrebbero piacergli. Aspetta di essere guidato in questa strana conversazione.

Lance si stropiccia gli occhi. “Io invece mi ci sono innamorato perdutamente. Sto parlando del cielo. Non potrei pensare di vivere un giorno della mia vita senza guardare il cielo. Le nuvole. Pensare al tragitto degli aerei. Pensare ai volatili, alle ali.” Sospira. “E penso che a questo punto non sia il voler essere come papà, non penso che sia nemmeno un modo per capirlo. In un momento della mia vita è diventato mio. Qualcosa che forse è appartenuto alla mia famiglia, ma che è solo mio. C'è solo una cosa che potrei amare di più di quanto amo il cielo.”

Keith non sa come rispondere a questo, quindi rimane in silenzio ancora una volta. Non sa perché questa frase lo colpisca così tanto. Sente il suo cuore prendere a battere più velocemente il suo respiro diventare irregolare.

“L'ho capito, sai?” dice Lance, sussurrando come se questo fosse un segreto. E allora anche Keith si gira di fianco, per cercarlo tra le ombre della stanza.

“Che cosa?” gli chiede.

“Perché non volevi far finta che Taco fosse una vera bambina” continua Lance. Lo vede alzarsi a sedere, e adesso i loro occhi sono allo stesso livello, sono uno ad un palmo di mano dall'altro. “La storia del bambolotto che non diventa certo un adulto. L'ho capita. Ci ho messo un po', ma l'ho capito.” Si sistema e inclina la testa, per posarla sul materasso, accanto alla sua di testa. “Mi spiace di averti costretto a fare qualcosa.” C'è una pausa. Keith aggrotta le sopracciglia e sente Shiro spegnere la luce del salotto. Probabilmente Shiro si addormenterà lì, sul divano, lavorando a qualcosa che non dovrebbe essere così importante. “Ma l'idea era così bella, sai? Non avevo capito neanche questo, ma mi piace l'idea. Di me. E di te. E di un qualcosa che ti avrebbe fatto dire, oh, sì, bene, potremmo effettivamente essere una famiglia, potremmo essere qualcosa di più. Quando sei una famiglia tutte queste cose da liceali, la cotta, le lezioni, l'idea del college, il futuro in generale, ho sempre pensato che non fosse così spaventoso. Perché sei un adulto. E mi piaceva l'idea. L'idea di saltare il college, tornare qui, stare con te, avere la nostra stabilità. Far scomparire la parte difficile. Avere un assaggio del lieto fine.”

Keith assottiglia lo sguardo. “Di cosa stai parlando?” chiede, cercando di stare dietro alle tante parole di Lance. Il suo cuore batte fortissimo e riesce a sentirne i battiti pulsare fin dalle orecchie. Cerca di alzarsi a sedere, e lo fa. Lance alza lo sguardo, per mantenere il contatto visivo nel buio.

“Volevo saltare la parte difficile. Fare finta che tutto andasse bene e che tutto andasse bene anche per te” continua Lance. “Ma non posso farlo, quindi inizierò dall'inizio. Lo posso fare. Le parti difficili non mi fanno tanta paura, normalmente. Se non fosse che tu sei la parte difficile. E c'è la Columbus, e tu devi fare il tuo viaggio interiore per capire che cosa vuoi fare della tua vita e il mondo reale e mio padre e tutto questo senso di colpa che mi ritrovo addosso per non essere quello che dovrei essere e...”

Keith calcia via le lenzuola, per scivolare sul letto improvvisato di Lance. Quando si ritrova seduto davanti al ragazzo, non sa esattamente quello che voleva fare nel momento in cui si è mosso verso di lui. Lance però sta trattenendo il respiro.

C'è intimità nel buio. Qualcosa che fa in modo che ci siano veramente solo Keith e Lance, per una volta, senza Taco, senza Shiro, senza l'ingombrante famiglia di Lance, e anche senza Pidge e Hunk. Quindi gli prende una mano, la stessa che poche ore prima ha liberato da una fascia troppo stretta e l'accarezza col pollice, mentre la osserva, con la testa bassa, per forse troppo tempo. “La parte difficile possiamo affrontarla insieme” sussurra, senza cercare il suo sguardo tra le ombre. “La parte difficile potrebbe non essere così difficile, se siamo in due. Siamo una bella squadra, alla fine. Lo hai detto tu.”

Lance alza un lato delle labbra. “Ma io non te lo sto chiedendo come un amico, io...” Sospira e con l'altra mano si nasconde il viso, grattandosi la fronte.

“Lo so che non me lo stai chiedendo come amico” ribatte Keith. Giocherella con le sue dita, alza finalmente lo sguardo verso il suo viso. Prende un respiro e coraggio. Coraggio a metà. Gli si avvicina quel tanto che basta per dargli un bacio. Ma invece di darglielo sulle labbra, glielo lascia sulla guancia, chiude gli occhi e si allontana, per tornare imbarazzato alla posizione da cui era partito. Non gli ha lasciato andare la mano. Lance lo osserva. Sembra cercare di capire che cosa sta succedendo, come muoversi e per la prima volta è lui a non capire una situazione e dimostrarlo. Allora Keith prende un respiro, un altro, chiude gli occhi e gli si avvicina di nuovo.

