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Autore: milly92    04/05/2018    1 recensioni
“Io sono Alice, piacere. La mediatrice culturale”.
“La che?”.
Offesa, feci una smorfia: il mio era un mestiere come tanti, non di certo uno di quelli super fighi con il titolo tradotto in inglese giusto per sembrare ancora più irraggiungibili.
“La me-dia-tri-ce culturale” rispiegai pazientemente.
“Ah, mediatrice! A causa del viaggio sto così fuso che avevo capito meretrice, ecco perché ero confuso” ridacchiò, con un palese accento romano. “Salvatore, comunque. Piacere. Faccio questo mestiere da cinque anni e non ho mai sentito parlare di una mediatrice nel team!”.
“E’ un’eccezione, oltre agli inglesi ci sono gli spagnoli e l’azienda aveva bisogno di una traduttrice. Diciamo che è un esperimento... Scusami comunque, mi sono bloccata nel bel mezzo della strada perché ho appena ricordato di aver dimenticato l’adattore e il mio cellulare è appena morto”.
“Azzò, sei perspicace, Alice la Mediatrice. Spero non dimentichi le traduzioni delle parole così come dimentichi le cose essenziali”.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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12al

Capitolo 12

Day 12/13: E’ stato un incidente

 

Ritornata nella sala dove si stava svolgendo il quiz ero stata in silenzio e solo alla fine avevo raccontato gli ultimi sviluppi a Nadia.

Lei, stizzita, mi aveva ricordato che Giada probabilmente non sapeva nulla e che non aveva colpe se non essersi presa una sbandata per Luca ed io avevo semplicemente annuito.

Alla fine della serata ero subito andata nella mia camera nella speranza di non incontrare Luca e mi ero messa a dormire, svegliandomi circa sette ore dopo un po’ più tranquilla e rilassata.

Ci avevo riflettuto: non ero stata molto sensibile per come mi ero espressa con Luca, avevo davvero sminuito la nostra “relazione”, ma lui aveva sbagliato nel cercare subito un’altra compagnia senza nascondersi.

Non eravamo dei liceali!

Consapevole di ciò, mi preparai per affrontare la giornata nel migliore dei modi, dicendomi di contare prima fino a dieci prima di parlare.

Andai verso la mensa, presi una colazione più abbondante del solito, mangiai e poi mi alzai, ancor prima che arrivassero gli altri, per andarmene sul prato e stare al sole, visto che la giornata prometteva bene.

Misi gli occhiali da sole, usai lo zaino rosso come cuscino e mi distesi, felice di avere almeno quaranta minuti di pace.

Pace che, ovviamente, durò pochissimo.

“Ali”.

Stessa intonazione, stessa voce, la solita che mi aveva chiamato così in numerose occasioni, anche quelle più intime.

Mi irrigidii e fui felice di avere gli occhiali che mi mascheravano lo sguardo, anche se durò poco visto vhe Luca non esitò a muoversi ad alzarli per obbligarmi a guardarlo.

Seccata, mi misi a sedere, ora senza gli occhiali da sole come schermo.

“Sì?” dissi semplicemente, in un tono non proprio simpatico.

Luca si mise a sedere, le ginocchia al petto e le braccia che circondavano le gambe.

“Scusami” disse in un soffio.

“Per cosa?”.

Ero cattiva, sadica, non volevo far capire di aver capito tutto.

“Lo sai”.

“No, non lo so...”.

Mi guardò in maniera esplicita, come a dirmi che era impossibile non saperlo, poi prese un bel respiro e si accinse a parlare.

“Ho detto tutto a Giada, le ho detto dei giorni passati con te... Ieri sera, dopo la serata. Non te lo negherò, stavo per andare in camera sua, ma non mi andava. Tu sei stata onesta e lo apprezzo, evidentemente non ti interesso abbastanza, non lo so, ma...”.

“Smettila!”.

Quasi urlai, non potendone più di quel fiume di parole dopo il modo in cui si era comportato.

Che fare?

Urlare? Litigare?

No. Non me la sentivo, non ero pronta, avere informazioni addizionali non migliorava la situazione.

“Cosa vuoi da me?” sbottai, senza capire.

“Non voglio lasciarti andare. Dobbiamo parlare, capire...”.

“Capire cosa?”.

