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Autore: Shireith    04/05/2018    2 recensioni
{Marichat // raccolta mista di trentuno storie che partecipa alla challenge Marichat di maggio 2018 indetta dai fan su Tumblr}
#01 — Mentre fuori piove » Vestito d’una tuta nera che ricopre ogni centimetro del suo corpo, i capelli biondi e sbarazzini ora intrisi d’acqua piovana, la figura che vede distesa a terra sul balcone di casa sua non può essere altri che lui.
#13 — Il mio faro nella notte » Lo scenario che si presenta ora ai suoi occhi, tuttavia, gli sbatte in faccia la triste e crudele e realtà: che un individuo qualsiasi può, se quello è il suo volere, porre fine alla vita di tanti altri come lui.
#17 — Sul filo del rasoio » La pioggia, intanto, è fitta, malinconica: lo scenario ideale per una tragedia.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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#04. Omicidio da croissant («Sono due mesi che non mangio qualcosa di dolce e ora ucciderei per un po' di croissant. Aiutami, principessa.»)

L’amore platonico di un gatto per i dolci


 Con un ultimo balzo, Chat Noir atterrò sulla cima della torre Eiffel, lasciando poi andare la ragazza che fino a un attimo prima teneva stretta a sé per evitare che cadesse. «Sai, con questa, ho perso il conto di quante volte un akumizzato ce l’aveva con te» commentò ironico.
  «Non lo faccio mica apposta!» ribatté l’altra. Era vero, diverse persone erano state akumizzate per colpa sua, ma mai Marinette aveva offeso qualcuno volontariamente o per il puro piacere di farlo.
  «Puoi fare concorrenza a Chloé» continuò Chat Noir, che, a dirla tutta, aveva perso il conto di quanti compagni di classe fossero stati akumizzati a causa della sua amica di vecchia data.
  Marinette si sporse oltre il parapetto, gettando un’occhiata mesta e pensierosa al panorama sottostante. Parigi era così vasta che strade ed edifici correvano in tutti e quattro i punti cardinali senza che se ne riuscisse a vedere la fine.
  Chat Noir, nel vederla in quello stato, pensò di aver tirato troppo la corda e si diede mentalmente dell’idiota. «Scusami, sono stato uno stupido. Non volevo ferirti.»
  Marinette si voltò a guardarlo, sinceramente colpita dall’educazione e discrezione che facevano trasparire quelle scuse inaspettate. Ladybug si era da subito fidata del suo collega, ma fino a non molto tempo prima non avrebbe mai pensato che fosse un giovane tanto sensibile e premuroso.
  «Non l’hai fatto» gli assicurò, regalandogli un sorriso che l’altro trovò confortante. «So che stavi solo scherzando.» Dicendo così, la ragazza si volse di nuovo e tornò ad ammirare le bellezze della ville lumière. Chat Noir si unì a lei, salendo sul parapetto e rannicchiandovisi sopra.
  «Perché sei così giù di corda, allora?»
  Marinette si concesse alcuni brevi istanti di silenzio prima di rispondere a quella domanda. «Non mi piace l’idea di aver causato l’akumizzazione di così tante persone.»
  Chat Noir capì di che cosa stesse parlando: sulla sua fedina penale non c’erano che un paio di nomi, eppure si sentiva colpevole per ognuno di essi. Pensò ad esempio a suo padre, che era stato vittima di Papillon per colpa del suo furto ai danni di un libro che il genitore custodiva con gelosia. Non era stata sua intenzione recare al padre uno sconforto tale da permettere a Papillon di captare i suoi sentimenti negativi, infatti si ripeteva continuamente di essere stato solo involontariamente l’artefice di tutto quello; il senso di colpa, però, rimaneva.
  «Non devi assolutamente sentirti colpevole» iniziò Chat Noir, osservandola con espressione magnetica non appena Marinette fece viaggiare lo sguardo fino alle iridi verdi del ragazzo. «Sono stati gesti involontari. Tutti sbagliamo, l’importante è rendersene conto e ritornare sui propri passi. E tu questo lo fai, sempre. Non credo di ricordare una sola volta in cui tu non abbia chiesto scusa per i tuoi errori.»
  Per un paio di secondi, Marinette rimase intenta a fissarlo senza proferire parola, colpita, nel profondo del suo cuore, dall’alta opinione che Chat Noir aveva appena dimostrato di avere di lei. Agli occhi sfuggì persino una lacrima di commozione, perciò Marinette si apprestò a farla andare via con la manica della giacca. Tornò poi a guardare Chat Noir negli occhi e disse: «Grazie. Mi sento meglio, ora.»
  Il giovane mascherato le sorrise di rimando, felice di essere parte della ragione per cui la ragazza si era nuovamente aperta in un sorriso bellissimo.
  Seguì un breve silenzio, che entrambi si concessero per ammirare le bellezze della città che aveva dato loro i natali: quella sera, come tutte le sere, Parigi si vestiva di una molteplicità di luci tutte diverse tra loro per colore e intensità. Era un panorama mozzafiato, che scavava nelle loro carni fino a raggiungere i loro cuori, dove vi si depositava donando candore.
  Poi Marinette credette di avere un’idea. «C’è qualcosa che posso fare per sdebitarmi?»
  Chat Noir le lanciò un’occhiata perplessa. «Non serve.»
  «Io però voglio farlo» insisté. «Qualsiasi cosa.» Il suo sguardo era sicuro, determinato a non accettare un no come risposta.
  Per qualche strana ragione – forse era ancora in parte provata dall’incidente del primo giorno –, Marinette si dimostrava sempre piuttosto chiusa quando Adrien era nei paraggi. Con Chat Noir, invece, la ragazza assumeva un atteggiamento più aperto e determinato, che la rendeva quasi irriconoscibile dalla Marinette a cui Adrien era abituato nei loro tête-à-tête – anche se, in verità, bastava vederla interagire con altri compagni di classe per rendersi conto della sua vera natura. Data la sua testardaggine, quindi, Chat Noir pensò che non fosse il caso di perseverare, tanto non avrebbe mai ceduto. «Se proprio insisti accetto.»
  Marinette sorrise contenta. «Che cosa posso fare per te, allora?»
  Chat Noir iniziò a pensare, poggiando con teatralità il mento sull’unghia affilata dell’indice destro. Doveva considerare per bene tutte le opzioni che aveva a sua disposizione, perché quella, del resto, poteva essere la sua unica possibilità di chiedere un favore a cui la ragazza era obbligata a rispondere di sì. Poi l’illuminazione arrivò.
  Assottigliando gli occhi fino a ridurli a due fessure, Chat Noir le lanciò un’occhiata furba. «Sai, si dice in giro che i tuoi genitori gestiscano la miglior pasticceria della città.»