Tra le ombre della sua camera, gli lascia un bacio veloce sulle labbra, allontanandosi quasi avesse paura di rendersi dipendente da questo semplice gesto. Lance ha parlato delle cotte come della parte difficile. Forse la parte difficile è non poter fare nulla riguardante la tua cotta. Dover stare lontano. Lance si gira verso di lui, sistema il busto e le gambe, con la mano libera mantiene l'equilibrio, puntandola a terra. E poi è lui a provare, a muoversi verso di lui. Prima posa la sua fronte contro la fronte di Keith. E anche questo è un tocco che a Keith piace. Lo assapora chiudendo gli occhi e Lance sembra diventare qualcosa di esterno a lui, ma anche interno. È difficile da spiegare. Nel suo buio, Lance c'è. Nel suo buio, Lance sa muoversi. E non scompare. Poi le loro fronti si separano e sono i loro nasi a toccarsi. I loro respiri si uniscono e sono perfettamente sincronizzati. Lance fa strofinare li strofina uno contro l'altro e Keith sbuffa una risata leggera, stringendo un po' di più le dita del ragazzo. Quando Lance allunga il collo e lo bacia, è un bacio più lungo di quello di Keith. È un bacio a tentativi. Un bacio quasi a chiedere il permesso.

“Non te lo sto chiedendo come amico” sussurra di nuovo Lance, contro le sue labbra e Keith apre lentamente gli occhi e vede che anche lui ha gli occhi aperti, mentre lo studia, mentre la sua mano, da sopra il lenzuolo, passa a sotto il suo mento, per alzarglielo leggermente, perché lo guardi negli occhi. Lo bacia lentamente al lato del labbro.

“Lo so” risponde ancora Keith, posando la mano sul polso di Lance, lentamente, dolcemente. Glielo dice esattamente sopra le sue labbra, perché le parole non si perdano. “Lo so” ripete sottovoce, perché le parole non vengano sentite da nessun altro che non sia Lance. E si sdraia di lato, tirandolo dal braccio perché si sdrai anche lui, su quel letto improvvisato e stare di nuovo lì, fronte contro fronte.

Lance lo segue. La sua mano intrecciata con quella di Keith è la destra. C'è qualcosa di poetico che sfugge ad entrambi in questo momento. Entrambi sono presi a cercare le linee del viso dell'altro nel buio. E ogni tanto Lance allunga il collo e lo bacia. Ancora e ancora e ancora. Questo è un bacio a occhi chiusi. Lance ha le labbra carnose, Keith riesce a sentire sulla sua pelle e le trova morbide. Le trova dolci, forse per colpa del yakgwa. “E troverò un modo per venirti a trovare dalla Columbus” sussurra, con le sopracciglia arcuate, tra un bacio e l'altro.

“E mi ricorderò di trovarti tutte le volte” sussurra Keith, cercando di avvicinarsi a lui il più possibile.

“E tornerò sempre” promette a bassa voce Lance annuendo con forza per dare più veridicità alle sue parole. Keith sorride e fa scivolare la sua mano trai capelli di lui. Anche questa è una sensazione che gli piace.

“E non me ne andrò mai” promette lui con un sospiro.

“E sarò qui per guardarti le spalle dal mondo reale” continua Lance.

“Te lo prometto.”

“Te lo giuro.”

Keith sospira di nuovo e lo bacia. Lo accarezza con le labbra, con le dita, si lascia abbracciare perché nel buio non hai altro. Non hai colori ma solo sensazioni e a lui va bene, a lui piace di più così. È un unico bacio interminabile, quello di loro due e prima aveva paura di diventarne dipendente, ora è sicuro di esserlo. Quindi sospira e non importa. Sospira e come frazione di secondo non è male.

Poi Taco, o la vocina registrata di un bambino casuale, piange. Lance e Keith si alzano entrambi a sedere di scatto, intorpiditi dai baci e dalle parole che non si sarebbero mai scambiati se non al buio e scossi da uno spavento che si sarebbero dovuti aspettare. Condividono uno sguardo e Keith sbuffa una risata, mentre Lance gli dà un bacio sulla guancia e si alza in piedi.

“Me la so cavare coi bambini di plastica” dice e Keith segue i suoi movimenti tra le ombre e sente il petto scoppiargli a causa di una felicità che non pensava sarebbe stata possibile in lui per questi motivi.

La felicità di fa smettere di respirare. Lo scopre in quel preciso istante.






Bendicion papa” è quello che Lance dice non appena vede chi ha aperto la porta di casa. Keith è pochi passi indietro e hanno passato tutta la notte a baciarsi, c'è anche Hunk, ma con lui no, niente baci per tutta la notte. Suo padre sembra stanco, ma almeno è ancora a casa. Sembra stanco ma lo guarda e non lo guarda come ad un problema da cui scappare. È la prima volta che si rende conto dei capelli bianchi, delle rughe vicino alle labbra, dell'accenno di macchie sulle mani. Lance tiene stretti i pugni e aspetta. Avrebbe potuto fare questo anche il giorno prima ma doveva sbollire e doveva dare il tempo a suo padre di accettare. È così razionale da capirlo. È così razionale che lo aveva predetto.

Gli occhi di papà sono dello stesso blu dei suoi occhi. Blu qualitativamente diverso dal blu degli occhi di Keith. Gli occhi di Keith sono l'universo. Quello di Lance e di suo padre sono solo l'oceano.

C'è silenzio. Papà posa le mani sui lati del viso di Lance, che sbatte lentamente le palpebre e poi sorride. Gli abbassa la testa. È un bacio in fronte quello che riceve e un commosso: “Dios te bendiga, mijo” con un marcato accento inglese.
  
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