“Ora che Saverio sa non abbiamo ostacoli, possiamo...”.

“Pensi ancora a questo? Per te è questo il problema?!”.

Ritornavamo ancora a quel punto? Davvero credeva che per me si limitasse tutto all’apparire, al fare bella figura col capo?

“Beh...”.

“Ne riparliamo quando avrai capito” sentenziai, ristendendomi, inforcando di nuovo gli occhiali e non aggiungendo altro, lapidaria.

Evidentemente Luca capì perché non disse altro e sentii i suoi passi allontanarsi da me, forse una volta per tutte.

 

Presa dall’ansia delle ultime cose da fare, feci da cavia per i video di addio.

Persi più tempo del dovuto, obbedii ad ogni richiesta, mi immischiai in affari che non mi riguardavano, feci il possibile per starmene con il team spagnolo e quello inglese invece di badare a quello italiano, anche se alla fine verso mezzogiorno fui costretta a tornare in ufficio.

Notai che si stava celebrando una sorta di festa-riunione e mi domandai il perché.

“Che succede?” chiesi, facendomi strada con difficoltà visto che c’erano almeno tre persone che se ne stavano sul pavimento a giocare, ridere, lanciarsi cose a caso e a fare una sorta di lotta molto infantile.

“E’ l’ultima volta che staremo in ufficio tutti insieme” mi ricordò Clara, come se fosse una cosa matematica.

Spalancai gli occhi, colpita, ed annuii facendo mente locale: era vero, accidenti!

Tra l’escursione del giorno successivo e l’organizzazione della partenza non ci sarebbero stati più momenti in ufficio, niente più mattinate passate al computer mentre tutti erano di ronda durante le lezioni e Saverio passava a controllarmi, niente più Luca che veniva a portarmi i Bounty tra un laboratorio e l’altro...

Il mio sguardo cadde improvvisamente su di lui e forse capì a cosa mi riferivo, chissà, fatto sta che mi sorrise debolmente.

Giada intercettò il tutto e si limitò a guardarmi, io mi voltai e scrollai le spalle, così mi si avvicinò.

Silenziosa, mi appoggiò una mano sulla spalla, mentre tutti tornavano alle loro ludiche occupazioni.

“Non ne sapevo nulla” disse, chiarissima seppur sussurrando.

“Lo so. Tranquilla”.

“Giuro che ci siamo solo baciati e ho lasciato per...”.

La zittii con un abbraccio, per nulla ipocrita, ero semplicemente presa da una strana marea di emozioni che al momento mi sembrava tutto stupido ed irrilevante.

Giada non aveva idea di nulla, ci aveva provato ed aveva beccato Luca in un momento particolare, alla fine non aveva nessuna colpa.

“Sicura?”.

“Certo”.

Mi strinse a sua volta e poi tornò verso Mario che voleva provare a fare la verticale per non perdere la scommessa con Elena.

Sembrava tutto caotico ma allo stesso tempo calmo, calmo perché i ragazzi a breve avrebbero finito il test di inglese e iniziato quello di spagnolo dopo pranzo e solo il giorno seguente ci avrebbero riempito di pensieri come loro solito, tra un’escursione e l’altra, caotico perché eravamo noi ad essere agitati per la stanchezza, la fine del viaggio e tutto ciò che si era aggiunto al nostro bagaglio culturale, personale ed educativo.

Mi appoggiai su uno dei gradini vicino la porta e vidi Saverio raggiungermi per poi prendere posto al mio fianco.

“Sai, pensavo” mormorò, guardando fisso davanti a sé, come se non vedesse davvero Clara mangiare dei crackers mentre Luca cercava di toglierglieli di mano, “Che dopotutto questa cagata della mediatrice non è stata una cattiva idea”.

Stupita, mi voltai verso di lui.

“Mi stai forse... Promuovendo, boss?”.

Si girò, guardandomi finalmente in faccia e facendo l’occhiolino. “Sì, se non teniamo in conto che ti sei scopata selvaggiamente un collega”.

“Idiota, sei un idiota!” urlai, ma ormai già lo stavo abbracciando mentre chiamavo Nadia a gran voce per bloccarlo e non farlo scappare.

“Alice ha ragione. Non so cosa sia successo ma sei un idiota!” mi appoggiò subito lei, ridendo a crepapelle mentre lo stringeva a sé.