  Fu così che, a seguito di un favore ricambiato, Marinette imparò che i gatti – o meglio, un gatto – andavano matti per i dolci. Nel caso di Chat Noir, poi, si trattava di ogni singola tipologia di dolci. Torta di mele? Buona. Bignè? Buonissimi. Macaron? Ottimi. Croissant? Jackpot!
  Quella sera di qualche giorno prima in cui si erano ritrovati sulla cima della torre Eiffel, Chat Noir le aveva rivelato che sembravano essere passati anni – due mesi, parlando da un punto di vista letterale – da quando non metteva sotto i denti qualcosa di dolce, e ora avrebbe ucciso per un po’ di croissant, i suoi dolci preferiti. Marinette, dunque, aveva accettato di buon grado di fargli assaggiare quelli che preparava suo padre – buonissimi, a detta sua.
  Da quel giorno, la sua abitazione sembrava essere diventata la seconda dimora di Chat Noir. Non era corretto, secondo Marinette, dire che a Chat Noir piacessero i dolci: lui amava i dolci. La ragazza era piuttosto certa che, se avesse potutone, Chat Noir ne avrebbe sposato uno, che poi avrebbe mangiato – tecnicamente parlando, quello era classificabile come omicidio in nome del suo amore per i dolci?
  «Non direi. I croissant sono inanimati.»
  «E tu sposeresti cose inanimate?»
  «Sono croissant!»
   
 
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