Salve! Quanti anni sono passati dall’ultima volta
che ho pubblicato qualcosa su queste sponde, tipo… due?
Per un motivo o per l’altro il mio desiderio di
scrivere e/o di pubblicare si è completamente affievolito LOL ma ogni tanto
qualcosa, con dolore, in tutto questo tempo l’ho scritto ancora, e questa credo sia una delle poche cose che abbia veramente
voglia di postare.
… nonostante sia una crackship
su due personaggi completamente ignorati, motivo per cui
probabilmente non me la leggerà nessuno. Welp.
ATTENZIONE: I personaggi citati sono ovviamente da intendersi come anagraficamente
maggiorenni!
ATTENZIONE2: Non ho ancora imparato a inventare titoli!!
Buona lettura!!!
{ Darling, help me smoke this one
more cigarette, now.
Non si era allarmato quando aveva sentito odore di fumo non appena
aveva messo piede nel proprio appartamento, così come non era scattato
sull’attenti quando un tossire sommesso aveva raggiunto le sue orecchie.
La vita di un assassino consisteva il più delle
volte nel rimanere col fiato sospeso, nascondendosi dietro gli angoli e
colpendo più rapidamente di quanto il nemico avrebbe potuto farlo – ma sapeva
già, Ryuurou Hirotsu, che
l’ospite inatteso ad aspettarlo tra quelle quattro mura era armato di tutto
meno che di intenzioni ostili, e si prese tutto il
tempo del mondo per togliersi giacca, sciarpa e scarpe prima di avventurarsi
verso il salotto.
- Quante volte
ancora te lo devo dire? Quando la accendi non devi
ingoiare il fumo, devi solo tirare l’aria per infiammare il tabacco. Se non ti
riesce, perché ti ostini? –
Due occhietti
sottili e indispettiti si puntarono verso di lui, sopracciglia fini aggrottate
su un’espressione offesa, ma anche imbarazzata. Gin sedeva nel mezzo della
stanza principale della casa, i suoi usuali vestiti accantonati in un angolo e
i capelli, lunghi, neri, lucenti, che le cadevano sulle spalle coperte da una
delle camicie del padrone di casa: colpi di tosse leggeri tradivano un
tentativo di determinazione che davanti all’uomo finiva come sempre per
svanire, e questi sospirò, avvicinandosi a lei e togliendole dalle dita le sigaretta che stringeva ostinatamente per portarsela alle
labbra.
Non era la
prima volta che una situazione del genere gli si parava davanti agli occhi, e
anzi, ormai ne era pienamente abituato: per un motivo o per l’altro il membro
più silenzioso e insospettabile della Black Lizard
aveva da molto preso l’insolito vizio di infilarsi in casa sua, prendendosi piano piano sempre
più libertà verso ciò che la circondava.
- Ce l’hai, una casa. Tuo fratello non sarà in pensiero? –
- Sono giorni
che non torna. –
Si era alzata
da terra, intanto, rimanendo in piedi davanti a lui. Non c’era preoccupazione
nella sua voce, ma il suo sguardo tradiva inevitabilmente una punta di amarezza
– solitudine, forse, figlia di un ostinato affetto familiare misto alla
sensibilità di quella che era poco più che una ragazzina. E lui pure,
d’altronde, era un uomo solo: era stato al fianco dei vertici della mafia da un
tempo in cui, forse, la giovane davanti a sé ancora non era neppure nata, e le
obbligazioni derivate da un’organizzazione così potente da controllare
direttamente o meno la vita di tutti i suoi membri gli
avevano sempre impedito, o meglio, l’avevano sempre dissuaso dall’idea di
crearsi una famiglia o qualsiasi
affetto al di fuori del lavoro.
Per questo, in
fondo, non gli pesava tornare a casa per trovarsi davanti una
figura che piano piano, con insidiosa invadenza, era lentamente diventata una
costante: non poteva rimproverare le sue lunatiche intrusioni perché, in cuor
suo, provava piacere ad avere
silenziosa compagnia, che inizialmente si riassumeva in pochi sguardi e qualche
parola scambiata senza entusiasmo, ma che forse adesso stava iniziando a
sfuggire dalle mani di entrambi.