“Weeee, bacio, bacio, bacioooo!” s’intromise Mario, emerso dalla sua dolorosissima verticale da vincitore.

“Shh, per l’amor del cielo, se ci sentono gli al...”.

Ma ormai Saverio si era zittito perché Nadia gli aveva piantato un bacio in piena bocca con aria spensierata e Mario immortalava il tutto, minacciando di far finire la foto incriminata sui social.

 

Quella sera ci fu l’ultima serata organizzata dal team inglese, visto che quella successiva sarebbe stata dedicata ad una cena a Londra seguita dalla visione del video di arrivederci e dalla’organizzazione della partenza.

Vedevo i poveri group leader già provati al solo pensiero di ciò che gli spettava nel giro di poco più di ventiquattro ore: controllo delle stanze per cercare eventuali danni, bagagli, ronda, poi due ore prima della partenza erano tenuti a ritirare tutte le chiavi delle stanze e restituirle a Saverio, il quale sarebbe rimasto in struttura per ancora due settimane.

A cena Clara faceva una lista di cose da fare, Nadia sembrava preoccupata, Salvatore sembrava pensieroso, Luca mangiava in silenzio.

Io li guardavo, reduce dalla fine ufficiale del mio lavoro visto che tutto era stato organizzato, le email erano state tradotte e riassunte, ci toccava solo vivere l’ultima parte di ciò per cui avevamo lavorato tanto.

“Alice, non osare andare a dormire domani senza aver aiutato” disse Saverio con aria minacciosa, mentre finiva di mangiare il suo sandiwich.

“L’ho mai fatto?” chiesi, offesa.

“Beh, sì, lo hai fatto sabato dopo il ballo, non ti ho visto aiutare quando è finito”.

A parlare era stato proprio Luca, con mia somma sorpresa.

Mi guardava con aria sprezzante, come aveva fatto i primi giorni di viaggio. Eravamo tornati a quel punto?

No, almeno io, no, non avrei fatto la mocciosa abbassandomi al suo livello.

“Ma che ne sai, scusami, non sono una dei tuoi ragazzi che puoi controllare sempre” ribadii senza scompormi, seppur con tanta fatica.

“Penso di aver incrociato Alice nei corridoi” mi sostenne Clara, guardando male Luca.

Poverina, doveva avere i ricordi così annebbiati a causa dei turni estenuanti che di certo aveva confuso quell’informazione con un’altra visto che io ero davvero andata subito in camera.

Le sorrisi per ringraziarla e Luca ci fissò, senza aggiungere altro, sotto lo sguardo di disapprovazione di Saverio.

“Se permetti, Luca, tocca a me rimproverarvi e ricordarvi le cose, non ho bisogno di un vice. Ricorda che io so sempre tutto” esclamò, con il tono di chi sostiene che per lui la discussione è ormai conclusa.

Luca abbassò il capo e si finse interessato al suo piatto, mentre il tavolo diventava così silenzioso da essere quasi imbarazzante.

La cena proseguì così, senza nessuna conversazione, e invece di tornare in stanza durante l’oretta libera che i ragazzi avevano prima della serata fummo costretti a registrare gli ultimi saluti generali insieme agli altri due team.

Come risultato, alle venti e trenta ero stanca morta, taciturna, come gran parte del gruppo.

Me ne stavo in una zona isolata della solita sala adibita a discoteca per l’ultima serata “Un messaggio per te” quando, per la seconda volta da quando era iniziata la giornata, Luca mi si avvicinò.

Appena lo vidi, decisamente stufa e non disposta ad ascoltare un ulteriore insulto, mi alzai di scatto e mi allontanai.

“Alice...”.

“Cosa mi rimprovererai ora?” lo sbeffeggiai, alzando gli occhi al cielo, sacastica come non lo ero da un bel po’.

Lui, immobile, mi guardò bonariamente.

“Non l’hai capito?”.

“Cosa?”.

“Da stupido quale sono pensavo di usare la tecnica dei primi giorni. E’ litigando che ci siamo avvicinati”.

“Ed è litigando che ci siamo allontanati. Litighiamo solo, Luca, non è una cosa sana” gli ricordai, sentendo quasi il fiato mancarmi.

“Ma litighiamo per cose stupide, voglio dire, siamo in un contesto particolare e ...”.

“No, Luca, no. Non troviamo un accordo, discutiamo,  mi hai offeso a morte e io cerco il rispetto in ogni situazione. Tu mi hai mandato a quel paese ieri, ti ho accontentato e ora ti comporti così... Non fare il bambino” sbottai, esasperata, seppur con la voce tremante.

Sospirò pesantemente, trattenendomi per un braccio.

“Ero arrabbiato e non è da me, mi sono sentito una nullità. Però immagino che se devo pregarti non ci sia nulla da fare” aggiunse, rabbuiato.

“Io non riesco a dare affetto se mi sento offesa, tradita...”.

“E’ più semplice, Alice, hai capito che non provi nulla per me” sentenziò e, con un ultimo sorrise triste, si allontanò, lasciandomi lì senza sapere cosa dire.

 

 

Glorioso, uggioso, incerto iniziò l’ultimo giorno di permanenza al Queen’s College, quel posto che piano piano era entrato nella nostra routine, con la sua mensa troppo lontana dai dormitori e dai mille alberi che ti causavano l’allergia se eri allergico al polline e alle graminacee.

Due settimane sembravano due mesi per tutte le avventure vissute e il pensiero di tornare a casa, con i nostri orari, le nostre routine, ci sembrava assurdo, fuori dal comune.

Esisteva davvero un mondo normale, senza Saverio che dava indicazioni, adolescenti pronti a discutere e a disobbedire e colleghi con il sorriso sempre pronto anche se stanco e provato dall’aver dormito al massimo cinque ore?

Il solo pensarlo mi sembrava decisamente strano.

Con questi pensieri mi ritrovai a seguire la massa in giro per Londra, senza ascoltare le guide turistiche, senza fare tesoro di quelle preziose informazioni.

La giornata passò fin troppo velocemente per i miei gusti e mi ritrovai il pomeriggio con due ore libere, prima della partenza verso il ristorante dove avremmo cenato tutti insieme per l’ultima volta.

Nadia ovviamente l’avrebbe passata con Saverio – dovevano parlare – e Clara voleva raggiungere per l’ultima volta Piccadilly Circus insieme a Giada ed Elena.

Mi ritrovai da sola nei pressi di Trafalgar Square e appena vidi la National Gallery i miei occhi si illuminarono: ecco il posto felice dove potevo starmene in pace, di certo nessuno avrebbe pensato di andare in un museo, erano tutti presi dallo shopping.

Decisi di prendere prima un caffè visto che si prospettava una nottata priva di sonno dato che dovendo tornare a Roma sarei partita con il gruppo di Napoli che aveva l’aereo alle nove, così entrai in un café nelle vicinanze del museo e pensai solo a godermi del tempo in tranquillità senza pensieri.

Mi ero seduta da circa quindici minuti quando il mio cellulare iniziò a squillare, rivelando una chiamata di Saverio.

Vedendo il suo nome apparire sul display presi un enorme sospiro e dissi, sarcastica: “Poteva mai durare la pace?”.

Risposi e il fiume di parole che ne seguì fu decisamente poco chiaro, assurdo, ma ebbe il potere di farmi mancare il respiro e correre via dal bar come un’ossessa.

 

Corsi verso il semaforo che c’era nei pressi di Buckingham Palace come non avevo mai corso in vita mia prima di quel momento.

Urtai non quante persone, senza scusarmi, senza sentire le loro proteste, senza sentire l’affanno e il sudore che ormai avevano preso pieno possesso del mio corpo.

Non pensai nemmeno al percorso da fare, probabilmente lo ricordavo da quando lo avevamo fatto qualche giorno prima, fatto sta che seppi di essere arrivata  a destinazione quando vidi un’ambulanza che bloccava il traffico e tante magliette rosse raggruppate a pochi metri di distanza.

“Alice!”.

La prima a notarmi fu Nadia e mi corse incontro, forse per evitare una mia scenata davanti a tutti.

“Come sta, che è successo?” urlai, sentendomi quasi le forze mancare di fronte alla visione sterile di quel grande furgoncino bianco.

Nadia mi afferrò per le braccia e provò a farmi stare immobile, rassicurante.

“Ricordi Mirko ed Enzo, i ragazzi che probabilmente si sono messi insieme una decina di giorni fa?”.

“Sì, ma cosa c’entrano?”.