Lo riconosceva
quando sentiva senza esitazione il suo busto asciutto premersi contro di sé,
quando i suoi occhietti incuriositi lo fissavano dal basso – anche adesso,
mentre si metteva in punta di piedi per tentare di raggiunger la sigaretta che
le aveva strappato dalle mani, stringendo le dita esili
sulla sua camicia.
Ci aveva
provato, lui, ad essere razionale; a non abbassarsi al
desiderio fugace e temporaneo di una fanciulla che si era divincolata dalla
denominazione di ‘adolescente’ da un tempo imbarazzatamente breve, ma più la
sua vicinanza diveniva una piacevole abitudine, più la sua ragione veniva
elegantemente meno.
- Perché la
vuoi, se tanto non ti riesce? – la ammonì pacatamente, senza muoversi di un
millimetro. Lo sapeva benissimo il perché, ben conscio del fatto che non si
trattasse che di un ennesimo tentativo di mostrarsi, ai suoi occhi, adulta e
capace.
“Non sono
interessato nelle ragazzine”, le aveva detto; ma nemmeno lui ci aveva creduto
quando poi se l’era ritrovata addosso, in una pigra serata d’inverno, con lo
sguardo intrecciato al suo e i capelli corvini che eleganti gli ricadevano
addosso, regalandogli una visione celestiale e spaventosa al contempo.
Spaventosa, perché era stato in quel momento che Hirotsu
aveva capito che anni in cui la
pretesa di poter stare da solo per il resto della propria esistenza non era che
una menzogna, e che la possibilità di poter stringere, baciare, amare una giovane donna lo accendeva come se avesse avuto una ventina d’anni di
meno. Gin gli aveva offerto il suo
acerbo interesse, e lui, dopo una ridicola resistenza, aveva deciso di
accoglierlo: non riusciva più a sentirsi in colpa, adesso, quando iniziavano a
comportarsi in un modo che non avrebbero mai potuto mostrare agli occhi degli
altri; quando erano, come in quel momento, così intimamente vicini.
- Gin. – tentò
di richiamarla, adesso che non si era fatta problema a
salirgli direttamente sui piedi per darsi una spinta ulteriore: tanto era
l’impegno per raggiungere il simbolo della sua adultezza che neppure si stava
rendendo conto di star tirando fuori espedienti e trucchi di una puerilità
quasi tenera – Lascia perdere il fumo. Ti fa male, finirai per rovinarti
quell’adorabile vocetta. –
Un rosso
traditore le imporporò le guance, colpita da qualche parte nell’orgoglio mentre
si arrendeva e poggiava nuovamente i piedi a terra. Hirotsu
si sentì sicuro abbastanza da concedersi un’aspirata, l’altra mano che
scendeva, invece, a cingere gentilmente il busto alla ragazza che, nel mentre, si era un poco imbronciata.
- Non che mi importi nulla della mia voce. – borbottò, stizzita - … ma
non avevo idea di quando saresti rientrato. E volevo sentire il tuo sapore. –
Stavolta fu lui a dover trattenere un indegno
rossore, che sul viso di un uomo della sua età sarebbe stato tutto meno che
appropriato. Poche parole, ma concise e dritte al
punto: non c’era dubbio che Gin, pure senza armi e senza violenza, fosse
un’assassina provetta.
Il pensiero lo
fece sorridere, e si incurvò su di lei: ben presto
sentì le sue dita esili sul viso, tirandolo più vicino a sé.
- Allora
facciamo che te lo lascio ricordare meglio, hm? –
Un’ultima
aspirata, proprio prima di premersi sulle sue labbra; e quando furono
finalmente uniti non esitò a inondarle il respiro di
fumo, mentre la sentiva stringersi a sé ancora più forte.