“Hanno discusso, pensantemente, ed Enzo tutto arrabbiato ha... Ha attraversato col rosso” sussurrò, deglutendo pesantemente.

“Cosa?!”.

“Sì... Luca era lì e ovviamente non ha perso tempo, è corso per evitare la catasrofe. Avevano quasi attraversato del tutto quando una macchina è passata e...”.

“Non fare la tragica, non l’hanno investito, è Luca che è ruzzolato per provare a saltare e non essere investito”.

Saverio ci aveva raggiunto e aveva concluso il racconto con serietà, severo, forse per non lasciarsi trasportare dalla paura.

Vide il vuoto nei miei occhi, la paura, e forse per non vederli più mi strinse a sé mentre singhiozzavo e mi agitavo tutta.

“Al massimo si è rotto un braccio, stai tranquilla”.

“Ma lo avete visto?!”.

“Giada lo ha soccorso e ha chiamato l’ambulanza, è tutto ok...”.

“Non dire bugie!”.

“Davvero!”.

Non voleva dirmi altro, anche se lo implorai di farlo, non si sbilanciò affatto dicendo di non avere ulteriori informazioni perché in questi casi non bisogna toccare la vittima fino all’arrivo dei soccorsi.

Sentivo gli occhi del gruppo su di me, probabilmente notarono la mia reazione fin troppo emotiva, ma non vi badai così iniziai ad attendere notizia a braccia incrociate contro un muro.

L’unico ad avvicinarsi fu Salvatore e fu quasi presa dall’istinto di urlargli contro che non era il momento per una delle sue battutacce.

“Pensavo che il vostro fosse solo un flirt ma si vede che c’è qualcosa in più” disse subito, senza nemmeno chiedermi qualcosa di più formale e “normale”.

“Cosa?” chiesi, incredula.

“Alice, si vede lontano un miglio che c’è qualcosa tra voi” disse. “Sono qui se vuoi parlare”.

Avrei potuto negare, ma quel era il senso?
Mi vergognavo di ciò che provavo?

No.

Quindi mi limitai ad annuire e a ringraziarlo, tornando però per i fatti miei, senza alimentare in nessun modo la conversazione.

Finalmente, nel giro di qualche minuto, i paramedici uscirono dall’ambulanza e Saverio e Giada si affrettarono a raggiungerli mentre tutti noi ce ne stavamo con il fiato sospeso.

Probabilmente quelli furono i secondi più lunghi di tutta la mia vita, mi parve passato un secolo quando si riavvicinarono a noi per parlare.

“Allora?” domandai.

“Sta bene, risponde a tutti gli stimoli, si è solo slogato il polso per proteggersi durante l’impatto e faranno qualche controllo perché ha perso coscienza per poco. Giada e Alice andranno con lui in ospedale, stasera tornerete in taxi al college. Salvatore, a te va l’incarico di prendere il gruppo di Luca oltre al tuo”.

Io e Giada obbedimmo e subito ci affrettammo a raggiungere il nostro collega.

 

Era una situazione tragicomica, del tipo “Lui, lei e l’altra”.

Era tutto così assurdo, senza senso, malettamente tragicomico per certi versi che mi ritrovai a ridere in maniera quasi schizofrenica poco dopo, mentre io e la dottoressa ce ne stavamo sedute nella sala di attesa.

Ovviamente, lei mi guardò senza parole per questo mio gesto ed io mi scusai agitando le mani per minimizzare.

“Perdonami, Giada, ma ti rendi conto?!”.

Confusa, mi fissò senza sapere cosa dire.

“Cioè?”.

Mi alzai, troppo carica di adrenalina per riuscire a stare ferma, camminai avanti ed indietro e poi iniziai a gesticolare come una matta mentre provavo a spiegarmi.

“Luca finisce in ospedale e chi lo accompagna? Quella con cui ha avuto una brevissima storia e quella che ha baciato ieri, che guarda caso è anche una dottoressa. Sembra una barzelletta” mormorai.

Giada si morse un labbro e si agitò sulla sedia.

“Io non avevo idea, ti ripeto”.

Notai che sembrava ancora più mortificata ma allo stesso tempo seccata e mi resi conto che era stata fin troppo calma e placida per i miei gusti nonostante avesse scoperto che il tipo che sembrava voler passare del tempo con lei in realtà lo stava facendo solo per ripiego.

Lo percepii guardando il suo viso, sembrava davvero sul punto di fingere così tanto da minacciare di scoppiare da un momento all’altro.

“Scusami. Voglio dire, forse ti sei sentita usata ma non è così, avrai davvero colpito Luca, di certo gli sarai sembrata più sana di mente di me” ammisi,prendendo posto a fatica e guardandola con aria di scuse.

“Non voglio immischiarmi” sbottò, d’un tratto più decisa.

“Ma Giada...”.

“E’ sempre così, sono quella con cui esci per ripicca, poi ovviamente al momento debito tutti se ne vanno dall’altra. Non fraintendermi, Luca per me non è altro che un ragazzo carino, ma ciò ha riaperto vecchie ferite. A medicina ti insegnano come mettere i punti di sutura e vorrei fosse facile ricucire tutto anche con una cosa astratta come i sentimenti”.

Non sapevo cosa dire, onestamente, visto che non la conoscevo affatto.

Per me era sempre stata la ventottenne diligente del gruppo, simpatica ma pronta a soccorrerti, ed ora eccola lì, fragile, esposta, come punizione per una sera in cui aveva provato a svagarsi.

Decisi di cingerle le spalle con un braccio e sorriderle e lei sembrò acccettare il gesto in silenzio, senza ulteriori scenate.

Ero consapevole del fatto che al posto suo avrei almeno sbottato a lungo con qualche compagno di avventura, mi sarei buttata giù, invece lei era lì, composta, pronta a soccorrere chi l’aveva bidonata.

Restammo così, tra un caffè schifoso della caffetteria e dei sorsi d’acqua, finché un dottore non ci disse con un mezzo sorriso che era tutto ok.

 

Ricordo i momenti successivi in maniera poco chiara, come se li avessi visti da spettatrice e non da protagonista.

Facevo tutto in maniera autonoma, senza pensarci, meccanicamente, ero concentrata solo sul viso di Luca.

Appena era uscito dalla stanza dove lo avevano visitato lo avevo guardato con ansia e felcità, lui mi aveva sorriso, un po’ colpevole, e mi aveva accarezzato il braccio con la mano non fasciata mentre Giada scambiava delle informazioni con i dottori.

In quell’istante avevo solo voglia di trascinarlo da qualche parte senza spettatori per urlargli contro che era un pazzo, che ci aveva fatto un brutto scherzo, per poi avvinghiarmi a lui come un koala e non lasciarlo andare più.

Purtroppo ci toccava prendere subito un taxi e tornare al college con i sensi di colpa perché non eravamo presenti e non stavamo aiutando nella parte fondamentale dell’avventura: l’ultima sera, quella con più pathos di tutte, quella in cui si tira un bilancio, si scattano foto sceme e si fanno promesse che non verranno mai mantenute.

Io, però, in quel momento, sentivo di volerne fare e volerne mantenere davvero tante.

Raggiunsi questa consapevolezza quando Luca strinse la mia mano nel taxi, seduto tra me e Giada, ed io mi sentii lo stomaco in subbuglio come quando mi aveva baciato la prima volta.

Ovviamente, la dottoressa finse di non farci caso e chiamò Saverio per comunicare gli ultimi sviluppi e chiedere come comportarsi.

“Dobbiamo tornare al campus, se poi riesci andiamo alla visione del filmato di addio quando tornano dalla cena. Io vado in camera mia, se hai bisogno mi chiami” sentenziò, professionale ma ovviamente molto fredda.

Luca annuì, ringraziandola, e quando arrivammo a destinazione fu un sollievo uscire dall’aria pesante che si era creata nell’abitacolo.

Senza dire nulla, Giada si avviò verso camera sua e io guardai Luca in attesa di non so precisamente cosa.

“Vai pure in camera tua, sto bene” disse, iniziando a camminare.

No, non potevo, non ce l’avrei fatta a starmene in camera mia con il pensiero di lui solo, ferito...

Ed egoisticamente, volevo di nuovo averlo al mio fianco come più di ventiquattro ore prima.

Per questo lo guardai e, senza dire nulla, gli cinsi la vita con un braccio.

“Non essere sciocco. Non ti libererai di me, questa sera”.

“Io non vorrei mai liberarmi di te”.

Non risposi, deglutendo, fino a che non ci ritrovammo in camera sua, quella che ci aveva ospitato la sera in cui tutto era davvero iniziato tra di noi.

“Hai bisogno di qualcosa in particolare?” chiesi, cauta.

“No, dopo mi cambio la maglia, ma...”.

Sospirando, presi posto di fianco a lui e lo guardai negli occhi, senza distogliere lo sguardo.

“Ti ho visto nudo, abbiamo fatto cose indecenti più di una volta, cose che qualcuno definirebbe “porcate”, ci siamo ritrovati così eccitati da non capire nulla, lo abbiamo fatto sul ripiano di un lavandino di un bagno facendo fatica a non farci sentire da un mucchio di adolescenti e ora, che fai, il timido, come se non ti avessi già visto senza maglia?” chiesi, incredula.

Per la prima volta dopo ore e ore Luca si lasciò scappare un sorriso malandrino e scosse il capo.

“Alice... Se non fossi k.o. mi sarei già eccitato sentendoti parlare così”.

“Idiota”.

Senza aggiungere altro, lo aiutai a togliersi con cautela la polo rossa e, senza che lui dicesse nulla, andai in bagno e bagnai la spugna che usava per farso la doccia, applicando un po’ di bagnoschiuma.

Senza nemmeno chiedergli il permesso, gliela passai sulle spalle, sulla schiena, sulle braccia, sul torace, per poi risciacquarla e ripassarla di nuovo.

Lo sentivo teso, poi improvvisamente più rilassato, tanto che a un certo punto chiuse gli occhi.

“Dove tieni le maglie?” domandai, ma lui mi fermò, si stese sul letto e mi fece segno di stendermi al suo fianco.

“Solo per cinque minuti, per favore, ricordiamoci come è iniziata”.

“Allora è iniziata?” domandai cautamente, visto che lo aveva negato poco più di ventiquattro ore prima.

“Sì, Ali. C’eravamo dentro fino al collo...”.

Mi appoggiai alla sua spalla e gli accarezzai il petto, sentendomi improvvisamente più felice.

“Ci siamo dentro fino al collo” bisbigliai.

Luca si mise a sedere e, incredulo, domandò: “Davvero?”.

“Inutile negarlo, Luca. Forse dovevi finire al pronto soccorso per farmelo capire, ho corso per Londra come una matta perché non sapevo come stavi e sapere che da domani potrei non vederti più mi fa paura”.

“Scusami per le cattiverie che ti ho detto, le ho pensate per un secondo, davvero. Sono stato un cretino a stare dietro a Giada, mi è costato molto fare finta di nulla con te” si scusò, profondamente serio.

“Io voglio solo tu sappia che all’inizio mi importava dell’opinione altrui, poi è cambiato tutto, il mio essere così incerta è dovuto al fatto che non so cosa potrebbe succedere tra noi. Onestamente, dopo oggi, non avrei problemi a baciarti davanti a tutti, colleghi, ragazzi, spagnoli, inglesi...”ammisi.

“Magari domani, in aeroporto, ma per ora possiamo iniziare qui, in privato...”.

Fu una sensazione meravigliosa vedere il suo volto abbassarsi all’altezza del mio, raggiungere prima il mio collo, baciarlo, per poi salire sempre più su fino a sfiorare la bocca e farla sua con un gesto cauto ma sensuale, che mi rapì ancor prima di iniziare.

Restammo lì, persi in un bacio che sembrava infinito per ritrovarci, mentre fuori scoppiava il solito temporale londinese che faceva da sottofondo musicale ai nostri gesti.

Mi sentivo persa anche io, disorientata, anche se forse fino a quel momento non ero mai stata più decisa e felice riguardo qualcosa, tanto da non sentire su di me il peso delle decisioni che avrei dovuto prendere il giorno dopo tra un volo e l’altro.

 

*°*°°*

Siamo agli sgoccioli, gente!

Il prossimo sarà l’ultimo capitolo, seguito da un piccolo epilogo.

Che ne pensate?

Un po’ di dramma ci voleva ;)

Fatemi sapere le vostre opinioni, io cercherò di essere più rapida possibile anche se purtroppo maggio è il periodo più stressante e impegnativo per chi lavora come insegnante.

Grazie a chi continua a seguire la storia e ai nuovi arrivati <3

Baci, a presto!

Milly.

  
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